Dal Diario di un pellegrino carnico del defunto monaco p.Albino (mio amico) leggo questo brano:

21 marzo 1983

Pensieri avidi di pace mi attraversano e si incrociano con altri di pietà e pazienza. E Tu sei vivo. Vivo non come al solito, o come io lo vorrei. Sei Tu vivo, vivo come vuoi Tu, cioè in qualità di raffronto che morde, che umilia, che sradica, che brucia, che piega fino a terra, che sotterra. E mi duole tutto l’essere.

Ammalato di me stesso. Di quel me stesso che si specchia in se stesso e non in Te. La figura rispecchiata invece in Te è ridimensionata dal mille all’uno. E Tu mi Ti riproponi mentre io cerco di evitare il rispecchio di me nel Tuo volto di verità. È tutto qui, in questo proporre e scansare il Tuo volto, la verità di me stesso e il mio essere, e anche la perfezione che Tu vuoi da me. che mi condanni, che esca volta per volta condannato, annullato, annichilito, demolito dal confronto con la Tua luce, il Tuo vitale sguardo che tuttavia non è giudizio ma è fulmineo raggio di amore.

Raggio fecondo. Che porta novità e subbuglio in questo mio essere immaturo, chiuso in schemi, in paradigmi, in meschine convinzioni. Aiutami a riconoscere che mi aiuti; aiutami a convincermi ad aprirmi al Tuo aiuto e al fatto che nulla posso senza la Tua presenza scomoda ed esigente. Nella Tua luce sarò nella mia luce. Padre Giustino è sempre moribondo. Me lo trovo continuamente innanzi agli occhi. La sua immobilità inverosimile. Il leggero cenno del capo che obbedisce chissà a quali impulsi.

Soltanto le pupille si muovono sotto le palpebre chiuse. Sembrano larve che si agitano sotto una membrana che tentano di rompere. Mi sono fatto distante, nella comunità… Mi giro e rigiro intorno come un malato di febbre alta. Dove le cause? In me. Sempre così. Ma c’è il paradiso anche per me. Pensieri avidi di pace mi attraversano e si incrociano con altri di pietà e pazienza. E Tu sei vivo. Vivo non come al solito, o come io lo vorrei. Sei Tu vivo, vivo come vuoi Tu, cioè in qualità di raffronto che morde, che umilia, che sradica, che brucia, che piega fino a terra, che sotterra. E mi duole tutto l’essere. Ammalato di me stesso. Di quel me stesso che si specchia in se stesso e non in Te.

La figura rispecchiata invece in Te è ridimensionata dal mille all’uno. E Tu mi Ti riproponi mentre io cerco di evitare il rispecchio di me nel Tuo volto di verità. È tutto qui, in questo proporre e scansare il Tuo volto, la verità di me stesso e il mio essere, e anche la perfezione che Tu vuoi da me. che mi condanni, che esca volta per volta condannato, annullato, annichilito, demolito dal confronto con la Tua luce, il Tuo vitale sguardo che tuttavia non è giudizio ma è fulmineo raggio di amore. Raggio fecondo.

Che porta novità e subbuglio in questo mio essere immaturo, chiuso in schemi, in paradigmi, in meschine convinzioni. Aiutami a riconoscere che mi aiuti; aiutami a convincermi ad aprirmi al Tuo aiuto e al fatto che nulla posso senza la Tua presenza scomoda ed esigente. Nella Tua luce sarò nella mia luce. Padre Giustino è sempre moribondo. Me lo trovo continuamente innanzi agli occhi. La sua immobilità inverosimile. Il leggero cenno del capo che obbedisce chissà a quali impulsi. Soltanto le pupille si muovono sotto le palpebre chiuse. Sembrano larve che si agitano sotto una membrana che tentano di rompere. Mi sono fatto distante, nella comunità…

Mi giro e rigiro intorno come un malato di febbre alta. Dove le cause? In me. Sempre così. Ma c’è il paradiso anche per me. Pensieri avidi di pace mi attraversano e si incrociano con altri di pietà e pazienza. E Tu sei vivo. Vivo non come al solito, o come io lo vorrei. Sei Tu vivo, vivo come vuoi Tu, cioè in qualità di raffronto che morde, che umilia, che sradica, che brucia, che piega fino a terra, che sotterra. E mi duole tutto l’essere. Ammalato di me stesso. Di quel me stesso che si specchia in se stesso e non in Te. La figura rispecchiata invece in Te è ridimensionata dal mille all’uno.

E Tu mi Ti riproponi mentre io cerco di evitare il rispecchio di me nel Tuo volto di verità. È tutto qui, in questo proporre e scansare il Tuo volto, la verità di me stesso e il mio essere, e anche la perfezione che Tu vuoi da me. che mi condanni, che esca volta per volta condannato, annullato, annichilito, demolito dal confronto con la Tua luce, il Tuo vitale sguardo che tuttavia non è giudizio ma è fulmineo raggio di amore. Raggio fecondo. Che porta novità e subbuglio in questo mio essere immaturo, chiuso in schemi, in paradigmi, in meschine convinzioni.

Aiutami a riconoscere che mi aiuti; aiutami a convincermi ad aprirmi al Tuo aiuto e al fatto che nulla posso senza la Tua presenza scomoda ed esigente. Nella Tua luce sarò nella mia luce. Padre Giustino è sempre moribondo. Me lo trovo continuamente innanzi agli occhi. La sua immobilità inverosimile. Il leggero cenno del capo che obbedisce chissà a quali impulsi. Soltanto le pupille si muovono sotto le palpebre chiuse. Sembrano larve che si agitano sotto una membrana che tentano di rompere. Mi sono fatto distante, nella comunità… Mi giro e rigiro intorno come un malato di febbre alta. Dove le cause? In me. Sempre così.

Ma c’è il paradiso anche per me.

Che insegnamento si può trarre?

Il brano è molto denso e drammatico, sembra quasi un flusso interiore di confessione spirituale, dove il monaco si confronta con la propria fragilità e con l’esperienza destabilizzante ma salvifica della presenza di Dio.

Ecco alcuni insegnamenti che emergono:

  1. Dio non è come noi lo immaginiamo, ma come Lui vuole essere.
    Il testo insiste sul fatto che Cristo “è vivo” non secondo le nostre attese o comodità, ma secondo la sua volontà. La sua presenza è scomoda, esigente, destabilizzante: non consola subito, ma “morde, umilia, sradica, brucia”. È un richiamo al realismo della fede: Dio non si piega ai nostri desideri, ma ci plasma secondo la sua verità.

  2. La verità di noi stessi emerge solo nello specchio di Dio.
    L’autore riconosce che, quando si guarda solo in se stesso, resta imprigionato nella malattia dell’ego. Ma quando si specchia in Dio, allora vede ridimensionata la sua immagine (“dal mille all’uno”) e comprende la propria misura reale. È un invito a lasciarsi guardare dalla luce di Dio, anche se questa esperienza porta dolore, perché smaschera le illusioni su noi stessi.

  3. Il giudizio di Dio è in realtà amore.
    Anche se l’autore si sente “annullato, annichilito” dal confronto con lo sguardo divino, riconosce che quello sguardo non è condanna ma un “fulmineo raggio di amore, raggio fecondo”. Qui sta la speranza cristiana: la luce che sembra bruciare è in realtà luce che purifica e genera vita nuova.

  4. Il cammino spirituale è lotta contro la chiusura interiore.
    Egli confessa di essere “immaturo, chiuso in schemi, paradigmi, meschine convinzioni”. Chiede aiuto non tanto per sforzarsi da solo, ma per aprirsi al dono di Dio, perché “nulla posso senza la Tua presenza scomoda ed esigente”. È una lezione di umiltà: la vera forza sta nel lasciarsi trasformare.

  5. La sofferenza altrui come specchio della propria fede.
    La figura di Padre Giustino moribondo diventa una sorta di icona vivente: immobilità, occhi che si muovono sotto le palpebre come vita che lotta per emergere. Questo quadro colpisce e accompagna il pellegrino, costringendolo a confrontarsi con il mistero della sofferenza e della vita che resiste. È un monito: la fede si vive anche davanti al dolore, senza scappare.

  6. Nonostante tutto, c’è speranza.
    L’autore conclude con una sorta di respiro: “Ma c’è il paradiso anche per me”. In mezzo al turbamento, al senso di fallimento e lontananza, resta una certezza: la misericordia di Dio è più grande della propria debolezza.


In sintesi, il testo insegna che la fede autentica non è evasione o consolazione superficiale, ma confronto doloroso con la verità di sé alla luce di Dio. Questo confronto umilia e sradica, ma non per distruggere: per ricostruire nell’amore. È un invito a lasciarsi guardare da Dio, senza paura della propria fragilità, perché solo in quella luce l’uomo ritrova se stesso.

Preghiera

Signore,
Tu sei vivo, non come io vorrei,
ma come vuoi Tu: luce che brucia e purifica.

Davanti al Tuo sguardo vedo la mia fragilità,
mi sento annichilito, eppure amato.
La Tua presenza è scomoda ed esigente,
ma solo in essa posso rinascere.

Aiutami ad aprirmi al Tuo aiuto,
a non specchiarmi solo in me stesso,
ma a ritrovare in Te la mia vera immagine.

Fa’ che la mia debolezza diventi forza in Te,
e che, nella Tua luce, io sia finalmente nella mia luce.

Amen.

Personalmente mi viene spontanea questa osservazione esistenziale: meno penso a me e più mi fisso in Lui, più mi libero da me stesso, dai miei sensi di colpa, dai sensi di inferiorità e superiorità e dal mio orgoglio…Divento più sereno…

Quella che hai espresso è una sintesi molto preziosa, direi quasi la chiave interpretativa del brano che mi hai portato.

È come se avessi colto l’essenza del movimento spirituale descritto dal monaco: quando ci si specchia solo in se stessi, si resta prigionieri di colpa, orgoglio, confronto e turbamento; quando invece si sposta lo sguardo su Dio, allora avviene una liberazione.

E la liberazione non è frutto di uno sforzo titanico, ma di un “fissarsi in Lui” che ridimensiona e ricolloca tutto:

  • i sensi di colpa non schiacciano più, perché nella sua luce diventano occasione di misericordia;

  • i complessi di inferiorità e superiorità si dissolvono, perché davanti a Dio siamo semplicemente figli;

  • l’orgoglio viene purificato, perché non siamo il centro noi, ma Lui.

E da questa decentratura nasce la serenità che descrivi: meno io, più Lui → più libertà interiore.

La tua osservazione ha il tono delle massime spirituali dei Padri del deserto: breve, essenziale, radicale.
Se vuoi, posso aiutarti a formularla come un piccolo aforisma o meditazione scritta, in modo da poterla rileggere come promemoria nei momenti di smarrimento. Vuoi che te la proponga così?

Ecco la mia intuizione riformulata come una piccola meditazione/aforisma:


Aforisma spirituale

Meno penso a me e più mi fisso in Lui.
Allora mi libero:
dai sensi di colpa che mi incatenano,
dai confronti che mi illudono,
dall’orgoglio che mi inganna.

Quando non sono più al centro io,
ma Lui,
tutto trova il suo posto
e il cuore diventa sereno.