VIDEO

https://www.youtube.com/watch?v=93_UjkOjYe4

(Da un racconto vero narrato dal protagonista, un anziano sacerdote, mio amico)

(Simone è un nome fittizio)

Era il 1943. Le vallate del Friuli orientale tacevano sotto un cielo greve, spezzato solo dall’eco delle marce dei soldati e dai sussurri delle preghiere. Un piccolo paese, abbarbicato tra le montagne, tremava nella morsa della paura. I partigiani, con il coraggio disperato di chi ama la libertà, avevano osato sfidare l’occupante, e ora i tedeschi si vendicavano con crudeltà feroce.

Il piccolo Simone, appena quattro anni, sedeva nella penombra della povera cucina. Tra le mani stringeva un piattino con un po’ di polenta, dono prezioso in quella miseria di guerra. La madre lo guardava con occhi pieni d’amore e d’ansia, mentre fuori i passi degli stivali si avvicinavano come tuoni minacciosi.

All’improvviso, la porta si spalancò con violenza. Un soldato tedesco lo afferrò senza pietà, strappandolo dal tepore materno. La polenta scivolò a terra. Simone, tremante, non riuscì neppure a gridare; sentì solo il cuore battergli come un tamburo nella gola. Fu trascinato nella piazzetta, dove le donne e i bambini erano già stati radunati, occhi sbarrati, mani giunte in preghiera.

La madre lo strinse a sé, le sue sottane odoravano di fumo e di farina. Le labbra si muovevano senza sosta, recitando un rosario silenzioso. L’ufficiale tedesco urlava ordini incomprensibili, la voce roca, la rabbia negli occhi. Il pianto sommesso dei bambini si mescolava al vento freddo che correva tra le case.

Ma tra quelle donne ce n’era una che trovò la forza di alzare lo sguardo. Era Maria, la quale conosceva la lingua del nemico. Con voce ferma, pur con le lacrime agli occhi, disse in tedesco:

«Non vedete? Siamo solo donne e bambini. Non vi vergognate? Siamo creature inermi, già spezzate dalla guerra. Che altro volete da noi?»

L’ufficiale si voltò verso di lei, furibondo.

«Nome! Cognome!» intimò, con la mano già sull’arma.

Maria pronunciò le parole con dignità.

L’uomo impallidì. Un silenzio irreale calò sul borgo. Quel nome, quel cognome… erano scolpiti nella memoria della sua infanzia. Era sua zia della quale aveva sentito raccontare storie da bambino, prima che la guerra lo strappasse alla sua terra, ai suoi affetti.

Per un attimo l’ufficiale non fu più soldato. Fu solo un uomo, ferito e smarrito.

Con un gesto rapido ordinò:

«Via. Lasciatele andare. Subito.»

E come un’ombra, il drappello si dileguò tra i vicoli, lasciando dietro sé solo il suono dei sospiri liberati.

Simone, tornato nella sua casa, trovò il piattino vuoto: il soldato che lo aveva strappato via aveva mangiato quel poco di polenta. Gli occhi gli si velarono di pianto, ma la madre lo prese tra le braccia, e con voce dolce gli disse:

«Non piangere, figlio mio. Il buon Dio ci ha salvati oggi. La polenta si rifarà, la vita no.»

E Simone, quel giorno, imparò cos’è un miracolo: un nome che salva, una madre che prega, e la mano invisibile della misericordia che si posa sui più piccoli.