L’idea che Dio possa generare infiniti mondi, realtà o dimensioni risveglia un senso di meraviglia che sfiora i confini della fede e della filosofia, della scienza e della poesia. È un pensiero che non si lascia chiudere in un’unica disciplina: parla allo spirito come alla ragione, all’immaginazione come alla logica.

Se Dio è davvero onnipotente, come viene spesso concepito nella teologia, allora nulla vieta che possa creare universi senza numero, ognuno con leggi proprie, con storie diverse, esseri senzienti mai visti, e persino con scopi che sfuggono completamente alla nostra comprensione.

Alcuni di questi mondi, forse, non solo ci sono sconosciuti, ma sono intrinsecamente inconcepibili per la mente umana — mondi “altri” non perché lontani, ma perché strutturati secondo logiche che non appartengono alla nostra esperienza. Da secoli mistici e filosofi hanno ipotizzato che la realtà percepita sia solo un velo sottile, e che dietro di esso si estenda un oceano di esistenze.

Oggi, la scienza sembra sfiorare quella stessa intuizione parlando di multiversi, universi-bolla, dimensioni nascoste: concetti che un tempo erano solo metafore e oggi diventano ipotesi matematiche. Forse a molti piace perdersi in questo pensiero perché in esso si cela un richiamo profondo: la sensazione che ciò che vediamo sia una piccola isola, e che attorno a noi, invisibile, si stenda un arcipelago infinito di possibilità.

E chissà, forse, ogni tanto, in un sogno, in un lampo di intuizione o in un istante di silenzio, uno di questi mondi si lascia intravedere — come un riflesso lontano sulla superficie dell’acqua.

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