Fb 5 settembre 2021
Dentro il canto del suono (di p. Ermes Ronchi)
Di nuovo, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidone, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. 32Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. 33Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; 34guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». 35E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. 36E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano 37e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».
Il percorso tracciato da Marco racconta la lunga deviazione di Gesù attraverso la Galilea, passando per le città fenice Tiro e Sidone e arrivando alla Decapoli pagana. Uomo senza confini, è la sutura vivente che cuce i lembi di una ferita, alla ricerca della parte umana che viene prima delle frontiere e di ogni divisione politica, di genere, culturale, religiosa o razziale.
E gli condussero un sordomuto. Uomo prigioniero del silenzio, una vita accartocciata su se stessa come la sua lingua. Un non-uomo. Gesù lo prende, per mano probabilmente, e lo porta via con un dialogo fatto solo di sguardi.
Seguono gesti molto corporei e delicati, trasmessi con il solo calore delle mani e con una carezza sugli orecchi, sulla bocca.
Il mio volto fra le sue mani! A tenere tutto il dolore del mondo che non ce la fa a sfuggire all’ombra dell’assurdo. Fanno piaga in Gesù tutti i silenzi ostili della terra, tutte le relazioni spezzate, quelle senza un perchè.
E pose le dita negli orecchi del sordo, poi con la saliva gli toccò la lingua. Un’intimità senza parole: ti dono qualcosa di mio, di solo mio per te.
Con quel volto fra le sue mani l’uomo comincia a guarire, diventa uomo davvero. E la sua fame di risposte si placa.
Vangelo di contatti, di odori, di sapori. Il contatto fisico era vitale, per Gesù. I corpi diventano luogo santo di incontro, i sensi sono “divine tastiere” (D.M. Turoldo). Prigioniero con quell’uomo impedito, Gesù lo invita: apriti! Come si apre uno scrigno. Come si apre la porta all’ospite, la finestra al sole, le braccia all’amore. Come il cielo dopo la pioggia.
Apriti agli altri e ascolta Dio che viene! Che le tue ferite di prima diventino feritoie attraverso le quali entra ed esce il vento della vita, come il canto del mare ci attraversa e passa oltre.
Per guarire abbandona chiusure, rigidità, blocchi. Esci dalla solitudine dove ti senti al sicuro; non solo è pericolosa, è mortale. Effatà! In aramaico, nel dialetto di casa, nella lingua di tua madre. In quante famiglie si parla tra sordi, culle di silenzio e di solitudini. Quanti figli perduti nelle nostre case, e bastava forse solo ascoltarli.
Così ripete anche a me: Effatà! Esci dal tuo nodo di silenzi e paure; accogli vite nella tua vita, spalanca la tua porta! Altrimenti non scoprirai mai, diceva un tormentato scrittore, «un Dio che gioisce e ride con l’uomo davanti ai caldi giochi del sole e del mare» (Pasolini), ma solo distanza e solitudine.
Se apri la tua porta, la vita viene. Potente come onda improvvisa.
Tanti guariti del Vangelo sembrano poi sparire nel nulla rapiti nel gorgo della gioia, invece stanno fecondando in silenzio la storia. Capaci, ora, di relazioni vere.
Gesù non guarisce i malati per avere credenti al seguito, ma perché siano uomini pieni, uomini liberi. Uomini in piedi affamati di futuro.
Avvenire XXIII
Portarono a Gesù un sordomuto. Un uomo prigioniero del silenzio, una vita senza parole e senza musica, ma che non ha fatto naufragio, perché accolta dentro un cerchio di amici che si prendono cura di lui: e lo condussero da Gesù. La guarigione inizia quando qualcuno mette mano all’umanissima arte dell’accompagnamento.
E lo pregarono di imporgli la mano. Ma Gesù fa molto di più, non gli basta imporre le mani in un gesto ieratico, vuole mostrare l’eccedenza e la vicinanza di Dio: lo prese in disparte, lontano dalla folla: ‘Io e te soli, ora conti solo tu e, per questo tempo, niente è più importante di te’. Li immagino occhi negli occhi, e Gesù che prende quel volto fra le sue mani.
Seguono gesti molto corporei e delicati: Gesù pose le dita sugli orecchi del sordo. Le dita: come lo scultore che modella delicatamente la creta che ha plasmato. Come una carezza. Non ci sono parole, solo la tenerezza dei gesti.
Poi con la saliva toccò la sua lingua. Gesto intimo, coinvolgente: ti do qualcosa di mio, qualcosa che sta nella bocca dell’uomo, insieme al respiro e alla parola, simboli della vita.
Vangelo di contatti, di odori, di sapori. Il contatto fisico non dispiaceva a Gesù, anzi. E i corpi diventano luogo santo d’incontro con il Signore, laboratorio del Regno. La salvezza non è estranea ai corpi, passa attraverso di essi, che non sono strade del male ma “scorciatoie divine” (J.P.Sonnet),
Guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro
Un sospiro non è un grido che esprime potenza, non è un singhiozzo, ma il respiro della speranza, calma e umile, il sospiro del prigioniero (Sal 102,21), e Gesù è anche lui prigioniero con quell’uomo.
E gli disse: Effatà, apriti! In aramaico, nel dialetto di casa, nella lingua della madre, ripartendo dalle radici: Apriti, come si apre una porta all’ospite, una finestra al sole, le braccia all’amore. Apriti agli altri e a Dio, anche con le tue ferite, attraverso le quali vita esce e vita entra. Se apri la tua porta, la vita viene.
Una vita guarita è quella che si apre agli altri: e subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. Prima gli orecchi. Perché il primo servizio da rendere a Dio e all’uomo è sempre l’ascolto. Se non sai ascoltare, perdi la parola, diventi muto o parli senza toccare il cuore di nessuno. Forse l’afasia della chiesa dipende oggi dal fatto che non sappiamo più ascoltare, Dio e l’uomo. Dettaglio eloquente: sa parlare solo chi sa ascoltare.
Dono da chiedere instancabilmente, per il sordomuto che è in noi: donaci, Signore, un cuore che ascolta (cfr 1Re 3,9). Allora nasceranno pensieri e parole che sanno di cielo.