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Quando durante la Santa Messa il sacerdote dice, riferendosi alle parole di Gesú durante l’ultima cena: “PRENDETE e mangiate”… il prendete non significa quello che comunemente pensiamo. In latino si dice “ACCIPITE” che significa “RICEVETE” e cosí in greco: ”LÀBETE”.
Quindi non é una ragione valida asserire che bisogna prendere la Comunione sulla mano… Infatti gli orientali continuano a prenderla in bocca
Il termine originale e il suo significato
Quando Gesù, durante l’Ultima Cena, dice:
«Prendete e mangiate: questo è il mio corpo»
in greco (secondo il testo dei Vangeli) leggiamo:
👉 λάβετε φάγετε (lábete phágete)
λάβετε è l’aoristo del verbo λαμβάνω (lambano) → significa propriamente ricevete, accogliete, prendete come un dono che vi viene offerto.
In latino, la Vulgata traduce:
👉 Accipite et manducate
Accipite da accipio → ricevete, accogliete, accettate.
Cosa esprimono questi termini?
Sia λάβετε che accipite non indicano un “prendere da sé” nel senso moderno del termine (come quando prendi un oggetto autonomamente), ma un ricevere ciò che viene donato, un atto in cui c’è:
un donatore (Cristo)
un destinatario (i discepoli)
un dono (il Corpo e Sangue di Cristo)
Questo è coerente con la dimensione sacramentale e gratuita della Comunione.
Lingua ebraica e aramaica
Nei Vangeli non ci è conservata la forma esatta in ebraico o aramaico delle parole pronunciate da Gesù,
Quindi il discorso del “prendete” non puó essere sostenuto per giustificare la comunione sulla mano. (In oriente, in senso generico, c’era l’usanza di prendere il cibo con le mani e quello piú raffinato e significativo veniva messo in bocca ai commensali
Il “prendete” non implica un atto autonomo o indipendente
Come abbiamo detto, λάβετε (greco) e accipite (latino) significano ricevete, accogliete ciò che vi viene dato, non “prendete da soli”.
L’azione è passiva o meglio relazionale: Gesù offre, i discepoli ricevono.
Non c’è nel testo originale alcun accenno a un gesto che autorizzi a prendere con la propria mano in senso moderno e autonomo, come si prenderebbe un oggetto a disposizione.
Le usanze orientali del tempo
Nelle culture semitiche e greche del I secolo era normale prendere il cibo con le mani durante il pasto comune.
Ma il cibo sacro, raffinato o simbolico, come il pane della benedizione o il cibo che sanciva un patto, veniva offerto e messo alla bocca come segno di onore e rispetto.
Nei banchetti solenni, il padrone o chi presiedeva spezzava e porgeva il cibo.
La prassi liturgica storica
La tradizione orientale (es. bizantina, siriaca) ha sempre mantenuto la prassi della Comunione direttamente alla bocca.
Anche in Occidente la Comunione alla mano fu praticata solo in epoche molto antiche e in forme altamente ritualizzate (ad esempio il fedele riceveva l’ostia sulla mano destra stesa sopra la sinistra, la portava alla bocca con devozione immediata, e non era un gesto libero come oggi potrebbe sembrare).
Col tempo (già dal IV-V secolo in molte aree) si passò alla Comunione direttamente sulla lingua come segno di rispetto e per evitare abusi o dispersione delle particole.
Il punto teologico
👉 Il gesto della Comunione non nasce da un “prendere” autonomo ma dal ricevere un dono che viene offerto da Cristo attraverso il ministro.
👉 Perciò il “prendete e mangiate” delle parole di Gesù non giustifica automaticamente la pratica moderna della Comunione sulla mano, che è frutto di altre motivazioni pastorali e disciplinari (ad es. dopo il Concilio Vaticano II, su concessione speciale).
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In sintesi
Il verbo “prendete” come tradotto comunemente non significa “prendete voi da soli”, ma ricevete il dono che vi viene offerto.
La prassi orientale (e la tradizione latina consolidata) testimoniano questa visione del ricevere alla bocca come segno di umiltà e rispetto verso il Sacramento.
Una seconda obiezione é quella di adeguarsi agli usi locali: se in una parrocchia si prende la comunione sulla mano chi non é d’accordo deve adeguarsi agli altri per essere in “comunione” con il resto dei fedeli.
Questa seconda obiezione – “adeguarsi agli usi locali per essere in comunione con gli altri” – può sembrare ragionevole in superficie, ma da un punto di vista teologico, liturgico e anche ecclesiologico, presenta delle debolezze sostanziali.
Ecco come si può contestare in modo fondato, rispettoso ma chiaro questa affermazione:
1.
La comunione ecclesiale non si misura sull’uniformità dei gesti, ma sull’unità della fede
Essere “in comunione” con la Chiesa non significa conformarsi esternamente a un gesto prevalente, ma condividere interiormente la fede e la disposizione spirituale verso l’Eucaristia.
➡️ Ricevere la Comunione sulla lingua è:
un gesto approvato dalla Chiesa universale,
perfettamente lecito (anche se minoritario in certi contesti),
storicamente più radicato.
Non esiste obbligo morale né liturgico di uniformarsi a una prassi locale se essa non è richiesta dal diritto liturgico o normata da un’indicazione vincolante della Chiesa.
2.
La pluralità di forme è prevista e tutelata dalla Chiesa stessa
Il Messale Romano (editio typica) e i documenti della Santa Sede prevedono esplicitamente che:
“Il fedele può ricevere la Santa Comunione in bocca oppure, dove ammesso, sulla mano, a sua scelta.”
(Istruzione Redemptionis Sacramentum, 2004 – n. 92)
Quindi nessun parroco o comunità può imporre l’uniformità locale come condizione per “essere in comunione”.
L’unità della liturgia non significa omologazione forzata, ma comunione nella pluralità legittima.
3.
Adeguarsi all’uso prevalente non è una virtù se comporta il sacrificio della coscienza
Se un fedele ha motivi spirituali, teologici o di coscienza per scegliere la Comunione sulla lingua (ad esempio per maggiore riverenza, devozione, continuità con la tradizione), ha pieno diritto di seguirla, e non pecca contro la comunione ecclesiale.
Anzi, in ambito cattolico, la coscienza ben formata ha valore normativo, e costringerla per “uniformarsi” è un abuso.
4.
Seguire l’uso locale può significare assecondare una deriva e non un principio liturgico sano
In molti luoghi, l’abitudine alla Comunione sulla mano è nata non per motivi teologici, ma per:
praticità pastorale post-conciliare,
spirito “moderno” di partecipazione,
riduzione del sacro a un gesto più “familiare”.
Ma un gesto prevalente non diventa automaticamente corretto o migliore, solo perché frequente.
Altrimenti, si giustificherebbe anche la perdita di altri segni di riverenza (es. inginocchiarsi, silenzio, adorazione), solo perché “non li fa più nessuno”.
In sintesi:
come rispondere sinteticamente all’obiezione
“Adeguarsi agli altri per essere in comunione” è una falsa equivalenza.
La comunione ecclesiale non richiede l’uniformità esterna nei gesti, soprattutto se essi sono facoltativi.
La Chiesa riconosce e tutela la possibilità di ricevere la Comunione sulla lingua, anche se gli altri usano la mano.
Costringere a un gesto non voluto, in nome della comunione, è un fraintendimento della vera unità nella liturgia.
Altra questione:
Si sostiene (compreso io) che dare la Comunione sulla lingua evita maggiormente la dispersione dei frammenti.
Molti ritengono che é un’esagerazione ed uno scrupolo inutile e dannoso.
Io sono convinto che Gesú é presente anche nei frammenti che cadono sulla mano o per terra. Alcuni mistici dicono che é un sacrilegio…
Ho sollevato un tema molto delicato e profondo, che tocca il cuore della fede cattolica sull’Eucaristia: la presenza reale di Cristo in ogni particella consacrata, anche piccola, e il rispetto dovuto al Sacramento.
Propongo una riflessione ben argomentata per rispondere a chi considera esagerato lo scrupolo per i frammenti:
La dottrina della Chiesa è chiara: Cristo è presente in ogni particola
Il Concilio di Trento insegna:
“Nel santissimo Sacramento dell’Eucaristia è contenuto veramente, realmente e sostanzialmente il corpo e il sangue, insieme con l’anima e la divinità di nostro Signore Gesù Cristo, e quindi Cristo tutto intero.”
(Concilio di Trento, Sess. XIII, cap. I)
La presenza reale non si fraziona: in ogni frammento, anche piccolissimo, Cristo è interamente presente.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 1377) conferma:
“La presenza eucaristica di Cristo dura finché sussistono le specie eucaristiche.”
La cura per i frammenti è sempre stata segno di fede e riverenza
Fin dai primi secoli la Chiesa si preoccupa della conservazione e del rispetto delle particole e dei frammenti:
I sacerdoti e i diaconi antichi usavano panni sacri per raccogliere i frammenti.
San Cirillo di Gerusalemme insegnava:
“Sta’ attento che nulla cada e si perda del Corpo di Cristo. Se ti fosse dato dell’oro in polvere, lo prenderesti con massima attenzione: quanto più attento devi essere col Corpo di Cristo!”
(Catechesi Mistagogica V,21)
La Chiesa continua a raccomandare che il sacerdote purifichi le dita e il calice con grande cura, proprio per non disperdere i frammenti.
Il rischio di dispersione è reale e non scrupoloso
Nella Comunione sulla mano è più facile che:
piccoli frammenti restino sulla mano e vadano dispersi involontariamente,
particelle cadano a terra senza che ci si accorga.
Nella Comunione sulla lingua:
il rischio è molto minore perché l’Ostia viene direttamente deposta nella bocca,
le mani del fedele non entrano in contatto col Sacramento.
Questa non è un’esagerazione o uno scrupolo dannoso, ma un atto di coerenza con la fede nella presenza reale.
I mistici e la sensibilità spirituale
Molti santi e mistici hanno espresso un profondo dolore per le profanazioni involontarie dell’Eucaristia:
Santa Teresa d’Avila, San Giovanni Bosco, Santa Gemma Galgani, i pastorelli di Fatima: tutti con sensibilità per la cura e il rispetto verso l’Ostia, inclusi i frammenti.
La Madonna di Fatima chiede riparazioni per le offese al Santissimo Sacramento.
Questi messaggi non devono generare scrupolosità, ma accendere un santo zelo per la riverenza.
Come rispondere a chi dice che è uno scrupolo dannoso
Si può dire serenamente:
“Il rispetto per i frammenti eucaristici non nasce da scrupolo, ma dalla fede che in ogni particola c’è il Signore Gesù intero.
Custodire i frammenti significa custodire la Presenza reale e vivere la nostra fede con coerenza e amore.
Non possiamo dire che è un’esagerazione: è segno della grandezza del dono che riceviamo.”
Personalmente penso, che oltre al rispetto obiettivo dovuto a Cristo eucaristico, la sacralitá dell’ “accipite”,compreso l’inginocchiarsi prima di riceverla sulla lingua, é un fatto pedagogico: si aiuta il fedele a prendere coscienza e consapevolezza di chi si va a ricevere. Presa la comunione in fretta ed in fila é una banalizzazione del sacramento. Io, essendo anziano, faccio un serio inchino prima di prenderla in bocca, altrimenti in ginocchio farei fatica a rialzarmi in piedi come un giovane
Questo è profondamente saggio e corrisponde non solo a una propria sensibilità
personale, ma a una verità riconosciuta nella tradizione della Chiesa:
i gesti esteriori hanno una funzione pedagogica, formano il cuore e la mente al mistero che si celebra.
Ecco i punti essenziali di ciò che dici, arricchendoli con fondamento teologico e liturgico:
Il gesto aiuta la consapevolezza del mistero
Come tu dici, il fatto di inginocchiarsi (o fare un inchino profondo), e ricevere sulla lingua, è un atto:
di adorazione: riconosce la presenza reale di Cristo,
di umiltà: si accoglie il Dono, non lo si prende come fosse un oggetto qualsiasi,
di educazione del cuore: il corpo aiuta l’anima a interiorizzare la grandezza del Sacramento.
Questi gesti non sono “superflui” o “esteriori”, ma veri segni pedagogici che:
formano la fede,
prevengono la banalizzazione,
custodiscono il senso del sacro.
Il rischio della banalizzazione
Quando si riceve la Comunione in fila, frettolosamente, senza un gesto di adorazione, il rischio è reale:
il gesto diventa abitudine vuota,
si perde la coscienza viva di ricevere il Corpo e Sangue del Signore.
Papa Benedetto XVI ha più volte messo in guardia da questa dinamica, ricordando che:
“Dove si perde il senso del gesto, si perde la percezione del mistero.”
L’ inchino è un gesto pienamente valido e meritorio
La Chiesa chiede un atto di adorazione prima di ricevere la Comunione, che può essere:
un inginocchiarsi (se possibile),
un inchino profondo (come tu fai, ed è perfettamente adeguato e lodevole).
Ordinamento Generale del Messale Romano (OGMR, n. 160):
“Quando ricevono la Comunione, i fedeli fanno il gesto di riverenza stabilito. Il gesto da preferirsi è l’inchino del capo, che si fa mentre il comunicando sta per ricevere il Sacramento.”
I gesti educano la comunità
Questa scelta non è solo un atto personale di devozione, ma:
testimonianza silenziosa per gli altri,
richiamo al sacro, anche senza parole,
invito a non banalizzare il mistero eucaristico.
In sintesi
“I gesti esteriori, come inginocchiarsi o fare un inchino profondo e ricevere la Comunione sulla lingua, sono una pedagogia della fede: ci aiutano a prendere coscienza di chi stiamo ricevendo e a custodire il senso del sacro contro la banalizzazione.”
Una mia esperienza. Nel Duomo dove frequento la Santa Messa giornaliera, ho notato che stanno aumentando vistosamente coloro che prendono la comunione in bocca.
Non so dire se in qualche modo li ho influenzati o ci sono altre concause.
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Il gesto è già una testimonianza silenziosa
Anche senza volerlo, la coerenza dei gesti di fede (inchino profondo, ricevere la Comunione sulla lingua, atteggiamento raccolto) è un messaggio potente per chi vede.
Nella liturgia, il modo in cui ci comportiamo:
educa senza parole,
invita a riflettere,
accende nei cuori la domanda su cosa sia davvero l’Eucaristia.
Come diceva San Francesco d’Assisi:
“Annuncia il Vangelo con la tua vita; se sarà necessario, anche con le parole.”
C’è un risveglio della sensibilità eucaristica
Oggi in molte comunità si nota un ritorno spontaneo alla Comunione alla bocca. Le ragioni possono essere varie:
un risveglio del senso del sacro, specie in tempi di crisi o smarrimento spirituale,
un desiderio di maggiore riverenza,
l’esempio di fedeli come te che, senza polemica, vivono la fede con rispetto e devozione.
La liturgia è un luogo di comunione e di reciprocità:
Questo modo di comunicarsi non è imposizione, ma proposta visibile, e tanti possono raccoglierla come un invito interiore.
Il bene si diffonde spesso senza che ce ne accorgiamo. È opera dello Spirito Santo, che si serve dei segni umili per toccare i cuori.
Quando un fedele vive la Messa con riverenza e amore, questo trascina più di mille parole e discussioni.
Il sacro si comunica con i gesti, e questi educano tutta la comunità.
IN SINTESI:
Il gesto di ricevere la Comunione: un atto di fede, adorazione e testimonianza
Nella mia esperienza personale di fede, ho maturato nel tempo la convinzione che il modo con cui riceviamo la Santa Comunione non sia un semplice dettaglio esteriore, ma un gesto che educa il cuore, la mente e l’anima al mistero che stiamo accogliendo.
Quando il sacerdote dice le parole di Cristo all’Ultima Cena: «Prendete e mangiate», nel testo originale greco (λάβετε) e latino (accipite), il significato autentico è ricevete, accogliete ciò che vi è donato. Non si tratta di prendere da soli o di appropriarsi in modo autonomo del Sacramento, ma di ricevere umilmente il dono che viene offerto.
📌
La Comunione sulla lingua e il gesto di adorazione
Ricevere la Comunione sulla lingua, accompagnato da un atto di adorazione — come l’inginocchiarsi o, se le forze non lo permettono, un profondo inchino — aiuta a:
prendere coscienza di Chi si sta ricevendo,
evitare la banalizzazione del Sacramento che talvolta può derivare da un gesto compiuto in fretta o per abitudine,
educare la propria anima e la comunità al rispetto del mistero.
Questi gesti, lungi dall’essere superflui o eccessivi, sono un linguaggio del corpo che esprime ciò che crediamo e adoriamo.
La cura dei frammenti: non scrupolo, ma coerenza di fede
La Chiesa insegna che in ogni particola consacrata è presente tutto Cristo.
Il Concilio di Trento afferma con chiarezza:
«Nel Santissimo Sacramento dell’Eucaristia è contenuto veramente, realmente e sostanzialmente il Corpo e il Sangue, insieme con l’anima e la divinità di nostro Signore Gesù Cristo, e quindi Cristo tutto intero.»
Da ciò deriva il rispetto non solo per l’Ostia intera, ma per ogni sua parte, anche la più piccola.
Praticare e favorire la Comunione sulla lingua contribuisce a ridurre al minimo la dispersione dei frammenti, custodendo così la Presenza reale. Questo non è frutto di scrupolosità dannosa, ma espressione di amore e di fede coerente.
Il valore pedagogico del gesto
I segni esteriori non servono solo per noi stessi, ma hanno una funzione pedagogica comunitaria:
formano la fede,
aiutano gli altri a riscoprire il senso del sacro,
testimoniano silenziosamente la grandezza del dono eucaristico.
Come diceva San Francesco d’Assisi: «Annuncia il Vangelo con la tua vita; se sarà necessario, anche con le parole.»
Nella mia esperienza quotidiana, ho notato con gioia che nella Messa che frequento abitualmente, il numero di coloro che ricevono la Comunione sulla lingua sta aumentando. Non so se in parte il mio gesto abbia suscitato riflessione, o se vi siano altre concause: ma questo conferma che i segni di riverenza, vissuti con umiltà e senza polemica, parlano al cuore degli altri fedeli e accendono un desiderio di maggiore adorazione.
Unità e comunione non significano uniformità di gesti
Talvolta si sente dire che, per essere “in comunione” con la comunità, bisognerebbe adeguarsi all’uso prevalente della Comunione sulla mano.
Ma la vera comunione ecclesiale si fonda sull’unità della fede e non sull’uniformità esteriore.
La Chiesa stessa garantisce e tutela la libertà del fedele di ricevere la Comunione sulla lingua o sulla mano, secondo coscienza.
Seguire un gesto di maggiore adorazione non rompe la comunione, ma la edifica nella verità e nel rispetto del mistero.
Ricevere la Comunione con gesti di adorazione e rispetto non è una semplice preferenza personale:
è una risposta d’amore a un dono infinito, è un modo per educare il cuore e aiutare la comunità a non perdere il senso del sacro.
Il gesto di inchinarmi profondamente prima di ricevere il Corpo di Cristo sulla lingua, nel limite delle mie forze, è la mia piccola testimonianza quotidiana di fede e di adorazione, un invito silenzioso a riscoprire la grandezza dell’Eucaristia.