di p. Ermes Ronchi

 

XXIV domenica Mc 8,27-35

 

Carovana multicolore, per strade e villaggi. E per la strada interrogava. Stare con Gesù non era andare a lezione di dottrina, da mandare a memoria, ma essere incalzati da domande. Così libere, così creative.

Per la strada Gesù interroga i suoi, quasi per un sondaggio d’opinione: La gente, chi dice che io sia? E l’opinione della gente è bellissima e sbagliata: Dicono che sei un profeta! Una creatura di fuoco e di roccia, come Elia o il Battista; bocca di Dio e bocca dei poveri.

Ma Gesù non è un uomo del passato, fosse pure il più grande di tutti, che ritorna.

Allora cambia domanda, la fa esplicita, diretta: “e domandava loro: Ma voi, chi dite che io sia?”

Prima di tutto c’è un ‘ma’, ma voi, una avversativa, quasi in opposizione a ciò che dice la gente. Non accontentatevi di una fede “per sentito dire”, non si crede perché in famiglia si è sempre fatto così, perché credeva tua madre o tuo padre.

Ma voi, voi con le barche abbandonate sulla riva del lago, voi che avete camminato con me per tre anni, voi miei amici, che ho scelto a uno a uno, chi sono io per voi?

E lo ripete adesso qui, a noi, a ciascuno.

È il cuore pulsante della fede: chi sono io per te?

Come risposta, Gesù Non cerca parole, cerca persone;

non gli interessano nuove definizioni, ma coinvolgimenti:

che cosa ti è successo, quando mi hai incontrato?

Chi sono io per te? Assomiglia tanto alle domande che si fanno gli innamorati: “quanto posto ho nella tua vita, quanto conto, cosa sono per te? E l’altro risponde: Tu sei la mia vita. Sei la mia donna, il mio uomo, il mio amore”.

 

Il Maestro del cuore non dà lezioni, non suggerisce già le risposte,

ti conduce con delicatezza a cercare dentro di te. E insiste, vedete il verbo all’imperfetto “egli domandava loro”, che indica una azione continuata, ripetuta più volte, insistita…

Non gli interessa un nome come risposta. La Bibbia è piena di nomi di Dio – pastore, sorgente, fuoco, rugiada, vino, amante, vignaiolo, sole, sposo, liberatore, raccoglitore di lacrime, braccio forte, carezza.

Un Salmo lo chiama «roccia e nido» (84,4); un altro lo chiama «sole e scudo» (5, 13), ma sono ancora i nomi degli altri; è ancora ciò che la gente dice, anche se gente santa, anche se con parole ispirate, come il salmista.

Nella Bibbia ci sono mille nomi di Dio, ma c’ è un ultimo nome, il nome segreto, quello più importante, quello che è tuo e che nessun altro conosce, è il tuo affetto per lui, è il tuo sapore di Dio, quella scintilla che ti viene dall’averlo qualche volta sentito in te, e qualche volta anche tradito.

L’ultimo mio maestro di fede, è stato un bambino nella chiesa di San Carlo al Corso, in Milano. Era entrato con la nonna, avrà avuto 5 anni. La nonna è andata ad accendere una candela, il bambino girava col naso all’aria. Dopo un po’ si è fermato davanti al grande crocifisso del ‘400; mi si avvicina, mi tira per la manica, e mi fa: chi è quello lì?

Mi ha spiazzato. Quella domanda, improvvisa e assoluta, mi ha bloccato. Volavano via tutte le risposte dei catechismi e del Credo.

A un bimbo che non ha mai sentito parlare di Dio (mi confermava poi la nonna che i genitori avevano escluso la formazione religiosa, per non condizionarlo: sceglierà lui da grande…) non puoi fornire formule di libri.

Ho sentito che la domanda di quel bambino toccava il cuore della mia fede: chi è quello lì?

Ho chiuso mentalmente tutti i libri, ho aperto la mia vita, ho guardato dentro e qualcosa ho visto.

Allora mi sono abbassato, occhi negli occhi, e gli ho detto: sai chi è quello lì? Uno che ha fatto felice il mio cuore. È Gesù.

Davanti a quel bambino sconosciuto, che mi ascoltava con gli occhi spalancati, ho fatto la mia dichiarazione d’amore al Nazzareno.

Qualsiasi cosa il bimbo se ne faccia, quelle parole mi confortavano, suonavano come la mia risposta a Gesù, anch’io uno fra i dodici, in cammino verso Cesarea di Filippo, lassù alle sorgenti del Giordano…

 

Gesù non ha bisogno della opinione di Pietro per avere informazioni, per sapere se è più bravo dei profeti di prima, ma per sapere se Pietro è innamorato, se gli ha aperto il cuore. Cristo è vivo, solo se è vivo dentro di noi. Il nostro cuore può essere la culla o la tomba di Dio.

Può fare grande o piccolo l’Immenso. Perché l’Infinito è grande o piccolo nella misura in cui tu gli fai spazio in te, gli dai tempo e cuore. Cristo non è ciò che dico di Lui ma ciò che vivo di Lui. Cristo non è le mie parole, ma ciò che di Lui arde in me. La verità è ciò che arde (Ch. Bobin). Mani e parole e cuore che ardono.

 

Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua.

La sua, ciascuno la sua. Il progetto è unico, ma ognuno percorrerà la sua strada libera e creativa; la sua, diversa da tutte, che deve tracciare, che non è già segnata. Non siamo operai che eseguono gli ordini di un padrone, ma artisti sotto l’ispirazione dello Spirito (J. Maritain).

 

Il termine “croce” non indica le pene o le prove della vita, e “prendere” non significa sopportare con pazienza. Croce è la sintesi della vita di Gesù. Prendi per te la vita di Gesù, scegli un destino da messia, da annunciatore, da donatore di vita, da liberatore, da uomo o donna della pace, della giustizia, della misericordia…

Il sogno di Dio non è uno sterminato corteo di uomini, donne, anziani e bambini, che portano croci sulle spalle, incespicano, cadono, si rialzano, e non si lamentano. Che brutta idea di Dio! Pagana, atea…

E mi segua… Seguire Cristo vuol dire incamminarsi verso la sua vita, che era una vita buona bella e beata, buona lieta e creativa. Che è il volto alto e puro dell’uomo, il fiorire della vita in tutte le sue forme. Questo è il Regno e non il moltiplicarsi delle croci sul mondo.

Rimane certo una porzione di fatica e dolore, in ogni vita: perché là dove metti il tuo cuore, là troverai le tue ferite.

 

In ogni caso, la risposta a quella domanda di Gesù deve contenere una piccola parola, l’aggettivo possessivo “mio”, come Tommaso alla sera di Pasqua: Mio Signore e mio Dio.

Un ‘mio’ che non vuol dire possesso, ma passione;

non appropriazione ma appartenenza. Come chi ama: il mio amato è mio e io sono sua.

Mio, come lo è il respiro e, senza, non vivrei.

Mio, come lo è il cuore e, senza, non sarei.

 

 

Cristo, mia dolce rovina

Impossibile amarti impunemente (Turoldo).