VIDEO:

L’uomo è incline al male: solo Dio è vero Amore
Se per motivi di latente vanità andiamo a cercare il “buono” che c’è in noi dimenticando che tutto proviene da Dio, rimarremmo delusi.
Se Egli per un istante ci dovesse abbandonare cadremmo nel baratro dei vizi e dell’incredulità. Non ci sopporteremmo e la vita diverrebbe una tortura.
Per questo Egli ci esorta a pregare continuamente. Non importa come, ciò Ciò che realmente conta è la nostra costanza nella fede.
Pregare sempre significa abbandonarsi a Lui completamente ed affidargli ogni nostra difficoltà fisica e psicologica. Quando cadiamo nella tentazione è importante riprenderci consapevoli che Egli ci perdona sempre e non ci abbandona mai, perché sa esattamente quanto siamo deboli e fragili. La via dei piaceri terreni è molto più facile della via della croce. Ma Egli ha anche il potere di donarci il gusto del sacro e trasmetterci il suo Amore. Egli ne ha davvero in abbondanza.

Il cuore inquieto (Sant’Agostino)
C’era un uomo, un giovane di nome Agostino, nato in una terra calda e luminosa, in un tempo in cui il mondo era lacerato da guerre e passioni sfrenate. Sin da ragazzo cercava la verità, ma la cercava nei piaceri, nella gloria, nella sapienza umana. Il suo cuore bruciava di desiderio, ma più cercava la felicità nei piaceri del mondo, più sentiva un vuoto profondo, un abisso che nulla riusciva a colmare.
«In me c’è del buono» si diceva. «Posso salvarmi con la mia intelligenza, con la mia forza, con la mia volontà.» Ma più confidava in se stesso, più cadeva nelle sabbie mobili del vizio, più si ritrovava schiavo delle passioni che voleva dominare.
La madre, Monica, non smise mai di pregare. Pregava notte e giorno, e le sue lacrime erano come semi che cadevano nel terreno arido del cuore del figlio. Agostino vedeva quelle lacrime e si infastidiva, ma in fondo al suo cuore inquieto qualcosa si muoveva.
Un giorno, stanco di se stesso e dei fallimenti delle sue scelte, si rifugiò in un giardino. Si gettò a terra e scoppiò in un pianto senza fine. Si sentiva perduto, incapace di sopportarsi, come un uomo che si guarda allo specchio e scorge il volto del peccato e della debolezza.
«Signore, se Tu mi abbandonassi anche solo un istante, io sprofonderei nel baratro. Senza di Te, nulla sono. Solo Tu sei Amore vero!»
In quel momento, come un sussurro, sentì nel cuore una voce: “Prendi e leggi”. E trovò nella Scrittura parole che parlavano al suo tormento: «Rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non seguite le concupiscenze della carne».
Agostino capì che la salvezza non era in lui, ma in Dio. Da allora, iniziò a pregare senza posa, non con parole ricercate, ma con un cuore aperto, abbandonato, fiducioso. Pregava nella lotta, nella fatica, nella tentazione. E il Signore lo rialzava ogni volta, donandogli la forza e il gusto delle cose sante, perché solo Dio poteva saziare la sete del suo cuore.
Agostino diventò un faro per tanti. Ma non smise mai di ripetere:
«Ci hai fatti per Te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te.»
La forza nelle mani giunte (San Giovanni Paolo II)
Karol era ancora un ragazzo quando la guerra devastò la sua terra. La Polonia era calpestata dagli eserciti, la libertà soffocata, la fede messa a dura prova. Aveva visto amici scomparire, famiglie distrutte, chiese incendiate. Eppure, ogni sera, dopo il lavoro estenuante nella cava di pietra, Karol si inginocchiava in silenzio.
Non aveva altro che le sue mani giunte e il cuore ferito. «Signore, senza di Te che sono? Se Tu mi lasciassi un solo istante, io cadrei nell’abisso. Solo Tu sei la mia forza, il mio respiro, il mio tutto.»
Molti avrebbero potuto odiare, lasciarsi vincere dall’oscurità, cercare rifugio nei piaceri facili che a volte la disperazione offre. Ma Karol sapeva che il male lo sfiorava ogni giorno, che il cuore umano è fragile, incline a perdersi. E allora si aggrappava a Dio con la preghiera, come un naufrago a una tavola di salvezza.
Pregava camminando per le strade deserte di Cracovia, pregava lavorando tra le pietre, pregava vegliando di notte. Non importava come: ciò che contava era che il suo cuore rimanesse unito al Cuore di Dio.
E Dio lo custodì, lo plasmò, gli donò il gusto del sacro, il desiderio di servire. Lo rese capace di amare anche chi lo perseguitava, e lo preparò a guidare il suo popolo e il mondo intero come pastore.
Quando divenne Papa, Giovanni Paolo II non cessò di ripetere con la vita e con le parole:
«Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo!»
Perché sapeva che solo in Cristo c’è la vera forza, la vera pace, il vero Amore.
E nelle notti della sofferenza, quando il dolore lo piegava, le sue mani giunte dicevano ancora:
«Totus Tuus, Maria. Totus Tuus, Gesù. Senza di Voi nulla sono.»
Un clic verso il Cielo (Carlo Acutis)
Carlo era un ragazzo come tanti: amava i videogiochi, i computer, gli animali, i suoi amici. Ma nel suo cuore abitava un segreto che lo rendeva diverso: un desiderio ardente di Dio, un bisogno continuo di stare con Lui.
«Signore» pregava, «senza di Te non posso nulla. Se Tu mi lasciassi solo, cadrei nella vanità, nella noia, nel peccato. Solo Tu sei il vero Amore, solo Tu puoi rendere bella la mia vita.»
Non si illudeva Carlo. Sapeva che l’uomo è incline al male, che la tentazione è dietro l’angolo. E sapeva che il bene che faceva non veniva da lui, ma era dono di Dio. Per questo cercava ogni giorno di tenersi stretto al Signore: con la Messa quotidiana, l’Adorazione eucaristica, il Rosario. Per lui, la preghiera era come respirare: naturale, necessaria, vitale.
«L’Eucaristia è la mia autostrada per il Cielo» diceva. E non c’era vanità nei suoi gesti buoni, perché era consapevole che tutto ciò che era bello in lui veniva dall’Amore di Dio, che riempiva il suo cuore.
Carlo non cercava il bene in sé stesso per compiacersi: lo cercava in Dio, per donarlo agli altri. E così aiutava i poveri, difendeva i più deboli, consolava chi era triste. Nelle ore della malattia, quando la leucemia lo colpì, continuò a pregare: non chiese di guarire, ma che la sua sofferenza servisse a qualcosa di grande, a qualcosa di eterno.
E quando il dolore si fece forte, disse con serenità:
«Offro al Signore tutte le mie sofferenze per il Papa e per la Chiesa, per non fare il purgatorio e andare dritto in paradiso.»
Carlo ci ha lasciato un clic, una traccia, un segnale luminoso su quell’autostrada che porta al Cielo: la certezza che senza Dio non possiamo nulla, ma con Lui possiamo tutto, perché Dio è l’unico vero Amore che non tradisce mai.
La foresta della pace (San Serafino di Sarov)
Nel cuore di una foresta immensa, dove gli uomini raramente osavano addentrarsi, viveva un uomo in silenzio e preghiera: Serafino, il monaco di Sarov. La sua cella era povera, la sua vita nascosta agli occhi del mondo. Ma nella quiete di quella solitudine Serafino parlava con Dio come un figlio parla al Padre, senza paura, senza orgoglio.
Sapeva quanto l’uomo sia debole, quanto sia incline al male. Lo aveva visto in sé stesso: ogni volta che si illudeva di bastare a sé, cadeva; ogni volta che cercava il bene fuori da Dio, ne restava deluso. E così si era consegnato del tutto all’Amore vero, l’unico che non tradisce.
Serafino pregava senza sosta:
«Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore.»
Era questa la sua ancora, il suo respiro, la sua forza. E Dio riempì il suo cuore di pace, una pace così profonda che la stessa foresta ne fu contagiata.
Gli animali si avvicinavano alla sua capanna senza timore. L’orso, il re della foresta, si sedeva accanto a lui come un cane fedele, accettando il pane secco che Serafino gli offriva. Gli uccelli si posavano sulle sue spalle, le lepri si fermavano a osservarlo, i lupi lo guardavano come un fratello. Era come se tutta la creazione riconoscesse in quell’uomo lo splendore della grazia di Dio.
Ai pellegrini che giungevano fino a lui, Serafino diceva:
«Quando l’uomo è in pace con Dio, anche la natura è in pace con lui. Ma ricordate: senza la preghiera continua, senza l’abbandono al Signore, il cuore si smarrisce, e l’anima non trova più riposo.»
E accoglieva tutti con lo stesso saluto, con un volto che brillava come la luce dell’aurora:
«Cristo è risorto, gioia mia!»
Serafino ci insegna che la via della croce è stretta, sì, ma porta a un amore così grande da rendere amici anche gli animali più feroci. E che senza Dio, senza la sua presenza viva, l’uomo non può che smarrirsi. Ma con Dio, persino la foresta canta la pace.
Il segreto del cuore ferito (Santa Faustina Kowalska)
Helena — così si chiamava prima di diventare suor Faustina — aveva solo vent’anni quando varcò la soglia del convento. Una ragazza semplice, povera, senza istruzione. Portava nel cuore un desiderio ardente: appartenere tutta a Dio, perché aveva capito che senza di Lui il cuore umano si perde, si illude, si svuota.
Fin dai primi tempi in monastero, Faustina si accorse che l’uomo, anche quello che cerca il bene, è fragile. Le sue stesse debolezze, le fatiche della vita comune, le incomprensioni la mettevano a nudo davanti a Dio.
«Signore, se Tu mi lasciassi anche solo per un istante, io cadrei nel baratro» scriveva nel suo diario.
Ma non disperava, perché aveva scoperto un segreto: la misericordia di Dio è più grande di ogni miseria.
Pregava senza posa, offrendo ogni sofferenza, ogni umiliazione, ogni gioia piccola e grande. La sua preghiera era un continuo abbandono, un lasciarsi plasmare dall’Amore vero. Gesù stesso le parlava al cuore:
«La tua miseria è il recipiente in cui riverso la mia misericordia.»
Nel silenzio della cappella, davanti all’Eucaristia, Faustina imparava che solo chi si arrende a Dio diventa forte. Non cercava il bene in sé stessa, perché sapeva che tutto era dono. E quando le tentazioni, le prove, i momenti di buio la assalivano, ripeteva:
«Gesù, confido in Te.»
Anche i fratelli e le sorelle che la circondavano cominciarono a percepire che da quella giovane suora veniva una pace speciale, una luce diversa. Era la luce della misericordia che scendeva nel cuore degli uomini attraverso di lei.
Faustina ci ha lasciato un messaggio per ogni anima: non contare sulle tue forze, perché sei debole. Non cercare la gloria del tuo bene, perché tutto viene da Dio. Confida nel suo amore senza fine. E prega, prega sempre: perché solo la preghiera mantiene aperto il canale della grazia.
La piccola via del cuore debole (Santa Teresa di Lisieux)
Teresa era una bambina sensibile, tenera, tanto incline alla gioia quanto alle lacrime. Bastava un’ombra, una parola un po’ dura, ed ecco il suo cuore si stringeva come un fiore al gelo. Eppure, proprio in questa sua fragilità, Dio aveva preparato un segreto: farne la strada della santità.
Quando entrò nel Carmelo, a soli quindici anni, Teresa lo sapeva bene: da sola non avrebbe potuto nulla. Avrebbe potuto lasciarsi vincere dall’impazienza, dall’orgoglio sottile, dalle piccole gelosie e amarezze che a volte si insinuano anche nei cuori buoni.
Ma Teresa non cercava il buono in sé stessa. Sapeva che ogni bene era dono di Dio. Per questo ripeteva:
«Tutto è grazia!»
Teresa scoprì la “piccola via”: quella di chi si affida a Dio come un bambino si abbandona tra le braccia del padre. «Non bisogna fare cose grandi — diceva — ma amare tanto e lasciarsi amare da Dio.»
E così ogni piccolo gesto, ogni sacrificio nascosto, ogni sorriso dato a una sorella difficile, ogni parola trattenuta, diventava per lei un’offerta d’amore.
Pregava sempre, con il cuore, con gli sguardi, con i sospiri. Sapeva che solo pregando senza sosta si resta uniti all’Amore. E quando si sentiva povera, arida, incapace, diceva a Gesù:
«Sono troppo piccola per salire da sola la scala della perfezione. Prendimi Tu tra le tue braccia e sollevami, o Gesù!»
Anche nei momenti di buio e prova, quando la fede sembrava vacillare, Teresa non si scoraggiava: continuava a gettarsi con fiducia tra le braccia di Dio, certa che Egli non abbandona mai i suoi piccoli.
E il suo cuore così debole divenne forte nell’Amore. Tanto che oggi, dal cielo, Teresa continua a insegnarci che senza Dio siamo nulla, ma con Dio possiamo tutto, perché Dio è Amore misericordioso e infinito.
Il pellegrino della fede semplice (p.Albino Candido)
Padre Albino abitò per un periodo a Culzei, in Carnia. Non aveva nulla, eppure aveva tutto, perché il suo cuore riposava in Dio. Non cercava in sé stesso alcun bene, perché sapeva che senza Dio l’uomo è come una foglia secca portata dal vento.
Ogni giorno si alzava quando ancora il cielo era scuro e si metteva a pregare. Pregava con parole semplici, con i salmi, con il silenzio. Pregava per il mondo intero, per i peccatori, per i lontani, per i vicini. Pregava anche per chi gli faceva del male.
«Signore, non lasciarmi nemmeno per un istante, perché senza di Te non posso che cadere», scriveva nel suo Diario di un pellegrino carnico.
Padre Albino conosceva la debolezza del cuore umano. Lo diceva a chi veniva a trovarlo:
«Non fidarti mai di te stesso, perché il male è sempre in agguato. Ma confida senza paura nella misericordia di Dio, che è più grande di ogni nostra miseria.»
Viveva con pochissimo: un po’ di polenta, qualche castagna, l’acqua della fonte. Eppure era ricco di una gioia che spiazzava: la gioia di chi ha scelto la via stretta, la via della croce, e si è lasciato riempire dall’Amore vero.
Quando qualcuno bussava alla sua porta, lo accoglieva con un sorriso largo e sincero, offriva un bicchiere d’acqua, una parola buona, e una preghiera.
Padre Albino era un amico degli umili, dei poveri, dei semplici. Come San Serafino, come Santa Teresa, aveva scelto la “piccola via”: quella del totale affidamento.
E nel suo diario lasciò scritto per tutti noi:
«Chi prega non ha bisogno di nulla. Chi prega ha già Dio, e con Dio ha tutto.»
Romualdo e la foresta silenziosa (San Romualdo, fondatore di Camaldolesi)
Romualdo, figlio di una famiglia nobile, aveva conosciuto presto il dolore e il peccato. Un tragico duello in cui morì un uomo lo gettò nella disperazione. Lì, nel baratro della sua miseria, capì che l’uomo, lasciato a sé stesso, è capace solo di rovinarsi.
«Se Dio mi abbandonasse anche solo per un momento, io cadrei ancora più in basso», ripeteva tra le lacrime.
Così Romualdo si fece monaco. Lasciò i fasti della sua casa e scelse la solitudine delle foreste e delle paludi, i luoghi più poveri e nascosti. Voleva solo Dio, e lo cercava nella preghiera senza fine, nel silenzio, nel lavoro umile.
«La via della croce è stretta, ma porta alla vera libertà», diceva ai suoi discepoli.
Nelle notti fredde, Romualdo vegliava. Il vento scuoteva le fronde degli alberi, il gelo mordeva le ossa, ma lui restava in ginocchio, ripetendo il nome di Gesù.
Pregava per sé, perché sapeva quanto era fragile. Pregava per i fratelli, perché conosceva la forza delle tentazioni. Pregava per il mondo, perché senza Dio tutto è perduto.
Romualdo fondò eremi e monasteri: piccoli gruppi di uomini che volevano vivere solo per Dio. Li esortava così:
«Non cercate il bene in voi stessi, perché non c’è. Tutto viene da Dio. Restate uniti a Lui, pregate sempre, e il Signore vi sosterrà.»
La sua vita, segnata da penitenza e contemplazione, diventò luce per tanti. E anche la natura intorno a lui sembrava pacificata: i cervi si avvicinavano alle celle dei monaci, gli uccelli cantavano sereni tra i rami.
Romualdo ci insegna che la santità non nasce dalle nostre forze, ma dall’abbandono fiducioso all’Amore infinito del Padre. Solo Dio può trasformare il cuore ferito e debole in un cuore capace di amare davvero.
Il piccolo grande cercatore di Dio (Sant’Antonio da Padova)
Antonio era un giovane portoghese che, fin da ragazzo, sentiva nel cuore una sete profonda: la sete di Dio. Ma ben presto comprese che da solo non poteva nulla. La vita è un campo di battaglia dove l’uomo, senza la grazia, rischia di perdersi.
Iniziò il suo cammino come semplice frate francescano, ma la sua anima era grande e fragile insieme. Sapeva di non essere perfetto, di cadere spesso, eppure non si scoraggiava:
«Se non ci affidiamo completamente a Dio, rimaniamo vuoti e smarriti.»
Antonio pregava senza sosta, anche nelle difficoltà più grandi, quando la fatica e la tentazione cercavano di spegnere la sua luce. La sua forza era la preghiera costante, quell’abbandono fiducioso che solo chi conosce l’Amore infinito può vivere.
«Signore, aiutami a non contare sulle mie forze, ma su Te solo.»
La sua parola era semplice e potente: parlava di misericordia, di perdono, di amore vero. Ai poveri, ai malati, ai peccatori portava speranza. E con la sua predicazione toccava il cuore di tutti, perché raccontava un Dio vicino, che non abbandona mai chi si affida a Lui.
Una volta, durante una predica, raccontò di come anche lui era debole e fragile, ma che aveva scoperto un segreto:
«Quando sento di cadere, guardo a Gesù crocifisso e ricordo che il suo amore è più forte del mio peccato.»
San Antonio ci insegna che la santità non è per pochi eletti, ma per chi, con umiltà, si affida a Dio ogni giorno. Che la vita, con le sue prove, può diventare un cammino di gioia se lo si vive con la fede e la preghiera continua.