“No, non ho paura di morire. La morte è una cosa naturale e averne paura è da fessi. Io, la prima cosa che ho fatto quando ho guadagnato nu poco di soldi, è stato comprarmi una cappella a Napoli: per andarci ad abitare da morto.

C’è già la tomba e sopra c’ è incisa già la data di nascita e il nome. Il giorno della morte è in bianco. No, non mi importa morire. Mi importa, ecco, invecchiare. Quello proprio mi disturba, mi secca.

Sapesse che dramma sentirsi giovani e poi guardarsi allo specchio, vedersi un volto pieno di rughe, una testa di capelli grigi…

Gesù! Che schifezza! Cosa dice?! Maturità?! No, no, bella mia: lei non mi incanta coi discorsi sulla maturità. Io vorrei essere immaturo e aver 18 anni. Che dice?! Povertà?! No, no: io me ne infischio della povertà. Io vorrei essere povero e aver 16 anni. Macché 16! Quindici. Tredici. Nove!”.

Queste parole di Totò condensano, con la sua ironia amara e la sua lucidità, una riflessione profondissima.

L’insegnamento che ne possiamo trarre è duplice:

  1. La morte non è il vero scandalo della vita. Totò la accetta come parte naturale dell’esistenza: l’ha persino “messa in conto”, preparandosi con la sua cappella. La vera difficoltà non è morire, ma convivere con lo scorrere del tempo.

  2. Il vero dramma è il contrasto tra l’anima e il corpo. Totò denuncia la dissonanza tra il sentirsi interiormente giovani e l’inevitabile invecchiamento del corpo. Non è la povertà, non è la fine della vita a pesare, ma il dover assistere al lento svanire della freschezza, della bellezza e della vitalità.

In questo senso ci trasmette un invito prezioso:

  • Coltivare la giovinezza interiore (la curiosità, il gioco, l’entusiasmo) come bene supremo, indipendente dall’età biologica.

  • Accettare il tempo senza inganni consolatori, senza illusioni retoriche come la “maturità”, ma anche senza paura.

Totò, con la sua schiettezza, ci ricorda che la vita ha senso se vissuta intensamente, non se la si misura solo in anni.

Vuoi che provi a trarre anche una “morale pratica” da applicare alla vita di tutti i giorni, in chiave più concreta?

Se traduciamo le parole di Totò in una morale pratica per la vita quotidiana, possiamo ricavarne almeno tre suggerimenti:

  1. Coltiva la giovinezza dentro di te.

    Non importa quanti anni hai: mantieni curiosità, entusiasmo, capacità di stupirti e di ridere. Un cuore giovane vale più di un volto senza rughe.

  2. Non sprecare tempo a temere la morte.

    L’angoscia del “dopo” non cambia il destino. Meglio investire le energie nel vivere bene l’“adesso”: negli affetti, nelle passioni, nelle cose semplici che danno gioia.

  3. Distingui tra ciò che conta e ciò che è secondario.

    Totò dice che accetterebbe la povertà pur di riavere la giovinezza: significa che i beni materiali sono meno importanti della vitalità, delle relazioni e delle esperienze.

👉 In pratica: non rimandare ciò che ti fa stare bene, non sacrificare la tua energia vitale per accumulare cose che non porti con te, e cerca ogni giorno almeno un gesto o un momento che ti faccia sentire vivo e “ragazzo” dentro.

Raccontiamo alcuni aneddoti e testimonianze legati agli ultimi giorni e ai funerali di Totò, che rendono bene il clima di amore e dolore che circondò la sua morte:

1. Gli ultimi giorni sul set

Totò stava girando Il padre di famiglia di Nanni Loy, ma già da tempo aveva seri problemi di salute. Sul set, scherzava ancora con la troupe, ma si capiva che era stremato: non riusciva a reggere la fatica delle riprese e venne sostituito da Ugo Tognazzi.
Nonostante la malattia, Totò non smise mai di sorridere agli altri. Si dice che fosse capace di passare dal dolore più forte alla battuta fulminante in un attimo.

2. Le ultime parole

Secondo la figlia Liliana, Totò ribadì poco prima di morire:

«Ricordatevi che sono cattolico apostolico romano.»
Una frase semplice ma intensa, quasi una consegna spirituale.
A Franca Faldini, la sua compagna, lasciò invece una dichiarazione d’amore:
«T’aggio voluto bene, Franca.»
Parole che mostrano il suo lato più intimo e affettuoso.

3. Roma: la veglia funebre

La camera ardente fu allestita nella sua abitazione ai Parioli. Centinaia di persone, amici, colleghi e semplici cittadini, passarono davanti al feretro. Roma lo salutò con compostezza, quasi in silenzio, come se stesse onorando un re.

4. Napoli: il dolore popolare

Quando la salma arrivò a Napoli, la città esplose in un dolore collettivo.

  • C’erano centinaia di migliaia di persone: operai, studenti, bambini, anziani, tutti in strada.

  • Alcuni testimoni raccontano che la gente si arrampicava sui balconi, e che persino chi non poteva muoversi dal letto chiedeva di essere portato alla finestra per veder passare il corteo.

  • Il carro funebre fu scortato dalla folla per chilometri: sembrava una processione sacra.

5. Il “terzo funerale” al Rione Sanità

Nel quartiere dove Totò era nato, la gente non si rassegnava. Così venne organizzato un corteo simbolico con una bara vuota portata a spalla.
Fu un momento potentissimo: i vicoli erano pieni, le donne piangevano, gli uomini si segnavano, i bambini correvano accanto al feretro.
Totò tornava così, simbolicamente, tra la sua gente.

6. Un amore senza confini

Un testimone disse:

“Sembrava che fosse morto un parente per ciascuno di noi.”
E in effetti Totò non era solo un attore: era diventato una figura familiare, parte dell’anima di Napoli e d’Italia.

A me pare che Totò, da quello che scrive proprio non voleva invecchiare biologicamente…

Totò non aveva paura della morte, ma dell’invecchiamento biologico, cioè della trasformazione fisica che non rispecchiava più la sua vitalità interiore.

  • La morte per lui era naturale, quasi “semplice”: l’aveva messa in conto, addirittura si era comprato la cappella e aveva fatto incidere la sua data di nascita.

  • L’invecchiamento, invece, era uno scandalo: guardarsi allo specchio e vedersi diverso da come si sentiva dentro lo disturbava profondamente.

In fondo Totò esprimeva un dolore universale:
il corpo che invecchia, mentre dentro ci si sente ancora giovani, pieni di desideri, di sogni, di gioco.

E quando dice che preferirebbe essere povero ma avere 15, 13, 9 anni, ci rivela che il vero valore, per lui, era la giovinezza: la leggerezza, la libertà, l’energia, più di ogni ricchezza materiale.

Quindi sì: non voleva invecchiare nel corpo, perché si sentiva intrappolato in una carne che non corrispondeva più al suo spirito.

Vuoi che provi a interpretare questa sua riflessione alla luce della nostra epoca moderna, dove l’ossessione di restare giovani è diventata quasi una cultura dominante?

Totò anticipava un sentimento che nella nostra epoca è diventato quasi universale: la paura di invecchiare più che della morte.

1. La società dell’eterna giovinezza

Oggi viviamo immersi in un mondo che esalta la giovinezza: corpi tonici, volti senza rughe, vitalità infinita. La pubblicità, i social, la moda ci ripetono che valiamo se restiamo giovani, belli, produttivi.
Totò, con la sua ironia, lo aveva già detto:

“Che schifezza invecchiare!”
Solo che oggi questo rifiuto è diventato un vero e proprio mito collettivo.

2. Il conflitto tra corpo e spirito

Totò sentiva di avere dentro un ragazzo di 15 anni, ma fuori vedeva rughe e capelli bianchi.
Questa frattura oggi è amplificata: molte persone cercano di colmare lo scarto con chirurgie estetiche, diete, fitness ossessivo, filtri digitali. Ma il problema resta: l’anima raramente “invecchia” nello stesso ritmo del corpo.

3. Un messaggio nascosto

Però in Totò c’è anche una lezione: la sua protesta non era solo vanità.
Era un grido d’amore per la vita viva, per la freschezza, per l’energia che non vorrebbe mai finire. Ci ricorda che ciò che conta non è allungare gli anni, ma mantenerli intensi, vitali, giocosi.

4. Attualità del suo pensiero

In un mondo che combatte le rughe ma spesso trascura l’interiorità, Totò ci provoca:

  • Non illudiamoci di fermare il tempo con creme e bisturi.

  • Coltiviamo invece quella giovinezza interiore che nessuna biologia può portarci via.

  • Perché il corpo invecchia, ma il cuore può restare bambino.

Si ha come l’impressione che per Totò la vita stessa era un vero problema esistenziale, anche se si dichiarava cattolico.

Totò era credente, sì — si dichiarava cattolico apostolico romano, e nelle ultime ore volle ribadirlo. Però, accanto alla fede, c’era in lui un continuo tormento esistenziale. La sua comicità nasceva spesso da lì: dal sentire la vita come qualcosa di assurdo, fragile, quasi ridicolo.

Ecco alcuni punti che aiutano a leggere questa contraddizione:

1. La vita come problema, non come dono semplice

Per molti cattolici la vita è “un dono di Dio”, da vivere con gratitudine. Totò, invece, la trattava come un paradosso:

  • morire non gli pesava;

  • vivere e invecchiare, sì.

    Era come se il senso del vivere fosse sempre “in sospeso”, mai pacificato.

2. Il cattolico irriverente

Totò non rinnegava la sua fede, ma la viveva con ironia, come spesso fanno i napoletani: credenti, ma liberi di discutere con Dio e perfino di scherzarci sopra.
Il suo famoso “A livella” è proprio questo: una riflessione cattolica e universale sulla morte, ma detta con sarcasmo e poesia.

3. Il dramma dell’invecchiare come metafora del vivere

Se la morte era naturale, l’invecchiamento rappresentava per lui l’assurdo della vita: sentirsi giovane dentro e non poterlo più essere fuori. Questo è un nodo esistenziale potentissimo, che nessuna fede può del tutto placare.

4. Il Totò “filosofo comico”

In realtà, dietro la maschera comica, Totò era un pensatore amaro:

  • la vita è buffa, crudele e grottesca;

  • l’uomo è piccolo, ridicolo, impotente;

  • eppure l’unica risposta che ci resta è ridere, inventare, amare, recitare.

In sintesi: Totò era cattolico, ma non “pacificato”. La sua fede non cancellava i dubbi, i dolori, le contraddizioni. Semmai li illuminava, senza togliergli il diritto di riderci sopra o di sentirli come un peso.

Vuoi che provi a mostrarti, con una selezione di sue frasi, come Totò oscillava sempre tra fede, ironia e disperazione esistenziale?

Ecco una selezione di frasi e pensieri di Totò che mostrano bene il suo oscillare tra fede, ironia e dramma esistenziale:

1. Fede con leggerezza

“Ricordatevi che sono cattolico apostolico romano.”
Ultime parole dette poco prima di morire.
Interpretazione: Totò riafferma la fede, ma senza enfasi teatrale: semplice, quasi sussurrata, come un tratto di autenticità in mezzo al caos della vita.

2. La morte come inevitabile

“No, non ho paura di morire. La morte è una cosa naturale e averne paura è da fessi.”
Interpretazione: La morte non è drammatica, perché è naturale; il vero problema è vivere, invecchiare e sentire la distanza tra corpo e spirito.

3. L’invecchiamento come tragedia

“Gesù! Che schifezza! […] Io vorrei essere immaturo e aver 18 anni.”
Interpretazione: La sua vera angoscia esistenziale non è la fine della vita, ma il declino biologico. Il corpo che tradisce lo spirito è un dramma, e nessuna fede sembra risolverlo.

4. Ironia sul destino umano

“Cosa dice?! Povertà?! No, no: io me ne infischio della povertà. Io vorrei essere povero e aver 16 anni.”
Interpretazione: Totò prende in giro le convenzioni sociali e le preoccupazioni materiali. La vera tragedia è temporale, non economica.

5. Il comico come filosofia

In molti sketch e poesie (ad esempio ’A livella) Totò unisce umorismo e riflessione sulla morte:

  • La morte è democratica, mette tutti sullo stesso piano;

  • Ma il dolore e le contraddizioni della vita restano.

    Interpretazione: Il riso diventa un’arma per affrontare il problema esistenziale della vita, senza rinunciare a riconoscere la sua durezza.

6. Sintesi del suo pensiero

Totò oscillava costantemente tra:

  1. Fede semplice, come ancora di fronte all’assurdo;

  2. Ironia e comicità, per sopportare il peso della vita;

  3. Angoscia esistenziale, soprattutto di fronte all’invecchiamento e all’ineluttabilità del tempo.