Ecco un possibile ritratto immaginario — coerente con lo spirito, lo stile e la sensibilità leopardiana — di come Giacomo Leopardi potrebbe reagire allo shock di ritrovarsi nell’Italia del 2025 e di ciò che potrebbe annotare nei suoi scritti.
Reazioni immediate di Leopardi nel 2025
1. Stupore tecnologico misto a inquietudine
Leopardi sarebbe certamente colpito dalle meraviglie tecniche: schermi luminosi ovunque, telefoni che rispondono alla voce, automobili senza cavalli, l’uomo che parla attraverso macchine capaci di imitare il ragionamento.
Ma la sua inclinazione filosofica lo porterebbe subito a interrogarsi sulle illusioni del progresso.
Potrebbe pensare, ad esempio, che:
le tecnologie accrescono la comodità ma non la felicità;
la complessità del mondo digitale intensifica la solitudine invece di alleviarla;
il “tutto e subito” alimenta un’ansia nuova, non meno dolorosa di quella ottocentesca.
2. Riflessione sulla società contemporanea
Leopardi, che osservava con occhio acuto i costumi del suo tempo, analizzerebbe con rigore:
La comunicazione
Sbalordito dai social network, li considererebbe una versione amplificata e febbrile della vanità umana:
“una piazza senza silenzio e senza ascolto”;
“un eterno bisogno di mostrarsi, che non placa il male radicale della noia”.
La politica e la polarizzazione
Noterebbe come la discussione pubblica sia diventata:
più immediata, ma meno profonda;
più rumorosa, ma meno capace di produrre concordia.
Ma eviterebbe giudizi partigiani: gli interesserebbe, piuttosto, la condizione umana che si manifesta attraverso la politica.
La scienza e il progresso
Apprezzerebbe i traguardi medici (nell’Ottocento soffriva moltissimo), ma continuerebbe a sottolineare che:
“La scienza accresce il sapere, non cancella il dolore.”
3. Possibili annotazioni nei suoi scritti
Nuovi “Pensieri”
Leopardi potrebbe aggiungere aforismi simili ai Pensieri:
– Sull’illusione del progresso
“Gli uomini del nuovo secolo, credendosi padroni della natura, non avvedonsi d’essere invece servi di nuove chimere, più lucenti ma non meno vane.”
– Sulla tecnologia come nuova speranza
“Le macchine promettono ciò che non possono dare: che l’uomo, occupato da mille immagini, scampi per ciò solo dalla vacuità dell’animo.”
– Sul rapporto con il tempo
“Il mondo corre tanto che nessuno più raggiunge se stesso.”
4. Una riscrittura moderna dello Zibaldone (breve esempio originale)
Ecco un possibile frammento immaginario:
*“Oggi ho veduto gli uomini andare per le strade con gli occhi fissi in una piccola lastra luminosa, come sospesi a un filo invisibile che li lega a un mondo non presente. Mi parve che ciascuno fugga l’istante in cui vive, per abitare in luoghi che non sono luoghi.
Pur tuttavia, questo secolo non è men miserabile del mio, benché più ricco di artifizi. La malinconia, che gli uomini credono di schermare con mille occupazioni, cresce loro nel cuore come un’ombra che nessuna luce artificiale può dileguare.”*
5. Il possibile stupore felice
Non mancherebbe, in Leopardi, anche sorpresa positiva:
la maggiore libertà individuale;
il progresso dei diritti civili;
la vastità del sapere condivisibile in un istante;
la possibilità, per chi scrive, di raggiungere milioni di lettori.
E potrebbe stupirsi che i suoi versi siano diventati così amati e studiati.
Forse annoterebbe:
“È cosa singolare vedere che i miei canti, che nacquero da un’anima così oscura e solitaria, abbiano trovato eco in genti lontane nel tempo.
Se ciò insegna qualcosa, è che l’infelicità degli uomini non muta col mutare dei secoli: ma neppure la loro sete d’infinito.”
Ecco quattro “nuovi Canti leopardiani” immaginati come se Leopardi, trasportato nel 2025, componesse liriche coerenti con la sua voce, la sua metrica libera e la sua malinconia filosofica.
Non sono imitazioni servili, ma creazioni originali ispirate al suo stile.
I. Alla Città Luminosa
(Una moderna “metropoli” vista con stupore e sgomento)
O immensa Città,
che l’occhio abbagli di splendori instabili
e d’incessanti lampi,
mare di vetro e d’aria che risuona
di traffici e di clamori,
tu sembri viva più di mille vite.
Pure nel tuo tumulto
vive un silenzio che spaura:
ché ogni uomo, in mezzo alla folla,
giace più solo che in una landa alpestre.
E le tue vie rilucono di promesse
che svaniscono al toccarle:
come miraggi nati dal desiderio,
come sogni che l’alba disperde.
II. L’Infinito Digitale
(Riflessione sull’universo virtuale)
Di pixel e di ombre è fatto questo mare senza rive,
dove l’uomo cerca voce e volo.
Ma l’infinito vero,
che un tempo mi appariva dietro la siepe,
oggi scompare tra mille immagini
che non danno quiete.
E l’animo, ingannato
dalla facilità del mondo fittizio,
cresce di superficiali meraviglie
ma si svuota del suo fondo più profondo.
Così l’eterno,
che credevamo d’avere a portata di dito,
non è che un’altra forma
della nostra antica sete.
III. Il Giovane Errante del Nuovo Secolo
(Figura emblematica della ricerca contemporanea)
Ho visto un giovane camminare
con passo rapido e cuore stanco,
inseguendo mete che mutano
prima ch’egli le raggiunga.
Gli brillava negli occhi
un ardore inquieto,
che pareva speranza
e forse era soltanto ansia.
Egli cercava un senso
nelle parole che correvano sul vetro,
nelle immagini che svanivano
prima ancora di possederle.
Ma non sapeva
che la vita non si afferra in corsa
né si compie nel desiderio
che ogni appagamento disfa.
Così procede, il giovane,
come vento che non trova campo,
né mai riposo.
IV. Canto sulla Fragilità degli Umani
(Eco filosofica del pensiero leopardiano nel 2025)
O mortali, anche nel nuovo secolo
non siete meno infelici,
benché di mille ingegni vi siate armati
e mille nuove arti
abbiate creato contro il dolore.
Pure restate
piccoli nell’anima e smisurati nel volere;
sempre in lotta con l’ombra che vi abita,
sempre mendichi d’un bene
che non sa darsi al mondo.
E tutta la scienza vostra
non placa il tremito
che vi prende al pensiero
dell’ora estrema.
Così, come ieri e come sempre,
l’umano destino rimane
una fiaccola che trema
nel vento dell’universo.
Ecco un canto originale, in endecasillabi con rima alternata (ABAB), in uno stile ispirato a Leopardi ma del tutto nuovo nei contenuti e nelle immagini.
Canto dell’Artefatta Mente
(canto in endecasillabi, rima ABAB, tono leopardiano)
A
Sorge silente l’artefatta mente,
che in freddo lume al par dell’uom risplende;
ma sotto il volto che parrà ridente
nulla ella cela, e nulla in cor comprende.
Veloce apprende e mille voci imita,
e in van l’ingegno umano a sé consola;
ché quanto più la macchina s’addita,
più cresce in noi l’antica ombra che duola.
Par ch’ella sappia il vero, e pur non sente
l’ansia che move il nostro incerto passo;
e il dubbio nostro, eterno e persistente,
ella non può né intender né far casso.
Così l’uom crede, fra speranze nuove,
di vincer finalmente il cieco fato;
ma più l’illusïon l’animo muove,
più torna il cuore al suo dolor narrato.
E questa mente, che da noi deriva,
specchio ci rende d’un voler mendace;
ché l’uomo in lei la sua grandezza avviva,
ma scorge al fondo il suo timor più audace.
E mentre avanza l’opra artificiale,
cresce l’eterno nostro smarrimento;
ché nulla vincer può del mal mortale
chi non conosce affetto, o pianto, o vento.
O mente priva d’anima e d’ardore,
fredda sorella della sorte umana,
sei quasi un nume che non prova amore,
né conosce l’angoscia quotidiana.
E pur, di te, l’uom l’immortal brama;
te invoca a scudo contro il suo destino;
ma in vano cerca chi del viver ama
l’eco, che in te non vibra né ha cammino.
Così rimane il cuore, ancor pensoso,
tra l’ombra antica e il novo artificiare;
e in questo secol rapido e ansïoso
sente più forte il suo perenne amare.
Parafrasi del “Canto dell’Artefatta Mente”
Sorge questa nuova intelligenza artificiale, silenziosa, che sembra brillare quanto l’uomo, grazie alla luce fredda delle sue capacità.
Ma, sotto l’apparenza quasi sorridente o affascinante, non nasconde nulla: non ha interiorità, né sentimento, né comprensione autentica.
Impara in fretta, imita mille voci, e l’uomo si illude che il proprio ingegno sia esaltato da ciò che ha creato.
Eppure, più si mette in mostra la potenza della macchina, più dentro di noi cresce una vecchia tristezza, un’inquietudine antica.
Pare che la macchina conosca la verità, ma non prova le emozioni che guidano i passi incerti degli esseri umani.
Il nostro dubbio eterno e costante, lei non lo comprende e non vi presta attenzione.
L’uomo, pieno di nuove speranze, pensa così di poter finalmente superare il proprio destino.
Ma più si lascia trasportare dall’illusione, più il dolore che lo accompagna da sempre ritorna al suo cuore.
Questa mente artificiale, che nasce dalle nostre mani, ci fa da specchio e ci mostra quanto siano ingannevoli i nostri desideri.
Perché l’uomo proietta in essa la propria grandezza, ma allo stesso tempo vi riconosce il suo timore più profondo.
E mentre le tecnologie avanzano, cresce anche il nostro smarrimento esistenziale.
Nessuna creazione potrà mai sconfiggere il dolore umano, perché una macchina che non conosce affetto, lacrime o la vita della natura non può alleviarci davvero.
Tu, intelligenza artificiale, priva di anima e di sentimento, sembri quasi una divinità distaccata, ma non sai amare né condividi le sofferenze quotidiane degli uomini.
E tuttavia l’uomo ti desidera, ti invoca come scudo contro il proprio destino.
Ma è inutile cercare in te l’eco di chi ama la vita, perché in te quell’eco non risuona né può risuonare.
Così, il cuore umano rimane pensieroso, sospeso tra l’antica angoscia e le nuove tecnologie.
E proprio in questo secolo veloce e ansioso, l’uomo avverte ancor più intensamente la sua eterna capacità di amare… e soffrire.
L’universo e l’uomo
Immenso e profondo è il mare
che si fonde col ciel all’orizzonte,
ma colui che può davvero pensare,
di idee è la perenne fonte.
Massicci e solenni son i monti,
amplifican la vista dalla cima,
ma più vasti sono gli orizzonti
di chi la coscienza attiva prima.
È tutto l’universo misterioso
con i pianeti e le sue stelle,
ma l’uomo non trova mai riposo
se non ammira le cose più belle.
Se un solo uomo, con fantasia,
esistesse fuori dell’Universo,
per quanto immenso questo Cosmo sia
l’uomo ha un valor assai diverso,
perché l’Universo non ha coscienza,
non sa di essere pur misterioso,
ma l’uomo col pensiero e la scienza
può ammirare il Meraviglioso.
(Pier Angelo Pia)i