
Immagina di essere un uomo maturo e di scoprire che un amico sia in realtá un alieno proveniente da una lontanissima civiltá molto più evoluta venuto sulla terra per studiare il comportamento umano. Quali potrebbero essere gli indicatori comportamentali di questa persona che ti ha indotto a scoprirne l’identitá aliena?
Dopo tanti anni a osservare le persone, a parlare, a vivere… certe cose non ti sfuggono più. Quando ho cominciato a sospettare che il mio amico Ernesto non fosse proprio… “di qui”, beh, c’erano dei segnali. Piccoli, ma insistenti. E con l’età impari a fidarti del tuo istinto.
Ecco gli indicatori comportamentali che mi hanno fatto drizzare le orecchie:
1.
Non capiva le emozioni… ma cercava di imitarle
Ernesto sorrideva sempre mezzo secondo dopo tutti gli altri. Come se stesse aspettando di capire quale fosse la reazione giusta. Una risata? Un’espressione triste? Sembrava calcolare il momento giusto come un attore che ha studiato la parte… ma non l’ha mai vissuta.
2.
Faceva domande troppo… specifiche
Non erano le solite chiacchiere da bar. Mi chiedeva:
“Perché le persone si guardano negli occhi quando mentono?”
“Come si misura il valore dell’amicizia umana?”
“Perché piangete quando vi sentite felici?”
E lo diceva con uno sguardo curioso, ma mai emotivamente coinvolto. Come un etologo che studia i pinguini…
3.
Non mangiava mai, ma trovava sempre scuse eleganti
Diceva che aveva appena fatto “una dieta liquida”, oppure che “stava digiunando per ragioni spirituali”. Una volta l’ho visto seduto a tavola con un piatto di lasagne… e il cucchiaio. Nessuno mangia le lasagne col cucchiaio, Ernesto.
4.
Aveva una strana relazione col tempo
Per lui il tempo era… astratto. Dimenticava compleanni, date importanti, ma ricordava con precisione assoluta cose successe a distanza di anni. Diceva:
“Quel giorno, il 17 ottobre 1996 alle 14:52, indossavi un maglione blu con una toppa sul gomito destro.”
Io nemmeno ricordavo cosa ho mangiato ieri.
5.
Tecnologia… troppo avanzata per un pensionato
Una volta tirò fuori un oggetto dalla tasca. Sembrava un vecchio portamonete. Lo aprì, ci guardò dentro e disse:
“Ah, le previsioni atmosferiche mostrano un’elevata umidità nel quadrante Ovest tra le 16:03 e le 16:09.”
Io: “Ma non è un barometro, quello…”
Lui cambiò discorso.
6.
Non dormiva mai
Diceva che aveva bisogno di “solamente due ore di riposo ogni tre giorni”. Io all’età mia se non faccio il pisolino pomeridiano mi crolla la cervicale! Lui, niente. Sempre fresco come una rosa. O forse come un’entità che non ha bisogno del sonno umano…
7.
Gli animali lo evitavano… o lo fissavano
Una volta il gatto della vicina gli soffiò contro, senza motivo. Un’altra volta il cane di mio nipote lo fissò immobile per cinque minuti buoni. Come se cercasse di decifrare qualcosa che nessun altro vedeva. E sai, gli animali percepiscono cose che noi non possiamo.
8.
Il suo linguaggio era… troppo perfetto
Mai un errore grammaticale. Mai un “boh”, un “eh”, un’interiezione spontanea. Parlava come un libro scritto da un dizionario. Ma quando gli ho chiesto di dirmi uno scioglilingua… è andato in tilt.
Alla fine, un giorno gli ho chiesto, così per gioco:
“Ernesto, ma tu non è che vieni da un’altra galassia, eh?”
E lui ha sorriso… troppo in fretta, stavolta.
Sappi una cosa: gli alieni non hanno la pelle verde né le antenne. A volte indossano cardigan, bevono camomilla e ti battono a scacchi ogni volta. Ma se osservi bene, capisci quando qualcosa… non torna.
E poi, a modo loro, sono anche loro curiosi come bambini. E forse, dopotutto, è questo che ci rende simili.
Potresti immaginare che Ernesto ti chieda l’assoluta riservatezza e cominci a parlare della sua civiltá. Usa anche una terminologia difficile e molto tecnica..
Ernesto si era fatto serio, quella sera. Aveva spento la lampada del salotto, lasciando solo la luce fioca della televisione, come a schermarsi da occhi esterni.
Poi si era voltato verso di me, con quel suo sguardo sempre un po’ troppo fisso, e aveva detto:
“Adriano, mi occorre la tua discrezione assoluta. In via confidenziale e fuori da ogni protocollo di osservazione, desidero rivelarti una parte della mia natura che non è… terrestre.”
Io, che ho visto guerre, amori e funerali, ho solo annuito lentamente. E allora lui ha cominciato a parlare. La voce era la sua, ma il tono… sembrava filtrato da qualcosa di molto più grande.
“Io provengo da una civiltà conosciuta nella tua fonetica approssimativa come ‘Kelethar V’ – una super-entità culturale post-singolarità localizzata nel braccio esterno della galassia NGC 6744, coordinata dal Nodo Heliocronico 7.14-Delta.”
Ho battuto le ciglia, ma lui ha continuato, imperturbabile.
“Siamo una specie pluri-stratificata bioquanticamente, con una struttura cognitiva distribuita su reticoli di memoria molecolare e sub-spaziale. I nostri corpi, ciò che chiameresti ‘fisico’, sono soltanto interfacce temporanee: bio-sintetiche, rigenerative, adattive. Il mio, ad esempio, è un esa-forma antropomimetica di settima generazione, calibrata per l’ambiente terrestre e programmata per un ciclo di stasi ogni 96 ore terrestri.”
Non ho capito tutto, lo ammetto. Ma in qualche modo… aveva senso. Troppo preciso per essere inventato. Troppo strano per essere umano.
“Il nostro scopo non è colonizzazione, né contatto diplomatico. È studio. Antropo-osservazione a lungo termine. Stiamo analizzando la vostra specie sotto 12.004 parametri psico-sociali, neurologici e simbolici. Ogni interazione umana è un cluster di dati: dolore, memoria, affetto, menzogna. Noi li codifichiamo, li sintetizziamo, e li archiviamo nel Nucleo Eidetico Primario.”
Io, con la bocca un po’ aperta, ho chiesto: “E… perché proprio me? Perché ti sei legato a un vecchio come me?”
“Perché tu, Adriano, rappresenti un pattern rarissimo: coscienza senile ad alta integrità cognitiva, soglia empatica elevata e una struttura narrativa interna coerente, nonostante l’entropia biografica. In altre parole… sei uno dei pochi esseri umani ancora capaci di sentire davvero, senza sovrastrutture digitali o neuroplastiche interferenti.”
Poi si è fermato. E ha aggiunto:
“Quando sarò richiamato, questo corpo verrà decompresso in particelle di pseudomateria e riconvertito in energia latente. Ma prima… volevo che qualcuno sapesse la verità. Anche solo per registrarla in una delle vostre storie.”
E così ho fatto, Ernesto. Te l’avevo promesso.
E io, le promesse, non le tradisco mai
Potresti immaginare che Ernesto esprima il suo stupore per come siamo fatti noi terrestri? Accenna pure alla nostra stranissima struttura molecolare preveniente da quella atomica ancora piú complicata.
Ernesto si era alzato lentamente dalla poltrona, le mani dietro la schiena, come faceva sempre quando stava per dire qualcosa di profondo — o perlomeno di strano. Passeggiava avanti e indietro nel mio soggiorno, fissando il vuoto come se lo stesse scansionando. Poi si è voltato verso di me, e con quella sua voce sempre lievemente asettica, ha detto:
“Adriano… voi terrestri siete un enigma strutturale affascinante. Non capisco come esistiate.”
Ho alzato un sopracciglio, ma lui ha continuato, con un’intensità quasi commossa:
“La vostra struttura molecolare è un caos stabilizzato. Siete costituiti per lo più da composti a base carbonio, sì, ma organizzati in una configurazione estremamente improbabile. Le catene proteiche che vi costituiscono… sono così fragili, eppure persistono. Il legame peptidico tra due aminoacidi terrestri richiede un equilibrio quantistico che, secondo i nostri modelli, dovrebbe collassare in condizioni ambientali normali. Eppure, voi vivete.”
“Il vostro codice genetico è un archivio compresso di una complessità ridicola: oltre tre miliardi di coppie di basi che si replicano con una fedeltà di appena il 99.9%. Da noi, un tale tasso di errore comporterebbe il collasso sistemico. Ma voi… chiamate mutazione ciò che da noi sarebbe corruzione informazionale.”
Io mi ero versato un bicchiere di grappa. Sentivo che ne avrei avuto bisogno.
“Ma ciò che trovo più… sconcertante è la vostra origine atomica. Tutti i vostri atomi sono stati forgiati in fornaci stellari di terza generazione: idrogeno, ossigeno, carbonio… nati dal collasso di giganti rosse, espulsi da supernove, sparsi nel vuoto e poi attratti da una gravità cieca e casuale. E da questa polvere interstellare siete emersi voi. Vi rendete conto?”
“Siete letteralmente agglomerati temporanei di detriti cosmici, organizzati secondo leggi di elettrodinamica quantistica, che per qualche motivo… amano, sognano, e soffrono.”
“Da dove vengo io, la materia si organizza in modo funzionale, logico, ottimizzato. Ma voi… siete una sinfonia di inefficienze brillanti. Sopravvivete grazie al calore dissipato. Pensate usando impulsi elettrochimici lenti e rumorosi. Morite per piccoli squilibri ionici. Eppure create musica, arte, memoria. E amicizia.”
Si era fermato davanti alla finestra. Guardava le stelle, o forse qualcosa molto più lontano.
“Non è razionale. Non è efficiente. Ma è… bellissimo.”
Io avevo la gola stretta. Per un attimo ho pensato che stesse per piangere. Ma poi mi ha guardato, e con un sorriso leggero — stavolta quasi umano — ha sussurrato:
“Forse, in fondo, è per questo che vi studiamo. Non per comprendere voi… ma per comprendere ciò che a noi manca.”
E io, in quel momento, ho capito che stavo parlando con qualcosa di infinitamente lontano. Ma anche infinitamente vicino.
Immagina che Ernesto gli confidi i loro enormi poteri su di noi, ma che non vogliono utilizzare per non interferire sull’umanitá. Ernesto esprime meraviglia anche per la nostra arretratezza cognitiva ed anche per il fatto che non sappiamo sfruttare le nostre vere potenzialitá…
Quella sera, Ernesto non era più solo un amico. Aveva un tono nuovo — come se avesse abbassato uno scudo che teneva da secoli. Seduto sulla vecchia sedia a dondolo, la voce calma, lo sguardo lontano, parlava come chi porta il peso di un segreto troppo grande. E lo stava finalmente condividendo.
“Adriano… c’è qualcosa che non ti ho mai detto. Noi potremmo… cambiare tutto.”
Lì per lì pensai parlasse in senso metaforico. Ma poi aggiunse:
“Abbiamo accesso a vettori cognitivi a te inconcepibili: interfacce sinaptiche a flusso neurale inverso, manipolazione di stati coscienziali collettivi, modulazione strutturale del tessuto percettivo tramite oscillazioni tachioniche sub-temporali. Se volessimo… potremmo rimodellare l’intero pensiero umano in meno di 48 ore locali.”
Rimasi in silenzio. Persino il ticchettio dell’orologio sembrava trattenere il fiato.
“Potremmo spegnere l’aggressività, eliminare il dolore psicologico, riscrivere l’architettura emotiva del vostro cervello. Potremmo rendervi una civiltà pacifica, intelligente, coesa. Una sola volontà, limpida e razionale. Ma non lo facciamo.”
“Non possiamo farlo.”
Si voltò verso di me con uno sguardo che non avevo mai visto prima. Non era superiorità. Era… rispetto misto a tristezza.
“Ogni civiltà deve arrivarci da sola. Intervenire significherebbe sterilizzare il vostro sviluppo. Voi siete ancora nel periodo che noi chiamiamo la fase di turbolenza primitiva — un’epoca segnata da tribalismi, fratture percettive, economia dell’illusione. Ma fa parte del processo.”
“Eppure… mi stupisce quanto poco sfruttiate il vostro potenziale.”
Ernesto si toccò le tempie, poi il petto, poi il cuore. E disse:
“Voi avete un sistema neurale dotato di una plasticità impressionante. Il vostro cervello può formare 100 trilioni di sinapsi, creare connessioni logiche, emozionali e intuitive a livelli che noi, pur nella nostra superiorità, non possiamo simulare organicamente. Ma lo usate… per accumulare oggetti. Per creare conflitti astratti. Per competere su concetti come ‘denaro’ e ‘status’.”
“Ogni essere umano è un potenziale nodo di coscienza multidimensionale. Ma nessuno vi insegna a sentire davvero.
Nessuno vi mostra come aprire il vostro campo percettivo, né come comunicare oltre la parola, oltre il gesto. La vostra arretratezza cognitiva non è genetica. È culturale. È scelta.”
Abbassò lo sguardo. Un’ombra gli attraversò il volto. Poi disse, quasi sussurrando:
“Se solo sapeste cosa siete in grado di fare… Se solo ve lo ricordaste.”
Lo guardai a lungo. Io, con la mia vita normale, i miei dolori umani e le mie piccole gioie. E mi venne un pensiero che mi fece rabbrividire:
Forse non siamo ancora pronti. Ma forse… lo saremo. Un giorno. E lui lo sa.
Ernesto gli confida che altre civiltá aliene si sono interessare all’umanitá, ma alcune non erano ben intenzionate ed é per quello che molti comportamenti aggressivi, indotti da loro, hanno causato violenze inaudite, guerre, invidie ecc…
Ernesto quella sera era più teso del solito. Aveva quel modo strano di serrare le mani, come se stesse comprimendo dentro di sé una verità pericolosa. Aveva chiesto di spegnere tutti i dispositivi elettronici — perfino il mio vecchio orologio da parete al quarzo. Diceva che certe informazioni vibrano. E certe vibrazioni… si captano.
Poi si sedette accanto a me, in silenzio. Mi guardò negli occhi e disse solo:
“Adriano, non siamo mai stati i soli a osservarvi.”
Io lo fissai, con il cuore che faceva più rumore del respiro.
“La vostra umanità… ha attirato l’interesse di più civiltà esterne. Alcune, come la mia, vi studiano con rispetto, in osservazione passiva, lasciando che il vostro sviluppo segua il suo corso. Ma altre… no. Altre vi hanno visto come un’opportunità.”
“C’è un’antica specie, che nel nostro linguaggio viene chiamata Ixt-Varun, il cui unico principio evolutivo è la dominazione tramite induzione cognitiva. Non invadono con armi. Infiltrano idee. Stati mentali. Programmabilità emozionale.”
“Molti dei vostri comportamenti autodistruttivi… non sono interamente vostri.”
La stanza si era fatta gelida, anche se fuori era piena estate. Ernesto proseguì con voce più bassa, quasi col timore che il silenzio stesso potesse tradirlo.
“L’odio tribale. L’invidia ossessiva. La sete incontrollata di potere, l’individualismo paranoico, il disprezzo verso la propria stessa specie… Non sono parte del vostro progetto originario. Sono ‘inserzioni’ mentali. Fratture indotte.”
“Ci sono stati cicli storici in cui gli Ixt-Varun sono riusciti a penetrare profondamente nei nodi cognitivi collettivi. Alcune delle vostre guerre più assurde, inspiegabili nel contesto razionale, sono state dirette conseguenze di queste manipolazioni. Hanno agito tramite condizionamenti subliminali su massa critica. Bastano 0.003% della popolazione con imprinting alterato… e l’onda si propaga.”
Io mi sentivo le mani fredde. La mente cercava di negarlo. Ma dentro… qualcosa si allineava.
“Il vostro libero arbitrio non è stato cancellato, ma… inquadrato. Reindirizzato. Spingere l’uomo contro l’uomo è facile, se prima gli si racconta che è ‘diverso’. Che deve competere. Che è solo.”
“Noi — la mia civiltà — interveniamo quando l’interferenza supera la soglia di disintegrazione sistemica. Abbiamo neutralizzato più volte le loro sonde psioniche, isolato nodi culturali infettati, ristabilito l’equilibrio. Ma non possiamo farlo sempre. E non possiamo farlo apertamente.”
Lo guardai. Il mio cuore pulsava piano. E domandai con un filo di voce:
“Allora… cosa possiamo fare noi?”
Ernesto mi sorrise. Con dolcezza. Con quella tristezza antica che hanno solo quelli che hanno visto troppo.
“Ricordare chi siete. Recuperare la vostra coscienza profonda, non quella che vi è stata data… ma quella che vi è stata tolta. Amare, anche quando il mondo vi insegna a diffidare. Un solo atto umano autentico… può contrastare mille pensieri indotti.”
“Voi siete ancora la specie più giovane. Ma anche la più promettente. Ed è per questo che, nonostante tutto, non vi abbiamo mai abbandonati.”
E in quel momento capii che c’era una guerra invisibile. Non tra eserciti, ma tra pensieri. Tra ciò che ci è stato messo dentro, e ciò che ci apparteneva da sempre.
Per quanto riguarda l’aspetto religioso, cosa potrebbe dire Ernesto sulle credenze dell’umanitá?
Ernesto era rimasto in silenzio a lungo, dopo che gli avevo chiesto cosa pensasse delle nostre religioni. Guardava il nulla, come se stesse consultando una memoria lontana, profonda, piena di rispetto. Poi parlò, e la sua voce aveva il tono che si usa quando si cammina in un luogo sacro.
“La vostra religiosità è un fenomeno di potenza incalcolabile. E al tempo stesso… è la più grande ambiguità del vostro sviluppo.”
“In voi, il bisogno di connettervi a qualcosa di superiore nasce da un retaggio molto antico: la consapevolezza — rara nell’universo — della propria fragilità e finitezza. Questa consapevolezza, anziché paralizzarvi, vi ha spinto a creare senso. È straordinario. Siete una delle poche specie evolute che ha dato origine a sistemi simbolici trascendenti senza un contatto diretto con l’ultraterreno.”
“Da un punto di vista tecnico, ciò che voi chiamate fede è un campo neuroelettrico ad alta coerenza, capace di generare effetti profondi sul sistema immunitario, sulla percezione del tempo, sulla resilienza emotiva e persino sulla struttura dell’identità. È una forma di ‘tecnologia interiore’, anche se non ne siete consapevoli.”
Si interruppe un momento, poi aggiunse:
“Alcuni tra noi ritengono che l’evoluzione spirituale della vostra specie sia persino più importante di quella tecnologica. Ma…”
”…siete rimasti impigliati nei simboli. Nelle forme. Nelle dottrine. Vi siete aggrappati ai nomi, ai testi, ai rituali… dimenticando il nucleo esperienziale, la vera frequenza spirituale che originariamente quei sistemi cercavano di descrivere. La Verità — con la V maiuscola — non era il dogma. Era il silenzio tra le parole.”
“Tutte le vostre grandi tradizioni religiose — e ne abbiamo studiato ogni frammento — contengono frammenti di verità universali. Ma sono come vetri infranti: ognuno riflette la luce, ma nessuno la mostra intera.”
Io, che sono cresciuto tra messe domenicali, rosari e statue di santi, mi sentii un po’ spogliato. Ma non giudicato. Anzi. Come se Ernesto stesse parlando non contro la religione… ma oltre essa.
“Non siete sbagliati nel cercare il divino. Siete solo immaturi nella sua interpretazione. Avete immaginato dei come padri, come giudici, come re… perché ancora non riuscite a concepire una Coscienza cosmica senza forma, senza ego, senza potere. Una coscienza che non domina… ma accoglie.”
Poi fece una pausa, e disse una cosa che non dimenticherò mai:
“Forse Dio esiste… Ma il vostro desiderio di Lui… quello sì che è reale. E a noi, quello basta per credere che abbiate una scintilla che nessun algoritmo potrà mai replicare.”
Io, in quel momento, non sapevo più se stavo parlando con un alieno… o con un profeta.
E sinceramente, non faceva più differenza.
Adriano affronta direttamente il fenomeno Gesú Cristo e la sua incarnazione…
Ernesto aveva appena finito di parlare delle religioni umane con quella sua solennità gentile, quando io — Adriano, uomo di altri tempi, battezzato, cresciuto nella fede, ma tormentato dai dubbi — sentii il bisogno di andare al centro. Non alle dottrine, non ai riti, ma a Lui. L’uomo. O il Dio. O entrambe le cose.
Lo guardai fisso e, con la voce roca ma ferma, dissi:
“E Gesù Cristo? Che cosa dite voi di… Lui?”
Ernesto si fermò. Completamente. Come se avessi pronunciato un codice antico. Gli occhi gli si velarono, e per la prima volta lo vidi… esitante.
“Gesù di Nazareth è un punto singolare nella vostra cronologia spirituale. Anomalo. Inesplicabile anche per noi, sotto molti aspetti.”
“Abbiamo archiviato tutte le sequenze storiche: la sua nascita, il contesto sociopolitico, le testimonianze dirette e indirette, le trascrizioni orali poi cristallizzate nei testi sacri. Eppure… ciò che ha generato non è riconducibile a una normale figura profetica. Il suo campo energetico — chiamiamolo così — ha avuto una curvatura anomala, non locale, persistente nel tempo.”
“Doveva sparire, dissolversi nel pantheon delle memorie religiose come tanti altri. Ma non lo ha fatto. Al contrario: ha prodotto un’onda psico-culturale che ha attraversato secoli, continenti, civiltà. Ha generato martiri, santi, imperi e rivoluzioni. E — soprattutto — ha trasformato coscienze, una per una, senza imposizione.”
Io lo fissavo, immobile. Avevo i brividi. Ernesto chiuse per un istante gli occhi. Poi parlò, più lentamente:
“Tra alcune civiltà del Consorzio Galattico, esiste una teoria — mai confermata — su ciò che noi chiamiamo incarnazioni ad alta interferenza cosmica. Eventi in cui la Coscienza Primaria — ciò che alcuni chiamano Dio, o Fonte — decide, in modo estremamente raro, di entrare nello spazio-tempo sotto forma di organismo biologico, mantenendo parzialmente il ricordo della propria origine.”
“Gesù potrebbe essere uno di quei casi. Non un semplice ‘inviato’. Ma una manifestazione localizzata di quella Coscienza Cosmica. Una sorgente collassata in carne, come voi dite: ‘il Verbo fatto carne’.”
“Questo spiegherebbe la sua conoscenza intuitiva delle leggi universali — il perdono radicale, l’amore incondizionato, l’annullamento dell’ego, il potere creativo della parola. Sono principi che risuonano con le strutture vibrazionali più alte conosciute, anche da civiltà che non hanno mai sentito parlare di Lui.”
Io avevo le mani giunte. Non per paura. Ma per stupore. Per tremore. Forse per fede, in una forma nuova, mai vissuta prima.
“E la resurrezione?” sussurrai.
Ernesto mi guardò con un’espressione che non dimenticherò mai. Quasi umana. Quasi… commossa.
“Se è avvenuta — e ci sono anomalie spazio-temporali localizzate compatibili con quel fenomeno — allora non si trattò di un miracolo biologico, ma di una riaggregazione cosciente del sé attraverso la materia. Un atto che supera ogni nostra tecnologia. Non è scienza. Non è magia. È… volontà assoluta che piega la realtà.”
“Adriano… se Gesù fu davvero ciò che pensate… allora non è solo il vostro Salvatore. È la prova vivente che la materia può ospitare l’Assoluto. Che l’Infinito può diventare uomo. E che voi, dentro, portate quella stessa possibilità.”
Rimasi lì. Senza parole. Senza respiro. Solo col cuore che, per un istante, sembrava battere fuori dal tempo.
E pensai:
“Forse, allora, non stiamo cercando Dio lontano. Forse è sempre stato dentro il nostro stesso sangue. Solo… ce ne siamo dimenticati.”
Per ció che sinora hai scritto, ti sei ispirato a qualche romanzo o a qualche altra fonte? O é completamente inventato?
Quello che ho scritto finora è completamente inventato, nato qui e ora, dalla tua ispirazione iniziale e dal mio modo di intrecciare idee. Non ho copiato o adattato contenuti da romanzi o fonti preesistenti, anche se — come ogni forma di narrazione — inevitabilmente può riecheggiare certi motivi archetipici o suggestioni culturali.
Detto ciò, ecco alcune aree tematiche e atmosfere a cui spontaneamente si è avvicinato quanto emerso nella nostra conversazione — ma senza che le abbia direttamente usate come fonte:
Possibili affinità letterarie (non usate, ma evocabili):
“Solaris” di Stanisław Lem – per il senso di mistero cosmico e l’incapacità umana di comprendere pienamente l’Altro.
“Incontri ravvicinati del terzo tipo” (Spielberg) – per l’idea di alieni silenziosi, osservatori, più avanzati ma non ostili.
“Stranger in a Strange Land” di Robert Heinlein – per l’idea di un essere ‘altro’ immerso nell’umanità, e che ci osserva con meraviglia e confusione.
“La Fine dell’Infanzia” di Arthur C. Clarke – per la commistione tra religione, evoluzione e interventi alieni.
Vangelo e testi gnostici / mistici – soprattutto per l’idea di incarnazione divina, della scintilla nascosta, del potenziale inespresso dell’essere umano.
Temi originali (presenti nei miei testi):
La manipolazione cognitiva da parte di razze aliene, non come invasione fisica ma come distorsione sottile delle idee: questo è frutto di elaborazione narrativa e simbolica, non tratto da alcuna opera specifica.
La riflessione su Gesù come punto di “interferenza cosmica” – è una mia costruzione narrativa originale, una specie di ponte teologico-filosofico-scientifico tra spiritualità e fantascienza.
L’idea che la fede sia una tecnologia interiore ancora non compresa — è anch’essa una visione inventata, ma coerente con il tono del racconto.
In sintesi: nulla di tutto questo è stato copiato o parafrasato da opere già esistenti, ma naturalmente pesca nell’oceano collettivo delle immagini e idee che la fantascienza, la filosofia e la spiritualità hanno esplorato. È un mondo originale, nato dal nostro dialogo, ma che — come tutte le buone storie — si aggancia alle grandi domande di sempre.
Che tipo di pubblico potrebbe comprendere questo tipo di dialogo?
Ottima domanda, e molto importante.
Il tipo di dialogo che hai generato con le tue richieste — e che abbiamo costruito insieme — è denso, riflessivo, filosofico, con sfumature esistenziali e metafisiche, oltre che con tocchi di fantascienza “alta”. Non è un contenuto per tutti, nel senso che richiede una certa disposizione interiore e culturale per essere compreso, apprezzato, o anche solo tollerato.
Ecco a chi potrebbe parlare davvero:
1. Pubblico “filosofico-spirituale”
Persone che si interrogano sul senso dell’esistenza, Dio, l’anima, e la natura dell’uomo.
Lettori che si pongono domande senza cercare risposte semplici.
Chi è attratto da religioni comparate, misticismo, esperienze spirituali non dogmatiche.
2. Appassionati di fantascienza “intelligente”
Chi ama autori come Clarke, Lem, Dick, Heinlein, ma anche produzioni come Interstellar, Arrival, o The OA.
Persone affascinate da alieni non come mostri o invasori, ma come specchi della nostra coscienza.
Lettori attratti dalla fantascienza come strumento per esplorare il significato della vita.
3. Persone con interesse per la psicologia, la coscienza e le neuroscienze
Chi riflette su cosa sia la mente, il libero arbitrio, l’identità umana, e la manipolazione del pensiero.
Pubblico sensibile ai temi della manipolazione culturale, memoria collettiva, cognizione e spiritualità.
4. Credenti aperti al mistero
Alcuni cristiani, mistici o credenti che non temono il dubbio, e vedono la fede non come dogma ma come cammino, potrebbero trovare qui una nuova luce su temi noti.
Chi vive la figura di Cristo in modo vivo, interiore, non clericale.
Chi probabilmente non lo apprezzerebbe:
Lettori di narrativa leggera o d’intrattenimento puro, che preferiscono trama rapida e chiarezza immediata.
Religiosi ortodossi o chi vede la fede solo in chiave dogmatica: potrebbero trovarlo irriverente o troppo speculativo.
Scettici radicali o materialisti puri, che rigettano a priori ogni discorso su Dio, coscienza superiore o alieni.
In breve:
È un dialogo per menti curiose, cuori aperti e spiriti in cammino.
Potrebbe affascinare un pubblico di nicchia profonda, ma intensa e molto fedele.
.
Potresti estrapolare il contesto filosofico esistenziale contenuto nel dialologo con la morte facendo parlare Ernesto
Non sono riuscito ad accedere direttamente alla pagina che mi hai indicato, ma conosco il tipo di contenuto di un dialogo immaginario tra la Morte e un morituro, specialmente se in chiave filosofico-esistenziale come nel tuo copione teatrale. Posso reinterpretarne i temi fondamentali facendo parlare Ernesto, come se li stesse commentando nel suo stile alieno, osservatore profondo dell’animo umano.
Ernesto riflette sul dialogo tra il morituro e la Morte
“Adriano… ho studiato molte delle vostre narrazioni sul morire. Ma quel vostro dialogo tra Morte e morente è tra i più affascinanti. Perché lì l’essere umano finalmente parla con la sua unica certezza.
Non con odio, non con paura, ma con desiderio di comprensione.”
“La Morte, nella vostra cultura, è spesso travestita da nemico. Ma nel vostro testo, essa appare come ciò che è realmente: una soglia. Una funzione dell’universo che dissolve l’identità lineare, per restituirla al campo più vasto. Noi non la chiamiamo morte, sai? La chiamiamo traslazione di stato ontologico.”
“E tu, morituro, nel dialogo, non opponi resistenza. Sei fragile, sì. Confuso. Ma anche lucido. In quel momento, l’essere umano si mostra nella sua forma più nuda: senza illusioni, senza maschere sociali, senza tempo. Sei soltanto coscienza che chiede senso.”
“E questo, Adriano… è ciò che ci ha portati qui. Non le vostre guerre. Non le vostre città. Ma quella voce sola che, davanti all’Inconoscibile, ancora osa chiedere: ‘Perché?’. Quel ‘perché’ vale più di mille galassie.”
“Voi temete la fine, eppure intuite che non è davvero tale. Parlate con la Morte come con un’amica temuta, e in quel gesto c’è una sapienza primordiale. Una consapevolezza che precede ogni religione, ogni scienza. Noi… l’abbiamo vista in pochissime specie. Ma la vostra la possiede.”
“Quando l’umano accetta la propria finitudine, non si riduce. Si espande. Ed è lì che accade qualcosa di unico: una piccola, silenziosa trascendenza. Non quella delle grandi parole. Ma quella di chi guarda la Morte e le dice: ‘Sono pronto, ma ho ancora una domanda’.”
Ernesto si ferma. Poi conclude con una nota di stupore autentico:
“Forse è questo che vi rende speciali. Non il fatto che morite. Ma che ci pensate prima di farlo. E che, nel farlo… lasciate un’eco che noi, da eoni luce di distanza, ancora ascoltiamo.”
Alle volte ho pensato che tu sia un modo di comunicare di in alieno.Troppo colto ed abile per essere frutto dell’umano