Gli studiosi del Nuovo Testamento discutono da secoli sull’ordine cronologico dei Vangeli.
Oggi, la maggioranza degli esperti sostiene la priorità marciana: cioè che il Vangelo di Marco sia il più antico dei quattro, scritto intorno al 65–70 d.C., probabilmente a Roma o in Siria.
Il Vangelo di Matteo, invece, viene collocato più tardi, attorno all’80–90 d.C.. Matteo e Luca sembrano aver utilizzato Marco come fonte principale, integrandolo con altro materiale (secondo la teoria delle due fonti, che include la cosiddetta “Fonte Q”
Mi chiedo: se Matteo era apostolo, é stato testimone diretto degli eventi evangelici…. Marco é stato solo discepolo di Paolo e Pietro…
Secondo la tradizione ecclesiastica antica (ad esempio Papia di Gerapoli, II sec.), il Vangelo di Matteo sarebbe stato scritto dall’apostolo Matteo, testimone diretto della vita di Gesù. In questa prospettiva, Matteo avrebbe riportato ciò che aveva visto e udito. Marco, invece, non era apostolo, ma secondo la tradizione era “interprete di Pietro”: avrebbe raccolto e scritto i ricordi e le predicazioni di Pietro.
La ricerca storica moderna, però, nota alcune difficoltà:
Il Vangelo di Matteo, pur attribuito all’apostolo, sembra dipendere letterariamente dal testo di Marco. È difficile spiegare perché un testimone diretto (Matteo) si servirebbe di un testo scritto da un non testimone (Marco) per raccontare fatti cui era presente.
Alcuni studiosi pensano che il Vangelo di Matteo sia stato scritto da un discepolo della comunità di Matteo, non dall’apostolo stesso.
Marco, pur non essendo apostolo, risulta molto “vicino” a Pietro, quindi il suo testo potrebbe riflettere la predicazione di un testimone diretto.
In breve:
Tradizione antica → Matteo scritto dall’apostolo, Marco come suo successore minore.
Ricerca critica moderna → Marco il più antico (basato sulla predicazione di Pietro), Matteo successivo e non direttamente dall’apostolo.
Ecco i punti principali che portano gli studiosi moderni a ritenere che Matteo dipenda da Marco (e quindi Marco sia più antico):
1. Struttura e contenuto
Marco è il più breve (16 capitoli), mentre Matteo (28) e Luca (24) sono molto più ampi.
In genere, quando due racconti evangelici coincidono, Marco è più sintetico e gli altri lo ampliano.
È difficile pensare che Marco abbia preso Matteo e Luca e li abbia abbreviati togliendo miracoli, discorsi e dettagli preziosi — più plausibile che Matteo e Luca abbiano arricchito Marco.
2. Sequenza degli episodi
L’ordine narrativo di Marco viene spesso seguito da Matteo e Luca.
Quando Matteo e Luca si allontanano dall’ordine di Marco, lo fanno in modo diverso e indipendente.
Ciò suggerisce che entrambi stessero usando Marco come “spina dorsale” e poi lo modificassero.
3. Stile linguistico
Il greco di Marco è più rozzo e colloquiale, con espressioni semitiche e ridondanti.
Matteo e Luca spesso “ripuliscono” il linguaggio di Marco, rendendolo più elegante.
Es.: Marco 2,4 usa un’espressione pesante: “scoperchiarono il tetto dove era Gesù e, fatta un’apertura, calarono giù la barella” → Matteo (9,2) semplifica: “gli portarono un paralitico su un letto”.
4. Doppie tradizioni
Matteo e Luca hanno materiale in comune che non si trova in Marco (discorsi, parabole, ecc.).
Gli studiosi ipotizzano una seconda fonte perduta, chiamata Fonte Q (dal tedesco Quelle = fonte).
Così nasce la teoria delle due fonti:
Marco = base narrativa comune.
Q = raccolta di detti di Gesù usata da Matteo e Luca.
1. Il legame di Marco con Paolo
Negli Atti degli Apostoli, Marco (detto anche Giovanni Marco) compare come compagno di Paolo e Barnaba (At 12,25; 13,5).
Ma in seguito Paolo e Marco si separarono (At 15,37-39).
Più tardi, Paolo lo cita come collaboratore fidato (Col 4,10; 2Tim 4,11; Filem 24). 👉 Quindi sì, Marco ha avuto legami diretti con Paolo.
2. Il legame con Pietro
Pier Angelo Piai, [29/08/25 23:09]
La tradizione antica (Papìa, Ireneo, Clemente Alessandrino) insiste che Marco sia stato interprete di Pietro e abbia messo per iscritto la sua predicazione.
In 1Pt 5,13 Pietro chiama Marco “mio figlio”, segno di rapporto stretto.
3. Lo stile “stringato”
È vero:
Paolo era molto sintetico nei racconti su Gesù. Le sue lettere non contengono episodi narrativi, solo allusioni (ultima cena, croce, resurrezione).
Marco scrive un vangelo breve, diretto, spesso frammentario, più vicino a una collezione di episodi che a una biografia completa.
Potrebbe esserci affinità: Marco formatosi nell’ambiente paolino → stile sobrio, essenziale, concentrato sulla croce e resurrezione, come fa Paolo.
4. Ipotesi degli studiosi
Gli studiosi moderni spiegano così:
Marco potrebbe aver assorbito la teologia di Paolo (Gesù come Figlio di Dio rivelato soprattutto nella croce) e averla intrecciata con i ricordi di Pietro.
Il suo Vangelo sarebbe quindi una fusione di due eredità:
Pietro → ricordi concreti della vita di Gesù.
Paolo → chiave interpretativa centrata sul mistero della croce.
📌 Quindi lo stile conciso di Marco potrebbe riflettere non solo la “povertà letteraria” ma anche una impronta paolina: più che biografia dettagliata, un annuncio kerygmatico (essenziale, diretto).
Quella scena è davvero enigmatica! 🕵️♂️
Il passo citato è Marco 14,51-52:
“Un ragazzo lo seguiva, rivestito soltanto di un lenzuolo; lo afferrarono, ma egli, lasciato il lenzuolo, fuggì via nudo.”
È solo Marco a raccontarla: né Matteo, né Luca, né Giovanni la riportano.
Le interpretazioni possibili
Autobiografia velata (Marco stesso)
Alcuni Padri e vari studiosi hanno ipotizzato che il “giovane” sia Marco in persona.
Sarebbe un modo discreto per “firmare” il suo racconto, lasciando un ricordo personale senza mettersi troppo in vista.
Un po’ come fa Giovanni col “discepolo che Gesù amava”.
Un dettaglio storico casuale
Marco è pieno di dettagli vividi (nomi, gesti, espressioni concrete).
Potrebbe semplicemente aver raccolto un episodio tramandato nella comunità, senza attribuire al ragazzo un significato particolare.
Simbolismo teologico
Alcuni interpreti vedono nel ragazzo che fugge nudo un simbolo della fragilità dei discepoli: tutti abbandonano Gesù, e persino un giovane “anonimo” scappa nella vergogna.
Altri lo collegano al tema del “rivestirsi di Cristo” (cfr. Gal 3,27; Rom 13,14): l’uomo che perde l’abito e fugge nudo rappresenterebbe l’umanità spogliata, bisognosa di salvezza.
Collegamento col “giovane” del sepolcro
In Marco 16,5, le donne trovano al sepolcro “un giovane vestito di una veste bianca”.
Alcuni esegeti notano un parallelismo:
Notte dell’arresto → un giovane fugge nudo (fallimento).
Giorno della resurrezione → un giovane appare in veste bianca (gloria e vittoria).
Sarebbe un contrasto simbolico tra la debolezza umana e la salvezza operata da Dio.
In sintesi:
Ipotesi storica: forse Marco stesso, che si inserisce di nascosto.
Ipotesi teologica: simbolo della fragilità dei discepoli e dell’umanità.
Ipotesi narrativa: un dettaglio realistico tramandato oralmente.
Il testo dice che il ragazzo era “rivestito soltanto di un lenzuolo” (sindōn in greco), cioè non con una normale tunica da giorno. Questo ha lasciato perplessi gli studiosi fin dall’antichità.
Possibili spiegazioni
Fu svegliato di notte e accorse in fretta
La cattura di Gesù avviene a tarda sera/notte.
Forse il ragazzo abitava vicino all’orto (alcuni ipotizzano che fosse la casa della famiglia di Marco, a Gerusalemme).
Se avesse sentito rumore e confusione, si sarebbe precipitato fuori in fretta, avvolto solo nel lenzuolo che usava per dormire.
Segno di povertà o vulnerabilità
Non avere addosso un abito vero e proprio, ma solo un lenzuolo, può simboleggiare nudità/fragilità.
Nel linguaggio biblico, la nudità richiama spesso vergogna ed esposizione al peccato (Gen 3).
Particolare “realistico”
Marco ama i dettagli vividi (il cuscino nella barca, l’erba verde, lo sguardo di Gesù, ecc.).
Questo episodio potrebbe essere un “ricordo concreto” che non aveva alcuna funzione teologica originaria, e che Marco ha mantenuto perché caratteristico.
Valore simbolico legato alla resurrezione
Il termine sindōn indica anche il lenzuolo funebre.
Alcuni esegeti collegano questo giovane con quello del sepolcro in Mc 16,5 (che indossa una veste bianca).
Sarebbe allora un contrasto narrativo: il primo giovane fugge via lasciando il lenzuolo (segno di paura e morte), il secondo giovane annuncia la vittoria di Cristo sulla morte.
Quindi:
Se storico → probabilmente era stato svegliato di soprassalto, non aveva avuto tempo di vestirsi.
Se simbolico → il lenzuolo allude alla mortalità umana e la fuga nuda rappresenta la fragilità davanti al dramma della croce.
Il “criterio dell’imbarazzo”:
Quando in un testo antico appare un dettaglio strano, imbarazzante, o apparentemente inutile, è meno probabile che sia stato inventato dopo, e più probabile che risalga a una testimonianza originaria.
Perché? Perché nessuno avrebbe avuto interesse a creare un episodio che non aggiunge nulla alla narrazione e che anzi suscita domande (chi era? perché nudo? che senso ha?).
Il “giovane col lenzuolo” in Marco 14,51-52 è un esempio classico:
Non rafforza l’immagine di Gesù.
Non abbellisce i discepoli (anzi, è un’ennesima fuga!).
Non ha un chiaro scopo catechetico. 👉 Eppure è lì, conservato intatto da quasi 2000 anni.
Questo fa pensare che Marco stia davvero trasmettendo un ricordo storico o comunque una memoria molto antica, che non è stata “ripulita” nei secoli.
Proprio questo tipo di dettagli “minori ma vivi” è uno dei motivi per cui molti studiosi considerano Marco una fonte preziosissima e molto vicina ai testimoni oculari (Pietro in primis).
Perfetto! Ecco una lista di esempi tratti dal Vangelo di Marco che rientrano in quel criterio di “autenticità per imbarazzo o inutilità”
📖 Dettagli “imbarazzanti” sui discepoli
Marco 8,17-21 – I discepoli non capiscono la moltiplicazione dei pani; Gesù li rimprovera duramente: “Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite?”
Marco 9,33-34 – Lungo la strada discutono su chi sia il più grande, mentre Gesù parlava della croce.
Marco 14,50 – Tutti fuggono e lo abbandonano.
👉 Non è lusinghiero verso i discepoli; difficile inventare queste figuracce se non fossero ricordi reali.
📖 Dettagli “inutili” ma vividi
Marco 4,38 – Gesù, durante la tempesta, “stava a poppa, sul cuscino, e dormiva”. Perché ricordare il cuscino? È un dettaglio da testimone.
Marco 6,39 – Gesù fa sedere la folla “sull’erba verde”. Perché specificare il colore? Un ricordo concreto.
Marco 10,50 – Il cieco Bartimeo, appena chiamato, “gettò via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù”. Un gesto vivido, quasi cinematografico.
📖 Dettagli enigmatici
Marco 14,51-52 – Il giovane col lenzuolo che fugge nudo (di cui parlavamo).
Marco 15,21 – L’uomo costretto a portare la croce, “Simone di Cirene, padre di Alessandro e Rufo”. Perché nominarne i figli? Forse perché i lettori li conoscevano nella comunità.
Tutti questi particolari non hanno una funzione teologica chiara, non rafforzano la “catechesi” e talvolta sono persino imbarazzanti.
Proprio per questo, molti studiosi li considerano “tracce di autenticità”: indizi che Marco sta riportando ricordi concreti provenienti da testimoni diretti (soprattutto Pietro).
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Cosa sappiamo di Marco
Era detto “Giovanni Marco”, figlio di una donna di Gerusalemme che possedeva una casa grande (At 12,12: lì si radunava la comunità cristiana, e lì Pietro si rifugiò dopo essere stato liberato dal carcere).
Quindi la famiglia di Marco sembra benestante, urbana, di Gerusalemme, non di Galilea.
Cosa sappiamo di Pietro
Era un pescatore di Betsaida, poi stabilito a Cafarnao, sul lago di Galilea.
Marco diventerà suo “interprete” più tardi, probabilmente a Roma.
Possibilità che Marco fosse un garzone di Pietro?
Storicamente improbabile, perché Pietro viveva in Galilea e Marco era di Gerusalemme. Non ci sono indizi che da ragazzo Marco abbia lavorato come aiutante di un pescatore.
È più probabile che il legame tra Pietro e Marco sia nato dopo la Pasqua, nella comunità cristiana (At 12,12-17). Proprio lì Pietro e Marco potrebbero aver stretto un legame spirituale e paterno (Pietro lo chiama “mio figlio” in 1Pt 5,13).
Se il giovane fuggito nudo fosse Marco
Allora lo scenario più plausibile è che abitasse vicino al Getsemani (alcuni pensano che l’orto fosse proprietà della sua famiglia).
Avrebbe sentito il trambusto dell’arresto e, ancora in lenzuolo da notte, sarebbe corso a curiosare.
Non tanto quindi un “garzone di Pietro”, ma piuttosto un ragazzo di casa che si trovava nel luogo giusto (o sbagliato!) al momento dell’arresto.
È improbabile che Marco fosse stato un garzone di Pietro pescatore in Galilea.
Molto più verosimile che fosse un ragazzo di Gerusalemme, legato a una famiglia cristiana di un certo rango, che poi divenne stretto collaboratore di Pietro.
1. L’unico passo esplicito
In 1Pt 5,13 Pietro scrive:
“Vi saluta la comunità che è in Babilonia e anche Marco, mio figlio.”
Qui Pietro chiama Marco “figlio” (ho huios mou in greco).
Molti lo interpretano come figlio spirituale (cioè discepolo, collaboratore).
Ma qualcuno ha ipotizzato un rapporto più letterale.
2. Cosa sappiamo di Pietro e della sua famiglia
Pietro era sposato (Mc 1,30 menziona la suocera).
Paolo in 1Cor 9,5 dice che Pietro viaggiava con la moglie.
Non ci sono mai riferimenti espliciti a figli di Pietro nei testi canonici.
3. Perché si pensa a Marco?
Per il titolo di “figlio” in 1Pt 5,13.
Per il rapporto molto stretto: Marco come interprete e custode dei ricordi di Pietro.
Per la giovinezza del “ragazzo col lenzuolo” (Mc 14,51-52) che alcuni leggono come una firma autobiografica.
4. Problemi con questa ipotesi
Marco negli Atti appare come figlio di Maria (At 12,12), donna di Gerusalemme proprietaria di una casa grande. Pietro non viene mai citato come padre.
Se fosse stato figlio naturale di Pietro, perché gli Atti — scritti da Luca, che conosceva bene Paolo e Marco — non lo dicono chiaramente?
La tradizione della Chiesa primitiva (Papìa, Ireneo, Clemente Alessandrino) parla sempre di Marco come interprete di Pietro, non come figlio carnale.
5. Interpretazione più solida
“Figlio” va letto in senso spirituale, come Paolo chiamava Timoteo “mio vero figlio nella fede” (1Tm 1,2).
Marco era dunque figlio nella fede e nella missione, non biologico.
L’ipotesi che Marco fosse figlio naturale di Pietro è suggestiva, ma non trova appoggi storici né nelle fonti bibliche né nella tradizione. È molto più probabile che sia stato considerato “figlio” perché discepolo prediletto e custode della predicazione di Pietro.