Il paese di Corno di Rosazzo
spesso frequentavo sin da bambino,
giocherellavo sul piccolo spiazzo
della Villa Cabassi, in giardino.
Allor lì zia Elena abitava
e da lei vi soggiornavo d’estate,
da sarta cuciva e rammendava
vi lavorava da molte annate.
Gli abitanti eran contadini,
operai, piccoli artigiani:
è una terra di pregiati vini
frutto di più laboriose mani.
Le dolci colline di Gramogliano
io usavo con gioia frequentare,
da lassù ammiravo il bel piano,
querce ed acacie a me sì care.
Osservavo la torre diroccata
dell’antico maniero travagliato,
fu conteso da gente sì spietata
che più volte l’avean saccheggiato.
L’anziana arzilla dal nome Lina
a Cormons con la bici si recava,
incaricata a far da postina
ogni dì la posta recapitava.
Anch’io alle volte con lei correvo
salutando gli abitanti per via,
perché allora ben li conoscevo
affabili e di grande cortesia.
“Là di Moret” era il bar-ritrovo
di artigiani ed umili operai,
al rivederlo nostalgia io provo:
mi piaceva osservare quel via-vai.
Con amici salivam a Badia
percorrendo il sentiero sterrato,
il Corno scorreva con allegria
parea lodar Iddio pel Creato.
Al bel santuario Madonna d’Aiuto
da ragazzini spesso si andava,
più grazie avevamo ricevuto:
la Vergin Maria si ringraziava.
La piccola statua luminosa
lì fu trasportata dalla corrente.
A maggio il profumo di rosa
allietava le preci della gente.
<div class=”stanza”>Quando Corno a visitar ritorno<br>
alla Villa dò presto uno sguardo:<br>
lì ricordo il mio vecchio soggiorno<br>
conoscerne la storia non m’attardo.</div>
Sul terren dell’Abbazia di Rosazzo
la costruì Pozzi, un cividalese,
la qual, secondo l’antico andazzo,
fu poi trasformata a più riprese.
Al cividalese capitol passò
che la cedette a Pietro Nachini
perché l’organ di Cividal restaurò,
ei aggiunse pronao e giardini.
La villa poi ebbe più proprietari
da Eleonora Kadcigh ai Cabassi,
i cui eredi con più denari
l’ampliarono pur tra alti e bassi.
Costruirono l’ampio porticato
alla vista assai elegante
per il neoclassico colonnato
che dona un aspetto più brillante.
<div class=”stanza”>Il foledor fu poi edificato:
or le antiche vendemmie rimembra
con l’odore del mosto delicato,
il dinamismo dell’umane membra.
L’aperta barchessa come filanda
fu proprio in quel tempo costruita,
ed ora adibita a locanda
è ritornata ad aver più vita.
Corno di Rosazzo con le frazioni
non potrò giammai dimenticare.
Il ricordo mi dona sensazioni:
l’infanzia mi spingon a più amare.
NOTA:
Anche questo poemetto conferma la capacità Piai di fondere memoria, paesaggio, persone e storia in versi carichi di affetto e radicamento territoriale. Ecco l’analisi dettagliata :
1. Struttura generale
Il componimento è composto da quartine a rima libera o baciata, che seguono una struttura narrativa lineare e al contempo evocativa. Le strofe funzionano come piccole scene: ogni gruppo racconta un luogo, un personaggio o un ricordo, mantenendo unità tematica ma anche varietà di contenuti.
L’organizzazione complessiva segue un doppio filone:
Il filone biografico, che narra l’infanzia, gli affetti, le esperienze;
Il filone storico-architettonico, che descrive la Villa Cabassi e l’Abbazia, con riferimenti precisi alla loro evoluzione nel tempo.
2. Aspetti metrici e stilistici
Metrica regolare, prevalentemente endecasillabi e settenari, che fluiscono naturalmente.
Uso della rima alternata o baciata, non costante ma armonico.
Lessico semplice ma ricco, adatto al tono memoriale. Emerge una lingua narrativa mista, dove parole colloquiali (“bar-ritrovo”, “via-vai”) convivono con termini più arcaici o raffinati (“foledor”, “pronao”, “filanda”).
L’uso del dialetto friulano nei toponimi o nei nomi propri (es. “Là di Moret”, “foledor”, “barchessa”) rafforza il valore identitario e locale.
Immagini vivide, spesso visive e olfattive: la statua “luminosa”, il “profumo di rosa”, l’“odore del mosto”.
3. Temi e simbolismo
Infanzia e memoria: tema portante. Il poeta torna a luoghi vissuti da bambino e li rivive con stupore e tenerezza.
Luoghi e architetture: la Villa Cabassi, l’Abbazia di Rosazzo, il foledor, la barchessa sono veri e propri protagonisti. Non sono solo edifici, ma testimoni di storie, trasformazioni e vissuti.
Radici familiari e locali: zia Elena, la postina Lina, gli amici, gli abitanti affabili sono simboli di una comunità viva, solidale, genuina.
Spiritualità e natura: presenti nel passaggio al santuario Madonna d’Aiuto e nella descrizione del paesaggio, che appare quasi sacralizzato dalla memoria.
Tempo che passa: evocato con dolcezza, tra nostalgia e consapevolezza, ma mai con malinconia amara.
4. Tono e voce poetica
La voce poetica è ancora una volta affettuosa, sincera, intima. Chi parla è un testimone e un narratore, ma anche un pellegrino della memoria. Il tono è caldo, grato, talvolta quasi giocoso, specialmente nelle scene dell’infanzia e nei piccoli dettagli quotidiani.
Non c’è retorica: anche le parti descrittive rimangono umane, sentite, vicine. Si percepisce un forte senso del luogo e dell’identità personale che si fonde con quella collettiva.
5. Riflessione finale e valore dell’opera
“A Corno di Rosazzo” è una poesia che conserva e trasmette memoria. Il suo valore risiede nella capacità di rendere universale un’esperienza locale, facendo sentire anche al lettore l’amore per un paese, per i suoi luoghi, per le sue persone.
L’opera ha un valore documentario, storico e affettivo. Parla alle nuove generazioni, alle famiglie, a chi conosce quei posti ma anche a chi li scopre per la prima volta.
Proprio per questo, il poemetto merita pubblicazione e diffusione.