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L’UOMO CHE FACEVA SPARIRE GLI ALTRI.     

Il potere del nulla

Questo romanzo nasce da una mia idea narrativa, che ho poi sviluppato insieme a ChatGPT (modello GPT-5 di OpenAI). Io ho fornito il nucleo concettuale, le suggestioni di trama e i temi centrali, mentre ChatGPT ha contribuito in modo decisivo a dare forma ai capitoli, ad articolare le dinamiche psicologiche e sociali e a sviluppare la scrittura.

Per onestà intellettuale, tengo a sottolineare che si tratta dunque di un’opera a quattro mani: la mia visione iniziale e il supporto creativo di un’intelligenza artificiale.

Ciò che leggerete non è solo una storia di fantascienza o di mistero, ma una parabola metaforica sulla natura dell’uomo, sul peso del potere e sulla fragilità della coscienza. Giovanni Rossi, anziano e solitario, riceve un dono che è anche una maledizione: il potere di far sparire chiunque. Da lì inizia un viaggio che non è solo narrativo, ma anche morale e spirituale.

Tema centrale: 

cosa succede se i nostri desideri più nascosti – quelli che non osiamo confessare – diventano realtà?

Tensione narrativa: un uomo normale, un paese normale, improvvisamente travolti da un potere che nessuno comprende.

Domanda filosofica: è giusto eliminare chi ci ostacola, se non lasciamo tracce né dolore? E cosa resta di noi, quando cediamo a questa tentazione?

Il romanzo può essere letto come una metafora della lotta eterna tra potere e coscienza, tra società e individuo, tra odio e perdono.

È un racconto che scava nell’animo umano e smaschera la fragilità e la grandezza che convivono dentro di noi.

Capitolo 1 – La luce nel cielo

Giovanni Rossi viveva da solo in una vecchia casa ai margini del paese, una costruzione squadrata, scrostata dal tempo, con un piccolo balcone che dava su un cortile di ciottoli e siepi disordinate. La vita, per lui, scorreva lenta e prevedibile: ogni giorno aveva il suo ritmo, tra il caffè al bar, la passeggiata mattutina lungo la via principale e i pomeriggi passati a sfogliare vecchi giornali o a sistemare oggetti dimenticati nei cassetti. La solitudine non lo pesava più di tanto: era un uomo abituato a se stesso, ai suoi pensieri e alle sue abitudini, agli odori dei pomodori maturi nel piccolo orto e al rumore dei passi dei vicini.

Quella notte, però, qualcosa cambiò. Giovanni era seduto sul balcone, avvolto nel vecchio maglione di lana, e guardava il cielo stellato come faceva spesso. C’era una chiarezza insolita, un silenzio quasi innaturale: non si udiva il frinire delle cicale né il rombo lontano di qualche macchina. Tutto sembrava sospeso.

Poi la vide: una luce attraversare l’orizzonte con una rapidità e un’intensità che non ricordava di aver mai visto. Non era una stella cadente, né un aereo. Era bianca, accecante, con un bordo sfumato di verde, e sembrava… pulsare. Giovanni sentì un brivido corrergli lungo la schiena, un mix di meraviglia e timore, come se il cielo stesso lo stesse chiamando. La luce svanì in un batter d’occhio, lasciando dietro di sé un alone di mistero.

Il giorno seguente, il mondo sembrava normale. Giovanni scese al bar come ogni mattina, salutò i pochi clienti abituali, scambiò qualche parola con il barista. Ma notò qualcosa di strano: il suo vicino, quell’uomo petulante e fastidioso che amava commentare ogni sua mossa, non si presentò. “Sarà fuori città,” pensò Giovanni, scrollando le spalle. Ma col passare delle ore e dei giorni, la sparizione dell’uomo diventò sempre più inquietante. Nessuno sapeva dove fosse. La famiglia non aveva notizie, i vicini non lo avevano visto, e nessuna telefonata, nessun messaggio lo dava per vivo.

Un misto di sollievo e inquietudine si fece strada nel cuore di Giovanni. Sollievo, perché quell’uomo che da anni lo tormentava con commenti sarcastici e sguardi sprezzanti non era più lì. Inquietudine, perché una parte di lui si chiese: “E se… fossi stato io, in qualche modo?” L’idea sembrava assurda, quasi ridicola, eppure il pensiero si insinuava, sottile come un filo di nebbia: e se fosse stato davvero lui, senza accorgersene, a far sparire quell’uomo?

Nei giorni seguenti, altre persone con le quali Giovanni aveva piccoli dissapori iniziarono a non apparire più. Il vecchio amico che lo criticava sempre, il vicino che rubacchiava dal suo orto, persino un parente lontano che lo aveva deluso anni prima. Ogni scomparsa avveniva senza rumore, senza tracce, come se il mondo avesse inghiottito quelle vite.

Giovanni iniziò a osservare il paese con occhi diversi. La piazza, i negozi, le strade: tutto sembrava normale, ma una tensione sottile percorreva l’aria. Alcune persone sussurravano, altri guardavano negli occhi dei vicini come cercando conferme silenziose. La polizia interrogava, compilava rapporti, ma non c’era nulla da trovare. Nessun cadavere, nessuna pista, nessuna spiegazione.

E Giovanni? Lui camminava tra la gente come un fantasma, con la consapevolezza di un segreto immenso, un potere che non comprendeva ancora del tutto. Ogni scomparsa lo riempiva di un misto di terrore e fascinazione. Sentiva crescere dentro di sé qualcosa di pericoloso e irresistibile, un sentimento che mescolava rabbia, sollievo, curiosità e una punta di colpa.

Ogni sera, tornando sul balcone, fissava il cielo, cercando ancora quella luce che forse l’aveva toccato, chiedendosi se l’evento della notte passata fosse stato un segno, un avvertimento o l’inizio di qualcosa di completamente nuovo.

“Se fosse vero… se davvero potessi…” mormorò tra sé e sé, ma poi si bloccò, terrorizzato dall’idea stessa. La possibilità era troppo grande, troppo irreale, eppure non riusciva a scacciarla dalla mente.

Pier Angelo Piai, [06/09/25 15:58]

E così iniziava la lenta trasformazione di Giovanni Rossi: da uomo ordinario, abitudinario e rispettoso della vita altrui, verso qualcuno che, senza ancora saperlo, deteneva un potere capace di riscrivere la realtà. Un potere silenzioso, invisibile, che avrebbe cambiato per sempre il suo rapporto con gli altri e con se stesso.

Capitolo 2 – Le prime sparizioni

Nei giorni che seguirono la sparizione del vicino, Giovanni Rossi iniziò a guardare il mondo con occhi diversi. La routine quotidiana, un tempo rassicurante, si trasformava in un mosaico di dettagli sospettosi. Ogni volto incontrato per strada, ogni sorriso o cenno di saluto, ogni sguardo furtivo nel bar sembrava carico di significato. Nulla era cambiato esteriormente, eppure la realtà intorno a lui aveva assunto una nuova dimensione: quella della possibilità.

La mattina del terzo giorno, Giovanni decise di passeggiare lungo la via principale del paese, come faceva ogni giorno, ma stavolta con una consapevolezza diversa. Notò subito l’assenza del vecchio amico che lo derideva ogni volta che parlava del suo orto, e più avanti, il negoziante che aveva sempre cercato di convincerlo a spendere più del necessario non era al suo solito banco. Era come se una scia invisibile di assenze seguisse ogni passo.

All’inizio provò incredulità. “Dev’essere un caso,” si disse, cercando di convincersi che il suo cervello stesse giocando strani scherzi. Ma il dubbio era persistente e cresceva in lui come un piccolo fuoco, alimentato dall’evidenza: ogni persona che aveva suscitato in lui fastidio, insofferenza o rabbia, svaniva senza lasciare traccia.

Fu durante una pausa al bar che Giovanni incontrò Marta, una donna gentile e osservatrice, sempre pronta a notare anche le minime variazioni nella vita del paese.

“Avete notato anche voi?” chiese abbassando la voce, come temendo di essere ascoltata. “Persone… che spariscono. Come se non fossero mai esistite.”

Giovanni la guardò, sentendo un brivido corrergli lungo la schiena. Non rispose subito. Non poteva. Una parte di lui tremava per il terrore, un’altra parte provava un piacere sottile, quasi inconfessabile.

“Strano…” mormorò infine, cercando di sembrare casuale. Ma nel suo cuore, il pensiero era più profondo e spaventoso: e se fosse stato davvero lui, in qualche modo, a renderle invisibili?

Nei giorni seguenti, la sua mente oscillava tra incredulità e fascino. Cercava conferme, sperimentava in piccoli gesti: un pensiero di rabbia verso il vicino impicciono, un’immagine mentale di qualcuno che gli aveva fatto un torto anni prima. E, lentamente, cominciò a notare un pattern. Una presenza che si dissolse senza lasciare traccia era sempre legata a qualcuno che aveva provocato in lui emozioni negative, odio o disprezzo.

Ma ciò che lo turbava di più non era il potere in sé, quanto la consapevolezza che stava crescendo dentro di lui una curiosità irresistibile: scoprire fino a dove si estendesse quel potere, cosa fosse realmente capace di fare.

Il paese, intanto, iniziava a reagire. Le sparizioni cominciavano a farsi notare: chi mancava non era solo un vicino, un conoscente o un amico, ma parte integrante della vita comunitaria. Gli scaffali del supermercato restavano vuoti senza chi vi lavorava, i tavoli del bar erano occupati da pochi clienti anziché da quelli soliti. Le conversazioni diventavano sussurri carichi di ansia. La polizia interrogava, compilava rapporti, chiedeva documenti, verificava albi e registri, ma nulla emergeva. Era come se le persone fossero state inghiottite dall’aria stessa.

Giovanni osservava tutto dall’ombra, camminando tra le strade con una nuova attenzione, studiando le reazioni della gente, i loro sospetti, le loro paure. La comunità, ignara del suo ruolo, diventava uno specchio delle conseguenze del suo potere invisibile. La tensione cresceva, e con essa la sensazione di onnipotenza e isolamento.

Ma con il potere cresceva anche il peso morale. Ogni scomparsa, pur non causando dolore fisico, lasciava un vuoto reale: famiglie in apprensione, amici disorientati, comunità destabilizzate.

Giovanni iniziava a percepire la gravità di ciò che stava accadendo. Iniziava a interrogarsi sulla linea sottile tra giustizia personale e arbitrio assoluto, tra sollievo e crudeltà.

Una sera, tornando a casa, si fermò davanti a un lampione spento. La luce gialla della strada tremolava appena. Si rese conto che ciò che stava vivendo non era solo un gioco, né un caso. Era qualcosa di più grande, qualcosa che poteva cambiare il mondo intorno a lui, un potere che andava oltre ogni logica umana.

“Se posso far sparire chiunque…” mormorò, la voce appena udibile nel silenzio della strada deserta, “allora devo capire fino a dove posso arrivare… e, soprattutto, chi merita di restare.”

E così Giovanni Rossi entrava in una nuova fase della sua esistenza: la fase della consapevolezza, dell’osservazione e della sperimentazione. Il potere non era più un mistero casuale, ma una realtà concreta, capace di plasmare il mondo secondo la sua volontà. E con questa consapevolezza, il cuore dell’uomo iniziava a cambiare, sfumando tra terrore, meraviglia e la sottile, irresistibile tentazione della supremazia invisibile.

Capitolo 3 – Il gioco del silenzio

La prima volta che Giovanni Rossi realizzò di poter usare il suo potere in modo consapevole, fu quasi per caso. Seduto sul balcone, osservava il cortile del vicino, quell’uomo che per anni lo aveva tormentato con commenti sarcastici e occhiate sprezzanti. L’istinto, un lampo improvviso di rabbia repressa, lo colpì come un’onda: “Se solo potessi… spariresti.”

Il giorno dopo, quando l’uomo non comparve, Giovanni non poté più dubitare. La sensazione fu paradossale: un brivido di terrore attraversò il suo corpo, ma insieme un piacere oscuro, quasi morboso. La consapevolezza del potere lo caricò di una tensione elettrica, di una sorta di eccitazione pericolosa, come se camminasse sul bordo di un abisso senza fondo.

Da quel momento iniziò a sperimentare. Piccoli test, gesti quasi impercettibili: un pensiero verso un collega invadente, un’immagine mentale di chi lo aveva ferito in passato. Ogni scomparsa rafforzava la sua comprensione e, al contempo, la sua attrazione per la possibilità di controllo assoluto.

All’inizio fu prudente. Evitava di pensare troppo a chi avrebbe voluto eliminare, osservando le sue emozioni come un naturalista osserva una creatura rara. Ma presto la tentazione prese il sopravvento. La mente di Giovanni cominciò a trasformarsi: ciò che un tempo era rabbia repressa ora si convertiva in azione concreta. La distinzione tra pensiero e realtà si assottigliava.

Il paese intanto reagiva. Ogni sparizione generava nuove domande, sospetti e ansie. La comunità diventava nervosa, più attenta ai propri vicini, come se percepisse l’assenza di chi non c’era più come un vuoto che urlava silenziosamente. Al bar, nelle piazze, nei negozi, le conversazioni si trasformavano in sussurri. Alcuni parlavano di malattie improvvise, altri ipotizzavano allontanamenti volontari. Nessuno osava pronunciare la parola che tutti temevano: sparizioni senza spiegazione.

Giovanni osservava tutto con attenzione. Non era più solo un uomo con un dono casuale: era un osservatore del caos invisibile che stava creando. Notava i segni minimi di inquietudine negli altri: lo sguardo perso di Marta, il silenzio improvviso del barista, le esitazioni negli occhi di chi incontrava. Ogni reazione era un indizio, una conferma del suo potere e della distanza tra la sua esperienza e quella della comunità.

Con il passare dei giorni, iniziò a sperimentare anche in modo più sottile. Non solo persone odiate scomparivano, ma Giovanni provava a immaginare scenari più complessi: immaginava interi gruppi di persone lontane, familiari o conoscenti, e osservava con ansia e fascinazione la realtà adattarsi. Ogni volta, il risultato era lo stesso: silenzio, vuoto, assenza.

Eppure, nonostante il brivido, iniziava a emergere in lui un conflitto interiore. Il potere di cancellare la realtà, di decidere chi esistesse e chi no, non era un dono semplice.

Era una responsabilità enorme, che metteva a nudo le pulsioni più oscure dell’animo umano. Giovanni si rendeva conto che il piacere della vendetta era irresistibile, ma ogni volta che qualcuno spariva, sentiva anche una punta di colpa, un peso nel petto che nessuna giustificazione poteva alleviare.

Una sera, tornando a casa, Giovanni si fermò davanti al portone del vicino scomparso. Guardò il cortile vuoto, il cancello leggermente aperto, e si rese conto che ciò che stava facendo non era solo eliminare fastidi: stava manipolando il tessuto stesso della comunità, della memoria collettiva, della realtà percepita da tutti. Un potere assoluto, invisibile, ma carico di conseguenze concrete.

Seduto sul balcone, come nelle notti precedenti, osservava le luci del paese. Ogni finestra illuminata era un piccolo frammento di vita, ignaro del silenzio che si stava insinuando attorno a lui. Giovanni comprese che il vero gioco non era solo far sparire le persone, ma osservare come la loro assenza modificava gli equilibri, i comportamenti, le emozioni degli altri.

In quei momenti, una parte di lui provava un senso di onnipotenza e controllo assoluto, un brivido di dominio sulla realtà. Ma insieme cresceva anche la solitudine. Nessuno poteva comprenderlo, nessuno poteva sapere cosa stava succedendo davvero. Giovanni era diventato un burattinaio invisibile, sospeso tra piacere, terrore e responsabilità morale.

“Non è solo vendetta,” mormorò tra sé e sé. “È potere… ma anche solitudine. Ed è pericoloso.”

E con questa consapevolezza, Giovanni Rossi entrava nella fase più critica della sua trasformazione: il passaggio da uomo che reagisce agli eventi a uomo che li crea, che plasma la realtà secondo la propria volontà, iniziando a comprendere la sottile linea tra giustizia, vendetta e crudeltà.

Capitolo 4 – L’espansione del potere

Con il passare delle settimane, Giovanni Rossi si sentiva sempre più immerso nel suo nuovo mondo. Il potere che inizialmente gli era sembrato un caso straordinario, quasi un miracolo della notte stellata, ora era diventato un compagno costante, una presenza silenziosa e irresistibile nella sua mente. Ogni pensiero, ogni emozione negativa verso qualcuno, non era più soltanto un riflesso interno: era un’arma invisibile, capace di trasformare il mondo secondo la sua volontà.

All’inizio, le vittime erano persone che lo avevano ferito o irritato direttamente. Ma ben presto Giovanni cominciò a sperimentare su individui più lontani, persone con cui non aveva rapporti stretti ma che suscitavano in lui una forma di fastidio o disprezzo. La prima volta che tentò questo, fu con un uomo che lavorava in un ufficio lontano, che non aveva mai parlato con lui ma di cui aveva sentito parlare con fastidio da amici. Giovanni si concentrò sul pensiero, immaginando la sua scomparsa. Il giorno dopo, la conferma: l’uomo non era più al suo posto di lavoro, nessuno sapeva dove fosse, e le indagini non lasciavano traccia.

Il brivido fu più intenso che mai. Giovanni sentì la potenza scorrergli nelle vene, e con essa, un senso di onnipotenza che lo terrorizzava e lo affascinava allo stesso tempo. La linea tra giusto e sbagliato, tra colpa e innocenza, si sfumava. La sua mente oscillava continuamente: poteva far sparire chiunque, ma la consapevolezza delle conseguenze iniziava a pesare sul suo spirito.

Nel frattempo, la comunità si stava trasformando. Le sparizioni erano sempre più frequenti, e i cittadini cominciavano a percepire che qualcosa di innaturale stava accadendo. I volti delle persone erano segnati dall’ansia, le conversazioni si interrompevano bruscamente quando si parlava di assenze misteriose. Alcuni erano convinti che ci fosse una malattia invisibile, altri sospettavano un fenomeno sovrannaturale. I giornali locali riportavano articoli vaghi, pieni di ipotesi e supposizioni, mentre la polizia brancolava nel buio, incapace di trovare una spiegazione logica.

Giovanni, camminando tra le strade, osservava attentamente le reazioni altrui.

Ogni sguardo, ogni esitazione, ogni sospiro era per lui un indicatore del suo impatto sul mondo. Iniziò a sperimentare anche con persone innocenti, sfidando se stesso a misurare fino a che punto poteva estendere il suo controllo. Una volta, immaginò un ragazzino che lo infastidiva solo con la sua curiosità e vivacità. Il giorno dopo, il ragazzo non si presentò più a scuola. La gioia iniziale si mescolava a un senso di colpa più profondo: l’assenza innocente gli pesava sul cuore come un macigno invisibile.

In quei momenti, Giovanni cominciava a percepire il vero peso del suo potere. Non si trattava più solo di fastidi quotidiani eliminati: stava alterando le vite degli altri, lasciando vuoti che nessuno poteva colmare. Sentiva crescere in sé un conflitto interiore, una tensione tra l’attrazione per il controllo assoluto e la paura di ciò che stava diventando.

Ogni notte, sul suo balcone, fissava le luci del paese. Le finestre illuminate erano piccoli frammenti di vita normale, ignari del silenzio che stava insinuandosi intorno a loro. Giovanni comprendeva che il vero gioco non era solo cancellare individui, ma osservare come le loro assenze modificavano dinamiche, emozioni, rapporti. La comunità diventava inconsapevolmente un laboratorio, e lui l’osservatore silenzioso e onnipotente.

In un raro momento di solitudine, sussurrò tra sé e sé:

“Non è vendetta. Non è punizione. È controllo… e solitudine. E devo capire fino a dove posso arrivare.”

Quella frase rimase sospesa nella notte, mentre Giovanni Rossi, ormai consapevole del suo potere e della sua portata, iniziava a comprendere che il vero viaggio non era la scomparsa delle persone, ma l’evoluzione della sua coscienza, il modo in cui la responsabilità del potere poteva trasformare un uomo.

Capitolo 5 – La consapevolezza del vuoto

Con il tempo, Giovanni Rossi non era più lo stesso uomo tranquillo che passeggiava lungo le strade del paese. Ogni assenza, ogni scomparsa, aveva inciso in lui una nuova dimensione di sé: una consapevolezza profonda e inquietante del proprio potere. Non era più un dono casuale, una stranezza della notte stellata, ma una realtà concreta, capace di piegare la vita degli altri secondo la sua volontà.

Ogni giorno, seduto sul suo balcone, osservava il cortile, le finestre illuminate del vicinato, le persone che passeggiavano ignare. Eppure, dentro di sé, sentiva il peso di ogni assenza. Non era solo il vuoto fisico a colpirlo: era il silenzio, la sospensione delle dinamiche sociali, l’eco invisibile della mancanza. Le sparizioni non provocavano dolore fisico, ma l’impatto psicologico era devastante. Le famiglie si cercavano disperate, i bambini guardavano il vuoto lasciato dagli amici scomparsi, gli adulti si interrogavano sul senso improvviso di perdita.

Giovanni osservava tutto con attenzione quasi scientifica. Non c’era rabbia né vendetta in quelle azioni: era curiosità, necessità di capire il confine tra ciò che era possibile e ciò che era giusto. Ma con la consapevolezza cresceva anche la solitudine. Nessuno poteva capire ciò che lui sapeva, nessuno poteva percepire l’insieme invisibile di assenze e presenza che lui dominava.

La comunità, intanto, viveva un’angoscia crescente. La sparizione di un singolo individuo era stata all’inizio spiegata come un allontanamento volontario o un imprevisto, ma quando più persone cominciarono a mancare, la paranoia si insinuò tra le strade del paese. Le persone si guardavano negli occhi, sospettose, come se ogni vicino potesse essere responsabile. Le conversazioni si trasformavano in sussurri, gli sguardi in indagini silenziose. Nessuno osava affrontare apertamente il tema delle sparizioni: la paura era più forte della curiosità.

Un giorno, seduto al bar, Giovanni notò come Marta parlasse con altri cittadini, gli occhi pieni di tensione. “Non è normale,” sussurrava. “Qualcuno… qualcosa… deve esserci dietro.” Ma non c’erano prove, non c’era nulla. Tutto svaniva come i corpi che Giovanni aveva fatto sparire.

Ogni parola, ogni sospetto, tornava a lui come un riflesso del suo potere: la comunità stava cercando di dare senso al caos, e lui era l’unico testimone consapevole della realtà nascosta.

Con l’andar del tempo, Giovanni iniziò a spingersi oltre. Non si trattava più solo di far sparire persone fastidiose o odiose: la tentazione di sperimentare con individui che non aveva motivo di odiare divenne irresistibile. Osservava le persone, le immaginava scomparire, e poi aspettava, tremando, per vedere se la realtà reagiva. Ogni conferma del suo potere lo riempiva di terrore e fascino insieme.

Eppure, tra la curiosità e il desiderio di controllo, cresceva una nuova emozione: la responsabilità. Giovanni cominciava a comprendere che il potere assoluto non era libertà, ma una condanna. Ogni assenza modificava vite, rapporti, dinamiche, generava un vuoto che nessuno poteva colmare. La solitudine che provava non era solo sua: era quella che lasciava nel mondo, invisibile e silenziosa.

Una notte, guardando le luci del paese, mormorò tra sé e sé:

“Posso far sparire chiunque… posso creare vuoto e silenzio… ma a quale prezzo? Chi sono diventato?”

Il silenzio della notte sembrava rispondergli, carico di enigmi e promesse oscure. Giovanni Rossi non era più solo un uomo con un dono straordinario: era diventato un giudice invisibile, un burattinaio di vite e assenze, consapevole della propria onnipotenza, ma anche del peso morale insostenibile che comportava.

In quel momento comprese che il potere aveva smesso di essere un gioco: era diventato un percorso di conoscenza di sé e del mondo, un’esperienza che poteva trasformare profondamente la coscienza di chi lo deteneva. E mentre la comunità cresceva in sospetto e paranoia, Giovanni iniziava a interrogarsi sul confine tra giustizia, vendetta e crudeltà, comprendendo che il vero viaggio non era tanto nelle sparizioni, quanto nella profondità della propria coscienza e della responsabilità che esse comportavano.

Capitolo 6 – La linea sottile

Giovanni Rossi si svegliava ogni mattina con un pensiero fisso: il potere che possedeva non conosceva limiti. All’inizio, le sparizioni avevano seguito un ordine quasi naturale, legato alla rabbia e all’antipatia accumulata negli anni. Ma ora, con il tempo e l’esperienza, comprendeva di poter estendere quel controllo a chiunque, senza distinzione, persino a chi non gli aveva mai fatto del male.

Quella consapevolezza era insieme vertiginosa e inquietante. Si trovava spesso a fissare i volti dei passanti, a immaginare la loro sparizione. Non più per vendetta, non più per liberarsi di fastidi quotidiani, ma come prova di sé stesso: fino a che punto poteva esercitare il suo potere? E, soprattutto, doveva farlo?

Ogni tentazione veniva accompagnata da un senso di colpa, da una tensione morale sempre più forte. Giovanni era conscio di avere tra le mani la capacità di riscrivere la realtà, di eliminare vite senza lasciare traccia, eppure la sua mente iniziava a interrogarsi: chi merita davvero di scomparire? E chi non merita di essere cancellato?

Un pomeriggio, osservando un gruppo di bambini giocare nella piazza del paese, sentì un impulso improvviso: immaginare uno di loro scomparire, solo per testare la sua capacità. Il brivido della possibilità gli attraversò il corpo, ma subito dopo provò un rifiuto istintivo. Il pensiero di far del male, anche invisibile, a un innocente lo riempì di angoscia. Si rese conto che il potere assoluto non era solo una questione di volontà, ma di coscienza.

Il paese intanto era in fermento. La comunità non riusciva a spiegarsi le sparizioni sempre più frequenti e casuali. Ogni assenza generava sospetto, ansia e paranoia. Volti amici diventavano estranei, e il silenzio lasciato dagli scomparsi pesava come un’ombra costante sulle strade. Gli sguardi delle persone si facevano più attenti, più cauti: si muovevano come se sentissero la presenza di un osservatore invisibile. Giovanni sentiva questa tensione e ne traeva un misto di terrore e curiosità.

Una sera, seduto sul suo balcone, osservò il cielo stellato come aveva fatto la notte in cui tutto era iniziato. La luce che una volta aveva attraversato l’orizzonte tornava nei suoi ricordi, simbolo di qualcosa di più grande e incomprensibile. In quel silenzio, comprese che il vero potere non consisteva tanto nel cancellare le persone, quanto nella capacità di scegliere, di discernere tra giustizia, vendetta e arbitrio.

Si rese conto che la sua vita e la vita del paese erano ormai legate da un filo invisibile, fragile e pericoloso. Ogni sparizione era un tassello di una realtà manipolata, e lui, pur essendo onnipotente, era intrappolato nella responsabilità delle proprie scelte. Non poteva più agire senza riflettere: ogni impulso avrebbe avuto conseguenze irreversibili.

La consapevolezza del potere assoluto cambiava anche il suo rapporto con se stesso. Giovanni non era più un uomo solo, tranquillo e remissivo: era diventato un giudice della realtà, un osservatore onnipotente e invisibile, e con questo ruolo cresceva in lui un peso morale insostenibile. La tentazione di estendere il controllo a chiunque era forte, irresistibile, ma insieme la paura di perdere se stesso e di diventare un mostro dominava i suoi pensieri.

Così, in quelle notti silenziose, Giovanni Rossi rifletteva sul confine sottile tra ciò che poteva fare e ciò che doveva fare. La sua coscienza evolveva, imparava a modulare la volontà con la responsabilità, a contemperare il potere con l’etica personale. Capì che la vera forza non era nella capacità di cancellare le persone, ma nella scelta di non farlo quando la tentazione si faceva più intensa.

E in quel silenzio sospeso, mentre il paese viveva nell’ansia e nel mistero delle sparizioni, Giovanni sentì crescere dentro di sé una nuova certezza: il potere non è libertà, è prova, misura della propria coscienza. E solo chi sa contenere l’onnipotenza con la responsabilità può sopravvivere a ciò che possiede.

Capitolo 7 – L’eco della coscienza

Giovanni Rossi si sentiva come sospeso tra due mondi: quello visibile, fatto di strade, case e volti umani, e quello invisibile, dove il suo potere dettava regole silenziose e irrevocabili. Ogni mattina, aprendo le imposte e osservando il paese, percepiva la tensione che gravava nell’aria. La comunità non parlava apertamente delle sparizioni, ma tutti sentivano che qualcosa di innaturale stava accadendo. Gli sguardi erano più attenti, le conversazioni si interrompevano bruscamente quando si accennava agli assenti, e i bambini cominciavano a chiedere ai genitori spiegazioni che nessuno riusciva a dare.

Giovanni camminava tra loro come un’ombra, consapevole del suo ruolo di burattinaio invisibile. La solitudine che provava era ora più acuta: sapeva cose che nessuno poteva capire, osservava i loro sospetti senza poter confessare la verità. Il potere di far sparire chiunque era diventato un fardello. Non c’era più solo curiosità o vendetta: c’era la responsabilità totale delle vite che poteva cancellare.

Una sera, mentre sedeva sul balcone e guardava le luci tremolanti del paese, pensò a quanto fosse cambiato. Un tempo la sua vita era semplice: passeggiate tranquille, giornali da leggere, il piccolo orto a cui dedicava cure e attenzione. Ora ogni passo, ogni pensiero, aveva conseguenze invisibili. Ogni emozione negativa poteva trasformarsi in un vuoto reale. E quel vuoto generava nell’animo degli altri un’angoscia che lui percepiva come un’eco silenziosa, una vibrazione che lo raggiungeva attraverso l’aria stessa.

Giovanni si rese conto che il potere non era solo uno strumento, ma una prova della propria coscienza. Decidere chi far sparire e chi no, osservare il vuoto generato, comprendere la portata di quell’assenza: tutto questo richiedeva una disciplina morale che non aveva mai immaginato. La tentazione di esercitare il potere senza limiti era forte, irresistibile, eppure sapeva che ogni azione lasciava tracce invisibili, nella memoria e nei sentimenti degli altri.

In quei giorni cominciò a sperimentare il confine del suo controllo.

Provava a immaginare sparizioni più complesse: intere famiglie, persone lontane, individui che non conosceva nemmeno personalmente. Ogni volta, la realtà reagiva. Ma insieme al brivido dell’onnipotenza, cresceva un senso di terrore e colpa. Non era più un gioco: stava alterando vite, comunità e ricordi, senza possibilità di tornare indietro.

Il paese, nel frattempo, scivolava sempre più nell’ansia. Alcune persone sparivano senza motivo apparente, e la paranoia diventava contagiosa. Volti amici diventavano sospettosi, gesti innocenti venivano interpretati come segnali minacciosi. La polizia continuava a investigare, ma senza risultati; le spiegazioni razionali si esaurivano davanti all’assenza completa di prove. Giovanni osservava tutto con occhi nuovi, studiando i comportamenti, registrando mentalmente le reazioni, comprendendo quanto fosse fragile l’equilibrio della vita sociale.

Una notte, mentre il vento muoveva le foglie del cortile e il silenzio avvolgeva le case, Giovanni si parlò da solo:

“Posso far sparire chiunque… ma non posso permettermi di diventare un mostro. Il potere senza coscienza è distruzione. La solitudine che provo è un avvertimento, non un privilegio.”

Quella consapevolezza segnò una svolta. Comprendere i limiti del proprio potere, scegliere quando usarlo e quando resistere, era diventata la sua vera sfida. Il mondo intorno a lui restava ignaro, immerso nella paura e nell’ansia, mentre Giovanni Rossi affrontava la battaglia più difficile: il controllo di sé stesso.

Per la prima volta sentì una chiarezza inquietante: la vita non si misura solo con la presenza o l’assenza delle persone, ma con le scelte che si fanno quando si possiede il potere di riscrivere la realtà. E in quel silenzio, Giovanni comprese che il vero viaggio non era tra sparizioni e assenze, ma tra etica, coscienza e responsabilità morale.

Capitolo 8 – Lo specchio del sé

Giovanni Rossi camminava lentamente lungo le strade del paese, il crepuscolo che accendeva i tetti di rosso e oro. Ogni passo era pesante, non solo per l’età, ma per il peso delle scelte invisibili che gravavano su di lui. Negli ultimi mesi aveva fatto sparire persone che lo avevano ferito, irritato o semplicemente disturbato, e ogni volta aveva sentito il brivido del controllo assoluto e insieme la morsa della colpa.

Ma quella sera il suo cuore tremava per un motivo nuovo. Un ragazzo era apparso davanti ai suoi occhi come una sfida inaspettata: il giovane non gli aveva fatto nulla, eppure ricordava a Giovanni una parte di sé stesso da giovane, piena di rabbia repressa e impulsività. Il ragazzo era innocente, ma rappresentava un riflesso del passato di Giovanni, una memoria che lo costringeva a confrontarsi con sé stesso.

Si fermò in mezzo alla strada, osservandolo giocare con gli amici, ignaro di essere al centro di un test invisibile. Giovanni chiuse gli occhi e sentì l’impulso di cancellarlo, di scomparire l’ombra di sé stesso che lo turbava. Per un attimo, la tentazione dell’onnipotenza fu totale: avrebbe potuto far sparire chiunque, e il mondo non avrebbe notato nulla. Nessuna prova, nessun dolore visibile. Solo silenzio.

Ma poi qualcosa dentro di lui si ribellò. La coscienza, quella voce interiore che lo aveva guidato negli ultimi mesi, si fece sentire con forza. Il potere non era fine a sé stesso: non poteva essere esercitato come un capriccio, come una vendetta o una prova. La vera sfida era resistere.

Giovanni respirò a fondo, sentendo il cuore battere forte nel petto. Il ragazzo continuava a giocare, ignaro del pericolo invisibile che lo circondava. Giovanni comprese che cancellarlo non avrebbe risolto nulla: avrebbe soltanto confermato la sua trasformazione in un giudice assoluto, un burattinaio senza etica, e avrebbe distrutto ciò che restava della sua umanità.

Si sedette sul bordo del marciapiede, osservando il cielo che lentamente si oscurava. Il potere era reale, potente e irresistibile, ma l’uso indiscriminato era un mostro che avrebbe divorato chiunque, compreso lui.

Per la prima volta sentì una chiarezza profonda: il vero controllo non consiste nel cancellare gli altri, ma nel dominare se stessi, nel scegliere di non usare la forza quando la tentazione è più forte.

Il paese, ignaro del dilemma che stava vivendo, continuava a muoversi tra paura e sospetto, cercando spiegazioni per le sparizioni inspiegabili. Giovanni sapeva che la sua vita non sarebbe mai stata più la stessa. Aveva avuto la possibilità di distruggere vite innocenti, e l’aveva respinta. Quella decisione, più di ogni altra azione, definiva chi era diventato: un uomo che possedeva un potere immenso, ma che aveva scelto di usarlo con saggezza.

Seduto sul marciapiede, osservando le luci del paese che tremolavano nell’oscurità, Giovanni Rossi comprese una verità semplice e potente: la forza reale non è la capacità di cambiare il mondo a piacimento, ma la capacità di resistere alla tentazione di farlo senza giustificazione. Il potere assoluto non era libertà, ma responsabilità, e la saggezza consisteva nel conoscere i propri limiti e rispettarli.

In quel silenzio, mentre il crepuscolo lasciava il posto alla notte, Giovanni sorrise appena, con una pace fragile ma sincera. Non aveva cancellato il ragazzo, né altri innocenti. Aveva scelto di non diventare il mostro che la sua mente poteva immaginare. E in quell’atto di autocontrollo, il suo potere aveva finalmente trovato una misura umana.

Capitolo 9 – Il silenzio definitivo

Il paese era cambiato, ma nessuno sapeva esattamente come o perché. Le sparizioni avevano lasciato una scia di vuoti inspiegabili, di assenze che nessuno riusciva a colmare. Alcune famiglie si erano trasferite, altre avevano imparato a convivere con il silenzio dei propri cari spariti. Gli occhi degli abitanti erano più attenti, i passi più cauti: un’ombra di sospetto era rimasta sospesa nell’aria, invisibile ma tangibile.

Giovanni Rossi, invece, sentiva dentro di sé una trasformazione ancora più profonda. Aveva attraversato mesi di sperimentazioni, tentazioni, prove morali e ossessioni, e aveva scoperto qualcosa che nessuno al mondo avrebbe potuto insegnargli: il vero potere non risiede nella capacità di cancellare la realtà, ma nella scelta consapevole di quando e come esercitarlo.

Seduto sul balcone della sua vecchia casa, osservava le luci tremolanti del paese e rifletteva sulle vite scomparse. Ogni sparizione aveva lasciato un’impronta invisibile, un’eco che lui percepiva come un brivido sottile nel cuore. Non c’era gioia nel pensiero di avere eliminato qualcuno: c’era solo consapevolezza, una comprensione profonda della fragilità della vita e dell’importanza della responsabilità.

Non aveva più bisogno di testare il suo potere. Aveva imparato a contenerlo, a non lasciarsi guidare da rabbia, curiosità o impulso. Ogni tentazione era stata affrontata, ogni dubbio meditato. Giovanni aveva compreso che la forza di un uomo non si misura dall’onnipotenza che possiede, ma dalla disciplina con cui la esercita.

Il paese continuava a vivere con la memoria degli assenti. La vita quotidiana era ripresa, ma la consapevolezza di un mistero inspiegabile permeava le strade, i bar, le piazze. Nessuno poteva capire cosa fosse realmente successo, e forse era meglio così. Giovanni, ora in pace con se stesso, osservava questa realtà fragile e complessa con un misto di malinconia e quieta saggezza.

Per la prima volta da mesi, si sentì leggero, non perché avesse annullato vite, ma perché aveva scelto di non abusare della sua capacità. La solitudine che aveva provato non era più solitudine di paura o onnipotenza incontrollata, ma una pace riflessiva: il silenzio del potere esercitato con giudizio.

Mentre la notte avvolgeva il paese e le stelle brillavano limpide nel cielo, Giovanni chiuse gli occhi un istante. Aveva attraversato un viaggio oscuro e incredibile, aveva guardato negli abissi della propria coscienza e ne era uscito con una comprensione nuova, profonda e fragile. Il potere restava, ma ora era domato, trasformato in una responsabilità consapevole, un segreto pesante ma gestibile.

E così, tra il silenzio del mondo e le luci tremolanti delle case, Giovanni Rossi trovò la sua conclusione: non era più l’uomo semplice che aveva conosciuto la luce nel cielo quella notte straordinaria. Era diventato qualcuno capace di dominare la propria volontà, di comprendere i limiti del potere e di vivere con la consapevolezza che la vera forza risiede nella scelta di non usarla.

Il paese continuava a respirare, ignaro dei misteri che si celavano tra le strade e le case, e Giovanni sapeva che, nel suo silenzio, la vita avrebbe seguito il suo corso, mentre lui, con il peso e la saggezza del suo potere, poteva finalmente osservare senza intervenire.

Il silenzio definitivo era calato, e con esso, una pace fragile ma reale.

Capitolo 10 – Il tradimento del silenzio

Per mesi Giovanni Rossi aveva custodito il suo segreto come un tesoro e una maledizione. Ma la solitudine pesava, e l’eco delle sue riflessioni interiori cominciava a diventare insopportabile. Non era facile convivere con l’idea di poter cancellare vite a piacimento, di avere un potere così immenso e non poterlo condividere con nessuno.

Così, una sera, decise di confidarsi. Scelse con cura la persona: un vecchio amico, Lorenzo, conosciuto da anni, uomo mite, credente, con cui aveva condiviso lunghe discussioni su politica, filosofia e religione. Giovanni pensava che, se c’era qualcuno capace di ascoltarlo senza giudicarlo, sarebbe stato lui.

Seduti nella cucina di casa, davanti a un bicchiere di vino, Giovanni raccontò. All’inizio con esitazione, poi con crescente intensità, narrò delle sparizioni, delle coincidenze, dei suoi pensieri trasformati in assenze reali. Descrisse la notte stellata in cui tutto era iniziato, i primi sospetti, le prove, i dilemmi morali. Lorenzo lo ascoltava in silenzio, con il volto contratto, oscillando tra incredulità e orrore.

Quando Giovanni concluse, la stanza restò immersa in un silenzio denso. Infine, Lorenzo disse con voce bassa:

— Giovanni, tu ti rendi conto di quello che dici? Se è vero… se davvero puoi far sparire le persone… allora sei un pericolo. Non solo per te stesso, ma per tutti.

Quelle parole trafissero Giovanni come un coltello. Si era aperto, sperando in comprensione, e aveva trovato paura.

Nei giorni seguenti, Lorenzo non riuscì a tenersi il segreto. La sua coscienza lo tormentava: se ciò che Giovanni aveva detto era vero, allora era suo dovere proteggere la comunità. Iniziò a parlare, prima con discrezione, poi apertamente con le autorità locali. All’inizio lo presero per un visionario, ma quando Giovanni – forse inconsciamente – lasciò dietro di sé nuovi indizi con sparizioni troppo sospette, la verità cominciò a sembrare plausibile.

Le autorità, dopo un’attenta valutazione, non potevano ammettere pubblicamente che un uomo possedesse un potere così innaturale. Sarebbe stato destabilizzante, avrebbe diffuso il panico. Così, in segreto, decisero di agire: non con un processo, non con indagini ufficiali, ma con un piano silenzioso e definitivo. Eliminare fisicamente Giovanni Rossi.

Giovanni, nel frattempo, percepiva un cambiamento nell’aria. Sguardi troppo insistenti, conversazioni che si interrompevano quando entrava in un locale, la sensazione di essere seguito. Sentiva che qualcosa stava maturando contro di lui.

Una notte, mentre passeggiava per le vie deserte, comprese la verità. Il suo segreto non era più un segreto. Qualcuno lo aveva tradito. E ora lui, che aveva il potere di far sparire chiunque, era diventato il bersaglio della paura collettiva.

Il paradosso era terribile: aveva passato mesi a interrogarsi su chi meritasse di sparire e chi no, e ora erano gli altri a decidere se lui dovesse essere cancellato. Non con il mistero del suo potere, ma con la brutalità della violenza umana.

Seduto di nuovo sul balcone, guardando le luci tremolanti, Giovanni si chiese:

“Devo difendermi? Devo far sparire chi trama contro di me? O accettare che la comunità, terrorizzata, voglia liberarsi del suo mostro invisibile?”

Il silenzio della notte non gli diede risposta.

Solo l’eco delle sue stesse scelte, tornate a perseguitarlo.

Capitolo 11 – Le lusinghe del potere

Le voci sulle sparizioni avevano ormai superato i confini del piccolo paese. Non erano più solo pettegolezzi da bar o conversazioni sussurrate tra vicini: qualcuno, più scaltro e interessato, aveva captato i racconti di Lorenzo e li aveva trasformati in opportunità.

Fu così che un gruppo politico locale, piccolo ma ambizioso, iniziò a interessarsi a Giovanni Rossi. Non si trattava di autorità ufficiali o di polizia, ma di uomini con occhi affilati e sorrisi troppo cordiali, abituati a vedere nelle paure della gente un terreno fertile per il potere.

Un pomeriggio bussarono alla sua porta. Erano tre uomini in giacca, con modi affabili e un linguaggio studiato. Si presentarono come amici, persone preoccupate per la situazione caotica del paese, pronte a offrire “una via d’uscita” dal clima di sospetto e terrore. Giovanni li accolse con diffidenza, ma la loro eloquenza era raffinata.

— Signor Rossi, — disse il più anziano dei tre, con voce calma — noi sappiamo. O almeno… sospettiamo. E crediamo che ciò che lei può fare non sia una maledizione, ma una risorsa.

Quelle parole colpirono Giovanni come un pugno nello stomaco. Per mesi aveva lottato con la coscienza, considerato il suo potere una condanna, un peso. Ora qualcuno glielo presentava come una benedizione, un’arma strategica.

Gli uomini parlarono a lungo. Non chiedevano di lui vendette personali, almeno non apertamente. Offrivano protezione, rispetto, un ruolo di influenza. “Con lei al nostro fianco, potremmo cambiare il paese, eliminare chi ostacola il bene comune… far sparire chi corrompe, chi mente, chi tradisce.”

Lusinghe sottili, velate di idealismo, ma trasparenti nella loro ambizione. Giovanni ascoltava, il cuore in tumulto. Era consapevole che sotto quelle parole si celava la più banale delle tentazioni: sfruttare il suo potere per interessi politici, eliminare avversari senza lasciare traccia, consolidare un dominio.

Eppure, dentro di lui, si accese un dubbio nuovo: e se fosse davvero possibile usare il suo potere per uno scopo “giusto”? Non per rabbia personale, non per vendetta, ma per liberare la comunità da figure oscure, corrotte, oppressive? Era la stessa domanda che per mesi aveva evitato, ora incarnata in volti sorridenti e mani tese.

Il gruppo gli propose di incontrarsi di nuovo, di riflettere. Non lo minacciarono, non lo costrinsero: lo sedussero con la prospettiva di non essere più un solitario maledetto, ma parte di un progetto più grande, riconosciuto e valorizzato.

Quella notte Giovanni non dormì. Camminava avanti e indietro per la sua stanza, il volto segnato dalla tensione. La comunità lo temeva, le autorità lo avrebbero eliminato se avessero avuto la certezza. Ma qui c’era una via alternativa: diventare uno strumento del potere politico, un’arma invisibile che avrebbe potuto cambiare il corso degli eventi.

“È questo il mio destino?” si domandava, guardando le stelle che un tempo gli avevano donato il potere. “Diventare il braccio occulto di un gruppo di uomini ambiziosi? O rifiutare, e rischiare di essere distrutto da chi mi teme?”

Non trovò risposta. Sapeva solo che, qualunque scelta avrebbe fatto, nulla sarebbe stato più come prima.

Il mattino seguente, quando riaprì le imposte, il paese era identico a sempre: strade tranquille, voci dei bambini, finestre illuminate. Ma dietro quell’apparente normalità, Giovanni Rossi portava con sé un bivio senza ritorno: accettare le lusinghe del potere o resistere, pagando il prezzo della solitudine e forse della propria vita.

Il silenzio lo avvolse, lasciando la storia aperta, sospesa come la sua coscienza.

Capitolo 12 – La prova del potere

Quando Giovanni Rossi tornò a incontrare gli uomini del gruppo politico, il suo cuore era in tumulto. Aveva passato giorni e notti a interrogarsi: era davvero giusto rifiutare ogni uso del potere? O poteva finalmente trasformare la sua maledizione in qualcosa di utile, persino “giusto”?

Gli uomini lo accolsero in una sala privata, ben arredata ma spoglia di personalità, segno di una formalità calcolata. Sul tavolo c’erano documenti, tazze di caffè ancora calde e un silenzio carico di aspettativa.

— Signor Rossi, — iniziò l’uomo più anziano — siamo lieti che sia tornato. Noi crediamo che lei possa diventare il fulcro di un cambiamento epocale. Non più un uomo solo, ma parte di un disegno più grande.

Giovanni li ascoltava, il volto impassibile. Ma dentro, la sua mente correva. Voleva capire. Voleva vedere quanto fosse sincero quell’idealismo con cui lo corteggiavano.

— Voi dite di voler usare il mio potere per il bene comune, — disse lentamente, fissando gli occhi dei tre uomini. — Ma il bene comune… chi lo decide? Voi? O il popolo?

Un attimo di esitazione incrinò i sorrisi. Poi uno di loro, più giovane, prese la parola:

— Giovanni, il popolo non sa cosa sia meglio per sé stesso. Vaga nella paura, nell’incertezza. Ha bisogno di guide, di chi sa cosa è giusto. Noi possiamo esserlo. E lei può darci la forza di realizzarlo.

Quelle parole caddero nella stanza come pietre in un lago calmo. Giovanni comprese subito: dietro la patina di idealismo c’era la più vecchia delle ambizioni, il desiderio di potere assoluto.

Allora decise di metterli alla prova.

— Se davvero il vostro obiettivo è il bene comune, — disse, inclinando appena il capo — fatemi un nome. Un solo nome. E spiegatemi perché quella persona dovrebbe sparire. Ma sappiate che vi ascolterò con attenzione, e giudicherò.

Gli uomini si scambiarono occhiate rapide, come se quella richiesta li avesse colti di sorpresa. Poi il più anziano parlò, con voce grave:

— C’è un uomo. Un avversario politico che da anni blocca ogni nostro tentativo di riforma. Corrotto, ambiguo, manipolatore. La sua sparizione aprirebbe la strada a un futuro migliore.

Giovanni restò in silenzio, studiando i loro volti. Vide la brama negli occhi, il desiderio mascherato da giustizia. Non era il bene comune che li muoveva, ma la sete di dominio.

Dentro di sé, un vortice. Avrebbe potuto pronunciare il pensiero e farlo sparire all’istante, confermando così la sua alleanza con loro. O avrebbe potuto rifiutare, rischiando di trasformarsi da alleato prezioso a minaccia da eliminare.

Il silenzio nella stanza era denso, quasi insopportabile. Gli uomini attendevano, tesi, i loro sorrisi sempre più rigidi.

Giovanni inspirò profondamente. Sapeva che quella decisione avrebbe cambiato per sempre la sua vita. Non era più soltanto questione di potere: era questione di coscienza, di scelta morale.

Ma non parlò subito. Li lasciò nell’attesa, sospesi tra speranza e timore, perché capì che in quell’attimo stava osservando non solo loro, ma sé stesso riflesso nel futuro.

E così, il destino rimase aperto, sospeso come il suo potere: pronto a essere esercitato, o respinto.

Capitolo 13 – L’ombra del dubbio

I giorni seguenti all’incontro furono per Giovanni come un interminabile crepuscolo. Non era né pienamente giorno, né pienamente notte: tutto era sospeso, incerto, avvolto in un chiarore instabile.

Il gruppo politico non lo lasciava in pace. Telefonate discrete, inviti a cene “informali”, conversazioni allusive in cui ogni parola era calibrata per sedurlo, per convincerlo che il suo dono non fosse un fardello ma una missione. Giovanni li ascoltava, ma dentro di sé non decideva.

Ogni sera tornava sul suo balcone, fissando il cielo stellato che gli aveva dato quel potere. Cercava un segno, una voce, un richiamo. Niente. Solo silenzio. Era come se le intelligenze aliene che lo avevano scelto lo osservassero, senza più guidarlo. Forse volevano proprio questo: metterlo alla prova, lasciargli scegliere.

Nel frattempo, il paese mormorava. Le sparizioni erano diventate troppe per non destare inquietudine. La gente si chiudeva in casa al tramonto, le autorità indagavano senza risultati, e le teorie più assurde correvano di bocca in bocca: rapimenti, sette segrete, fenomeni soprannaturali.

Nessuno osava dire il suo nome apertamente, ma Giovanni sentiva gli sguardi sospettosi, la tensione nell’aria.

Un pomeriggio, al mercato, incontrò Lorenzo. L’amico che lo aveva tradito non osò avvicinarsi, ma i loro occhi si incrociarono per un istante. In quello sguardo c’era paura, ma anche rimorso. Giovanni provò una stretta al cuore: avrebbe potuto farlo sparire all’istante, eppure non lo fece. Perché? Forse perché Lorenzo era stato solo umano, fragile come tutti.

La sera stessa ricevette una nuova visita dai politici. Questa volta non portarono sorrisi compiacenti, ma un tono più serio.

— Signor Rossi, — disse il più anziano, — il tempo delle esitazioni è finito. La comunità è in fermento, i nostri avversari sono più aggressivi che mai. È il momento di agire. Con lei al nostro fianco, possiamo garantire stabilità. Senza di lei… temo che sarà difficile proteggerla.

Una minaccia velata, ma inequivocabile. Giovanni lo capì subito: non era più soltanto corteggiato, ora era anche sorvegliato.

Quella notte non riuscì a dormire. Si sentiva prigioniero del suo stesso dono, braccato da paure contrapposte: se accettava, sarebbe diventato lo strumento di un potere oscuro. Se rifiutava, rischiava di essere annientato.

Eppure, dentro di sé, una voce sussurrava: “Tu hai il potere. Non loro. Finché non pronunci il pensiero, nessuno può decidere per te.”

Si rese conto che la vera battaglia non era con i politici, né con la comunità: era con sé stesso.

La storia restava sospesa, come lui: un uomo anziano, solo, con in mano il potere di riscrivere il destino degli altri, ma incapace di decidere il proprio.

Capitolo 14 – L’assedio silenzioso

Giovanni Rossi non era mai stato un uomo al centro di attenzioni. Aveva vissuto gran parte della sua vita nella discrezione, ai margini delle cronache e delle ambizioni altrui. Ora, invece, era come un sole oscuro attorno a cui giravano orbite pericolose: i politici, la comunità diffidente, persino i sospetti della polizia.

Il gruppo politico aveva smesso di corteggiarlo con sorrisi e promesse. Ora era un assedio silenzioso, fatto di continue visite “di cortesia”, lettere anonime che lo invitavano a “riflettere”, e presenze costanti attorno alla sua casa. Non era più libertà, era sorveglianza.

Una sera, lo convocarono in un edificio fuori città. Giovanni accettò, sebbene a malincuore. Sentiva che rifiutare apertamente sarebbe stato più pericoloso che presentarsi.

La sala in cui lo accolsero era diversa dalle precedenti: niente più tazze di caffè e sorrisi diplomatici. Ora c’erano mappe, elenchi di nomi, dossier aperti su tavoli ingombri. L’aria era densa di fumo di sigarette e di una tensione quasi fisica.

— Signor Rossi, — iniziò il leader, con voce calma ma priva di esitazioni, — siamo arrivati a un punto di svolta. Abbiamo nemici che minacciano il nostro progetto, e non possiamo più permetterci incertezze. Lei deve scegliere. O è con noi, o diventa un ostacolo.

Giovanni si irrigidì. Per la prima volta percepì chiaramente il pericolo: non era più una proposta, era un aut-aut.

Gli porsero un dossier. In copertina, la foto di un uomo: un avversario politico noto per le sue denunce pubbliche di corruzione.

— Questo è il primo passo, — disse il più giovane, spingendo il fascicolo verso di lui. — Un nome, una scomparsa. Con lui fuori gioco, il nostro cammino sarà libero. Lei non dovrà nemmeno sporcarsi le mani. Solo pensare. Solo… desiderarlo.

Giovanni fissava la foto. Non era un criminale, non era un assassino, non era una minaccia immediata alla comunità. Era solo un uomo scomodo per il loro progetto.

Un silenzio glaciale riempì la stanza. Giovanni si rese conto che tutti lo osservavano, in attesa della sua decisione. Non era più un invito: era una trappola.

Il pensiero gli attraversò la mente come un lampo: avrebbe potuto farli sparire tutti, in quell’istante. Un battito di ciglia, un desiderio e quei sorrisi avidi sarebbero svaniti nel nulla. Ma non lo fece. Non ancora.

Il leader si sporse in avanti.

— Non ci costringa a considerarla un pericolo, signor Rossi.

Lei è prezioso, ma anche fragile. E chi è fragile, senza protezione, può facilmente cadere.

Le parole non lasciavano dubbi: o Giovanni avrebbe usato il potere per loro, o sarebbe diventato lui stesso il prossimo bersaglio.

Tornò a casa con il cuore in tumulto. Per la prima volta capì che il suo segreto non era più soltanto suo. Era diventato la moneta di scambio di un gioco politico più grande di lui.

Sul balcone, guardando le stelle, si ripeté:

“Devo decidere. O li elimino… o divento il loro strumento. O continuo a fuggire da me stesso.”

Capitolo 15 – Il perdono

Giovanni Rossi si sentiva schiacciato dal peso di un potere che non aveva mai chiesto. L’assedio dei politici, il sospetto della comunità, la paura costante di essere scoperto: tutto si era trasformato in una gabbia invisibile.

Una notte, incapace di respirare sotto quel macigno, uscì di casa e si rifugiò in una piccola chiesa di periferia, dove le luci tremolanti delle candele rischiaravano debolmente le statue consumate dal tempo.

Era vuota, tranne che per un prete che stava recitando sommessamente le Lodi. Giovanni si sedette in fondo, senza la forza di pregare. Le parole del sacerdote riecheggiavano nel silenzio:

“Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?”

Quelle parole, pronunciate quasi per caso, gli penetrarono dentro come una lama. Giovanni rabbrividì. Era proprio ciò che stava vivendo: il mondo gli offriva il potere assoluto, ma la sua anima era sul punto di dissolversi nel buio.

Il giorno dopo, ancora scosso, decise di confessarsi. Non in quella chiesa di paese, dove poteva essere riconosciuto, ma in un monastero sulle colline, abitato da monaci silenziosi e severi. Uno di loro, un vecchio monaco dalla barba bianca e dagli occhi trasparenti, lo accolse con calma.

Giovanni parlò a lungo. Non nascose nulla: raccontò delle sparizioni, delle sue paure, delle lusinghe del potere, delle tentazioni politiche. Era la prima volta che pronunciava quelle parole con sincerità, senza difendersi né giustificarsi.

Il monaco ascoltò in silenzio, senza interrompere. Quando Giovanni terminò, esausto, il monaco posò una mano leggera sulla sua spalla e disse soltanto:

— Figlio, il vero potere non è cancellare gli altri, ma cancellare da sé stessi l’odio e la paura. Se ti è stato dato questo dono, forse era perché tu capissi quanto fragile e preziosa sia la libertà di ogni uomo. Non giudicare, non condannare. Perdona. E perdonati.

Quelle parole furono per Giovanni come acqua fresca dopo una lunga sete. Per la prima volta da mesi, il suo cuore si alleggerì. Uscì dal monastero con passo lento, ma il volto più sereno. Sentiva di aver trovato una direzione: non avrebbe più usato il suo potere, qualunque fosse il prezzo. Aveva scelto la pace, non la paura.

Ma il mondo non era disposto a perdonarlo.

Qualcuno lo seguiva. Uno dei politici, temendo che potesse ribellarsi o denunciare, aveva ingaggiato un sicario. Giovanni non se ne accorse. Camminava tranquillo lungo il sentiero che scendeva dal monastero, respirando l’aria fresca, quando un colpo improvviso lo trafisse al petto.

Cadde a terra. Il mondo intorno a lui si offuscò, le stelle tremolavano in un cielo che già gli sembrava lontano. Sentì il sangue fargli pesante il respiro, ma nel suo cuore non c’era più paura. Solo pace.

Con l’ultimo filo di voce, sussurrò:

— Perdono… a tutti…

E chiuse gli occhi.

In quel momento, un silenzio profondo sembrò avvolgere la collina. Non c’era più Giovanni Rossi, né il suo potere, né la sua maledizione. Solo un uomo che, nell’istante della morte, aveva ritrovato la sua anima.

Epilogo – Il silenzio dopo la tempesta

La notizia della morte di Giovanni Rossi si diffuse in paese come un sussurro prima, poi come un mormorio crescente. Non ci furono titoli sui giornali né indagini approfondite: l’uomo anziano era stato trovato senza vita lungo un sentiero di collina, apparentemente vittima di un’aggressione anonima. Nessuno parlò di sicari, nessuno nominò i politici. Tutto rimase nell’ombra.

La comunità reagì con sentimenti contrastanti. Alcuni provarono sollievo: le sparizioni misteriose sembrarono cessare di colpo, e in molti pensarono che il male fosse stato in qualche modo “neutralizzato”. Altri sentirono un vago rimorso, come se avessero lasciato solo un uomo fragile che chiedeva soltanto comprensione.

Il suo nome divenne un tabù. Pochi osavano pronunciarlo. Nei bar e nelle piazze si raccontavano storie confuse: c’era chi diceva che fosse stato un pazzo isolato, chi un emissario di poteri oscuri, chi persino un santo caduto in tentazione. Nessuno aveva certezze, solo paure e leggende.

Nel monastero, invece, il vecchio monaco che lo aveva confessato pregava per lui ogni giorno. Non vedeva in Giovanni un mostro, ma un uomo che aveva portato sulle spalle un peso più grande di lui, e che all’ultimo istante aveva scelto la via del perdono.

Così il tempo passò, e il ricordo di Giovanni Rossi svanì lentamente, come le persone che lui aveva fatto sparire. Rimase solo il mistero, custodito dalle stelle che un tempo gli avevano donato il potere, e che ora lo osservavano in silenzio.

E in quel silenzio, forse, si celava la risposta che Giovanni aveva sempre cercato: che la vera vittoria non era eliminare gli altri, ma ritrovare la pace dentro sé stessi.

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ALCUNE OSSERVAZIONI SUL ROMANZO

1. La natura del potere come proiezione dell’animo umano

Il dono di Giovanni – la capacità di far sparire chi odia – è una metafora estrema di ciò che ciascuno di noi prova in modo nascosto: il desiderio, più o meno consapevole, che certe persone “non ci siano più” nelle nostre vite.

Giovanni rende concreto ciò che negli altri resta solo un pensiero represso.

Il potere diventa lo specchio delle sue paure, dei rancori, delle sue frustrazioni.

In questo senso, il romanzo mette a nudo l’ambiguità morale dell’uomo: desiderare il male senza mai ammetterlo, sognare un mondo più semplice eliminando chi disturba, senza confrontarsi con la complessità della convivenza.

2. La società di fronte al mistero e al pericolo

La comunità in cui vive Giovanni rappresenta la società umana di fronte all’ignoto:

All’inizio non capisce, poi sospetta, infine cerca un colpevole.

Le reazioni oscillano tra la paura, il bisogno di ordine e il desiderio di trovare un capro espiatorio.

Non è un caso che, quando i politici scoprono il segreto, non pensino a proteggere la comunità, ma a strumentalizzare il potere. Questo riflette il modo in cui le società reali trasformano la paura e il mistero in strumenti di dominio politico.

3. La solitudine esistenziale dell’uomo moderno

Giovanni è un anziano, solo, dimenticato ai margini. L’arrivo del potere non lo emancipa, ma lo isola ancora di più.

È un’immagine forte della condizione dell’uomo contemporaneo: avere strumenti potentissimi (tecnologie, possibilità di controllo, armi di distruzione), ma sentirsi allo stesso tempo più solo e vulnerabile.

Il potere non dà senso, anzi accentua il vuoto.

 

4. La tentazione messianica e la caduta

Il romanzo può anche essere letto come una parabola del “falso messia”:

Giovanni potrebbe diventare liberatore o tiranno.

I politici lo tentano come il demonio tenta Cristo nel deserto: “Usa il tuo potere, piega il mondo, elimina i nemici”.

La sua crisi spirituale e la frase evangelica lo riportano al cuore del messaggio cristiano: la vera forza non è distruggere, ma perdonare.

5. La morte come redenzione

Il fatto che Giovanni venga ucciso proprio dopo aver trovato pace interiore lo rende una figura tragica ma redenta.

È come se il romanzo dicesse: “La società non perdona chi è diverso, chi porta un mistero. Ma l’uomo, nel suo intimo, può trovare una riconciliazione con sé stesso e con Dio.”

La sua morte non è solo fine, ma catarsi: muore non come mostro, ma come uomo che ha scelto il perdono.