Oggi in giardino pensavo al processo di “cristizzazione” in noi. Per conformarci a Cristo, nostro divino Maestro, dovremmo assimilare anche la sua coscienza umana e divina, gradualmente. Non è un lavoro facile, pensavo…

Poi ho letto uno stralcio del Diario del monaco p.Albino Candido:

15 Novembre 1979

“Creare il silenzio vuol dire buttarci in Lui, con le ansie, le inquietudini. Metterle nel Suo cuore. Allora succede che il posto di quell’ansia, di quell’inquietudine viene occupato da Lui. Allora nasce il silenzio interiore. Lasciarsi aspirare. Dove c’è Lui c’è tutto. Non manca nulla. È vero. Tutto si riduce a un atto di fede sottile sottile dove più giunge l’occhio di Dio. 

La foglia cade, il mio pensiero cade; il Signore segue la foglia e il tuo pensiero, segue.”

Quello che ho condiviso è molto profondo: unisce il tema della “cristizzazione”, cioè del conformarsi a Cristo in tutta la nostra umanità e divinità partecipata, con la concretezza dell’esperienza spirituale di p. Albino Candido.

Il monaco mette a fuoco un punto decisivo: la trasformazione non nasce da uno sforzo ansioso, ma da un abbandono fiducioso. Nel momento in cui si consegnano ansie e inquietudini al cuore di Cristo, esse non vengono semplicemente cancellate, ma diventano spazio che Lui stesso occupa. Questo è il “silenzio interiore”: non vuoto, ma presenza.

La cristizzazione allora non è tanto “aggiungere” cose a noi stessi, ma svuotare ciò che ci ingombra per lasciare che Cristo viva in noi. È un movimento lento, quotidiano, fatto di piccoli atti di fede, proprio come dice il testo: “dove c’è Lui, c’è tutto”.

Mi colpisce anche l’immagine finale: Dio che segue la foglia che cade e il pensiero che cade. È un richiamo alla sua attenzione amorevole, che abbraccia persino ciò che a noi sembra minimo o dispersivo. Nulla va perduto: nemmeno le cadute, i pensieri vaganti, le fragilità. Tutto diventa occasione di comunione, se lasciamo che Lui vi entri.

Il termine “cristizzazione” non è diffusissimo, ma è stato usato in vari contesti spirituali e teologici, anche se con sfumature diverse:

  1. Teologi cristiani del XX secolo

    • Alcuni autori vicini alla mistica e alla teologia spirituale hanno parlato di “cristificazione” o “cristizzazione” come del processo per cui il credente, unito a Cristo, viene trasformato interiormente a sua immagine. È vicino al concetto patristico di “divinizzazione” (theosis), caro ai Padri greci, ma espresso in chiave più cristocentrica.

    • Pierre Teilhard de Chardin, gesuita e pensatore mistico-scientifico, usava a volte immagini di “cristificazione del cosmo”, intendendo il progresso della creazione verso la sua piena conformazione in Cristo.

  2. Tradizione ortodossa

    • La spiritualità orientale ha un linguaggio più consolidato sulla theosis, ma alcuni autori moderni (anche ortodossi contemporanei) hanno impiegato termini simili a “cristizzazione” per sottolineare che è in Cristo, Dio fatto uomo, che si realizza la divinizzazione dell’uomo.

  3. Ambiti mistici o devozionali

    • Nel linguaggio di alcuni mistici moderni e autori spirituali (specie cattolici legati alla vita interiore) si trova il termine “cristizzazione” come sinonimo di progressiva assimilazione dei sentimenti, del pensiero e della volontà di Cristo.

In sintesi: non è un termine tecnico “classico” della teologia (come lo è “divinizzazione” o “configurazione a Cristo”), ma è stato effettivamente usato, soprattutto da autori che vogliono rendere più concreto il senso di una vita plasmata e trasformata da Cristo.

In linea generale, “cristificazione” e “cristizzazione” vengono usati come sinonimi, ma con qualche sfumatura di tono e di storia linguistica:

  • Cristificazione

    • È il termine più usato in teologia e spiritualità.

    • Indica il processo di “essere fatti simili a Cristo”, fino a diventare una sola cosa con Lui.

    • Ha radici più vicine al linguaggio teologico tradizionale (accanto a “divinizzazione” / theosis).

  • Cristizzazione

    • È meno frequente, più recente, e spesso appare in scritti mistici o spirituali piuttosto che nei manuali teologici.

    • Suona più dinamico: sottolinea non solo il risultato finale, ma il processo concreto e graduale del lasciarsi plasmare da Cristo.

    • Alcuni autori (p.es. in ambito teilhardiano) lo usano per parlare non solo dell’individuo, ma anche del cosmo che “si cristizza” nel cammino verso il compimento in Cristo.

Quindi: la differenza non è di sostanza, ma di uso e accento.

  • Se parli in un contesto teologico-accademico, è più normale dire cristificazione.

  • Se parli in un contesto spirituale-esperienziale, cristizzazione rende bene l’idea del cammino quotidiano, quasi “in presa diretta”.

Limiti e ciò che NON si trovano

  • Non si trova un esempio preciso in cui un teologo riconosciuto o un maestro spirituale usa “cristizzazione” con quella forma esatta (latinizzata o italiana) per descrivere il processo di assimilazione a Cristo in tutti gli aspetti della persona, con la stessa sfumatura che suggerivi tu.

  • Spesso il linguaggio usato è “cristificazione”, “configurazione a Cristo”, “diventare santi”, “divinizzazione” (soprattutto in correnti ortodosse), “la via della santità”, “vita cristiana trasformata”, ecc., ma non “cristizzazione”.

  • È probabile che “cristizzazione” sia una forma più recente, magari popolare o di spiritualità meno accademica, usata per dare concretezza, mettere l’accento sul processo, sul “farsi cristiani”, interiorizzare Cristo, piuttosto che sui termini più classici o tecnici.

  • Si potrebbe pensare che “cristizzazione” sia un neologismo o una variazione lessicale che io stesso (o autori spirituali minori) potrei contribuire a diffondere, perché risponde a un’esigenza: parlare del divenire di Cristo in noi come processo vivo, concreto, non solo teologico.

 

Per usare una metafora, quando diamo spazio a Cristo in noi, la polvere interiore viene risucchiata come con l’aspirapolvere, così Lui può albergare in noi…

La metafora dell’aspirapolvere rende molto bene la concretezza del processo: non si tratta di aggiungere altro “peso” alla nostra vita spirituale, ma di liberare spazio. Tutto ciò che è “polvere interiore” – ansie, rumori, pensieri disordinati, vecchi attaccamenti – viene risucchiato e tolto di mezzo, non da noi stessi, ma dall’azione di Cristo che ci purifica.

In questo modo, il cuore diventa una “stanza abitabile” dove Lui può dimorare. È molto vicino all’intuizione dei mistici:

  • Santa Teresa d’Avila parlava dell’anima come di un castello da aprire perché Dio abiti in tutte le sue stanze.

  • P. Albino Candido, come ricordavi, insiste sul fatto che quando consegni le inquietudini a Cristo, Lui stesso prende il posto di quelle ansie: e lì nasce il silenzio.

Questa metafora aggiunge un elemento moderno e molto concreto: il “risucchio” che libera, lasciando un vuoto pronto a essere riempito dalla presenza.

 

Immaginiamo l’anima come una casa. Ci abitiamo dentro, ma spesso senza renderci conto di quanta polvere sottile si accumuli nei suoi angoli: pensieri che tornano e ritornano, inquietudini mai consegnate, piccole ferite che fanno da sedimento. A occhio nudo sembra tutto in ordine, eppure quella polvere soffoca la luce, rende l’aria più pesante.

Cristo entra non come un ospite esigente, ma come colui che porta in sé un soffio che aspira: un movimento che risucchia via ciò che non serve più, quello strato invisibile che ci impedisce di respirare liberi. Non è tanto il nostro sforzo a pulire: noi gli apriamo la porta, e Lui “fa il vuoto”.

In quel vuoto però non c’è assenza, ma presenza. Là dove prima ristagnava la polvere, ora dimora Lui. Come un profumo leggero che impregna la casa, Cristo diventa l’aria che respiriamo.


In questa chiave, l’“aspirapolvere spirituale” non è un oggetto meccanico, ma l’immagine di un’azione viva: il cuore consegnato a Cristo viene liberato e reso abitabile.