IV di quaresima Luca 15, 11-32

 

p. Ermes Ronchi

Un padre esperto in abbracci.

 

Omelia.

Un padre aveva due figli. La parabola più bella. Nessuna pagina al mondo raggiunge come questa il cuore delle cose.

Io voglio bene al prodigo. Il prodigo è infinito, è storia di tutti, di umanità ferita eppure incamminata. Storia di un felice sbaglio, che permette di andare più a fondo nel cuore di Dio.

La parabola si sviluppa in quattro sequenze narrative.

 

Prima scena. Un padre aveva due figli. Nella bibbia, questo incipit causa subito tensione: nel libro le storie di fratelli non sono mai facili, spesso raccontano drammi di violenza e menzogne, riportano alla mente Caino e Abele, Ismaele e Isacco, Giacobbe ed Esaù, Giuseppe e i suoi fratelli. E, sullo sfondo, il dolore spesso muto dei genitori.

Un giorno il figlio minore se ne va, in cerca di se stesso, con la sua parte di eredità, di “vita” dice letteralmente il testo antico. Si ribella, ma quante volte i figli ribelli sono in realtà solo dei richiedenti amore.

E il padre non si oppone, lo lascia andare, anche se teme che si farà male: lui ama la libertà dei figli, la provoca, la festeggia, la patisce. Un uomo giusto.

 

Secondo quadro. Quello che il giovane inizia è il viaggio della libertà, ma le sue scelte si rivelano come scelte senza salvezza (sperperò le sue sostanze vivendo in modo dissoluto). Una illusione di bella vita da cui si risveglierà in mezzo ai porci, ladro di ghiande per sopravvivere: il principe sognatore è diventato servo.

Allora rientra in sé, dice il racconto, chiamato da un sogno di pane (la casa di mio padre profuma di pane…) Ci sono persone nel mondo con così tanta fame che per loro Dio non può avere che la forma di un Pane (Gandhi).

Lo fanno ragionare la fame, la sua dignità umana perduta, il ricordo del padre: ‘quanti salariati in casa di mio padre, e quanto pane!’. Con occhi da adulto, ora conosce il padre innanzitutto come un signore giusto che ha rispetto della propria servitù (R. Virgili).

E decide di ritornare, non come figlio, ma come uno dei tanti servi: trattami come un salariato! non cerca un padre, cerca un buon padrone; non torna per senso di colpa, torna per fame; non torna per amore, ma perché muore.

Ma a Dio non importa il motivo per cui ci mettiamo in cammino, a lui basta che muoviamo il primo passo.

 

Terza sequenza. Ora l’azione diventa incalzante. Il padre, che è in attesa, attesa eternamente aperta, “lo vede che era ancora lontano”, e mentre il figlio cammina, lui corre.

E mentre il ragazzo prepara una scusa, il padre non ascolta;

non rinfaccia, lui abbraccia:

ha fretta di capovolgere la lontananza in carezze.

Per lui perdere un figlio è una perdita infinita.

Non ha figli da buttare, Dio.

L’uomo cammina, Dio corre. L’uomo si avvia, Dio è già arrivato.

Infatti: il padre, vistolo di lontano, gli corse incontro…

E lo ha già perdonato prima ancora che apra bocca, di un amore che previene il pentimento, che lo ignora. Il tempo della misericordia è l’anticipo.

Al padre non importa niente di tutte le scuse che il ragazzo ha preparato, perché alla fedeltà del figlio preferisce la sua felicità. Non guarda al passato, ma al futuro.

Non domanda: cosa hai fatto, da dove vieni?

Ma: dove sei diretto?

Non gli interessa il passato, ma il futuro.

Dove il mondo dice ‘perduto’, Dio dice ‘ritrovato’;

dove il mondo dice ‘morto’, Dio dice ‘rinato’. Futuro.

Dio è padre solo se ha dei figli vivi, e felici.

E ora finalmente ritorna ad essere padre

E lo mostra con gesti che sono materni e paterni insieme, e infine regali: “presto, il vestito più bello, l’anello, i sandali, il banchetto della gioia e della festa”. E perdona non con un decreto, ma con una carezza.

 

Ultima scena. Lo sguardo ora lascia la casa in festa e si posa su di un terzo personaggio che si avvicina, di ritorno dal lavoro. ‘L’uomo sente la musica, ma non sorride: lui non ha la festa nel cuore’ (R. Virgili). Buon lavoratore, ubbidiente e infelice. Alle prese con l’infelicità che deriva da un cuore che non ama le cose che fa, e non fa le cose che ama: io ti ho sempre ubbidito e a me neanche un capretto… il cuore assente, il cuore altrove.

«Io ho sempre fatto tutto ciò che volevi…. E’ il figlio bravo, che ha sempre ubbidito, praticante e osservante, ma che avrebbe tanto voluto fare tutt’altra vita. Per lui la vita bella era l’altra, quella del fratello: feste, soldi, donne… Il suo cuore era malato, era spento.

Troviamo qui il modello triste dei cristiani del capretto! Sempre a chiedere, con il loro amore mercenario, con il loro cuore assente. Io ti ho dato messe, preghiere, sacrifici, adesso tu dammi…

Ma Dio non si merita, si accoglie.

E il padre, che vuole figli per casa e non servi, che siano fratelli e non rivali, lo prega, con dolcezza, di entrare: entra, è in tavola la vita.

Il finale è aperto: capirà il ragazzo grande?

La parabola rimane incompiuta, aperta sull’offerta mai revocata, l’offerta irrevocabile di Dio.

 

Questo padre non è giusto, è di più: è amore, esclusivamente amore.

L’amore non è giusto: è giusto che io sia amato? che tu ami proprio me?

E quando sento dire: va bene l’amore, ma Dio è anche giusto, mi prende un dolore dentro, quasi una indignazione: non sanno quello che dicono!

Stiamo attenti a non offendere Dio, a non immiserirlo alla nostra idea di giustizia, come fosse uno di noi.

Il nostro concetto di giustizia: dare a ciascuno il suo! La giustizia di Dio è ben di più: dare a ciascuno se stesso.

 

La giustizia di Dio non è pareggiare i conti con l’uomo. Nella Croce del Figlio, in quell’abbraccio sul legno, Dio non versa il sangue di nessuno, versa il proprio sangue, non spezza nessuno, spezza se stesso. Giustizia di Dio è rendere noi giusti.

 

Allora Dio è così? Così eccessivo, così tanto, così esagerato?

Raccontato in un abbraccio? Sì, il Dio in cui crediamo è così.

Immensa rivelazione per cui Gesù morirà.

Di prodigo, di prodigioso in questa storia c’è solo l’amore del Padre.

Nessuno ha un Dio come il nostro.

 

Preghiera

 

Figlio prodigo che sei nei cieli,

figlio salvato dal ricordo del pane,

che a migliaia di prodighi hai dato l’esempio,

giovane uomo che hai conosciuto il vuoto delle cose,

l’orrore della fame, la nostalgia di casa,

aiutami a pregare per i figli fuggiti di casa,

per i genitori abbandonati,

per i figli con il cuore di servi

per le braccia che non si aprono all’abbraccio,

per i fratelli che non si riconciliano,

per me che sono tutto questo,

tante volte perduto, tante volte ritrovato.

Padre dalle grandi braccia,

salvami dal mio cuore di servo,

ridammi la gioia di essere figlio.

Tu non hai figli da perdere.

Allora, trovami tu, Signore,

trovami perché sono perduto;

trovami non perché mi sono convertito,

ma perché tu ti sei convertito a me.

Sono l’eterno mendicante,

l’eterno ingannatore.

Sono la tua sofferenza,

ma posso essere la tua gioia.

Grazie per essermi padre.

Nessuno ha un Padre come il nostro!

Amen.