Quando un credente, mosso dallo Spirito Santo, prega per i peccatori, non fa selezioni, non emette giudizi di condanna: prega per tutti.
E prega anche per sé. In quel momento sa di non essere nemmeno troppo diverso dalle persone per cui prega: si sente peccatore, tra i peccatori, e prega per tutti.
La lezione della parabola del fariseo e del pubblicano è sempre viva e attuale (cfr Lc 18,9-14): noi non siamo migliori di nessuno, siamo tutti fratelli in una comunanza di fragilità, di sofferenze e nell’essere peccatori.
Perciò una preghiera che possiamo rivolgere a Dio è questa: “Signore, nessun vivente davanti a Te è giusto (cfr Sal 143,2) – questo lo dice un salmo: “Signore, nessun vivente davanti è Te è giusto”, nessuno di noi: siamo tutti peccatori –, siamo tutti debitori che hanno un conto in sospeso; non c’è alcuno che sia impeccabile ai tuoi occhi. Signore abbi pietà di noi!”.
E con questo spirito la preghiera è feconda, perché andiamo con umiltà davanti a Dio a pregare per tutti. Invece, il fariseo pregava in modo superbo: “Ti ringrazio, Signore, perché io non sono come quei peccatori; io sono giusto, faccio sempre…”.
Questa non è preghiera: questo è guardarsi allo specchio, alla realtà propria, guardarsi allo specchio truccato dalla superbia.Il mondo va avanti grazie a questa catena di oranti che intercedono, e che sono per lo più sconosciuti… ma non a Dio!
Ci sono tanti cristiani ignoti che, in tempo di persecuzione, hanno saputo ripetere le parole di nostro Signore: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34).
da un’omelia di papa Francesco
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