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XXI domenica Matteo16,13-20

 

di p. Ermes Ronchi

Ogni anno, verso la fine dell’estate, ritorna questa bellissima domanda di Gesù. Ogni anno con un evangelista diverso: “ma voi chi dite che io sia?”.

Siamo nell’estremo Nord della Palestina, ai piedi dell’Ermon, nel punto più lontano da Gerusalemme, e dalla istituzione religiosa, in zona pagana. Qui Gesù interroga i suoi, quasi per un sondaggio d’opinione: La gente, chi dice che io sia? La risposta della gente è bella e sbagliata insieme: Dicono che sei un profeta! Una creatura di fuoco e di luce, come Elia o il Battista; sei bocca di Dio e bocca dei poveri. Hai una storia di azione e passione per la Parola. Hanno una bella opinione di lui. Ma Gesù non è un uomo del passato, fosse pure il più grande di tutti, che ritorna. Anche oggi nessuno, o quasi nessuno, parla male di Gesù, se togli qualche provocatore cinico, nessuno dice che fosse un imbroglione o uno attaccato al potere o ai soldi; forse un sognatore, un illuso, un cacciatore di farfalle, ma dicendolo con una sorta di tenerezza.

A questo punto la domanda arriva esplicita, diretta: Ma voi, chi dite che io sia? Prima di tutto c’è un ‘ma’, una avversativa, quasi in opposizione a ciò che dice la gente. Come se dicesse: non si crede “per sentito dire, non per tradizione, non perché lo dicono i migliori”.

Ma voi, voi con le barche abbandonate, voi che siete con me da anni, voi amici che ho scelto a uno a uno, che cosa sono io per voi?

Ricordo brandelli di poesie di padre Turoldo: Come dire chi tu sia Signore? gioia e tormento insieme tu sei, figlio di Dio e uomo come noi… sei il mio ininterrotto rimorso, sei la mia gioia mattinale, la mia folle gioia…

In questa domanda, che mi mette in imbarazzo, un imbarazzo buono, che devo lasciar lavorare dentro, sta il cuore pulsante della fede: chi sono io per te? Gesù non cerca formule o parole, cerca un rapporto (“io per te”). Non vuole definizioni ma coinvolgimenti: che cosa ti è successo, quando mi hai incontrato? La sua domanda assomiglia a quelle degli innamorati: quanto conto per te? Che posto ho, che importanza ho nella tua vita? Gesù non ha bisogno della risposta di Pietro per sapere se è più bravo degli altri profeti, ma per sapere se Pietro è innamorato, se gli ha aperto il cuore. Cristo è vivo, solo se è vivo dentro di noi. Il nostro cuore può essere la culla o la tomba di Dio. Cristo non è le mie parole, ma ciò che di Lui arde in me.

La risposta di Pietro è duplice: Tu sei il Messia, sei la mano di Dio, Dio agisce nella storia per mezzo tuo, sei il suo progetto di libertà per il popolo; e poi –bellissimo-: sei il figlio del Dio vivente.

Figlio nella bibbia è un termine tecnico: è colui che fa ciò che il padre fa, che gli assomiglia in tutto, che ne prolunga la vita. Tu sei Figlio del Dio Vivente, equivale a: Tu sei il Vivente, il vivificante, colui che comunica vita. Sei grembo gravido, fontana da cui la vita sgorga potente, inesauribile e illimitata, sorgente di vita che non verrà mai meno, disponibile sempre.

Da dove nascono queste parole? Se scendiamo al loro momento sorgivo, credo che possiamo ancora ascoltare l’eco di una dichiarazione d’amore. Pietro dice a Gesù: tu sei la mia vita! Con te ho trovato la vita.

Ma tu chi dici che io sia? E sento in me una esitazione, faccio fatica a rispondere, ma è bello questo, bella la fatica: prendiamoci del tempo per vivere bene la domanda, che come un amo da pesca (la forma del punto di domanda ricorda l’amo), scende dentro di noi per agganciare la risposta profonda.

Un filosofo amico che si dichiara non credente, un neopagano, mi diceva: sai qual è la differenza tra te e me? anch’io ritengo Gesù di Nazaret un grande della storia. La differenza è che tu lo ritieni vivo, per me invece è morto sotto Ponzio Pilato, verso l’anno 33, purtroppo. Invece io con Pietro ridico la mia fede: Tu sei il vivente donatore di vita.

Pietro riconosce Gesù e Gesù riconosce Pietro: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa. Pietro riceve un regalo, un attributo divino che i salmi cantano spesso: Dio tu sei per noi roccia e nido (sentite che bello! Roccia salda e sicura, nido morbido che da calore) e il cantico di Anna: non c’è roccia come il nostro Dio.

Pietro capisce Cristo e riceve in dono la sua immagine alta e pura. L’ho scoperto anch’io: ogni volta che mi sono fermato con lui, che mi sono avvicinato a lui, che l’ho pregato con il cuore, ho scoperto qualcosa di me, ho capito meglio chi sono e che cosa sono venuto a fare in questo mondo.

Darò a te le chiavi del regno dei cieli. Il regno dei cieli è il regno di Dio, un mondo nuovo che Dio sogna; non è il paradiso, l’altra vita, è questa vita. Pietro ha le chiavi, ma non lui solo, ogni credente come lui, tutta la chiesa pur con la sua fatica e la sua povertà. Non è il potere di assolvere, scomunicare, riammettere alla comunione questo o quello, il divorziato o il pentito. Il potere di legare e sciogliere non è il potere giuridico dell’assoluzione, è il potere di diventare una presenza trasfigurante anche nelle esperienze più squallide, più impure, più alterate dell’uomo. Diventare presenza trasfigurante…

Poter fare cose che Dio solo sa fare: perdonare i nemici, trasfigurare il dolore, immedesimarsi nel prossimo, queste sono cose divine, che possono trasformare le relazioni e il mondo…

È il potere trasfigurante che fa sì che tu porti Dio nel mondo, e il mondo in Dio, che tu puoi fare azioni e gesti che hanno eternità, che meritano di non morire. Allora anche tu e io possiamo diventare piccola roccia su cui si può costruire qualcosa, chiave del regno. Nessuna piccola pietra è inutile.

L’ultimo mio maestro di fede, è stato un bambino nella mia chiesa di San Carlo al Corso, in Milano. Era entrato con la nonna, avrà avuto 5 anni. La nonna è andata ad accendere una candela, il bambino girava col naso all’aria. Dopo un po’ si è fermato davanti al grande crocifisso del ‘400; mi si avvicina, mi tira per la manica, e mi fa: chi è quello lì?

Mi ha spiazzato. Quella domanda, improvvisa e assoluta, mi ha bloccato. Volavano via tutte le risposte dei catechismi e del Credo.

A un bimbo che non ha mai sentito parlare di Dio (mi confermava poi la nonna che i genitori avevano escluso la formazione religiosa, per non condizionarlo: sceglierà lui da grande…) non puoi fornire formule di libri.

Ho sentito che la domanda di quel bambino toccava il centro della fede: chi è quello lì?

Ho chiuso mentalmente tutti i libri, ho aperto la mia vita, ho guardato dentro. Allora mi sono abbassato, occhi negli occhi, e ho detto al bambino: sai chi è quello lì? Uno che ha fatto felice il mio cuore. È Gesù.

Davanti a quel bambino sconosciuto, che mi ascoltava con gli occhi spalancati, ho fatto la mia dichiarazione d’amore al Nazzareno.

Qualsiasi cosa il bimbo se ne faccia, quelle parole mi confortavano, suonavano come la mia risposta a Gesù, anch’io ero uno fra i dodici, in cammino verso Cesarea di Filippo, lassù alle sorgenti del Giordano. Anche per me è la risposta di Gesù’: tu sei piccola pietra su cui costruirò qualcosa.

Qualcosa sarò, Signore, se tu farai del mio nulla qualcosa che serva a qualcuno.

 

 

Alla comunione

 

Ma voi chi dite che io sia?

Come dire chi tu sia, Signore?

Sei il fuoco che mi divora,

sei il mio ininterrotto rimorso,

e insieme sei la mia gioia,

la gioia mattinale del mondo,

la gioia silente della luce sul mare la sera.

Sei l’Emmanuele, il Dio con noi,

cielo lievito della terra,

sei la fiamma delle cose.

Sei colui che non finisce mai di sorprenderci,

l’aurora di una storia nuova,

sei la porta che resta sempre aperta.

sei la meta del nostro viaggio.

sei il nostro fedele innamorato,

sposo che rende felice l’amore.

Grande ala della nostra speranza,

prima gemma che fa fiorire la foresta del mondo,

nel tempo e nell’eterno

Amen.

 

p. Ermes Ronchi