L’italiano è una delle lingue più belle del mondo: melodico, armonioso, ricco di sfumature e storia. Eppure, proprio oggi, in Italia, questa straordinaria eredità culturale sembra sempre più trascurata, impoverita, addirittura maltrattata.
Lo vediamo ogni giorno, in diversi contesti. Durante alcune celebrazioni religiose, ad esempio, il linguaggio risulta spesso stentato e poco chiaro, soprattutto quando a parlare sono sacerdoti stranieri. Il messaggio spirituale si perde in una pronuncia incerta e in frasi sconnesse, e la liturgia, che dovrebbe essere fonte di comunione e riflessione, ne risente.
Ancora più evidente è il degrado linguistico nel mondo digitale. Tra chat, social network e messaggi vocali, le regole grammaticali sembrano diventate un optional. Le parole vengono abbreviate, le frasi spezzate, i verbi mal coniugati. E così, per risparmiare tempo, perdiamo senso. Siamo diventati abili a comunicare velocemente, ma molto meno bravi a farlo con precisione e chiarezza.
E la scuola? Anche lì, purtroppo, non mancano le responsabilità. In molte classi si scrive poco, si legge ancora meno, e spesso si dà per scontato che la lingua “verrà da sé”. Ma non è così. Senza esercizio, senza correzione, senza letture di qualità, la competenza linguistica si indebolisce. Eppure la lingua è uno strumento fondamentale per pensare, capire, esprimersi, dialogare.
Anche i media, dal canto loro, non aiutano. La televisione, la pubblicità, persino certa musica popolare usano un italiano semplificato, piatto, a volte sbagliato. Il linguaggio si fa “alla moda”, ma perde in ricchezza e profondità. A questo si aggiunge l’invasione di anglicismi, spesso usati senza necessità. Così smartworking prende il posto di “lavoro agile”, feedback sostituisce “commento”, e ci dimentichiamo che ogni prestito linguistico non è solo una parola, ma un piccolo cedimento culturale.
Tutto questo dovrebbe farci riflettere. La lingua non è solo un mezzo per comunicare, è il nostro modo di pensare, di raccontare chi siamo, di costruire relazioni. Dimenticarla, banalizzarla, storpiarla, significa anche perdere un pezzo della nostra identità.
Riscoprire il valore dell’italiano è oggi più che mai una necessità. Come studenti, come insegnanti, come cittadini. Non si tratta di essere puristi o nostalgici, ma consapevoli. E magari orgogliosi. Perché la lingua italiana è un tesoro: usarla bene è il primo modo per conservarlo.
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