15 Marzo 2015

DECLASSATI


Da “IN TERRIS”

http://www.interris.it/2015/03/15/47878/posizione-in-primo-piano/schiaffog/declassati.html



La profonda ipocrisia dell’Europa politica consiste nel
criticare ogni forma di fondamentalismo e nel contempo rifiutare le sue
radici storiche, che affondano nel cristianesimo.
Una fede mai
difesa e troppo spesso declassata, emarginata. Col risultato di
agevolare quello stesso proselitismo estremo che diciamo di voler
combattere. Come aprire le porte del fortino e poi lagnarsi
dell’invasione dall’esterno. Attoniti assistiamo alle prevaricazioni
subite dai cristiani in tante parti del mondo. Pensiamo alle case
segnate con la “N” di “Nazara”, ossia discepoli del Nazareno, alle croci
divelte nelle chiese, all’arcivescovado siro-cattolico di Mosul
assaltato e alla biblioteca con preziosi manoscritti bruciata, ai fedeli
costretti a lasciare le loro case e le terre natie per sfuggire alla
conversione forzata. La cronaca parla ogni giorno di queste
persecuzioni. Ma questo non deve nascondere quanto avviene anche in
Occidente dove la dittatura del relativismo ha portato in dote una
visione distorta della religione, non più percorso di perfezionamento
interiore, intimo rapporto con la spiritualità, ma credenza popolare da
marginalizzare nella sfera strettamente privata e da osteggiare in
quella pubblica. Osserviamo allora di intolleranza anche da noi, in
omaggio a un laicismo ideologizzato e lontano anni luce dal suo vero
significato.

È solo di pochi giorni fa la notizia della polemica scoppiata a Bologna nell’Istituto Comprensivo 20.
Il Consiglio della scuola, con una delibera del 9 febbraio scorso, ha
autorizzato le benedizioni pasquali del personale, dei genitori e degli
alunni. Immediate sono arrivate le proteste: in sostanza questo rito
viene “abuso” nei confronti di chi professa un altro credo religioso.
Per calmare gli animi e non scontentare nessuno la direzione scolastica
ha deciso di limitare le benedizioni all’orario extrascolastico. Mossa
che alcuni genitori e insegnanti hanno ritenuto “offensiva” tanto da
agire per vie legali, presentando un ricorso al Tar di Bologna per
chiedere la sospensione della delibera. Insomma il rito viene
considerato un “insulto” verso i componenti della comunità scolastica,
indipendentemente dal fatto che la partecipazione sia obbligatoria o
meno.

In una scuola di Leini (Torino) per “rispettare le culture
di tutti e per motivi di sicurezza” durante il periodo natalizio, il
preside aveva deciso di vietare il presepe.
Situazione analoga
all’istituto “De Amicis” di Bergamo, dove il direttore aveva dichiarato
che “la scuola pubblica è di tutti e non va creata alcuna occasione di
discriminazione”. Ma la polemica non riguarda solo le benedizioni
pasquali o i presepi. La diatriba sull’esposizione dei crocefissi nelle
aule scolastiche ha origini ancora più antiche. Il simbolo dell’identità
cristiana ha suscitato le lamentele delle associazioni laiche, di
diverse confessioni religiose, degli atei e degli agnostici, spesso
supportate da sentenze dei tribunali di vario grado. Nonostante ciò la
Croce nelle scuole è sostanzialmente rimasta, con la sola eccezione
della Francia, dove è espressamente proibito dalla legge dagli inizi del
‘900. In Austria è consentito solo se la maggioranza degli alunni
appartiene a una delle confessioni cattoliche, in Belgio è vietato in
tutte le statali, provinciali e comunali, mentre è permesso in quelle
cattoliche.

Nel 1995 in Germania, una sentenza della Corte Costituzionale
ha sancito l’incostituzionalità della presenza di simboli religiosi
all’interno delle aule.
In Spagna nel 2009, il governo Zapatero
ha messo a punto un disegno di legge per togliere ogni simbolo
religioso dalla scuola pubblica, mentre in Romania, con la decisione
323/2006 del Consiglio Nazionale per la lotta alla Discriminazione ha
stabilito che il Ministero dell’Educazione deve rispettare il carattere
secolare dello Stato e l’autonomia della religione e i simboli sacri
devono essere mostrati solo durante le ore didattiche dedicate allo
studio dei culti o in aree ad essi esclusivamente dedicati. In Svizzera
il comune ticinese di Cadro decise di esporre il crocefisso in tutte le
aule scolastiche, ma nel 1990 il Tribunale Federale decretò la sua
rimozione con la motivazione che “lo Stato ha il dovere di assicurare la
neutralità in ambito filosofico-religioso della sua scuola e non può
identificarsi con una confessione o religione. Si deve evitare che gli
studenti siano offesi nelle loro convinzioni religiose dalla continua
presenza di un simbolo di una religione a cui non appartengono”.

Casi ai quali si aggiungono le politiche di un’Europa che ha
rifiutato le sue radici per motivi soprattutto di opportunità e di
quieto vivere
(dall’ingresso della Turchia nell’Ue alla
convivenza con le altre confessioni, in particolare l’Islam). A novembre
la Corte di Giustizia del Lussemburgo ha dichiarato ammissibile nel
merito un ricorso contro la Commissione europea, la quale aveva
rinunciato a chiedere all’Italia di recuperare dalla Chiesa l’importo
delle esenzioni Ici e Imu di cui ha beneficiato dal 2006 al 2011, oltre a
deduzioni dalle tasse sul reddito. Se l’istanza dovesse trovare
accoglimento il conto per i Sacri Palazzi sarebbe salatissimo: 4
miliardi di euro. Tanto da spingere molte associazioni e blog cattolici a
sospettare dell’esistenza di un disegno comunitario per mandare in
default finanziario la Santa Sede. Fantasie? Forse; di sicuro c’è che la
diffusione dei valori cattolici è stata troppo spesso osteggiata da
Bruxelles, in altri casi addirittura impedita. Uno schiaffo alla vera libertà e non solo a quella di coscienza.