L’ANZIANO ARTURO ED IL VERO POTERE – racconto dispotico

Di Pier Angelo Piai

Arturo e il vero potere è un racconto fantastico e distopico che segue la straordinaria vita di Arturo, un uomo di ottant’anni che, apparentemente fragile e anonimo, riceve dai misteriosi alieni incredibili superpoteri: forza, velocità, intelligenza, talento artistico e sportivo senza limiti. Da subito diventa fenomeno mondiale, rivoluzionando sport, scienza, arte e persino la poesia, tra momenti comici e surreali.
Ma il racconto prende una svolta profonda: Arturo perde improvvisamente tutti i suoi poteri e torna a essere l’anziano che era, fragile e normale. È allora che scopre il vero dono: la capacità di amare la vita, gli altri e Dio. La storia celebra così la grandezza dell’essere umano nella sua fragilità e nella sua umanità, mostrando che il potere più grande non è sovrumano, ma nasce dal cuore.
Punti di forza per la pubblicazione:
Protagonista anziano e realistico, in un ruolo eroico insolito.
Combinazione unica di fantasia, ironia, sport, scienza, arte e riflessione spirituale.
Storia positiva, universale e ispirante, adatta a lettori di tutte le età.
Struttura dinamica, con capitoli brevi e scenari vari, ideale per una lettura coinvolgente.
In poche parole, Arturo e il vero potere è un racconto che intrattiene, emoziona e invita alla riflessione, con un messaggio universale: la vera grandezza risiede nell’amore e nella capacità di vivere pienamente, anche senza miracoli.
Descrizione sintetica del racconto
La storia segue Arturo, un uomo di ottant’anni, fragile e anonimo, che viene scelto da misteriosi alieni per ricevere una serie di poteri straordinari: forza sovrumana, intelligenza prodigiosa, talento artistico e sportivo senza limiti. Arturo diventa una leggenda mondiale, un fenomeno mediatico e scientifico capace di rivoluzionare lo sport, la scienza, la medicina e l’arte.
Per un certo periodo vive come un superuomo, ma sempre con l’ironia e l’ingenuità di un anziano qualunque.
Poi, improvvisamente, perde tutto.
Torna a essere ciò che era: un vecchio fragile, lento, vulnerabile, spaventato.
Ma proprio in questa fragilità ritrova ciò che aveva sempre avuto e non aveva mai considerato un “potere”:
la capacità di amare la vita, le persone e Dio.
Capisce che i miracoli alieni erano solo una fase transitoria, e che il dono più grande era la sua umanità.
Con questa nuova consapevolezza vive gli ultimi anni in pace, facendo del bene non grazie a poteri sovrumani, ma grazie alla gentilezza e alla presenza.
Muore serenamente sulla panchina del suo parco preferito, accolto dall’affetto silenzioso della sua comunità e da una luce simbolica che chiude il suo viaggio.
Il significato del racconto
Il racconto parla di cosa significa davvero essere straordinari.
I superpoteri sono solo un pretesto narrativo per mostrare che:
la grandezza non sta nel fare l’impossibile,
ma nel vivere bene il possibile;
non sta nella perfezione,
ma nella fragilità accettata;
non sta nel potere,
ma nell’amore.
Gli alieni rappresentano le illusioni moderne: fama, successo, genialità, prestazione.
Quando questi orpelli spariscono, resta l’unica forza che nulla può togliere:
l’amore, la bontà, la fede, la presenza nel mondo.
Il vero potere di Arturo non era ciò che faceva, ma ciò che era.
E la sua morte serena è il simbolo della completezza raggiunta: un uomo che ha finalmente compreso il valore della vita quotidiana.

CAPITOLO I

L’OTTANTENNE INARRESTABILE

Nella Torino annerita dallo smog e soffocata dalle sirene del coprifuoco, Arturo Mazzini – anni ottanta, schiena curva, passo tremolante – viveva le sue giornate in un appartamento al quinto piano, tra il ticchettio dei termosifoni e il gracchiare del vecchio televisore. Era stato un buon corridore da giovane, nulla di più. Ora a malapena riusciva a fare le scale senza fermarsi.

La notte che tutto cambiò, il cielo s’illuminò di un verde innaturale, come se qualcuno avesse acceso un faro cosmico sopra la città. Arturo, che non dormiva quasi mai, si affacciò alla finestra. Un fascio di luce lo avvolse, senza calore né rumore. Poi, con un lampo, tre figure scesero nella stanza.

Erano alti, sottili, occhi come lastre di vetro nero. Non parlavano, ma l’aria vibrava come se una voce silenziosa gli entrasse direttamente nel cranio.

“Arturo Mazzini. La tua specie sta per soccombere. Ti offriamo un dono.”

Lui, incredulo, si aggrappò alla poltrona. «Un… dono? A me?»

I tre emisero un bagliore pulsante.

“La Terra ha bisogno di un campione che possa mostrare il potenziale umano. Non un giovane: troppo prevedibile. Serviva un paradosso.”

Poi tutto svanì. Nessun dolore, nessuna trasformazione spettacolare. Quando Arturo guardò le sue mani rugose, vide solo… sé stesso. Un ottantenne con i reumatismi.

La mattina seguente, però, tutto mutò. Scendendo in strada, inciampò in una buca e, invece di cadere, fece un salto. Un salto assurdo: tre metri in avanti, atterrando come un ginnasta olimpico. Una donna urlò. Un ragazzo lo filmò col cellulare. Arturo si toccò le ginocchia: non un briciolo di dolore.

Provò a correre. In due minuti era dall’altra parte del quartiere, respirando come se avesse fatto una passeggiata.

Da lì iniziò l’incubo.

Al circolo sportivo del borgo, dove lo chiamavano “nonno Arturo”, tentò di spiegare il suo nuovo talento. Nessuno gli credette. Risero tutti, finché non lo videro sollevare un bilanciere da 200 chili come se fosse un sacchetto della spesa. I video si moltiplicarono in rete, ma molti gridarono al trucco digitale. «Effetti speciali!», «Hanno preso un attore e lo fanno passare per un vecchio!»

Le autorità iniziarono a pedinarlo. Gli scienziati volevano studiarlo. I media lo inseguivano. E intanto i tornei sportivi crollavano sotto il peso dell’impossibile: Arturo vinceva tutto. Maratone, pugilato, tuffi, scacchi – sì, anche quelli, perché gli alieni gli avevano potenziato pure la mente.

Eppure, il mondo lo guardava con sospetto. L’umanità era troppo stanca, troppo diffidente, per accettare un miracolo ambulante con le ginocchia scricchiolanti e i capelli bianchi.

Il massimo arrivò al Campionato Mondiale Unificato, l’ultimo evento trasmesso globalmente prima del collasso informativo. Arturo fu costretto a partecipare da un governo che voleva dimostrare supremazia nazionale. Lo stadio era pieno di droni, le tribune illuminate da luci fredde.

Lui salì sulla pedana del sollevamento pesi. Il pubblico rise: somigliava a un bisnonno smarrito, vestito con una tuta troppo larga.

Poi Arturo afferrò il peso: 500 chili. Un ruggito salì dalla folla. Lo alzò sopra la testa come si solleva un gatto. Lo tenne lì, immobile, sorridendo con la bocca sdentata. Un silenzio irreale si abbatté sul mondo.

Per la prima volta, la gente non vide un trucco. Vide l’impossibile diventare reale. E in quell’istante, il Pianeta decise di credergli.

Fu allora che il cielo tornò verde. Gli alieni comparvero sopra lo stadio, questa volta visibili a tutti. Le loro voci mentali scesero come un coro glaciale:

“Il paradosso funziona. La vostra specie ricorda che l’impossibile può ancora esistere.”

Arturo, stremato ma felice, alzò il pugno come un eroe di un’altra epoca.

Gli extraterrestri svanirono. E il mondo, in qualche modo, ricominciò a respirare.

Da quel giorno, Arturo Mazzini, ottantenne imbattibile, non fu più un fenomeno da deridere ma il simbolo di una seconda occasione per l’umanità.

E mentre camminava lentamente verso casa – perché nonostante i poteri, gli piaceva camminare piano – sorrideva al pensiero che, forse, non era mai stato così vivo.

CAPITOLO II — IL BOMBER DAI CAPELLI BIANCHI

Dopo mesi di polemiche, di video virali denunciati come fake e di interviste assurde in cui Arturo Mazzini doveva ripetere: «Sì, ho ottant’anni. No, non sono un attore truccato. Sì, posso correre più veloce di un levriero», il vecchio campione decise che voleva riprovare almeno una cosa dell’infanzia: il calcio.

Da ragazzo aveva giocato ala destra nella squadra dell’oratorio. Da adulto, quando le ginocchia avevano iniziato a scricchiolare come porte arrugginite, aveva smesso. Ora che poteva sollevare un camion con una mano, pensò che un pallone non potesse dargli troppi problemi.

Le squadre professionistiche, però, non ne vollero sapere. Troppo rischioso, troppo strano, troppo “vecchio per essere vero”. E soprattutto: troppa paura del ridicolo.

Così Arturo bussò alla porta della U.S. Borgo San Damiano, una squadra provinciale che giocava in un campionato talmente minore che perfino i gatti della zona guardavano le partite con indifferenza. Il presidente, un ex idraulico con i baffi da gufo e la giacca sempre un po’ unta, lo squadrò da capo a piedi.

«Lei vuole fare… cosa? L’attaccante?»

«Sì,» disse Arturo con il suo sorriso mite. «Sono in forma.»

«Lei ha ottant’anni!»

«Appunto. Ho esperienza.»

Il presidente si mise a ridere, ma quando Arturo, per dimostrare qualcosa, calciò un pallone da metà campo e lo spedì a perforare la rete come un proiettile, l’uomo cambiò espressione.

«Va bene. Tesserato. Ma se si rompe un femore, io non c’entro niente.»

L’esordio

Il giorno del debutto arrivò con un cielo color piombo e un vento che frustava il campo sterrato. Sugli spalti, una trentina di persone, per lo più parenti dei giocatori e pensionati in cerca di emozioni forti.

Arturo venne mandato in campo negli ultimi venti minuti, giusto per accontentarlo. Entrò correndo come un anziano che ha sbagliato fermata dell’autobus, ma appena toccò palla, il mondo trattenne il respiro.

Prima azione: dribbling secco su tre difensori che non capirono nemmeno da che lato fosse passato.

Seconda azione: tiro da fuori area, dritto all’incrocio dei pali.

Terza: scatto sulla fascia; velocità registrata dai cronometri amatoriali: 37 km/h.

La partita finì 5-0. Quattro gol di Arturo, uno suo e uno… pure quello suo, perché l’arbitro gli diede un autogol per sbaglio, convinto che fosse matematicamente impossibile che avesse segnato ancora.

Il lunedì successivo, la U.S. Borgo San Damiano registrò il primo tutto esaurito della sua storia. Le partite venivano trasmesse in streaming da ragazzini con gli smartphone. I siti di scommesse impazzirono.

Arturo segnalava ogni volta con gentilezza che non era merito suo: «Lo so che sembra strano, ma sono davvero un ottantenne qualunque… con un piccolo aiutino alieno.»

Nessuno gli credeva, ma tutti pagavano il biglietto per guardarlo.

Il manager

La svolta arrivò in una domenica in cui Arturo segnò sei gol, uno dei quali calciando la palla da posizione quasi impossibile, spalle alla porta, dopo aver fermato il pallone… con i denti. La folla esplose, le riprese rimbalzarono su tutti i social, e quella sera stessa un uomo elegante, in cappotto lungo e occhiali fumé, si presentò negli spogliatoi.

«Arturo Mazzini?» chiese con voce bassa e professionale.

«Sì, sono io. Sono un po’ sudato, mi scusi.»

L’uomo sorrise appena. «Mi chiamo Riccardo Lamberti. Sono il manager della Stella Nova, lei saprà chi siamo.»

Certo che sapeva. Una delle squadre più ricche e influenti del Paese, praticamente un impero sportivo. Erano famosi per scovare talenti improbabili, ma un ottantenne no: quello mancava all’appello.

«Ho visto abbastanza,» continuò Lamberti. «Non mi interessa come lo fa. Non mi interessa se è un miracolo, un trucco o un caso inspiegabile. Io voglio che lei venga a giocare con noi. E lo voglio adesso.»

Il presidente della Borgo San Damiano, che fino a quel momento spiava dalla porta, si affacciò con gli occhi lucidi:

«Possiamo parlarne… di prezzi… di clausole… di soldi… molti soldi…»

Arturo, invece, si asciugò la fronte e guardò Lamberti con calma.

«Mi lasci almeno finire la stagione qui. Ho promesso ai ragazzi che avremmo tentato la promozione.»

Lamberti lo fissò come si fissa un enigma extraterrestre, poi annuì.

«Va bene. Ma sappia che, appena sarà libero… la Stella Nova la vorrà. E il mondo intero guarderà.»

Arturo sorrise. «Meglio che si abituino. Non capita tutti i giorni di vedere un bomber con il bastone da passeggio.»

CAPITOLO III — IL BOMBER GALATTICO (E LE SECCATURE TERRESTRI)

La stagione della U.S. Borgo San Damiano finì in gloria: promozione, trofei improvvisati, striscioni fatti con le lenzuola rubate dai balconi. Arturo, con i suoi 48 gol in 12 partite, era diventato una specie di mascotte celeste.

Quando finalmente firmò il contratto con la Stella Nova, la notizia esplose ovunque. I media saltarono addosso alla notizia come piccioni su una brioche.

La conferenza stampa si tenne in un auditorium pieno di giornalisti, flash e domande deliranti.

«Signor Mazzini, è vero che dorme in una camera criogenica?»

«Cosa mangia per colazione? Idrogeno liquido?»

«Ha davvero corso i cento metri in cinque secondi? E se sì, perché non lo ha raccontato prima a sua moglie?»

«È disposto a mostrare la radiografia delle sue anche?»

Arturo, seduto con la tuta della Stella Nova che gli stava larga come un pigiama, sospirò:

«Mangio fette biscottate. Normali. Non radioattive.»

Dietro di lui, il presidente della squadra annuiva con una serietà che sfiorava la santità.

Le reazioni del mondo

La notizia di un ottantenne ingaggiato da una squadra di vertice fece scatenare il pianeta.

I giornali sportivi titolavano: “Il nuovo Maradona del reparto geriatrico!”

I talk-show lo analizzavano come un fenomeno antropologico: “È un cyborg? Un mutante? Un vecchio molto motivato?”

I governi volevano capire se fosse un’arma segreta esportabile.

Le società farmaceutiche iniziarono a proporre integratori chiamati “Formula-Arturo”, “L’Elisir dell’Ottantenne”, “Gambe d’Acciaio 80+”.

Il Vaticano, improvvisamente coinvolto, annunciò che non aveva mai ricevuto richieste ufficiali di esorcismi, ma era “disposto a discuterne se necessario”.

Persino il Ministero dello Sport emise un comunicato:

“Noi non sappiamo cosa stia succedendo, ma purché paghi le tasse, va tutto bene.”

L’ingaggio ufficiale

Il primo allenamento fu surreale.

I giovani atleti della Stella Nova guardarono Arturo come si guarda un nonno capitato per sbaglio al campo di calcio. Uno gli offrì gentilmente una coperta. Un altro cercò di aiutarlo a fare stretching per evitare che “si sbriciolasse come biscotti secchi”.

Poi iniziò la partitella.

Arturo prese palla. Fece un tunnel a un difensore. Saltò il portiere come una rondine. Segnò con un colpo di tacco all’indietro. Silenzio assoluto. Un centrocampista sussurrò:

«Ragazzi… questo ci umilia pure se lo facciamo giocare con il deambulatore.»

Il mister, dopo il settimo gol, decise ufficialmente che Arturo sarebbe stato titolare fisso fino a eventuale meteorite.

Il ritorno degli alieni (con problemi tecnici)

Una settimana prima del debutto ufficiale nel campionato nazionale, accadde l’imprevisto.

Il cielo sopra il centro sportivo si tinse di verde.

Un suono acuto, simile al fischio dell’arbitro ma più cosmico, vibrò nell’aria.

Un fascio di luce scese sul campo, interrompendo la partitella.

I giocatori scapparono urlando.

Il mister si nascose dietro la panchina pregando tutti gli dei conosciuti.

Arturo sospirò. «Di nuovo?»

Gli alieni apparvero, stavolta… un po’ storti. Uno aveva un braccio più lungo. Un altro lampeggiava a intermittenza come un router malfunzionante.

“Arturo Mazzini…” dissero con voce mentale.

La frase, però, fu seguita da un ronzio statico.

“…errore di sincronizzazione dimensionale… tentativo di ripristino…”

L’alieno a sinistra si riavviò. Letteralmente: si spense e si riaccese.

Arturo sollevò una mano come farebbe un nonno con poco tempo da perdere alla posta.

«Ragazzi, sto per iniziare la stagione. Non potete farmi un crash proprio adesso.»

Il capo alieno, lampeggiante, rispose:

“Siamo qui per verificare il funzionamento del potere… SuperCampione UltraSportivo Anziano Edizione Terra 1.0…”

Pausa.

“…ci scusiamo per eventuali bug.”

Arturo sbuffò. «Per esempio?»

“A volte potresti saltare troppo. A volte potresti… incandescenti brevi. Inoltre abbiamo notato l’occasionale tendenza a segnare gol troppo spettacolari.”

«Troppo spettacolari?»

“Sì. La specie umana gestisce male ciò che è impossibile.”

Arturo li fissò. «E adesso?»

Gli alieni lampeggiarono all’unisono.

“Aggiornamento firmware completato. Buona stagione sportiva.”

E svanirono, lasciandosi dietro solo un rumore che sembrava una risata… o un antivirus che riparte.

Arturo tornò in campo, prese il pallone, e provò un tiro dal centro.

La palla esplose via come un missile, uscendo dallo stadio e centrando — con precisione aliena — la targa di una macchina a tre strade di distanza.

«Perfetto…» disse Arturo. «Hanno aggiunto la modalità cecchino.»

E gli altri giocatori, ormai rassegnati, decisero che forse era meglio non chiedere spiegazioni.

IL “PICCOLO” STRATAGEMMA DEL GRANDE ARTURO

Quando la Stella Nova firmò il pre-accordo con Arturo, il problema esplose immediatamente:

il regolamento nazionale vietava l’ingaggio di nuovi giocatori professionisti oltre i 37 anni.

Arturo ne aveva 80. Ottanta tondi. Ottanta che sembravano cento e venti.

Il presidente della Stella Nova, pallido come un fazzoletto bagnato, sbatté la cartellina sul tavolo:

«Ma non possiamo metterlo in squadra! È fuori dai limiti d’età di… quarantatré anni!»

La dirigenza entrò nel panico. Gli avvocati sportivi iniziarono a girare pagine di codici con la stessa angoscia di chi cerca l’antidoto a un veleno sconosciuto. Tutte le soluzioni sembravano impossibili, illegali o entrambe.

Finché Arturo, che fino a quel momento aveva ascoltato in silenzio mangiando biscotti secchi, disse:

«Posso proporre una cosa?»

Tutti si girarono verso di lui, già rassegnati.

«Non potete tesserarmi come giocatore anziano,» disse con tranquillità, «ma potete tesserarmi come… preparatore atletico specializzato in dimostrazioni funzionali.»

La sala rimase muta.

«Che significa?» chiese il presidente.

Arturo sorrise:

«Significa che io formalmente sono un membro dello staff tecnico. Ma, secondo l’articolo 14-bis regolamentare, i membri dello staff possono entrare in campo temporaneamente per esercizi tattici, simulazioni, o per sostituire un giocatore in “situazioni di emergenza tecnica”.»

Il direttore sportivo sbarrò gli occhi. «E sarebbe emergenza tecnica…?»

«Beh,» rispose Arturo, «diciamo che ogni volta che la squadra è in svantaggio… è chiaramente un’emergenza tecnica.»

Gli avvocati, increduli, iniziarono a sfogliare il regolamento. Dopo dieci minuti di sussurri, mormorii e mal di testa, uno si alzò:

«Non c’è scritto da nessuna parte che il preparatore non possa giocare. Non è consigliato, non è normale, ma non è… vietato.»

Il presidente sbalordito si passò una mano sulla fronte. «E quindi?»

L’avvocato esclamò:

«Quindi… sì. Può funzionare.»

La presentazione ufficiale: un capolavoro di faccia tosta

La conferenza stampa successiva fu una scena comica degna di un film.

Il portavoce della Stella Nova dichiarò:

«Siamo orgogliosi di presentare il nuovo Preparatore Atletico Specialista in Movimenti Evoluti per l’Età Avanzata… il signor Arturo Mazzini.»

Un giornalista alzò la mano:

«Perché ha la maglia numero 9?»

«È una… tradizione motivazionale,» rispose il portavoce sudando.

«Perché si allena con gli attaccanti?»

«Osservazione tecnica.»

«Perché lo abbiamo visto segnare di tacco da quaranta metri?»

«Esercizio dimostrativo… molto evoluto.»

Tutto sembrava assurdo, eppure legalissimo.

La federazione sportiva, messa di fronte alle carte, non poté fare nulla. Il regolamento era stato scritto male, con abbastanza buchi normativi da far passare una balena.

O un ottantenne supersonico.

Così, Arturo divenne il primo preparatore atletico della storia autorizzato a giocare in campionato ogni volta che “la situazione tecnica lo richiedeva”.

E guarda caso…

La situazione tecnica lo richiedeva sempre.

Sempre.

Il commento degli alieni

Quella sera, quando Arturo rientrò a casa, un bagliore verde illuminò il soggiorno.

“Abbiamo osservato la tua soluzione,” dissero gli extraterrestri.

“È… molto umana.”

Arturo si tolse le scarpe e rispose:

«Grazie. Noi siamo maestri nel fare funzionare le cose che non dovrebbero funzionare.»

Gli alieni lampeggiarono come se fossero divertiti.

“Età biologica: ottant’anni. Età mentale: dodici.”

«Lo prendo come un complimento.»

E svanirono.

CAPITOLO IV — IL DEBUTTO (E IL CAOS) UFFICIALE

Il grande giorno arrivò.

Il Gran Stadio Metropolitano era pieno di tifosi, droni ripresa, telecamere ovunque. L’atmosfera era quella di un evento epocale, anche se nessuno voleva ammettere che la metà del pubblico era venuta solo per vedere se l’ottantenne sarebbe sopravvissuto ai primi cinque minuti.

I giocatori della Stella Nova entrarono in campo. Arturo no.

Perché ufficialmente… era preparatore atletico.

Stava seduto in panchina, tuta blu, cappellino, e un’espressione da nonno al picnic.

L’inizio della partita

La Stella Nova affrontava la temibile Rocaforte 1907, una squadra famosa per due cose:

il gioco fisico al limite del codice penale,

una mentalità difensiva così rigida da sembrare costruita col cemento armato.

Dopo venti minuti, i tifosi già mugugnavano.

La Rocaforte aveva segnato l’1-0, e la Stella Nova non riusciva a collegare due passaggi di fila.

Il mister, sudatissimo, si avvicinò ad Arturo.

«Secondo te… è un’emergenza tecnica?»

Arturo prese un appunto su un taccuino.

«Direi che siamo in emergenza tecnica acuta con rischio di imbarcata galattica.»

«Allora vai,» disse l’allenatore con la rassegnazione di un uomo che ha firmato un patto col destino.

L’ingresso in campo

L’annuncio dello speaker echeggiò nello stadio:

«Entra in campo… il preparatore atletico… signor Arturo Mazzini?»

Il pubblico rimase in silenzio per tre secondi.

Poi esplose in una fragorosa risata.

I tifosi della Rocaforte cantarono:

«CO-SA NE FA-CIA-MO? ADOTTIAMO IL NONNO!»

Arturo entrò camminando con passo tranquillo, salutando tutti con la manina come se fosse in gita al museo.

Gli avversari, vedendolo, si scambiarono sguardi perplessi.

Un difensore disse: «Ma è legale? Sicuri?»

L’altro rispose: «Se lo tocchiamo e cade… ci arrestano.»

Un terzo aggiunse: «Io non placc… ehm, non affronto mio nonno, figuriamoci lui.»

Il primo pallone

Il centrocampista della Stella Nova gli passò la palla con estrema delicatezza, come si porge un vaso di cristallo.

Arturo fece un controllo perfetto.

Poi scattò.

E qui lo stadio cambiò umore.

Arturo corse lungo la fascia come un treno ad alta velocità. I suoi passi facevano sollevare la polvere in scie perfettamente simmetriche, quasi… alienamente simmetriche. Superò tre difensori che rimasero lì, immobili, a chiedersi se avessero appena avuto un’allucinazione collettiva.

Davanti al portiere, fece una finta lenta. Lentissima.

Talmente lenta che sembrava che avesse premuto “pausa” sul mondo.

Il portiere abboccò lo stesso. Tiro secco. Gol.  1-1. Silenzio glaciale. Poi esplosione totale.

Il caos regolamentare

La panchina avversaria insorse.

L’allenatore della Rocaforte 1907 urlò:

«NON È REGOLARE! È UN TRUCCO! È UN OLOGRAMMA DI 80 ANNI!»

Il quarto uomo si avvicinò con aria confusa:

«Signori… il regolamento dice che… tecnicamente… lui può stare in campo.»

«MA HA OTTANT’ANNI!»

«Non è vietato.»

«MA SEMBRA IL NONNO DI TUTTI NOI!»

«Non è vietato.»

«MA CORRE COME UN AEREO!»

«Neanche questo è vietato. O almeno… non ancora.»

Il mister della Stella Nova intervenne:

«Se avete problemi, parlate col nostro avvocato.»

Dall’altra parte risposero:

«E dov’è il vostro avvoc—»

Un uomo in giacca elegante spuntò fuori dalla panchina con una pila di documenti.

«Eccomi.»

Fine della discussione.

Il secondo tempo

La Rocaforte, irritata, decise di marcare Arturo in quattro.

In quattro. Per un ottantenne…

Risultato?

Arturo fece tre gol in contropiede mentre gli avversari si aggrovigliavano tra loro come radici di un albero.

Al 90°, il tabellone segnava:

Stella Nova 4 – Roccaforte 1

(con Arturo autore di una tripletta e mezza, perché un gol fu “involontariamente spettacolare”, secondo l’arbitro).

Intervista post-partita

Un giornalista si avvicinò ad Arturo:

«Come si sente ad aver segnato tre gol nel suo debutto?»

«Mah… io sono solo venuto a fare esercizi dimostrativi.»

«E… il gol da quaranta metri?»

«Era un esercizio un po’… entusiasta.»

«E i difensori che non riuscivano a starle dietro?»

«Serviva una dimostrazione più completa.»

Poi il giornalista chiese:

«Ma davvero ha ottant’anni?»

«Ottanta e mezzo.»

«E il segreto qual è?»

«Dormire bene, mangiare verdura… e un piccolo aggiornamento firmware interplanetario.»

Il giornalista rise. Arturo no. Il giornalista smise subito.

Durante la notte…

Arturo tornò a casa, stanco ma felice.

Sul balcone lo attendeva un bagliore verde.

Gli alieni.

“Arturo Mazzini…”

“Osservazione: la tua prestazione è stata… sospetta perfino per gli standard terrestri.”

«In che senso?» chiese lui.

“Hai superato il livello massimo previsto.”

«E allora?»

Gli alieni si guardarono tra loro, imbarazzati.

“Temiamo che il tuo aggiornamento includa… funzioni sperimentali che noi… non abbiamo effettivamente autorizzato.”

«Che tipo di funzioni?»

“Non lo sappiamo. Non erano in programma.”

Arturo si grattò la testa.

«Fantastico. Mi avete messo un DLC galattico difettoso.»

CAPITOLO V — FUNZIONI SPERIMENTALI NON RICHIESTE

La notte successiva al debutto, Arturo dormì profondamente. Talmente profondamente che russò con una frequenza ritmica capace di far vibrare i vetri come un piccolo terremoto.

A metà notte… accadde qualcosa.

Gli alieni avevano parlato di “funzioni sperimentali non autorizzate”. Arturo non ci aveva capito molto. E aveva deciso di ignorare il problema, come farebbe chiunque quando riceve un avviso di aggiornamento troppo tecnico.

Peccato che gli aggiornamenti tecnici… non ignorino te.

La mattina successiva

Arturo si alzò, preparò il caffè e si avvicinò alla finestra. Poi la aprì. E la finestra… volò via. Sì. Letteralmente.

Gli si staccò dal muro come se fosse fatta di cartone e si librò in aria per tre secondi prima di cadere nel cortile.

Arturo rimase immobile. Sorseggiò il caffè.

Poi sospirò: «Ottimo. Adesso lancio involontario di infissi.»

Per scrupolo controllò le mani. Erano normali. Rugose, nodose, vecchie. Ma qualcosa nel suo corpo non lo era più.

Il fenomeno del “salto incontrollato”

Per andare all’allenamento, Arturo uscì di casa.

Fece un primo passo sul marciapiede… e BOING!

Schiizzò in aria di tre metri.

Come se avesse molle sotto i piedi.

Atterrò su una macchina parcheggiata, sfondandone il tetto.

Un passante, impressionato, disse:

«Eh… la ginnastica dolce funziona, a quanto pare.»

Arturo scese dal cofano, scusandosi con l’automobilista (una signora di 93 anni che, fortunatamente, aveva perso l’udito e non aveva capito nulla).

In campo: caos totale

All’allenamento, il mister notò che Arturo era più strano del solito — e considerato che solito significa “ottantenne supersonico con poteri alieni”, era già un’impresa.

«Arturo, tutto bene?»

«Non proprio. Ho lo stato di sistema instabile.»

«Cosa?»

«Lasciamo perdere. Iniziamo.»

La partitella cominciò.

Primo pallone per Arturo. Controllo, dribbling, tiro. E la palla si sdoppiò.

No, davvero: si sdoppiò in due traiettorie identiche.

Un difensore urlò: «IO MARCO QUESTA!»

Un altro: «IO L’ALTRA!»

Entrambe finirono in rete. I portieri si guardarono e fecero spallucce.

«Ok, è ufficiale,» disse il mister. «Ora fa gol quantistici.»

Funzione sperimentale n.2: il teletrasporto emozionale

Durante un’azione, Arturo si emozionò — un ricordo degli anni ’60, la nostalgia di un campetto sterrato, la musica leggera alla radio…E POOF! Sparì.

Riapparve due secondi dopo, davanti alla porta avversaria.

«Che è successo?!» urlò un difensore.

Arturo rispose tranquillo:

«Credo di aver attivato… la modalità teletrasporto vintage. Sembrano legati ai ricordi d’infanzia. Interessante, no?»

«NO!» gridarono tutti in coro.

Funzione sperimentale n.3: il dribbling… narrativo

Il culmine arrivò quando Arturo si trovò circondato da cinque giocatori.

Normalmente li avrebbe superati con eleganza.

Questa volta, invece…

Appena fece il primo passo, una voce profonda riecheggiò nel campo:

«Arturo avanza con passo leggero, come un eroe sul fil di leggenda…»

La voce narrava ogni suo movimento. Ad alta voce. In stile documentario epico.

«…affronta gli avversari, che tremano come foglie nell’autunno cosmico…»

«Chi sta parlando?!» gridò il mister.

«…e con eleganza sovrumana li supera, lasciandoli nella polvere dei loro dubbi esistenziali…»

I difensori si fermarono, confusi, alcuni quasi commossi.

Arturo completò l’azione con un tiro a giro che entrò all’incrocio.

L’altoparlante misterioso concluse: «…e segna il gol del destino. Fine del capitolo.»

Poi tutto tacque.

Reazione della squadra

Silenzio assoluto.

Poi il capitano, con tono disperato, disse: «Sei… posseduto da un audiobook?!»

Il mister non sapeva se ridere o licenziarsi.

Arturo scrollò le spalle.

«Sembra una funzione sperimentale narrativa. Gli alieni l’hanno lasciata in beta, credo.»

E proprio in quel momento… Il cielo diventò verde. Ancora.

Tre alieni scesero in campo, uno oscillando come una lampadina che fa contatto.

“Abbiamo monitorato il tuo sistema.”

“Ci scusiamo: la tua versione ha installato automaticamente il pacchetto SuperCampione PRO Max Ultra Edition.”

“Era destinato ai gladiatori di un’altra galassia.”

«Ah, ecco. Mi sembrava diverso dal solito.»

“Dobbiamo… sistemare alcune funzioni.”

Un alieno tirò fuori un dispositivo che sembrava un telecomando anni ’90. Pigiò un pulsante.

Arturo lampeggiò. Gli alieni si guardarono.

“Ops. Crediamo di aver aggiunto… qualcos’altro.”

«Cosa?» chiese lui.

“Non lo sappiamo.”

E sparirono.

Arturo rimase lì, immobile, circondato da compagni increduli.

Il mister si avvicinò e si mise una mano sulla faccia.

«Arturo… cos’altro può succedere?»

Arturo, serissimo, rispose:

«Non lo so. Ma se improvvisamente inizio a parlare in rima o a fluttuare… non allarmatevi.»

CAPITOLO VI — ROVESCIO INTERGALATTICO

Dopo le strane funzioni sperimentali degli alieni, Arturo decise che aveva bisogno di un giorno di pausa dal calcio.

“Solo un po’ di attività tranquilla,” pensò.

“Qualcosa di semplice. Qualcosa senza teletrasporti, rimbalzi, narrazioni epiche…”

Scelse il tennis.

Il campo comunale era libero. Il custode, un uomo di 63 anni con i baffi anni ’70, gli diede una racchetta usurata, convinto che l’anziano volesse solo fare due tiri “alla salute”.

«Vai piano, eh?» disse il custode. Arturo annuì. E per due minuti… ci provò davvero.

Primo servizio: moderato

Arturo lanciò la pallina, mosse il braccio con delicatezza…

E la pallina partì a una velocità tale da bruciare l’aria:

FWOOOOOOSSH!

Colpì il fondo campo, rimbalzò… e forò la recinzione.

Un uccellino, spaventatissimo, fece un’inversione di volo che avrebbe meritato una medaglia.

Il custode rimase a bocca aperta.

«Cos— COSA HAI FATTO?!»

«Un servizio normale… credo.»

La scoperta del potere “Top Spin Galattico”

Arturo decise di provare un colpo semplice: un dritto in top spin.

Appena la racchetta toccò la pallina, questa iniziò a girare sempre più velocemente.

Sempre di più. Sempre di più.

«Forse sta girando un po’ troppo…» mormorò.

La pallina, ormai un globo luminoso, generò una piccola brezza che spettinò il custode.

Poi, con un PING! secco, partì in avanti descrivendo una curva impossibile che rientrò, si rialzò, fece un giro attorno alla rete e cadde esattamente sulla linea.

Il custode si toccò il petto. «Mi serve un defibrillatore…»

L’arrivo dell’avversario improvvisato

Un ragazzo del posto, ventenne, atleta universitario, entrò nel campo accanto. Vedendo l’anziano colpire così, disse ridendo:

«Nonno, vuoi fare due palleggi? Ma stai tranquillo eh, che non voglio farti correre.»

Arturo sorrise. «Farò del mio meglio.»

Il ragazzo servì. Una palla tesa e potente.Arturo fece un passo indietro, allargò la racchetta… E colpì.

La pallina tornò indietro a una velocità così alta che il ragazzo vide solo un lampo bianco prima che gli sfrecciasse vicino all’orecchio e colpisse il telone alle sue spalle, lasciando un buco grande quanto un melone.

Il ragazzo rimase immobile. Poi si avvicinò lentamente.

«Chi… chi diavolo sei?»

«Ottant’anni suonati e un abbonamento alieno accidentale, credo.»

Il passaparola: “IL NONNO DELLA METEORA”

In meno di un’ora:

tre ragazzi avevano filmato Arturo con il telefono

due video erano diventati virali

un blogger sportivo gridava: “NUOVO FENOMENO ALIENO NEL TENNIS DILETTANTISTICO!”

una radio locale annunciava: “Un anziano ha distrutto una rete da tennis con un backspin!”

Arturo, ignaro di tutto, continuò a giocare.

La sfida del Maestro

Alle 17 arrivò al campo il Maestro di tennis locale, noto per la barba bianca e la sua arroganza olimpica.

«Sono venuto a vedere il… prodigio.»

«Buonasera» disse Arturo educatamente.

«Vorrei verificare di persona. Facciamo uno scambio.»

Il Maestro servì con una tecnica perfetta. Una palla rapida, precisa, implacabile. La specialità della casa.

Arturo la guardò arrivare. Respirò. E colpì un rovescio.

Il rovescio non solo superò il Maestro…ma fece:

Una parabola alta 12 metri

Una curva a sinistra, poi a destra

Una rotazione finale

Un rimbalzo che tornò indietro da solo oltre la rete

Una seconda rotazione completamente inutile ma esteticamente bellissima

Il Maestro rimase immobile. Poi lasciò cadere la racchetta.

«Io… io vado. Mi ritiro. Addio.»

E se ne uscì dal campo in silenzio, guardando nel vuoto, come se avesse visto la fine dell’era umana.

Arturo tornò a casa con la racchetta. Nel cortile, due ragazzini si avvicinarono.

«Signore! È vero che la palla che ha lanciato ieri è finita in un parco a 3 km di distanza?»

«Non esagerate… due chilometri e mezzo al massimo.»

Salì in casa, sospirando.

«E adesso? Prima il calcio, ora il tennis…Che altro mi avranno sbloccato quegli alieni?»

Le luci del soffitto tremolarono. Un bip misterioso risuonò nella stanza. Arturo si immobilizzò.

«Oh no. Un altro aggiornamento?»

CAPITOLO VII — LA PASSEGGIATA INTERROTTA

Era una di quelle sere invernali in cui la città sembra sospesa in una cartolina: luci dorate, alito che si condensa, profumo di castagne e autobus in ritardo di almeno quarantacinque minuti.

Arturo camminava piano, godendosi la calma.

Aveva la sciarpa di lana della defunta moglie, il cappotto buono e un sorriso sereno.

Per un attimo quasi si dimenticò dei poteri alieni, dei gol impossibili, dei rovesci devastanti.

La vita, ogni tanto, sapeva ancora essere semplice.

Almeno fino a quando… non imboccò un vicolo.

L’incontro

Tre ragazzi si staccarono dal muro come ombre malintenzionate.

Vestiti larghi, cappucci alti, alito sospetto (di cosa fosse non era chiaro e meglio non saperlo).

«Ehi, nonno!»

«Bella serata per fare beneficenza, eh?»

«Facci un favore: lascia qui il cellulare, l’orologio e il portafoglio e fila via.»

Arturo si fermò.

Li osservò.

Erano giovani, nervosi e convinti di essere più forti di quello che vedevano.

Un uomo anziano, curva lieve nella schiena, mani tremolanti per il freddo.

Uno dei tre gli sferrò una pacca sulla spalla.

«Dai nonno, non ci far perdere tempo.»

Arturo sospirò.

«Ragazzi… non è una buona idea.»

I tre risero.

«Ah sì? E che fai, ci tiri la dentiera?»

La calma prima della tempesta

Arturo aveva tre opzioni:

Fuggire usando uno dei suoi teletrasporti.

Agire come un ottantenne normale e cercare di negoziare.

Usare, con estrema moderazione, qualche funzione aliena non offensiva.

Scelse una via di mezzo.

«Ragazzi, guardate che ho delle… condizioni particolari.»

«Sì sì, patologie senili, lo sappiamo. Sbrigati.»

«Vi prego, è per il vostro bene…»

Il terzo bullo, quello più nervoso, afferrò Arturo per il bavero del cappotto.

Errore gravissimo.

Funzione aliena imprevista: “Slittamento Ultra-Liscio”

Appena il ragazzo lo tirò, un bip minuscolo uscì dal corpo di Arturo. E lui… scivolò. Scivolò come se fosse stato cosparso di sapone siderale.

Il bullo perse la presa e finì per abbracciare il lampione.

L’altro che tentò di afferrarlo cadde in ginocchio, mentre Arturo, senza volerlo, eseguiva una piroetta degna di un pattinatore olimpico su ghiaccio.

«Ma cosa—?!» urlò uno.

Arturo cercò di fermarsi.

«Scusate! Non è… voluto!»

L’effetto durò qualche secondo, durante i quali i bulli tentarono di afferrarlo ma le mani gli scivolavano addosso come se Arturo fosse lubrificato da una divinità della vaselina.

Contromossa n.2: “Colpetto Cinestesico”

Quando il potere di scivolamento si spense, i bulli tornarono all’attacco. Il più grosso estrasse un coltellino.

«Adesso basta scherzare, vecchio.»

Arturo socchiuse gli occhi. Non voleva far loro del male. Gli alieni gli avevano donato forza, velocità e abilità assurde, ma mai l’istinto di fare del male.

Il coltellino brillò sotto una lampada. Arturo fece un gesto minimo. Un leggero tocco con un dito. Un buffo tik.

Il coltellino volò dalle mani del bullo, rimbalzò sul muro, colpì un bidone della spazzatura, rimbalzò di nuovo e… si infilò perfettamente nell’intercapedine di un tombino.

Silenzio totale.

«Ma… ma… COSA?»

Contromossa n.3: “La Vecchia Scuola”

Uno dei bulli si lanciò addosso ad Arturo.

E Arturo, senza usare poteri, fece semplicemente quello che aveva imparato nella vita reale:

gli spostò la gamba davanti, gli mise una mano sulla spalla e lo fece girare su se stesso, facendolo atterrare seduto in un cumulo di foglie bagnate.

Non servono poteri alieni quando si è cresciuti in tempi in cui i litigi si risolvevano nei cortili.

La fuga dei bulli

I tre, confusi, bagnati, indignati e un po’ umiliati, si guardarono tra loro.

«Questo… questo non è umano!»

«È un ninja! Un… un ninja anziano!»

«Io non ci sto. Andiamocene via!»

Fuggirono come gatti dopo un temporale.

Arturo restò lì, immobile, un po’ triste per loro. Sapeva che non erano cattivi fino al midollo. Solo ragazzi sbagliati nel posto sbagliato. Pulì il cappotto, si sistemò la sciarpa e riprese la sua passeggiata.

La vera ironia

Quando arrivò davanti alle luminarie della piazza principale, sorrise.

Aveva usato poteri alieni, riflessi antichi e un po’ di ironia.

Ma la cosa più incredibile era che nessuno l’aveva filmato.

Un miracolo moderno.

All’improvviso il suo cellulare vibrò. Un messaggio dagli alieni:

“Complimenti! Hai sbloccato la funzione Autodifesa Passiva Morbida™.

Prossimo aggiornamento tra… 36 ore terrestri.”

Arturo sbiancò.

«Ancora? Oh no… cosa mi aspetta stavolta?»

CAPITOLO VIII — EQUAZIONI DALLO SPAZIO PROFONDO

Dopo la notte dei bulli, Arturo decise che forse sarebbe stato prudente passare una giornata tranquilla, senza mettere alla prova poteri alieni, senza rete da tennis da sfondare, senza risse galattiche.

Così si sedette al tavolo della cucina, tazza di tè fumante, giornale aperto.

A un certo punto, gli cadde l’occhio su un problema matematico nella pagina della cultura:

“Sfida ai lettori: risolvere l’equazione differenziale proposta dal prof. Gentili. Gli esperti dicono che nessuno ci riuscirà.”

Arturo, incuriosito, prese una matita. E senza sapere come, iniziò a scrivere. La sua mano si muoveva da sola, fluida, veloce, precisa. Linee, simboli, integrali, parentesi…

Dopo trenta secondi, aveva risolto l’equazione. In due pagine. Si fermò. Sbatté le palpebre.

«…e questo da dove viene?»

Provò un altro problema, a caso, sul retro del giornale. Risolto.

Poi aprì un libro di fisica del nipote: relatività, meccanica quantistica, termodinamica.

Ogni formula, ogni passaggio, ogni concetto…tutto gli appariva ovvio. Come se l’avesse sempre saputo.

O come se qualcun altro, dentro di lui, lo stesse istruttivamente… guidando. Arturo si appoggiò allo schienale, sospirando.

«Ok, i miei poteri sportivi non bastavano… adesso sono anche un calcolatore vivente.»

Il suo cellulare vibrò. Un messaggio dagli alieni:

“Aggiornamento riuscito!

Hai sbloccato il pacchetto Intelletto Matematico Avanzatissimo Deluxe™.

Include:

✔️ Risoluzione istantanea problemi complessi

✔️ Intuizione fisica superiore

✔️ Capacità di visualizzare formule in aria”

«Formule in aria? Cosa…?»

Alzò un dito. Una formula apparve nell’aria come un ologramma azzurro.

«Oh santo cielo.»

LA SVOLTA MEDIATICA

Il giorno dopo, Arturo portò il giornale al bar e mostrò la sua soluzione al barista, che chiese subito di fotografarla.

In mezz’ora la foto era su un gruppo WhatsApp. In un’ora era su Facebook. In due ore su Instagram. In quattro ore… in televisione.

Un giornalista locale si precipitò a casa sua.

«È lei il signor Arturo Sanna? Il pensionato che ha risolto il problema impossibile?»

«Pensionato sì, impossibile… non so.»

La notizia esplose.

“GENIO IMPROVVISO: OTTANTENNE RISOLVE PROBLEMI IRRISOLVIBILI”

“PROFESSORI SCONCERTATI: ‘LUI VEDE LE FORMULE NELL’ARIA’”

“È UN SUPERCOMPUTER UMANO? STUDI UNIVERSITARI IN CORSO”

Il rettore dell’università lo invitò a un incontro.I matematici gli presentarono un problema irrisolto da vent’anni.

Arturo lo risolse mentre aspettava il caffè. I fisici gli mostrarono un modello teorico incompleto.

Arturo disegnò la soluzione sul tovagliolo.

«È… è un miracolo!» gridò un professore.

«O un bug della realtà,» rispose Arturo.

LE GARE MONDIALI

Fu così che, senza volerlo, Arturo venne iscritto alle gare più importanti del pianeta:

Olimpiadi Internazionali di Matematica Senior

Convegno Mondiale di Fisica Quantistica Applicata

Campionato Universale di Calcolo Rapido

Ovunque andasse, lui vinceva. In modo assurdo.

A Dubai risolse un sistema algebrico mentre mangiava un gelato.

A Boston dimostrò un teorema nuovo parlando al contrario.

In Giappone calcolò 1000 decimali del pi greco… pensandoci.

La folla lo acclamava.

«ARTURO! ARTURO! IL NONNO PIÙ GENIALE DEL MONDO!»

I presentatori lo adoravano.

«Ecco a voi l’uomo che ha reso le calcolatrici… obsolete!»

Un giorno vinse un torneo di fisica applicata con una sola frase:

«La vostra equazione è giusta, ma vi manca il termine alieno.»

Gli scienziati applaudirono senza capire.

INTANTO, GLI ALIENI…

Una notte, tre piccoli ologrammi apparvero nella sua cucina.

“Complimenti Arturo,” disse l’alieno leader.

“Le tue funzioni cognitive stanno superando le aspettative.”

Arturo lo guardò storto.

«Mi state trasformando in un’enciclopedia vivente.»

“Non preoccuparti. Tutto perfettamente sotto controllo.”

«Sì, certo… come il narratore epico, il teletrasporto e il top spin spaziale.»

Gli alieni si guardarono tra loro, imbarazzati.

“Piccoli… effetti collaterali.”

«Non è che potrei avere un manuale di istruzioni?»

“Purtroppo no. È ancora in fase di beta.”

Arturo si passò una mano sulla fronte.

«Prima fenomeno dello sport, ora genio matematico… cosa sarà la prossima volta?»

Gli alieni ruotarono la testa con aria misteriosa.

“Ah… quello lo vedrai presto.”

E scomparvero.

CAPITOLO IX — IL POETA CHE NON S’ASPETTAVA

Dopo la vittoria nell’ennesima gara internazionale di matematica, Arturo tornò a casa esausto.

Non fisicamente — quello mai — ma mentalmente, come chi ha usato troppi poteri alieni in un giorno solo.

Si sedette sulla poltrona preferita, accese la lampada e prese un vecchio libro dalla mensola:

La Divina Commedia, edizione scolastica del 1962, con le note a margine e gli scarabocchi del giovane Arturo.

Lo sfogliò con nostalgia.

«Eh, Dante… tu sì che eri un fenomeno. Io al tuo confronto sono solo un pensionato turbo-evoluto.»

Poi, senza un vero motivo, prese carta e penna. Qualcosa… si attivò dentro di lui. Una specie di vibrazione.

Una scintilla. Una “modalità poetica” che non aveva mai sentito prima. Gli occhi di Arturo si spalancarono.

La mano cominciò a muoversi da sola.

E scrisse. Scrisse in endecasillabi perfetti. Con rime incatenate. Con struttura dantesca. Ma con lemmi moderni, attualissimi, che Dante non avrebbe mai usato, neppure sotto tortura medievale. Il risultato fu… sorprendente.

Il primo verso del nuovo capolavoro

Arturo, senza pensarci, recitò a voce alta ciò che aveva appena scritto:

“Nel mezzo del cammin del wi-fi rotto,

mi ritrovai in un app crash oscuro…”

Si fermò, sgranò gli occhi.

«Che… cosa ho appena detto?»

Ma la mano proseguì.

“…ché la password mia s’era sì remota

che manco Google seppe darmi aiuto.”

Arturo si mise le mani nei capelli.

«Sto… sto riscrivendo la Divina Commedia in versione digitale?!»

La Commedia Tecnologica

I versi si susseguivano, perfetti come formule matematiche ma pieni di ironia, attualità e un tocco epico assurdo.

“Poi vidi l’ombra d’un influencer vago,

che a mille like avea donato il core,

ma in vita non postò mai veritade.”

E ancora:

“A riveder le stelle in HD pieno,

ché il cielo in streaming mai non ebbe uguale.”

Lui scriveva.  Scriveva come se Dante gli avesse affittato la mente. Ma con aggiornamento software alieno.

Dopo tre ore, aveva completato tutta la Prima Cantica. Una cosa impossibile per qualunque essere umano.

Un’impresa da Nobel — o da TSO controllato. Arturo crollò sulla poltrona, sudato ma incredulo.

IL MITO NASCE

Il giorno dopo portò i versi al bar — un pessimo errore per chi vuole restare anonimo. Il barista li lesse ad alta voce.

Silenzio. Poi esplosione di entusiasmo.

«Ma questo è un capolavoro!»

«È Dante 2.0!»

«È meglio dell’originale!»

«È… un crossover tra cultura alta e vita moderna!»

Un ragazzo registrò un video mentre Arturo leggeva tre terzine. Il video diventò virale in mezza giornata.

Arturo fu intervistato da:

giornali culturali

talk show

riviste di letteratura

professori universitari

youtuber super entusiasti

un influencer di recensioni poetiche (sì, esistono)

Gli chiesero come avesse fatto.

Arturo rispose la verità:

«Non ne ho idea.»

LE ISTITUZIONI INTERVENGONO

L’Accademia della Crusca si presentò alla sua porta.

«Signor Arturo, lei ha inventato un nuovo genere: il Dantesco Contemporaneo. Desideriamo proporlo alle scuole.»

Un ministro della cultura volle incontrarlo.

«Vorremmo dichiarare i suoi versi patrimonio poetico nazionale.»

Un professore, emozionatissimo, gridò:

«Ma lei… lei è ispirato! Lei… è toccato dalla Musa!»

Arturo pensò ai suoi alieni.

«Sì… diciamo che ho… contatti esterni.»

GLI ALIENI, ovviamente…

Quella notte comparve un ologramma nella sua stanza.

“Congratulazioni Arturo!

Hai sbloccato il pacchetto Poesia Suprema Divina Ultra-Moderna™.”

Arturo si alzò dal letto, furioso — o almeno quanto può esserlo un ottantenne potenziato.

«Mi state trasformando in un’enciclopedia, un atleta multidimensionale, un poeta rinascimentale moderno e un fenomeno sociale!

Non potete continuare così!»

Gli alieni si guardarono tra loro, confusi.

“Perché no?”

«Perché ho una vita! E non posso riscrivere tutte le opere letterarie della storia!»

L’alieno leader rispose con calma inquietante:

“Ah, ma quello è il prossimo aggiornamento.”

Arturo svenne.

CAPITOLO X — IL COLORE CHE NON ESISTEVA

Dopo la sbronza mediatica per la “Divina Commedia 2.0”, Arturo decise che doveva assolutamente fare una cosa normale. Molto, molto normale. Così si mise seduto al tavolo della cucina, prese una tazzina di caffè e annunciò solennemente:

«Oggi NON farò niente che abbia a che fare con matematica, fisica, poesia, sport o alieni. Punto.»

Appena disse “punt—” la lampadina sopra di lui sfarfallò. Poi si stabilizzò. Arturo rimase immobile.

«No. Assolutamente no. Non voglio altri poteri.»

Si alzò, cercando di ignorare il segnale sospetto, e aprì il ripostiglio per prendere qualcosa da sistemare.

Lì dentro trovò una vecchia scatola impolverata. Sopra c’era scritto:

“COLORI A OLIO — 1978”

La aprì.

Dentro: pennelli consumati, tubetti secchi, una minuscola tavolozza di legno. Gli venne in mente un pomeriggio di tanti anni prima, quando aveva provato a dipingere un vaso di fiori con risultati vergognosi. Suo figlio gli aveva chiesto:

«Papà… cosa rappresenta questo? Una nuvola triste?»

Da allora non aveva più toccato un pennello.

Arturo sorrise malinconico. Poi, senza sapere perché, prese un foglio bianco. E un pennello. E in quel momento… successe.

LA MENTE SI APRÌ

Un’onda calda gli attraversò le dita.

I colori vecchi si rianimarono, come se fossero tornati freschi di fabbrica.

Il pennello sembrava leggero, vivo.

La mano si muoveva da sola, ma non come quando scriveva poesia o risolveva equazioni. No.

Questa volta… sentiva i colori.

Li percepiva come suoni, emozioni, profumi. Miscelò un giallo con un blu. Si creò… un verde.

Ma NON un verde normale. Un verde che lui non aveva mai visto in vita sua. Un verde che sembrava contenere dentro di sé ricordi di universi lontani, tramonti alieni, foreste di pianeti sconosciuti.

Arturo balzò indietro.

«Che… che colore è questo?!»

Fece per asciugarlo con un fazzoletto.

Il colore… si spostò da solo, tornando nella forma precedente, come se fosse vivo.

«Oh no. No no no. Gli alieni mi hanno attivato la modalità artista.»

Provò a smettere. Il pennello non lo lasciò. Sì, lo trascinò letteralmente verso la tela.

«Va bene, va bene! Dipingo! Basta che mi molli!»

LA PRIMA OPERA

Quando Arturo finì, si ritrovò davanti un quadro…

…che non riusciva nemmeno a descrivere.

Una figura umana al centro. Ma rappresentata con geometrie morbide, curve luminose, colori impossibili.

Attorno, un paesaggio alieno: montagne iridescenti, cieli a spirale, luci che sembravano fatte di musica.

Eppure, tutto era incredibilmente armonioso.

Arturo si tolse gli occhiali. Non servivano. La tela sembrava emettere luce propria.

«Questo… non è normale.

Questo è… arte vera.»

IL BARISTA, GIÀ IN GUARDIA

Decise di portarlo al bar per un parere sincero. Appena entrò, il barista sospirò:

«Arturo, per favore. Dimmi che oggi non sei un altro genio intergalattico.»

Arturo appoggiò la tela sul banco.

Il barista si immobilizzò.

Si avvicinò piano, come se avesse paura di disturbare il quadro.

«Ma… ma questo…

Questo è un Caravaggio cosmico!

È… è un Van Gogh multidimensionale!

È… è… ma sei impazzito?»

La voce si sparse come un incendio.

L’ESPOSIZIONE IMPROVVISATA

In mezz’ora: arrivarono curiosi, arrivò un fotografo locale, arrivò una critica d’arte che gridò «QUESTO È IL FUTURO!» arrivò il sindaco con le lacrime agli occhi, arrivò un collezionista russo che offrì 200.000 euro in contanti

E Arturo era lì, imbarazzato, con un cappotto vecchio e un cappello storto.

«Oh, ma se volete ne faccio un altro…»

«NO! È UNICO!» gridarono in coro.

IL MUSEO NAZIONALE LO CONVOCA

Il direttore del Museo d’Arte Moderna bussò alla sua porta.

«Signor Arturo, desideriamo ospitare una retrospettiva delle sue opere.»

«Ma ne ho fatta una sola.»

«Allora ne faccia altre cento.»

«Non posso. Non controllo questa cosa. Mi è… venuta addosso.»

«L’ispirazione è così.»

«No, non è ispirazione. Sono ALIENI!»

Il direttore rise.

«Ah, meraviglioso — simbolismo postmoderno.»

Arturo gemette.

GLI ALIENI, ovviamente, ARRIVANO

Quella notte, come da copione, apparvero i tre alieni.

“Complimenti Arturo!”

“Hai sbloccato il pacchetto Maestro delle Arti Visive da 9 Dimensioni™.”

«Non volevo! Voglio solo vivere!» protestò Arturo.

“Siamo molto orgogliosi di te.”

«Mi state trasformando in un circo ambulante!»

“No, ti stiamo trasformando nell’Umano Perfetto.”

«Ma io volevo solo guardare le luminarie!»

Gli alieni si guardarono.

“Tranquillo. Il prossimo aggiornamento sarà più… leggero.”

«Cos’è?»

“Eh… sorpresa.”

E scomparvero. Arturo si buttò sul letto, disperato e divertito allo stesso tempo.

«E adesso che poteri avrò? Cucinare come uno chef stellato? Parlare con gli animali? Inventare nuove lingue?»

La lampadina tremolò. Pessimo segno.

CAPITOLO XI — ARTURO, IL BENEFATORE IMPROBABILE

Dopo settimane di caos mediatico, interviste, quadri multisensoriali, record sportivi e poesie “dantesche 2.0”, Arturo si guardò allo specchio e sospirò.

La sua faccia era sempre quella di un ottantenne un po’ stanco, con le rughe più profonde della saggezza che dell’età… ma dentro di lui c’era un vulcano di poteri alieni, talento, intuizioni, abilità fuori scala.

E di colpo capì una cosa, semplice e gigantesca: Stava sprecando tutto. Non per colpa sua—gli alieni lo avevano trasformato in una specie di super-poliedrico della galassia—ma il mondo aveva iniziato a trattarlo come:

un fenomeno da baraccone, una star imprevedibile, una leggenda vivente più vicina a un meme virale che a un uomo.

Arturo sbuffò.

«No. Basta. È ora di fare la cosa giusta.»

E così prese la decisione che avrebbe cambiato la storia.

UN ANNUNCIO IN DIRETTA MONDIALE

Si presentò alla sede dell’emittente televisiva nazionale, senza appuntamento, con la solita giacca troppo grande e un cappello di lana verde fosforescente che gli era costato 3 euro.

Gli agenti di sicurezza provarono a fermarlo.

Poi lo riconobbero.

«Signor Arturo! Ma… perché è qui?»

«Perché voglio parlare al mondo.»

Cinque minuti dopo era in diretta. La giornalista gli sorrise in modo eccessivamente lucido.

«Allora, nuovo libro? Nuovo quadro? Un nuovo torneo?»

Arturo alzò una mano.

«No. Basta. Sono stufo di essere l’ottantenne più talentuoso della galassia. Da oggi metto ogni mio dono a disposizione dell’umanità.»

La giornalista rimase a bocca aperta.

«In che senso?»

Arturo si alzò in piedi con fatica (eroe sì, ma le ginocchia erano sempre sue).

«Nel senso che… se posso dipingere colori impossibili, scrivere poesie multidimensionali, risolvere problemi matematici insolubili, vincere tutto, correre come un ventenne e battere delinquenti… allora posso anche fare la differenza.

E lo farò.»

LA LISTA DELLE COSE DA SALVARE

Arturo prese un foglio spiegazzato.

«Ho fatto un elenco delle priorità mondiali.»

Zoom della telecamera. Sul foglio c’era scritto:

Ambiente

Fame nel mondo

Malattie

Energia pulita

Cyberbullismo (lo aveva scoperto per caso e lo aveva indignato profondamente)

Trasporti troppo lenti

Prezzo dei cornetti al bar (voce opzionale)

La giornalista tossì.

«Ehm… come pensa di risolvere tutto questo?»

Arturo sorrise.

«Come sempre: non ne ho idea. Mi verrà.»

IL PRIMO MIRACOLO — L’ENERGIA

La mattina dopo convocò ingegneri, fisici e tecnici da tutto il mondo.

Arrivarono per curiosità, convinti che fosse uno scherzo. Arturo prese un pennarello. Scrisse una formula su una lavagna lunga tre metri. Silenzio. Poi un fisico giapponese svenne. Il capo del CERN lo osservò tremando.

«Ma… ma… questa equazione… trasforma il calore ambientale in energia… senza violare la termodinamica… Come… è possibile?»

Arturo scrollò le spalle.

«L’ho sognata mentre stavo mangiando una brioche.»

Il mondo impazzì. Nel giro di 48 ore, gli scienziati realizzarono un prototipo di “batteria infinita” in grado di alimentare una città per anni senza combustibile.

IL SECONDO MIRACOLO — LA MEDICINA

Arturo si recò in un ospedale pediatrico.

Si sedette tra ricercatori increduli e propose una formula biogenetica così semplice che sembrava inventata da un bambino…eppure apriva la porta a terapie nuove e potentissime per malattie rare e tumori infantili.

Le prime guarigioni iniziarono dopo poche settimane. Le famiglie lo chiamavano “Nonno Miracolo”.

A lui veniva da piangere ogni volta.

IL TERZO MIRACOLO — L’ARTE UNIVERSALE

Finalmente, decise di usare l’arte non per stupire…

…ma per guarire.

Espose un suo quadro speciale: una tela piena di colori alieni e forme ipnotiche.

Ogni visitatore riferiva la stessa sensazione: pace, lucidità. speranza, creatività rinnovata.. molti affermavano di aver “ritrovato se stessi”

Gli scienziati notarono un effetto collaterale pazzesco: le onde cerebrali degli osservatori entravano in una condizione di armonia mai registrata prima.

Il quadro venne definito: “Il Dipinto Terapeutico”

GLI ALIENI RIAPPAIONO

Una notte, i suoi tre mentori extraterrestri scesero davanti a casa sua.

«Arturo, siamo fiera di te. Hai trovato lo scopo.»

Arturo incrociò le braccia.

«Non voglio più aggiornamenti, chiaro?»

Gli alieni si guardarono. Uno disse:

“Ci sarebbe un piccolo potenziamento finale…”

«NO. Niente potenziamenti. Mi basta quello che ho. Dormo due ore per notte da un mese e mezzo!»

Gli alieni acquiescirono.

“Va bene. Nessun nuovo potere.”

Pausa.

“…per ora.”

«PER ORA COSA?!»

Gli alieni scomparvero. Arturo si lasciò cadere sul divano.

«Ho salvato il mondo. Ma non salverò mai il mio sonno.»

CAPITOLO XII — QUANDO IL SILENZIO CADE

Un mattino di febbraio, Arturo si svegliò diverso. Non nel modo spettacolare in cui era cambiato dopo la visita aliena.

No. Questa volta fu… il contrario.

Si alzò dal letto e sentì un dolore alla schiena. Un dolore vero, quello che ti fa dire “ahi” tra i denti. Provò a stiracchiarsi.

«Accidenti… da quanto non mi fa male la schiena?»

Si spaventò. Provò a sollevare il comodino con una mano (un tempo ci riusciva ridendo).

Non si mosse. Prese un foglio, tentò di scrivere una stanza in stile dantesco. Niente. Provò a risolvere un’equazione complicata. Sembrava arabo.

Tentò un palleggio con la palla da tennis. Il primo rimbalzò a metà strada, pure storto. Arturo rimase immobile.

Il cuore gli martellava.

«Non è possibile…»

Si guardò allo specchio. Gli occhi non brillavano più come prima. Le mani tremavano leggermente.

La postura era quella dell’anziano che era sempre stato. I poteri erano spariti. Tutti.

IL RITORNO DELLA FRAGILITÀ

La giornata fu un incubo. Scendendo le scale rischiò di cadere. Percorrendo il marciapiede, un vento più forte lo fece quasi barcollare. Sudò freddo solo per attraversare la strada. Il mondo che aveva aiutato, salvato, stupito…

…gli sembrava all’improvviso troppo grande. Troppo veloce. Troppo pesante.

Arturo si sedette su una panchina. Guardò le sue mani. Le lacrime non vennero, non subito.

Era un pianto lento, adulto, pieno di lucidità.

«Non sono niente… non sono più nessuno…»

LA NOTIZIA CHE SCONVOLSE IL PIANETA

Mancando da settimane ai suoi incarichi — conferenze, laboratori, progetti umanitari — il mondo iniziò a preoccuparsi.

Le prime voci trapelarono:

“Arturo sta male.”

“Arturo non parla.”

“Arturo è scomparso.”

In poche ore: giornalisti, scienziati, politici, fan, curiosi si riversarono vicino a casa sua.

La porta rimase chiusa. Arturo non voleva vedere nessuno.

IL MUSEO, IL CERN, LE UNIVERSITÀ… TUTTI SI OFFRONO

Arrivarono proposte assurde:

ricercatori che volevano studiarlo per capire la perdita dei poteri, musei che volevano “l’Arturo umano” come testimonianza vivente, governi che chiedevano di incontrarlo “per motivi di sicurezza nazionale”.

Un ministro dichiarò:

«Arturo è patrimonio dell’umanità. Se ha un problema, dobbiamo risolverlo.»

Arturo ascoltò tutto da dietro la porta, seduto per terra. Ogni frase gli pesava come un macigno.

«Io non sono un patrimonio… sono solo un vecchio.

E non so più fare niente.»

MA IL MONDO NON LA PENSA COSÌ

Una sera, mentre la folla si disperdeva, Arturo udì un bisbiglio. Un bambino era rimasto davanti al cancello.

La sua voce era piccola, sincera.

«Signor Arturo?»

Silenzio.

«Lo sa che il quadro che ha fatto… quello grande… quello che mette pace… a mia mamma l’ha aiutata un sacco?»

Arturo trattenne il respiro.

«E poi la formula dell’energia… adesso la nostra città ha la corrente gratis.

E l’ospedale… ha salvato il mio amico Pietro.

Io volevo solo dirle grazie.»

Il bambino attese. Poi aggiunse:

«Lei non deve essere forte per forza. Ha già fatto abbastanza. Può anche riposarsi, sa?»

Arturo scoppiò in un pianto profondo, il più umano della sua vita. Aprì lentamente la porta.

«Piccolo… non ho più nessun potere.»

Il bambino alzò le spalle.

«E chi se ne importa? Lei è Arturo.»

IL GIORNO DOPO

Quando uscì di casa, camminando con fatica, trovò una sorpresa.

Davanti al cancello non c’erano: giornalisti, politici, scienziati, telecamere. C’erano persone normali.

Silenziose. Rispetto assoluto. Un cartello fatto a mano recitava:

“NONNO ARTURO, ANCHE SENZA POTERI CI HAI CAMBIATO LA VITA.”

Arturo si asciugò le lacrime.

«Forse…forse un po’ di valore ce l’ho ancora.»

GLI ALIENI… TORNANO?

Quella notte, mentre Arturo dormiva per la prima volta senza pensieri… Una luce verde illuminò la stanza.

I tre alieni apparvero, in silenzio, osservandolo.Uno disse:

“È pronto.”

L’altro annuì.

“Il vero potere sta per svegliarsi.”

Il terzo sussurrò:

“Ora imparerà a essere Arturo… senza magia.”

Poi scomparvero. Arturo russava, ignaro di tutto.

CAPITOLO XIII — QUANDO LA LUCE È DENTRO

Arturo si svegliò con una calma che non provava da anni. Non aveva poteri. Non aveva forza sovrumana.

Non aveva mente geniale, occhi cosmici, riflessi alieni, intuizioni miracolose. Era solo… Arturo.

Gli facevano male le ginocchia. Gli scricchiolavano le vertebre. Aveva fame di una colazione semplice, come quelle di un tempo: pane, marmellata e un caffè troppo forte. Ma dentro il petto sentiva qualcosa di nuovo.

O forse qualcosa di molto, molto antico.

Una pace. Una dolcezza. Un calore. Non era alieno. Non era sovrumano.

Era umano.

LA SCOPERTA

Quel giorno uscì senza fretta, con la sciarpa un po’ storta e il cappotto consumato.

La città era la solita: traffico, rumori, gente che correva, telefoni che squillavano.

Eppure… tutto gli sembrava diverso. Più bello. Più significativo. Più vero.

Passò davanti al bar. Il barista lo salutò con un sorriso sincero:

«Arturo, bentornato.»

Nessun titolo, nessuna etichetta. Solo Arturo. Passò accanto a una signora anziana che faticava con la spesa.

Non servivano superpoteri.

«Aspetti, l’aiuto io.»

Lei gli prese la mano e mormorò: «Grazie, caro.»

Al parco vide un bimbo cadere dalla bicicletta. Lo aiutò a rialzarsi.

«Tutto bene?»

«Sì… grazie signore.»

Arturo camminò ancora, senza sapere dove stesse andando, finché non arrivò davanti a una piccola chiesa, una di quelle semplici, senza ornamenti esagerati. La porta era aperta. Entrò.

IL SILENZIO SACRO

Non c’era nessuno. Solo la luce delle candele. Un’aria antica, pulita, che profumava di legno e pace.

Arturo si sedette all’ultimo banco. In quel silenzio…sentì finalmente tutto. Sentì la sua vita:e vittorie, le sconfitte, gli errori, le paure.

Sentì gli anni passati, le gioie brevi, la malinconia lunga, le cose che aveva perso e quelle che aveva amato.

E soprattutto…sentì un amore immenso. Non alieno. Non artificiale. Non spettacolare.

Un amore che era stato lì da sempre, dentro di lui, come una fiamma piccola ma eterna.

E Arturo capì. Capì che il dono più potente che aveva ricevuto non erano i miracoli, né lo sport, né la poesia, né la pittura, né la scienza. Era questo: La capacità di amare la vita, gli altri e Dio. Non come un supereroe.

Non come un eletto. Ma come un uomo. Un uomo semplice, fragile, vulnerabile…e proprio per questo capace di amore vero.

IL RITORNO DEGLI ALIENI (L’ULTIMA VOLTA)

Un leggero fruscio ruppe il silenzio. Arturo non si spaventò. Tre luci verdi comparvero, discrete, quasi rispettose del luogo. Gli alieni erano più luminosi del solito, ma meno… imponenti. Come se fossero lì non come maestri, ma come studenti.

“Arturo…” disse uno.

“Hai trovato il potere.”

Arturo sorrise.

«Non l’ho trovato. L’ho ricordato.»

Il secondo alieno annuì.

“Era l’unico che non potevamo darti noi.”

Il terzo aggiunse, quasi commosso:

“E il solo che non potrai mai perdere.”

Arturo si alzò, con lentezza, con dignità.

«Grazie dei… bonus.»

«Di nulla.»

«Ma ora… potete andare. Ho da vivere.»

Gli alieni, per la prima volta, si inchinarono.

“Addio, Arturo.”

Scomparvero per sempre.

L’UOMO PIÙ POTENTE DEL MONDO

Arturo uscì dalla chiesa. Il sole era tiepido. Il vento leggero.  La gente normale, meravigliosamente normale.

E finalmente capì: Non serve essere invincibili per fare del bene. Non serve essere geni per creare bellezza.

Non serve essere giovani per avere un futuro. Non serve essere alieni per essere straordinari.

Il potere più grande lo aveva adesso:

Amare la vita.

Amare gli altri.

Amare Dio.

E lasciarsi amare.

Camminò verso casa con la lentezza di un nonno, ma con il cuore forte come mille universi.

E, per la prima volta dopo tanto tempo, era felice. Davvero felice.

EPILOGO — ARTURO TORNA A CASA

Gli anni passarono con la quiete delle stagioni mature.Arturo non divenne un eroe mondiale, né un guru ricercato, né un santone venerato.

Rimase semplicemente Arturo:

l’anziano che salutava tutti per strada, che aiutava i bambini con i compiti, che ascoltava le storie dei giovani,

che portava le buste della spesa alle signore del quartiere, che sedeva sulla panchina del parco a godersi la vita senza fretta.

Non aveva più poteri alieni. Aveva il suo sorriso. E quello bastava. Fu un inverno quieto. La neve cadeva lenta, come una benedizione. Il mondo era diventato un posto un po’ migliore grazie ai semi che aveva lasciato:

energie pulite, cure più efficaci, opere d’arte che davano pace, persone ispirate dal suo esempio.

Ma ciò che restava più forte era il ricordo della sua gentilezza.

L’ULTIMO GIORNO

Una mattina Arturo si svegliò e sentì nel corpo una dolcezza strana, come un invito. Non dolore.

Non paura. Solo una stanchezza profonda, quieta, come quella che si prova dopo un lungo viaggio ben vissuto. Si alzò piano, mise su il caffè — il profumo gli riempì il cuore — e si affacciò alla finestra.

Il cielo era rosa. La neve, appena caduta, brillava. Arturo sospirò.

«Che bel mondo…»

Poi prese il suo cappotto, la sciarpa rossa, il bastone di legno e uscì. Raggiunse la panchina del parco — la sua panchina — e si sedette.

Guardò i bambini giocare. Una bambina, riconoscendolo, gli fece un cenno con la mano. Arturo rispose con un sorriso largo, sereno, pieno. Sentiva tutto: ogni ricordo, ogni affetto, ogni scelta, ogni passo.

La vita intera gli brillava dentro come un ultimo regalo.

«Grazie…» sussurrò al mondo, alla vita, a Dio.

E si lasciò andare piano, come chi chiude un libro che ha amato moltissimo.

IL RESPIRO CHE SI SPEGNE

Quando la bambina passò vicino alla panchina, vide Arturo appoggiato allo schienale, con il volto disteso e un sorriso dolcissimo. Sembrava addormentato.

Il custode del parco arrivò in fretta, poi i soccorritori. E tutti dissero la stessa cosa:

«Se n’è andato in pace.»

Il cielo si fece improvvisamente limpido. Una luce calda ruppe le nuvole, illuminando proprio quella panchina.

La neve si fermò un istante. Come se il mondo intero trattenesse il fiato per salutarlo.

LA SUA EREDITÀ

I giorni successivi furono pieni di ricordi:

non di poteri, non di imprese straordinarie, non di miracoli alieni. Di vita. Di bontà. Di piccoli gesti, quelli che davvero cambiano il mondo.

Nel parco, vicino alla sua panchina, il Comune pose una targa:

“A Arturo, che ci ha insegnato che il più grande potere è amare.”

L’ULTIMA LUCE

Quella notte, mentre la città dormiva, tre piccole luci verdi scesero pianissimo dal cielo. Nessuno le vide.

Si posarono sulla panchina. Rimasero un attimo, silenziose. Poi una voce senza suono mormorò:

“Ben fatto, Arturo.”

E le luci salirono verso il cielo, portando con sé il sorriso di un uomo che aveva scoperto il potere più grande di tutti.

La forza dell’amore.

PRESENTAZIONI E HOOK a scelta
Titolo provvisorio: Arturo e il vero potere
Presentazione sintetica:
Arturo e il vero potere è un racconto fantastico e distopico che segue la straordinaria vita di Arturo, un uomo di ottant’anni che, apparentemente fragile e anonimo, riceve dai misteriosi alieni incredibili superpoteri: forza, velocità, intelligenza, talento artistico e sportivo senza limiti. Da subito diventa fenomeno mondiale, rivoluzionando sport, scienza, arte e persino la poesia, tra momenti comici e surreali.
Ma il racconto prende una svolta profonda: Arturo perde improvvisamente tutti i suoi poteri e torna a essere l’anziano che era, fragile e normale. È allora che scopre il vero dono: la capacità di amare la vita, gli altri e Dio. La storia celebra così la grandezza dell’essere umano nella sua fragilità e nella sua umanità, mostrando che il potere più grande non è sovrumano, ma nasce dal cuore.
Punti di forza per la pubblicazione:
Protagonista anziano e realistico, in un ruolo eroico insolito.
Combinazione unica di fantasia, ironia, sport, scienza, arte e riflessione spirituale.
Storia positiva, universale e ispirante, adatta a lettori di tutte le età.
Struttura dinamica, con capitoli brevi e scenari vari, ideale per una lettura coinvolgente.
In poche parole, Arturo e il vero potere è un racconto che intrattiene, emoziona e invita alla riflessione, con un messaggio universale: la vera grandezza risiede nell’amore e nella capacità di vivere pienamente, anche senza miracoli.
Titolo provvisorio: Arturo e il vero potere
Presentazione lampo:
Arturo, ottantenne fragile e apparentemente ordinario, riceve dai misteriosi alieni incredibili superpoteri che lo rendono un fenomeno mondiale tra sport, scienza, arte e poesia. Quando li perde, scopre il vero dono: la capacità di amare la vita, gli altri e Dio. Una storia fantastica, ironica e commovente, che celebra la grandezza dell’umanità nella sua fragilità.
Hook
Arturo, ottantenne fragile e ordinario, riceve dai misteriosi alieni poteri straordinari che lo trasformano in un fenomeno mondiale tra sport, scienza e arte. Ma quando li perde, scopre il vero miracolo: la capacità di amare la vita, gli altri e Dio, e con essa cambia davvero il mondo.
Ecco quattro hook alternativi, ciascuno con un tono diverso, pronti da usare per catturare l’attenzione di un editore:
1. Tono emozionale
Arturo, ottantenne fragile e normale, diventa per un breve periodo il più straordinario degli uomini grazie a poteri alieni. Quando li perde, scopre che il vero dono non è la forza, ma la capacità di amare la vita, gli altri e Dio.
2. Tono comico
Un ottantenne che diventa improvvisamente un campione imbattibile, un genio matematico e un artista alieno… solo per scoprire, senza alcun preavviso, che il suo superpotere più grande era amare la vita come un normale vecchio.
3. Tono epico
Da uomo comune a leggenda mondiale: Arturo sfida alieni, scienza e sport con poteri incredibili. Alla fine, scopre che il vero eroismo risiede in un cuore capace di amare profondamente, senza magie.
4. Tono poetico
Un vecchio fragile, trasformato in prodigio dagli alieni, percorre il mondo tra arte, sport e scienza. Solo perdendo tutto scopre l’ultima verità: la grandezza è amare la vita, gli altri e Dio.
Un ottantenne fragile diventa per un breve tempo il più straordinario degli uomini grazie agli alieni, solo per scoprire che il vero potere non sta nei miracoli, ma nell’amare la vita, gli altri e Dio.