Nel 2014 Enrico Marras è stato selezionato dal prof. Vittorio Sgarbi nel suo prestigioso annuario d’arte contemporanea “Artisti” (EA Editore).
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Dici informale a Udine, e pensi immediatamente ad Afro, come in un automatismo da cane di Pavlov.
Ma non so quanto il presunto assioma servirebbe a farci capire qualcosa di più dell’arte informale di Enrico Marras, udinese, malgrado il cognome tutt’altro che friulano, se non come furbo accorgimento su cui impiantare una bella dissertazione retorica.
Né, credo, servirebbe molto dì più, restringendo il campo delle possibili influenze assorbite per via ereditaria, cercare appigli risolutivi nella madre dì Marras, Alida Puppo, artista anche lei con cui ha spesso esposto, ma il cui orizzonte espressivo mi pare decisamente distante da quello del figlio, quasi che i due fossero, artisticamente parlando, degli estranei fra loro piuttosto che consanguinei.
In realtà, a lasciare decantare le cose senza affidarsi troppo alle sensazioni del primo momento, si riuscirebbe a individuare almeno un punto in comune fra i modi di Marras e quelli della Puppo, un elemento, per di più, che non può essere certo ritenuto accessorio, ma fondante del loro modo di fare arte: entrambi concepiscono la materia, che abbia un aspetto grezzo, ancora tutto da plasmare, o già forgiato, in attesa, quindi, di essere reinventata dall’operato dell’autore, come principio generatore di ogni successivo intervento volto a riconnotarla in senso estetico.
Si ha, insomma, la chiara impressione che Marras non proceda mai prescindendo da ciò di cui intende servirsi per creare, come se la strada espressiva da intraprendere non gli possa che essere indicata dal dialogo preliminare che con esso riesce a stabilire. Se finestre esistenziali sono, così come Marras chiama il ciclo più rappresentativo della sua produzione, lo sono non in quanto imposizione di un’idea a priori che alla materia chiede solo di trovarle un’adeguata equivalenza fisica e simbolica.
Perché Marras asseconda la materia, cavando dalle sue varianti, nel rispetto del carattere di ognuna, le potenzialità da cui derivare un linguaggio di intento lirico che ha ormai conseguito una sua chiara grammatica (si pensi, per esempio, alla cifra grafica del grumo, precisa come una lettera dell’alfabeto che fosse messa a rilievo).
Se il fine ultimo del processo é la spiritualizzazione dell’originariamente informe, tenendo, in questo senso, la massima aderenza possibile fra chi crea e quanto viene creato, direi che Enrico Marras ci riesce in pieno.
Vittorio Sgarbi