Grado, scorci di poesia, video inserito da Pier Angelo Piai sul portale You Tube:
http://it.youtube.com/watch?v=tEqkzumBFEQ
L’isola di Grado e la sua laguna costituiscono una realtà paesaggistica, artistica, storica e antropologica – culturale quindi nella più ampia accezione del termine – originale e autonoma nell’ambito del Friuli Venezia Giulia e della stessa provincia di Gorizia.
Complesse e lontane infatti sono le sue vicende storiche, che si intrecciano con quelle di Aquileia sin da prima delle invasioni barbariche e attraverso una plurisecolare e dura lotta per la supremazia tra il Patriarcato gradese e quello aquileiese, proseguono a margine della storia della Serenissima Repubblica di Venezia e, alla scomparsa da questa (1797), dopo la meteora napoleonica, si innestano in quelle dell’asburgica Principesca Contea di Gorizia e Gradisca, per divenire, con la dissoluzione dell’impero d’Austria per l’esito della prima guerra mondiale, parte integrante e definitiva della più recente storia d’Italia.
Sull’isola è ancora ben presente il segno del passato e particolarmente significative e importanti sono le testimonianze di quello più lontano compreso tra il 452 d.c., quando le popolazioni aquileiesi si rifugiarono a Grado al seguito del vescovo Secondo, lasciandosi alle spalle la laguna e Aquileia devastata e distrutta dagli Unni di Attila, e il 1451 allorchè con propria bolla il papa Nicolò V trasferì il titolo patriarcale da grado alla sede vescovile veneziana di Castello, retta da Lorenzo Giustiniani, che fu quindi il primo patriarca di Venezia.
Si tratta del millennio più importante, sofferto e prestigioso della storia di Grado, che dopo la perdita della sede patriarcale si rinchiuse in un dignitoso isolamento e visse sostanzialmente fuori dalla storia della pur grande realtà statuale cui apparteneva; la Repubblica di Venezia.
Governata da un Conte che la Serenissima inviava scegliendolo tra le famiglie nobili, la comunità gradese, ormai costretta in un piccolo borgo di pescatori, non accettò tuttavia la totale subordinazione e creò non pochi problemi a chi aveva il compito di guidarla e controllarla.
Il temperamento fiero dei suoi abitanti, che ancor oggi persiste, trovava e trova origine nella coscienza di un passato glorioso e dei torti sin da allora subiti, in una forte identificazione comunitaria sostenuta da unaistintiva religiosità, da una straordinaria coralità nel canto anche a mille voci, da una marcata adesione ai valori della propria tradizione e del proprio ambiente naturale, dall’uso, corrente ed esclusivo, di un antico dialetto veneto in cui si è espresso con caparbia fedeltà uno dei più grandi poeti del Novecento italiano, Biagio Marin.
Da quell’isolamento, che certo non fu proficuo per l’acquisizione di opere d’arte e per la fabbrica di edifici prestigiosi e che tuttavia è testimoniato dall’asciutta bellezza del centro storico, Grado cominciò a uscire verso la fine dell’Ottocento quando venne scoperto il valore terapeutico delle sue sabbie e la sua più generale idoneità a divenire centro balneare.
L’isola, dopo l’ingloriosa fine della Repubblica di San Marco, subì una breve e nefasta occupazione francese e venne quindi incorporata nella Principesca Contea di Gorizia e Gradisca, parte dell’impero degli Asburgo. E furono imprenditori austriaci i primi albergatori, coloro che diedero un fondamentale contributo a far nascere la Grado moderna, elegante e peculiare località termale e turistica, allora soggiorno estivo della borghesia e della nobiltà austriache, slovacche, boeme e ungheresi e oggi di un vasto pubblico internazionale.
La tragedia della Grande Guerra colpì la cittadina, vicinissima al fronte e soggetta all’alterno sviluppo delle operazioni belliche. Dopo il 1918, assieme al resto della Venezia Giulia, venne annessa all’Italia. Grado è collegata alla terraferma per mezzo di 2 ponti, uno porta verso Monfalcone, l’altro verso Aquileia.
Tuttavia è sempre isola, perché unica e inimitabile, come i suoi diecimila abitanti.
E poi a Grado non possono certo bastare due bretelle di cemento per cancellare secoli di storia e quell’ineguagliabile bellezza che la circonda e ne costituisce ad un tempo il vasto polmone naturale e il punto di riferimento, fisico e affettivo, delle più salde consuetudini di vita quotidiana: la laguna, una delle poche lagune “vive” d’Europa ricca di fauna e flora particolari e di piccole isole su cui sorgono originali costruzioni di canne e fango, i casuni, in un tempo non lontano uniche abitazioni dei pescatori.
Accanto a questi isolotti ve ne sono di maggiori e su tutti emerge l’isola di Barbana, sede di un antico santuario e cara alla fede dei gradesi che, secondo la tradizione, oltre 750 anni or sono fecero voto di andarci in pellegrinaggio ogni anno, la prima domenica di luglio. E puntualmente il voto viene sciolto con una suggestiva processione di barche attraverso i canali, il “Perdon”.
Marino De Grassi
TRADIZIONI – FESTEGGIAMENTI
Benché non si possa dire che si tratti di mondi opposti, tuttavia, ascoltando le esperienze di questa gente, ci si rende conto che le diversità dipendono dal contesto ambientale che condiziona i ritmi di vita.
In paese la vita si svolgeva nell’ambito dell’intera comunità paesana e nell’osservanza delle sue scadenze, per lo più di carattere religioso, per cui si può parlare di ciclo dell’anno tradizionalmente inteso.
La vita dei casonéri era, invece, strettamente connessa al ciclo riproduttivo del pesce, cui era legata la loro sopravvivenza ed in parte all’andamento della selvaggina. Si trattava di una vita più chiusa, condotta per la maggior parte all’interno della famiglia, con contatti assai limitati con il mondo esterno. Soltanto le grandi occasioni religiose o importanti faccende personali richiamavano a Grado i pescatori di laguna.
Per questi le stagioni nel senso comune del termine avevano un’importanza relativa, tant’è che l’anno era stato da loro diviso in sei stagioni: Quaresima, Stagione dopo Pasqua, Stagione delle “Orele” (orate giovani), Stagione dell’Estate, Stagione di San Michele, Stagione d’Inverno (tale suddivisione si usava anche a Grado).
La Stagione delle “Orele” è il periodo di stasi della pesca con le reti, per consentire la crescita del novellame, che cade tra la fine di maggio ed i primi di luglio. In tale periodo si pesca solo con le mani.
La Stagione di San Michele (il santo viene ricordato il 29 settembre) è invece caratterizzata da frequenti perturbazioni che rendono faticosa la pesca.
I pescatori di laguna avevano dunque un profondo rispetto per la natura che scandiva il tempo della loro vita ma erano anche osservanti della religione, per cui non mancavano mai i più importanti appuntamenti della vita della Chiesa, mentre potevano trascurare altre feste profane.
Chi invece viveva a Grado, come gli artigiani, o vi si assentava per breve tempo e da solo (i “sabionanti” – quelli che trasportavano sabbia o altro materiale da costruzione – e i pescatori di mare aperto, per cui la famiglia non si spostava), aveva modo di frequentare tutta la comunità e di mantenere vive le tradizioni minori sia religiose che profane.
Vediamo ora alcuni momenti della vita dell’anno con una esemplificazione delle relative usanze e credenze
EPIFANIA È una data molto importante. Alla vigilia bisogna ricordarsi di compiere alcune operazioni per preservarsi dai malefici delle streghe di mare, dette varuole, e delle “strighe” in genere. Bisogna “lustrà dute le cruche” (lucidare tutte le maniglie delle porte), “coi agi” (aglio), “core a tò l’aqua santa co le fiasche” (correre a prendere l’acqua santa con i fiaschi), “benedì dute quante le stanse e anche le contrae e la caina sul reparo duta lustra” (benedire stanze, vie e la catena del focolare: le varuole sono solite frequentare i tetti e passare attraverso i camini).
Quest’ultima operazione viene affidata ai bambini che si divertono a trascinare su e giù per il “reparo”, la diga, la catena che, sfregata contro la sabbia, diventa pulita. Il tutto viene completato con preghiere alla Madonna Immacolata.
I SANTI E I DEFUNTI
Quello dei morti è un argomento ricorrente nei discorsi dei grandi e finisce per coinvolgere anche l’attenzione dei bambini. Ai morti ed ai loro spiriti si deve profondo rispetto, guai a parlarne male! si possono avere delle brutte conseguenze. Anzi, bisogna pregare molto per questi spiriti che vagano la notte per la loro pace eterna. Si dice che certe notti verso le quattro (o anche alle sei) c’è il “strànsito”, la processione dei defunti per le strette vie di Grado: sono tanti e tutti in fila recitano le loro litanie o chiedono preghiere (“e no bisogna esse curiusi de véghili” non si deve curiosare per vederli) e poi tornano in cimitero.
SAN NICOLO’ Se può viene a riempire la calza per i bambini “nose, nosele, semense, carobe, pestaci: Co’ bel San Nicolò che I’ha portao” (noci, noccioline, semi di zucca, carrube e arachidi: che bel S. Nicolò è venuto!).
SANTA LUCIA “L’ha i oci in piato” (porta gli occhi nel piatto): è considerata la protettrice della vista. Santa Lucia “xe pei oci”.
NATALE Si trascorre il periodo di Natale a Grado con gli altri parenti. In questo giorno si va cantando di casa in casa per bene augurare, si prepara il presepe, si assiste alle funzioni religiose ed infine si cerca di preparare un pranzo degno di tale occasione.
MADONA CANDELORA Anche a Grado si ritrova questa antica tradizione legata al “nuovo inizio della luce”: il parroco in questo giorno benedice le candele corte e sottili alla messa del mattino, il sacrestano pensa poi alla distribuzione, una per ogni rappresentante della famiglia.
CARNEVALE Giovedì grasso (“Zuoba grasso”) si festeggia con la sfilata per le vie cittadine del “manzo infiocào” (bue infiocchettato) in ricordo dell’umiliazione inflitta dai veneziani al Patriarca aquileiese Volderico rivale di quello di Grado nel 1162. L’ultimo giorno i bambini si mascherano, i grandi organizzano la grande festa del “Veliòn del Pescaòr”, con balli e canti.
Ma soprattutto, accanto alla festa delle maschere, è nata la tradizione del Festival della canzone Gradese, rassegna canora rigorosamente in dialetto sorta nel 1946, che è divenuta la vera festa dei “graisani”.
QUARESIMA La fine del Carnevale e l’inizio della Quaresima erano anche rappresentati da due pupazzi: uno bello grassoccio, decorato con le “luganeghe” (salsicce), è il Carneval grasso, l’altro rappresenta una donna striminzita con un’aringa appesa al collo ed è la Quaresima.
SAN GIUSEPPE Porta “le sardele su la barba” oppure “vien San Ciaseppe co le stiame de sardele su la barba” (detto popolare, “porta le sarde sulla barba” oppure “viene S. Giuseppe con le squame di sarde sulla barba”): infatti questa è la stagione propizia per la pesca delle “sardele” da parte dei pescatori di mare aperto.
SETTIMANA SANTA E PASQUA In occasione di tali solennità religiose, tutti rientrano a Grado per partecipare con l’intera comunità a queste ricorrenze.
“La domenega dei ulivi se va in procession da na Cesa a l’oltra co le rame de ulivo, se se ferma fora de la porta dela Cesa” (la domenica degli ulivi si va in processione da una chiesa all’altra, ci si ferma fuori dalla porta della chiesa ) e il sacerdote chiede alla gente che già si trova dentro il permesso di entrare, rinnovando in tal modo la tradizione di Cristo che chiede di entrare in Gerusalemme. In questo giorno si benedice l’ulivo, che viene conservato in casa per essere bruciato durante i temporali. Un rametto trova posto anche nelle barche che fanno viaggi lunghi.
Il Giovedì Santo si svolge la cerimonia del lavaggio dei piedi ai dodici più anziani pescatori del paese; inoltre si legano le campane e al loro posto “se sona una scaràssola granda, el sigalòn” (si suona la raganella).
Le campane vengono slegate la mattina del sabato santo e al Gloria suonano a distesa. In questa occasione è d’uso bagnarsi gli occhi con l’acqua (se la stagione è propizia si fa addirittura un bagno nel mare), mentre i cacciatori sparano a salve. Sempre al sabato mattina si svolge una messa solenne.
Il giorno di Pasqua si trascorre in famiglia, mentre il Lunedì dell’Angelo si fa la cosiddetta “Pasqueta” con la tradizionale merenda “co le colombe co l’ovo e le fugasse” (con le colombe pasquali e le pinze).
SANTA RITA Le donne espongono la loro biancheria migliore, “ninsuoli, coverte” (lenzuola, coperte) ecc., alle finestre e alle corde tese per l’occasione.
SAN GIOVANNI Oltre alla messa in chiesa si va sul “reparo” (diga) per i fuochi. Si preparano le zattere con materiale combustibile a cui si appicca il fuoco e poi le si abbandonano alla corrente che le porta al largo.
PENTECOSTE È’ un altro giorno di festa. Tutti si radunano in piazza dove c’è anche la musica.
CORPUS DOMINI Festa “granda”: tutti i casonéri vengono a Grado, data l’importanza della cerimonia. Lungo il percorso vengono allestiti quattro altari addobbati: il corteo si ferma ad ogni altare per leggere il Vangelo e pregare, i bambini buttano a terra i petali di rosa (anche questi si possono portare a casa perché sono benedetti).
PRIMA DOMENICA DI LUGLIO È il giorno della Madonna di Barbana, in cui si svolge la manifestazione del “Perdòn de Barbàna” (Perdono di Barbana), la secolare processione di ringraziamento con le barche (secondo la tradizione, per la liberazione dalla peste). Anticamente si celebrava a Pentecoste.
SANTI ERMACORA E FORTUNATO 12 luglio
Protettori di Grado e di Aquileia. “Festa granda in piassa” (grande festa all’aperto). Oggi si festeggia in “Simisterio vecio” (nell’area del vecchio cimitero a sud del Duomo) con “sardelada” (frittura di pesce) e banda.