(Dal “Diario di un pellegrino carnico”, 12 maggio 1983 p.275)

 

Non mi faccio illusioni. Procuro di tenermi avvinghiato a una fede il più possibile concreta ma spoglia, che si nutra del tempo, dell’istante reale che vivo. Momento dopo momento.

Ogni tanto lampi di paura mi trattengono dallo sperare. Ma vivo. Mi arrampico. Mi sforzo di collocarmi nella situazione di chiarezza di fronte alla fede senza valutazioni. Ben conoscendo che le mie valutazioni sul mio conto non rispondono a verità. Mi sforzo di guardare al futuro come Cristo desidera.

Egli vuole: con gioia. E sia con gioia. Ma solo perché è Lui che lo vuole. Non ho niente di mio che sia atto a creare della gioia né a me né ad alcuno. La Risurrezione non è superamento – rifiuto del corpo, ma è vittoria – superamento sulla corruzione.

E la Risurrezione è gioia perché incorruttibilità. Però la Risurrezione non è un effetto delle mie capacità, è solo effetto del mio credere alla Risurrezione, un credere puro, che non abbia per base le mie qualità, anzi una fede tanto pura da escludere in assoluto qualsiasi elemento personale, perché ogni più piccolo elemento di questo genere sa di corruzione e quindi di negazione della Risurrezione.

Eccomi qui. Ho sete. Anche spirituale. Mi sento confuso a pronunciare questo termine: spirituale. E che cos’è lo spirituale se il tutto posto alla luce della Risurrezione si fa trasparente e spirituale?

(Dal “Diario di un pellegrino carnico”, 12 maggio 2021 p.275)

 

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