
Un italiano meridionale colto – diciamo un professore di lettere a Napoli, un intellettuale calabrese, un giornalista siciliano amante della lingua – che ascolta il friulano parlato con naturalezza potrebbe reagire in modo ambivalente: con curiosità intellettuale, ma anche con un certo distanziamento emotivo.
Vediamo i punti chiave, senza sconti:
1. Suono: “duro”, spigoloso, poco musicale (per l’orecchio sudista)
“Sembra una lingua aspra, con suoni ‘tagliati’, poco scorrevole… quasi mitteleuropea più che italiana.”
Un orecchio abituato alla melodia del napoletano, alla rotondità del siciliano, o al cantilenante lucano, troverebbe il friulano più chiuso, spezzato, con consonanti marcate e poche vocali aperte.
Potrebbe percepirlo come meno “caldo”, meno accogliente. Quasi freddo.
2. Interesse culturale: “una lingua seria”
“Non è una lingua che seduce subito… ma la rispetto. Sento che ha radici profonde.”
Il meridionale colto riconoscerebbe che il friulano è una vera lingua, con grammatica, sintassi, storia letteraria (da Pasolini ai poeti friulani del Novecento).
Anche se non la troverebbe “bella” al primo impatto, ne apprezzerebbe la dignità culturale, la coerenza interna.
Potrebbe dire:
“È più austera che passionale. Ma ha sostanza.”
3. Mancanza di “familiarità emotiva”
“Mi sembra una lingua distante. Non ci sento calore, né echi della mia Italia.”
Per chi viene dal Sud, abituato a lingue/dialetti pieni di esclamazioni, pathos, cadenze teatrali, il friulano potrebbe sembrare quasi estraneo all’idea di italianità.
Questo è un giudizio emotivo, non razionale, ma reale: il friulano non “suona italiano” al sudista, ma qualcosa tra slavo, ladino e germanico.
Non a caso, alcuni direbbero:
“Sembra una lingua delle montagne, dei silenzi. Qui giù, parliamo più col cuore che con la testa.”
4. Apprezzamento “da lontano”
“Non la parlerei, non la canterei… ma leggere una poesia in friulano, sì. Perché c’è forza.”
Il meridionale colto potrebbe non affezionarsi al suono del friulano, ma apprezzarne la letteratura, specie se scopre testi come quelli di Pier Paolo Pasolini in friulano arcaico.
Lo vedrebbe come lingua seria, onesta, di radici contadine, di identità forte.
E potrebbe sentire una forma di solidarietà linguistica, da minoranza a minoranza:
“Anche noi abbiamo dovuto difendere la nostra lingua da chi ci voleva zitti.”
Esempio di commento sincero da meridionale colto:
“Il friulano non mi tocca il cuore come fa il napoletano o il siciliano… ma lo ascolto con rispetto. Non è bello nel senso classico: è ruvido, severo, ma vero. Non fa spettacolo, ma racconta una terra.”
Ottimo, parliamo ora di un intellettuale lombardo colto — diciamo un professore universitario di Milano o Pavia, un linguista, o anche uno scrittore con sensibilità storica. Come potrebbe reagire ascoltando il friulano parlato bene?
La risposta è interessante, perché il lombardo ha una relazione più complessa con le lingue regionali: è più vicino geograficamente e culturalmente, ma non sempre emotivamente.
1. Interesse intellettuale immediato
“Il friulano è una lingua seria, coerente, con un’identità forte. È chiaramente una lingua neolatina autonoma, non un dialetto.”
Il lombardo colto non confonderebbe mai il friulano con un dialetto italiano. È abbastanza preparato da riconoscere che il friulano è una lingua minoritaria con status protetto, e che ha una grammatica propria.
Lo metterebbe sullo stesso piano del ladino, del sardo, dell’occitano.
Giudizio tipico:
“Il friulano ha una struttura robusta. Non è frammentario come certe varietà locali lombarde. Ha una sua dignità formale.”
2. Riconoscimento “acustico” di un parente montano
“Sento un’eco delle nostre montagne, ma con qualcosa di più duro. Un po’ ladino, un po’ slavo…”
Alcuni suoni friulani, come la “e” chiusa, le consonanti palatalizzate, o le sibilanti, possono ricordare al lombardo le parlate alpine, come il camuno o il valtellinese.
Ma il friulano appare più coeso, meno “sbriciolato” rispetto ai dialetti lombardi. E anche più stabile foneticamente.
Non lo trova musicale, ma “essenziale, asciutto, concreto”.
📌 Giudizio tipico:
“È come il granito: non levigato, ma forte. Parla una terra che lavora in silenzio.”
3. Stima per la resistenza culturale
“Questa è una lingua che ha resistito alla centralizzazione. Mentre qui in Lombardia le parlate locali si sono dissolte nella modernità, lì il friulano vive.”
Il lombardo colto invidia la coerenza della comunità friulana: continuano a usare la lingua, la insegnano a scuola, la scrivono.
Potrebbe anche provare un po’ di rimorso culturale: in Lombardia, il dialetto spesso si è ridotto a uso folklorico o familiare, mentre in Friuli è lingua di identità attiva.
📌 Giudizio tipico:
“Avessimo difeso il milanese o il bergamasco come i friulani hanno difeso la loro lingua… oggi avremmo una cultura più ricca.”
4. Distacco affettivo ma rispetto profondo
“Non è una lingua che mi emoziona, ma ne rispetto la coerenza e la sobrietà.”
Il friulano non scatena nostalgia né emozioni forti in un lombardo, perché non lo ha mai sentito parlare in famiglia.
Ma lo ammira a livello razionale: è una lingua che ha dignità, storia, struttura, e questo per un lombardo con mentalità pragmatica è molto importante.
Non proverà l’effetto “musica dell’infanzia” (come con un dialetto), ma potrà difenderlo con convinzione sul piano culturale e istituzionale.
📌 Giudizio tipico:
“Non lo capirei, non lo parlerei, ma lo sostengo. È un patrimonio da proteggere, non da ridicolizzare.”
Perfetto. Un intellettuale romano colto — immaginiamo un docente universitario, uno storico del linguaggio, uno scrittore o un giornalista culturale — ha un punto di vista particolare: vive nella capitale, in un crocevia culturale e linguistico, dove convivono senso dell’italiano standard, coscienza storica e contatto quotidiano con inflessioni popolari forti (il romanesco, ma anche le parlate “nuove” delle periferie).
Come potrebbe reagire all’ascolto del friulano?
1.
Istintiva percezione di distanza “nordica”
“Questo non è il mio suono. Qui non c’è il Tevere, c’è l’Isonzo. Non c’è sole, c’è bruma.”
Il romano colto percepirebbe il friulano come estraneo al suo orizzonte sonoro ed emotivo.
Il friulano, con le sue sonorità chiuse, dure, consonantiche, è molto distante dal romanesco, che è vocale, aperto, espressivo, ironico.
Non ci sentirebbe familiarità, né echi latini riconoscibili a orecchio.
Reazione emotiva: “È freddo. È austero. Mi dà l’idea di montagna, silenzio, legno bagnato. Noi siamo tufo, sole, sarcasmo.”
2.
Rispetto linguistico – e forse un po’ di “paternalismo” culturale
“È una lingua seria, certo. Ma quanto è davvero viva? La parlano ancora, o solo la celebrano?”
Il romano colto è abituato a convivere con il concetto di lingua madre e lingua nazionale: l’italiano nasce dalla Toscana ma si è stabilito a Roma come norma centrale.
Può riconoscere la struttura linguistica del friulano, ma a volte con una certa superiorità affettiva: come se si trattasse di una lingua periferica, nobile ma marginale.
Potrebbe apprezzare la difesa culturale del friulano, ma senza identificazione emotiva.
Commento tipico: “È come il latino di provincia, sopravvissuto per testardaggine. E questo mi piace.”
3.
Perplessità sul suono – “non ha swing”
“Non mi ci sento dentro. È ruvido. Non scivola. È lingua da bosco, non da bar.”
Rispetto al romanesco, che è musicale, ironico, teatrale, il friulano può sembrare serio fino alla rigidità.
Un romano colto potrebbe pensare: “Qui nessuno ci fa una commedia.” (Il che è parzialmente vero: il friulano è molto usato nella poesia, meno nel teatro comico.)
Giudizio sonoro: “Non si canta, si recita. Non scorre, si incide.”
4.
Riconoscimento storico e identitario
“Però va detto: il Friuli ha una storia linguistica impressionante. Resistere così, in silenzio, è un atto politico.”
L’intellettuale romano, abituato ai palazzi del potere, rispetta molto le minoranze linguistiche che resistono alla centralizzazione.
Se conosce la storia, sa che il friulano ha una continuità medievale, è stato lingua scritta, e che ha rischiato l’estinzione più volte.
Ne riconosce il valore culturale e civile, anche se non lo sente “suo”.
Riflessione tipica: “Il friulano è come un piccolo stato indipendente dentro l’Italia. Un Vaticano laico.”
5.
Emozione? Solo se mediata da poesia o cinema
“Lo sento vivo solo se lo recita Pasolini, o lo canta qualcuno. Altrimenti resta fuori dal mio cuore.”
Il romano colto è molto sensibile alla letteratura e al cinema. Se ha letto le poesie friulane di Pasolini o ha visto film con dialoghi in friulano, può esserne toccato profondamente.
Ma ha bisogno di una mediazione artistica per entrare in contatto con la lingua: da solo, il suono non lo coinvolge.
Commento emotivo: “Quando Pasolini lo scrive, il friulano è struggente. Quando lo sento al mercato di Udine… mi lascia freddo.”
Ottima scelta: il punto di vista di un intellettuale veneto colto è particolarmente interessante perché il rapporto tra friulano e veneto è al tempo stesso vicino, distante, e talvolta competitivo.
Sono due lingue regionali parlate in regioni confinanti, ma con storie, usi sociali e percezioni pubbliche molto diverse.
Chi è questo “intellettuale veneto”?
Immaginiamo una persona colta e consapevole: uno scrittore trevigiano, un docente universitario a Padova, o un giornalista culturale veneziano che ha riflettuto sia sulla lingua veneta, sia sulla questione friulana.
Ecco come potrebbe percepire il friulano:
1. Senso di parentela linguistica, ma con distinzione chiara
“Siamo vicini, sì… ma il friulano è un altro mondo. È ladino, non veneto.”
L’intellettuale veneto colto sa bene che veneto e friulano non sono la stessa cosa, anche se molti italiani li confondono.
Sa che il friulano è una lingua retoromanza, più vicina al ladino e al romancio, mentre il veneto è gallo-italico.
Riconosce che il friulano ha una grammatica più autonoma e meno italianizzata del veneto.
Giudizio tipico:
“Il friulano è più ‘chiuso’, più arcaico, più montano. Il veneto è più aperto, più mediterraneo.”
2. Ammirazione per la coerenza e la conservazione
“Loro l’hanno mantenuto come lingua. Noi l’abbiamo lasciato scivolare nel folklore.”
L’intellettuale veneto ammira la disciplina culturale del Friuli: il friulano si insegna nelle scuole, si scrive sui giornali locali, ha una dignità pubblica.
Il veneto invece, pur molto più diffuso e parlato, non ha status ufficiale, è usato più a livello affettivo che istituzionale.
C’è una certa invidia culturale: il friulano è meno “spettacolare”, ma più solido.
Commento ammirato:
“Loro lo trattano come una lingua. Noi ancora come un modo di dire “ti voglio bene” in cucina.”
3. Suono: “aspro ma autentico”
“Ha un suono secco, montanaro. Poco musicale, ma potente.”
Per un orecchio veneto, il friulano non è piacevole nel senso estetico: è duro, stretto, poco fluido.
Ma viene percepito come coerente, puro, incastonato nel paesaggio.
Non ci si fa canzoni romantiche, ma ci si fanno poesie vere.
Reazione sonora:
“Non lo canti, lo scrivi. Non ti abbraccia, ti pianta un paletto.”
4. Rispetto per la cultura scritta
“Hanno una letteratura che non si è piegata. Questo è raro.”
Un intellettuale veneto nota che la letteratura friulana non ha mai cercato il compromesso popolare, ma è rimasta verticale, spesso poetica o politica.
Da Pasolini a Novella Cantarutti, da Gilles al friulano contemporaneo, c’è una coerenza linguistica e morale che affascina.
Il veneto invece è spesso stato ibridato, spettacolarizzato, semplificato (pensiamo a Goldoni, al teatro comico, alla canzone popolare).
Giudizio tipico:
“Il veneto è da palcoscenico. Il friulano è da meditazione.”
5. Nessun senso di superiorità – ma rivalità sotterranea
“Loro si prendono più sul serio. Noi ci ridiamo addosso. Ma chissà chi ha ragione…”
L’intellettuale veneto non si sente superiore al friulano. Anzi, riconosce una forza civile nei friulani che i veneti spesso non hanno esercitato.
Ma esiste una sottile competizione culturale:
– “Noi siamo più popolari, più internazionali, più brillanti…”
– “Loro più duri, più autentici, più coerenti.”
Pensiero sincero:
“Forse il friulano è meno simpatico. Ma è più vero. E alla lunga, quello vince.”