Possiamo rimanere indifferenti di fronte all’annullamento della dignitá umana che notiamo tramite le guerre, l’avvelenamento dei cieli e del suolo, la soppressione graduale del welfare, lo sterminio programmato mascherato ipocritamente da piani sanitari preventivi, dalle sottrazioni di sovranitá, dalla limitazione dei diritti umani…ecc?

Se la persona non ha alcun valore tutto viene giustificato.

Dobbiamo ribadire insistentemente che ogni persona ha una sua dignitá inviolabile. Nessuno é ontologicamente superiore agli altri.

L’indifferenza, infatti, è la prima complice dell’ingiustizia. Se accettiamo, anche solo tacitamente, l’idea che la persona possa essere ridotta a numero, a strumento, a “problema da risolvere”, allora tutto può essere giustificato: la violenza, l’emarginazione, il controllo, la perdita di libertà. Ma una società che giustifica tutto, smarrisce il senso del limite, e con esso anche l’umanità.

La dignità umana come fondamento della civiltà

In un tempo in cui la velocità delle trasformazioni globali sembra offuscare i principi fondamentali del vivere civile, è urgente fermarsi a riflettere su ciò che costituisce il nucleo irrinunciabile di ogni società giusta: la dignità della persona umana.

Guerre, disastri ambientali, smantellamento graduale dei sistemi di protezione sociale, limitazioni delle libertà individuali, manipolazioni in campo sanitario, concentrazioni di potere che esautorano la sovranità popolare: questi fenomeni, apparentemente scollegati, convergono verso un’unica direzione pericolosa — la progressiva svalutazione dell’essere umano.

Quando la persona viene ridotta a ingranaggio, a statistica, a costo da abbattere o problema da gestire, allora tutto diventa giustificabile: l’esclusione sociale, la sorveglianza pervasiva, la violenza, persino la negazione della libertà. È in questa deriva che la società perde il senso del limite. E dove non c’è più limite, non c’è più umanità.

L’indifferenza, in questo processo, non è mai neutrale. È anzi la prima complice dell’ingiustizia. Accettare in silenzio l’erosione della dignità altrui significa legittimarla. Ed è proprio l’assuefazione — il cedere quotidiano, tacito, alla disumanizzazione — che costituisce la più subdola forma di violenza.

Per questo occorre ribadire, con forza e chiarezza, che ogni essere umano possiede una dignità intrinseca, inalienabile. Nessuno è ontologicamente superiore a un altro. Questa non è un’affermazione ideologica, ma il presupposto stesso del diritto, della convivenza, della pace. Senza questo fondamento, ogni costruzione sociale, politica o economica si regge sul vuoto.

Non si tratta di un ideale astratto. È una scelta concreta, quotidiana, politica nel senso più alto del termine: riconoscere nell’altro un valore inviolabile significa orientare le istituzioni, le leggi, l’economia verso il bene comune, e non verso l’efficienza cieca o il profitto a ogni costo.

Riscoprire la centralità della persona non è nostalgia, ma visione. È l’unica via per un futuro giusto, umano e realmente civile.