Ti senti indegno perché sei un peccatore incallito?Lasciati abbracciare da Gesù: Egli ti ama, ti cerca e se ti penti sinceramente ti perdona sempre!
Sei fragile e spesso non riesci a resistere alle tentazioni?Lasciati abbracciare da Gesù : Egli ti incoraggia e ti dona il suo Spirito per rinforzare in te la volontà.Spesso sei indifferente per le cose dello spirito?Lasciati abbracciare da Gesù: Egli ti infonde Amore e plasma il tuo cuore.
Provi insoddisfazione, malinconia e noia per il tipo di vita che conduci?Lasciati abbracciare da Gesù : Egli ti dona l’entusiasmo e la gioia di vivere.
Hai paura di non farcela?Lasciati abbracciare da Gesù : Egli ti dona la forza, il coraggio e la speranza, se hai fiducia in Lui.
Hai molti dubbi di fede?Lasciati abbracciare da Gesù : il suo Spirito rafforza la tua fede.
In ogni occasione, nel bene e nel male, ricordi sempre a Gesù: è davvero Lui la tua speranza!
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Mc 16,15…
Gesù disse (agli 11 apostoli): “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato…”
Gesù non ha detto: “se vi sentite, se per voi non è un disturbo, ecc”. Ha proprio detto “Andate”, cioè ha dato un ordine ben preciso sia ai predicatori ( predicate il vangelo) che a coloro che li ascoltano (ogni creatura deve credere e farsi battezzare).
Non può esserci alcun compromesso: ogni uomo, a qualsiasi popolo e società appartenga, deve credere e convertirsi al Vangelo. Non c’è nessun’altra forma di salvezza al di fuori del Vangelo.Sappiamo che il Vangelo è Gesù Cristo con le sue parole e le sue opere. (Chi vede me vede il Padre)
Chi cerca compromessi si mette contro Gesù Cristo stesso e chi è contro Gesù è contro Dio. Il Vangelo non può essere annacquato o strumentalizzato secondo interpretazioni arbitrarie.
Il vostro parlare sia “sì, sì/ no,no”, il resto viene dal maligno. Attenti, quindi, a coloro che predicano un vangelo diverso, che stravolgono il senso della famiglia e della stessa persona per venire incontro alle false esigenze del mondo.
“Gesù Cristo è lo stesso di ieri, oggi e domani.”
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Gv 15,9-17
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore.
Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore.
Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi.
Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici.
Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda.
Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».
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“Un discorso di incitamento all’odio o discorso d’odio è una comunicazione con elementi verbali e non verbali mirati a esprimere e diffondere odio e intolleranza, o a incitare al pregiudizio e alla paura verso un individuo o un gruppo di individui accomunati da etnia, orientamento sessuale o religioso, disabilità, altra appartenenza sociale o culturale…” (Wikipedia)
Meditiamo sul comportamento di Gesù:
Pubblicamente Gesù ha usato parole forti contro l’ipocrisia degli scribi e dei farisei per sottolineare che la menzogna è uno degli atteggiamenti più peccaminosi dell’uomo.
Non ha mai provocato, però, una fazione contro l’altra.. farisei, sadducei, esseni, ecc.
Gesù frequentava anche i peccatori perché li amava davvero in quanto erano coloro che avevano più bisogno del suo intervento salvifico.
Ha dialogato con la samaritana del pozzo, col centurione romano guarendo il suo servo, con la cananea che l’aveva toccato per guarire, ecc.
Quando incontrava i lebbrosi non si allontanava da loro, ma li guariva.
Aveva anche esclamato “Venite a me o voi tutti che siete affaticati e stanchi ed io vi ristorerò.”
Gesù ha testimoniato l’amore universale con i fatti e le parole.
Anche noi cristiani dobbiamo fare così ed i sacerdoti dovrebbero insegnare testimoniando con i fatti il loro Maestro.
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Le meditazioni raccolte in questo volume sono frutto di esperienza e di vita vissuta.
I passaggi presi dal Nuovo Testamento o dalle massime dei santi aiutano a riconsiderare la vita di ogni giorno sotto una rinnovata luce della fede.
Francesco Bersini (1915-2003), gesuita di origine bresciana, laureato in filosofia e teologia, ha dedicato numerose pubblicazioni di taglio scientifico e divulgativo a tematiche legate al diritto canonico, pur coltivando sempre un interesse anche per la spiritualità.
EDITRICE ANCORA
VIDEO REALIZZATI SUL TESTO RELATIVO ALLA “SAPIENZA DEL VANGELO”:
https://www.youtube.com/watch?v=IskTLTIp6Gs
Cap. 5 FIGLIO MIO, ABBI CURA DEL TEMPO
https://www.youtube.com/watch?v=hiytoNwh6YI
CAP. 10 IL PENSIERO DELLA MORTE ED I SUOI INSEGNAMENTI
https://www.youtube.com/watch?v=YqjWsy4jtaM
Cap. 41 IL VALORE DEL SORRISO
QUANTO VALE IL SORRISO?
https://www.youtube.com/watch?v=X7Q1kKurve8
Cap.139 PENSA ALLA MORTE COME UNA DOLCE SORELLA
https://www.youtube.com/watch?v=yPg2yC5Dcg4
Cap. 151 L’AMORE DI GESÙ PER TE ( SE TU SAPESSI..)
https://www.youtube.com/watch?v=4BcyJ6VxjBI
Cap.157 SOLO IN GESÙ C’È SALVEZZA
https://www.youtube.com/watch?v=x8e4o_CULEY
Cap. 162 LA PRESENZA DI GESÙ NELL’EUCARISTIA
https://www.youtube.com/watch?v=XsVRX2JdBBA
Cap. 171 SOLO CON L’ AIUTO DELLO SPIRITO SANTO POTRAI FARE DEL BENE
https://www.youtube.com/watch?v=NvVIIEp7fIs
Cap. 176 I BENEFICI DI DIO
NON CONTENTO DI AVERTI DATO L’ ESISTENZA, DIO TI HA FATTO DONO DELLA VITA DIVINA
https://www.youtube.com/watch?v=Ya29O6lgCLo
Cap. 178 AMA DI CON TUTTO IL CUORE
https://www.youtube.com/watch?v=FYmmlYhIGu0
Cap.184 IN CIELO NON FARAI CHE AMARE
https://www.youtube.com/watch?v=ivd1TZKAB-c
Una frase del vangelo è di capitale importanza: sono venuto per servire.
La più spiazzante autodefinizione di Gesù. La più rivoluzionaria e contromano. Ma che illumina di colpo il cuore di Dio, il senso della vita di Cristo, e quindi della vita di ogni uomo e ogni donna.
Un Dio che, mentre nel nostro immaginario è onnipotente, nella sua rivelazione è servo.
Da onnipotente a servo. Novità assoluta.
Perché Dio ci ha creati? Molti ricordiamo la risposta del catechismo: Per conoscere, amare e servire Dio in questa vita, e goderlo nell’altra…
Gesù capovolge la prospettiva, le dà una bellezza e una profondità che stordiscono: siamo stati creati per essere amati e serviti da Dio, qui e per sempre.
Dio esiste per te, per amarti e servirti, dare per te la sua vita, per essere sorpreso da noi, da questi imprevedibili, liberi, splendidi, creativi e fragili figli.
Dio considera ogni figlio più importante di se stesso.
Ermes Ronchi
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Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina.
Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole.
Tu però vigila attentamente, sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunziatore del vangelo, adempi il tuo ministero.
2 Timoteo 4:1-5
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Fb 6 dicembre 2020
Mc 1, 1-8
Un messaggio sul nulla
p. Ermes Ronchi
“Inizio del vangelo”, inizio della bella notizia che è Gesù. E sembra quasi una annotazione pratica, un titolo esterno al racconto. Ma il vero sigillo del senso, è nel termine “vangelo” che significa bella, allegra, gioiosa notizia.
Perché, a partire da cosa, ricominciare a vivere e a progettare, se non da una notizia buona, da una notizia bella arrivata magari all’improvviso, oppure attesa a lungo? Solo a partire dal bene si può intuire un futuro, e mai iniziando da amarezze, errori, dal male che assedia.
Ricominciare da una cattiva notizia è finta intelligenza, priva di una sapienza che sa di vangelo. E se qualcosa di doloroso ci tormenta, buona notizia diventa il perdono, che lava via gli angoli bui annidati nel cuore. A noi il compito di spargere larghi sguardi di promessa, sguardi di vangelo!
Due voci parlano del venire di Dio. Isaia, voce del cuore: Viene il Signore con grande potenza, che è la sua tenerezza; tiene sul petto gli agnellini e conduce pian piano le pecore madri. E’ la tenerezza di Dio, potenza immensa e assoluta.
E Giovanni, delle acque e del sole: Viene uno dopo di me ed è il più forte. Lui ci battezzerà, ci immergerà nel turbine santo di Dio.
Isaia e Giovanni, potremmo definirli “cercatori di profeti”. Per Isaia, profeta è innanzitutto uno che apre strade anche sul nulla, che scova tracce di speranza là dove sembrava impossibile; uno che non si nasconde, né si lascia omologare dal pensiero dominante.
I profeti: creatori di strade, liberi come nessuno! Ascoltarli è diventare come loro. Il loro secondo marchio è l’essere in attesa, insoddisfatti di ciò che hanno, cuore in tensione attratto dal richiamo di cose lontane.
In terzo luogo, profeta è colui che ri-orienta la vita: Giovanni predicava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, che sono il fallimento di chi non riesce a raggiungere la propria meta, ha perso la rotta ed è caduto. Il perdono è Dio che scuote, che indica di nuovo l’obiettivo, che fa ripartire, carovana che si rimette in viaggio all’alba, vento per la nave che salpa.
Perdono è un nuovo inizio, un nuovo mare, un nuovo giorno.
I due profeti annunciano un Altro più grande, il loro centro è altrove: in un desiderio, un orizzonte, una persona. Usano lo stesso verbo, in un eterno presente: Dio viene.
Specialmente Giovanni non dice: verrà, un giorno. Oppure: sta per venire, tra poco, e già sarebbe cosa grande. Ma semplice, diretto, sicuro, dice: viene! Giorno per giorno, continuamente, adesso. Anche se non lo vedi, eccolo, in cammino sulla tua strada. Si fa vicino nel tempo e nello spazio, ci stupisce come la prima neve.
Perché ciò che fa ricominciare a sorridere, a inventare, a relazionarsi, è sempre un presagio di gioia, uno straccetto di profetica speranza, almeno intravista. Di tracce nascoste di Dio, è pieno il mondo.
2 Avvenire II di avvento B
Due voci, a distanza di secoli, gridano le stesse parole, nell’arsura dello stesso deserto di Giuda. La voce gioiosa di Isaia: «Ecco, il tuo Dio viene! Ditelo al cuore di ogni creatura». La voce drammatica di Giovanni, il Giovanni delle acque e del sole rovente, mangiatore di insetti e di miele, ripete: «Ecco, viene uno, dopo di me, è il più forte e ci immergerà nel turbine santo di Dio!» (Mc 1,7).
Isaia, voce del cuore, dice: «Viene con potenza», e subito spiega: tiene sul petto gli agnelli più piccoli e conduce pian piano le pecore madri. Potenza possibile a ogni uomo e a ogni donna, che è la potenza della tenerezza.
I due profeti usano lo stesso verbo, sempre al presente: «Dio viene». Semplice, diretto, sicuro: viene. Come un seme che diventa albero, come la linea mattinale della luce, che sembra minoritaria ma è vincente, piccola breccia che ingoia la notte.
Due frasi molto intense aprono e chiudono questo vangelo. La prima: Inizio del vangelo di Gesù Cristo, della sua buona notizia. Ciò che fa ricominciare a vivere, a progettare, a stringere legami, ciò che fa ripartire la vita è sempre una buona notizia, una fessura di speranza. Inizio del vangelo che è Gesù Cristo. La bella notizia è una persona, il vangelo è Gesù, un Dio che fiorisce sotto il nostro sole, venuto per far fiorire l’umano. E i suoi occhi che guariscono quando accarezzano, e la sua voce che atterra i demoni tanto è forte, e che incanta i bambini tanto è dolce, e che perdona. E che disegna un altro mondo possibile. Un altro cuore possibile.
Dio si propone come il Dio degli inizi: da là dove tutto sembra fermarsi, ripartire; quando il vento della vita «gira e rigira e torna sui suoi giri e nulla sembra nuovo sotto il sole» (Qo 1,3-9), è possibile aprire futuro, generare cose nuove. Da che cosa ricominciare a vivere, a progettare, a traversare deserti? Non da pessimismo, né da amare constatazioni, neppure dalla realtà esistente e dal suo preteso primato, che non contengono la sapienza del vangelo, ma da una “ buona notizia”.
In principio a tutto c’è una cosa buona, io lo credo. A fondamento della vita intera c’è una cosa buona, io lo credo. Perché la Bibbia comincia così: e vide ciò che aveva fatto ed ecco, era cosa buona.
Viene dopo di me uno più forte di me. La sua forza? Gesù è il forte perché ha il coraggio di amare fino all’estremo; di non trattenere niente e di dare tutto. Di innalzare speranze così forti che neppure la morte di croce ha potuto far appassire, anzi ha rafforzato. È il più forte perché è l’unico che parla al cuore, anzi, parla “sul cuore”, vicino e caldo come il respiro, tenero e forte come un innamorato, bello come il sogno più bello.
E chiama tutti a essere ‘più forti’, a fare come Isaia e Giovanni: a
Notiamo il verbo centrale: viene, al presente. Giovanni non dice: verrà, un giorno. Non proclama: sta per venire, tra poco, e sarebbe bastato. Ma semplice, diretto, sicuro dice: viene.
Due voci che parlano di un Dio Camminatore instancabile dei secoli, viaggiatore dell’anima, orma nel deserto, piede che si ferma alla tua porta (cf. Ap 3,20), fremito nel grembo di Maria (Lc 1,41), passione nella voce di Giovanni, miele nella voce di Isaia.
Giorno per giorno, continuamente, adesso, Dio viene. Anche se non lo vedi, viene; anche se non ti accorgi di lui, è in cammino su tutte le strade. È bello questo mondo immaginato colmo di orme di Dio.
Guardiamo la terra, da un angolo all’altro: è cresciuta la libertà dei singoli, l’autenticità nelle relazioni; un segno dello Spirito santo è il movimento epocale del femminile; è cresciuta la giustizia e la solidarietà verso i deboli, pensate solo alla rivoluzione di questi anni nei confronti dei disabili, da quando erano invisibili al rispetto che oggi li circonda;
e poi l’amore per l’ambiente, per tutte le creature, per la terra, l’aria, le acque. E l’istruzione e la scienza e la cultura. Anche altro è cresciuto, è vero, una solitudine, una disgregazione di legami, una idolatria del denaro e dell’apparire, una insofferenza verso gli estranei.
E tuttavia il regno di Dio è più vicino oggi di ieri. Il vangelo d’avvento ci aiuta a non smarrire il cuore, a non appesantirlo di paure e delusioni. Ci sarà sempre un momento in cui ci sentiremo col cuore pesante. Ho provato anch’io lo scoraggiamento, molte volte, ma non gli permetto di mangiare nel mio piatto, non gli permetto di sedere sul trono del mio cuore.
Il motivo è questo: fin dentro i muscoli e le ossa io so una cosa, come la sapete voi, ed è che non può esserci disperazione finché ricordo perché sono venuto sulla terra, di chi sono al servizio, chi mi ha mandato qui. E chi sta venendo: viene il più forte.
Un mondo più buono e più giusto, dove
Fb 16 agosto XX
LA CONVERSIONE DI DIO
Pochi personaggi nel Vangelo sono simpatici come lei: non prega per sé, ha fantasia, non si arrende ai silenzi e al rifiuto, e intuisce sotto il no di Gesù tutta l’impazienza del sì.
La straniera delle briciole. Colei che sa con quale strumento si cambia la vita: l’incontro.
Lei spera che a Dio interessi la felicità dei suoi figli, e non la loro fedeltà. Che una ragazzina fenicia abbia la priorità sul culto e sulle leggi dei leviti, e su tutte le formule di fede. Spera che il diritto supremo davanti a Dio sia dato dal grido, e non dalla razza o dalla religione. Diritto che sia dei giudei come dei fenici, dei credenti e dei pagani, sotto il cielo di Tiro come quello di Nazaret.
Crede che gloria di Dio è l’uomo vivente.
Grandezza di una fede che supera. Che vola, fiera e dritta, ad altezza d’occhi.
Anche i discepoli intervengono: rispondile, così ci lascia in pace. Ma Gesù è netto, è brusco: sono stato mandato solo per quelli della mia terra!
La donna non molla. Aiutami! Gesù replica in modo ancora più ruvido: non si toglie il pane ai figli per gettarlo ai cani; i pagani, dai giudei, erano chiamati “cani”.
Ed ecco il genio femminile che lo asseconda mentre lo cambia: è vero, Signore, eppure i cagnolini mangiano le briciole cadute dalla tavola dei padroni.
Questa madre sembra dire, provocatoria: non puoi fare briciole di miracolo, briciole di segni, per questi “cani pagani”?
È la svolta del dialogo, è la frase che cambia tutto. Questa immagine illumina un attonito Gesù che cresce nella fede, che cambia e perfeziona la sua missione: nel regno di Dio, non ci sono figli e non, uomini e cani, ma solo fame da saziare, compresa quella di tutti i cuccioli del mondo.
Gesù impara Dio e l’uomo dall’intelligenza di una madre che non conosce Jahvè, che adora Baal e Astarte, che non ha il bagaglio di fede dei teologi, ma solo quello sacro del dolore.
Spiazzato, la dichiara donna di grande fede.
Oggi nel nostro presente di fame e festa, di vacanze e miseria, un fiume di donne cananee implora ancora aiuto per i propri cuccioli sfiniti.
Tante sulla terra le madri che, proprio adesso, a Tiro e Sidone, non sanno il credo ma sanno il cuore di Dio. Lo sanno da dentro. E chiedono briciole.
Immensa è allora la fede sul mondo, dentro e fuori la Chiesa.
E se il dolore impedirà di pregare, se sarà solo muta paura, Dio si farà vicino, pane per i figli, briciole per i cuccioli. Senza merito o demerito conterà le lacrime stanche di ognuno. Una ad una.
Da questo incontro fra stranieri di frontiera, brusco e rasserenante, emerge un sogno: il mondo come grande casa di pane, dove non ci sono noi e gli altri. Dove ognuno, come Gesù, impara da ognuno. E una corona di figli che di sotto la tavola saranno alzati sul candelabro, perché anch’essi siano luce della mensa comune.
Perchè tutti, tutti, sono noi.
Avvenire 20 domenica A Matteo 15,21-28
La donna delle briciole, la cananea pagana, sorprende e converte Gesù: lo fa passare da maestro d’Israele a pastore di tutto il dolore del mondo.
La prima delle sue tre parole è una preghiera, la più evangelica, un grido: Kyrie eleyson, pietà, Signore, di me e della mia bambina.
E Gesù non le rivolge neppure una parola. Ma la madre non si arrende, si accoda al gruppo, dice e ridice il suo dolore. Fino a che provoca una risposta, ma scostante e brusca: sono venuto per quelli di Israele, e non per voi.
Fragile ma indomita, lei non molla; come ogni vera madre pensa alla sua bambina, e rilancia. Si butta a terra, sbarra il passo a Gesù, e dal cuore le erompe la seconda preghiera: aiutami! E Gesù, ruvido: Non si toglie il pane ai figli per gettarlo ai cani.
Ed ecco l’intelligenza delle madri, la fantasia del loro amore: è vero, Signore, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni. Fai una briciola di miracolo, per noi, i cagnolini del mondo!
È la svolta del racconto. Dolcemente, la donna confessa di essere là a cercare solo briciole, solo avanzi, pane perduto. Potentemente, la madre crede con tutta se stessa, che per il Dio di Gesù non ci sono figli e no, uomini e cagnolini. Ma solo fame e creature da saziare; che il Dio di Gesù è più attento al dolore dei figli che al loro credo, che preferisce la loro felicità alla fedeltà.
Gesù ne è come folgorato, si commuove: Donna, grande è la tua fede! Lei che non va al tempio, che non legge le scritture, che prega gli idoli cananei, èmproclamata donna di grande fede. Non conosce il catechismo, eppure mostra di conoscere Dio dal di dentro, lo sente pulsare nel profondo delle ferite del suo cuore di madre. Lei sa che “fa piaga nel cuore di Dio la somma del dolore del mondo” (G. Ungaretti). Il dolore è sacro, c’è dell’oro nelle lacrime, c’è tutta la compassione di Dio. Può sembrare una briciola, può sembrare poca cosa la tenerezza di Dio, ma le briciole di Dio sono grandi come Dio stesso.
“Grande è la tua fede!” E ancora oggi è così, c’è molta fede sulla terra, dentro e fuori le chiese, sotto il cielo del Libano come sotto il cielo di Nazaret, perché grande è il numero delle madri del mondo che non sanno il Credo ma sanno che Dio ha un cuore di madre, e che misteriosamente loro ne hanno catturato e custodito un frammento. Sanno che per Lui la persona viene prima della sua fede.
Avvenga per te come desideri. Gesù ribalta la domanda della madre, gliela restituisce: sei tu e il tuo desiderio che comandate. La tua fede e il tuo desiderio di madre, una scheggia di Dio, infuocata (cfr Cantico 8,6), sono davvero un grembo che partorisce miracoli.
p.Ermes Ronchi
fb 5 luglio 2020
p.Ermes Ronchi
INCANTO
Padre, ti rendo lode! Il Battista è in carcere, in Galilea crescono rifiuto e ostilità, i miracoli a Cafarnao e Betsaida non servono, eppure Gesù benedice il Padre.
Attorno, il vuoto. Via i sapienti, gli scribi, i sacerdoti, e al loro posto ecco malati, vedove, bambini, piccoli. I preferiti di Dio: l’uomo senza qualità accolto nelle qualità di Dio.
Gesù è il primo dei piccoli. Viene come figlio di povera gente, in una stalla. Senza potere, la sua rivoluzione è su una croce.
Grazie perché loro ti hanno capito! Gesù coglie la logica di Dio che parte dagli ultimi della fila, dai bastonati dalla vita, dalle mani che sanno accarezzare.
Non è difficile Dio. Sta al loro fianco in ogni epoca, su tutta la terra. Dio è vicino a ciò che è piccolo e spezzato. Quando noi diciamo perduto, lui dice trovato; se diciamo condannato, lui dice salvato; quando diciamo abbietto, Dio esclama beato! (Bonhoeffer).
Gesù che si stupisce di Dio. Mi incanta la meraviglia che felicemente lo invade mentre le sue parole passano dal lamento alla danza.
Ma non basta: venite, e vi darò ristoro. E’ il conforto del vivere, non una morale migliore. Se le nostre messe, prediche, incontri, non diventano racconti d’amore che consolano fatiche, si riducono a tomba della domanda dell’uomo, a tomba della risposta di Dio.
Gesù parla di “cose rivelate”, che non si possono recintare in una dottrina, che non sono un sistema di pensiero: le cose rivelate sono il segreto del vivere, preceduto dal silenzio, seguito dall’incanto.
E incalza chi gli è vicino: imparate da me mite e umile, così ci sarà riposo per le vostre anime. Casa della vita è l’amore anche piccolo, quello che fa un passo indietro, dove il cuore abita nella pace di chi si fida.
E ancora: prendete il mio giogo dolce, il carico leggero di Dio. Come può il giogo essere per noi, che nell’ultimo secolo abbiamo lottato proprio per eliminarli tutti? Nella Bibbia il giogo è la legge di Mosè, che Gesù riassumerà nel nuovo invito: amatevi, l’antica novità.
L’amore è ossigeno del mondo. Un re leggero, un tiranno amabile che mai ferisce e mai smette di generare, partorire, curare, dare gioia pura. Prendetevi cura di voi stessi e del creato iniziando dai piccoli, le colonne segrete nella storia, le colonne nascoste nel mondo.
Gesù, il senza potere, libero come il vento, leggero come la luce. Uomo regale dallo stupore improvviso, figlio mite che nessuno ha mai comprato, fratello umile di libere vite.
La pace si impara. La mitezza si impara. Da lui. La vita si impara dal cuore stupito di Gesù, puro silenzio incantato.
XIV domenica Matteo 11, 25-30
Quello che mi incanta è Gesù che si stupisce del Padre. Una cosa bellissima: il Maestro di Nazaret che è sorpreso da un Dio sempre più fantasioso e inventivo nelle sue trovate, che spiazza tutti, perfino suo Figlio. Cosa è accaduto?
Il vangelo ha appena riferito un periodo di insuccessi, tira una brutta aria: Giovanni è arrestato, Gesù è contestato duramente dai rappresentanti del tempio, i villaggi attorno al lago, dopo la prima ondata di entusiasmo e di miracoli, si sono allontanati.
Ed ecco che, in quell’aria di sconfitta, si apre davanti a Gesù uno squarcio inatteso, un capovolgimento improvviso che lo riempie di gioia: Padre, ti benedico, ti rendo lode, ti ringrazio, perché ti sei rivelato ai piccoli.
Il posto vuoto dei grandi lo riempiono i piccoli: pescatori, poveri, malati, vedove, bambini, pubblicani, i preferiti da Dio. Gesù non se l’aspettava e si stupisce della novità; la meraviglia lo invade e lo senti felice. Scopre l’agire di Dio, come prima sapeva scoprire, nel fondo di ogni persona, angosce e speranze, e per loro sapeva inventare come risposta parole e gesti di vita, quelli che l’amore ci fa chiamare «miracoli».
Hai rivelato queste cose ai piccoli… di quali cose si tratta?
Un piccolo, un bambino capisce subito l’essenziale: se gli vuoi bene o no. In fondo è questo il segreto semplice della vita. Non ce n’è un altro, più profondo.
I piccoli, i peccatori, gli ultimi della fila, le periferie del mondo hanno capito che Gesù è venuto a portare la rivoluzione della tenerezza: voi valete più di molti passeri, ha detto l’altra domenica, voi avete il nido nelle sue mani.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro.
Non è difficile Dio: sta al fianco di chi non ce la fa, porta quel pane d’amore di cui ha bisogno ogni cuore umano stanco… E ogni cuore è stanco.
Venite, vi darò ristoro. E non già vi presenterò un nuovo catechismo, regole superiori, ma il conforto del vivere. Due mani su cui appoggiare la vita stanca e riprendere il fiato del coraggio.
Il mio giogo è dolce e il mio peso è leggero: parole che sono musica, buona notizia.
Gesù è venuto a cancellare la vecchia immagine di Dio. Non più un dito accusatore puntato contro di noi, ma due braccia aperte. È venuto a rendere leggera e fresca la religione, a toglierci di dosso pesi e a darci le ali di una fede che libera. Gesù è un liberatore di energie creative e perciò è amato dai piccoli e dagli oppressi della terra.
Imparate da me che sono mite e umile di cuore, cioè imparate dal mio cuore, dal mio modo di amare delicato e indomito. Da lui apprendiamo l’alfabeto della vita; alla scuola del cuore, la sapienza del vivere.
Vorrei imparare a benedire di nuovo, ogni giorno.
Ad ogni mattino benedire i piccoli e i bambini,
mettermi alla loro scuola,
imparare dal loro cuore vero.
Vorrei imparare a dire grazie,
a dire bene di te e del mondo,
a stupirmi della vita, che mi ha dato tanto:
e che il lamento non prevalga mai sullo stupore.
Grazie per le sconfitte che non mi hanno buttato giù,
per i successi che non mi hanno dato alla testa.
Grazie per le persone che hai messo accanto a me,
nelle loro mani, nello sguardo, nel sorriso
ho visto il racconto della tua tenerezza.
Vorrei imparare dal tuo cuore, Signore,
ad amare nel solo modo possibile,
dolce e forte, umile e fiero:
instancabile nel curare,
nutrire, confortare, dare ristoro,
rimettere in cammino la vita.
E ti benedico, Padre, per il tuo figlio Gesù,
pienezza d’umano, stupore di te,
ristoro alla vita e cuore di luce.
Amen.
Ermes Ronchi
di p. Ermes Ronchi
Avvenire V domenica A
Voi siete sale, voi siete luce. Sale che conserva le cose, minima eternità disciolta nel cibo. Luce che accarezza di gioia le cose, ne risveglia colori e bellezza.
Tu sei luce. Gesù lo annuncia alla mia anima bambina, a quella parte di me che sa ancora incantarsi, ancora accendersi. Te sei sale, non per te stesso ma per la terra. La faccenda è seria, perché essere sale e luce del mondo vuol dire che dalla buona riuscita della mia avventura, umana e spirituale, dipende la qualità del resto del mondo.
Come fare per vivere questa responsabilità seria, che è di tutti? Meno parole e più gesti. Che il profeta Isaia elenca, nella prima lettura di domenica: «spezza il tuo pane», verbo asciutto, concreto, fattivo. «Spezza il tuo pane», e poi è tutto un incalzare di altri gesti: «Introduci in casa, vesti il nudo, non distogliere gli occhi. Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà in fretta».
E senti l’impazienza di Dio, l’impazienza di Adamo, e dell’aurora che sorge e della fame che grida; l’urgenza del corpo dell’uomo che ha dolore e ferite, ha fretta di pane e di salute.
La luce viene attraverso il ‘mio’ pane quando diventa ‘nostro’ pane, condiviso e non possesso geloso. Il gesto del pane viene prima di tutto: perché sulla terra ci sono creature che hanno così tanta fame che per loro Dio non può che avere la forma di un pane.
Guarisci altri e guarirà la tua ferita, Prenditi cura di qualcuno e Dio si prenderà cura di te; produci amore e Lui ti fascerà il cuore, quando è ferito.
Illumina altri e ti illuminerai. Perché chi guarda solo a se stesso non s’illumina mai. Chi non cerca, anche a tentoni, quel volto che dal buio chiede aiuto, non si accenderà mai. È dalla notte condivisa che sorge il sole di tutti.
“Se mi chiudo nel mio io, pur adorno di tutte le virtù, ricco di sale e di luce, e non partecipo all’esistenza degli altri, se non mi dischiudo agli altri, posso essere privo di peccati, e tuttavia vivo in una situazione di peccato” (G. Vannucci).
Ma se il sale perde sapore con che cosa lo si potrà rendere salato?
Conosciamo bene il rischio di affondare in una vita insipida e spenta. E accade quando non comunico amore a chi mi incontra, non sono generoso di me, non so voler bene: “non siamo chiamati a fare del bene, ma a voler bene” (Sorella Maria di Campello). Primo impegno vitale.
Io sono luce spenta quando non evidenzio bellezza e bontà negli altri, ma mi inebrio dei loro difetti: allora sto spegnendo la fiamma delle cose, sono un cembalo che tintinna (parola di Paolo), un trombone di latta.
Quando amo tre verbi oscuri: prendere, salire, comandare; anziché seguire i tre del sale e della luce: dare, scendere, servire.
Gesù ha a che fare con il sapore, con la luce, con la felicità e il senso della mia vita, saporita e accesa.
E chi distoglie gli occhi dalla gente che è sua, sempre, perché tutti sono dei nostri, non diventerà mai un uomo radioso, una donna luminosa.
Tornate alla fiamma: io sono fuoco portato
il sapore della vita e con l’orien . Lo siete già, è una vita che ha sapore e
Se siamo accesi, se siamo insaporiti
Gesù ha a che fare con la mia felicità. La felicità ha a che fare con il fatto di amare.
detto ai suoi discepoli in che cosa consista la felicità.
Così noi, se perdiamo il vangelo, se smussiamo la Parola e la riduciamo a uno zuccherino, se non diventa carne gesto azione storia opera, se abbiamo occhi senza luce e parole senza bruciore di sale, allora corriamo il rischio mortale dell’insignificanza, di non significare più nulla per nessuno.
Un po’ brutalmente lo ha tradotto così don Fabio Rosini “se continuiamo così, tra un po’ di noi non gliene frega più niente a nessuno”
III domenica A
III domenica dell’anno, d’ora in poi: Domenica della Parola.
La comunità ha deciso di celebrarla mettendo le bibbie a disposizione di tutti, sui banchi.
La Parola di Dio ci è posta fra le mani. Perché familiarizziamo con questo libro, che è la nostra sorgente. Più si ritorna alle fonti, più si è nuovi, creativi, liberi, perfino rivoluzionari.
Mi viene in mente lo scrittore biblico Neemia, quando racconta del ritorno dall’esilio, terribile momento, senza casa, senza il campo da coltivare per sfamarsi, senza il tempio per essere popolo ancora…da dove ripartire?
Tutto il popolo è radunato, come fosse un sol uomo, in piazza, un giorno di intero di preghiera e di ascolto della Parola ritrovata, fino a scoppiare in lacrime di commozione. Ecco il punto di partenza. Mettersi n ascolto.
Vorrei dirlo con una battuta, riprendendo il titolo di una trasmissione TV: C’è posta per te. Apri quel libro, sfoglia, leggi: dentro c’è posta per te.
Qualcuno si rivolge proprio a te.
Oggi nelle letture è perfetto il passaggio tra A.T. e N.T. , a indicare quasi visivamente l’unità dei 73 libri della bibbia, un arcobaleno storico, un arco voltaico che congiunge la profezia di Isaia e Gesù, compimento del sogno di Dio.
Omelia
Giovanni è stato arrestato, tace la grande voce del Giordano, si alza una voce libera sul lago di Galilea.
Esce allo scoperto, senza paura, un imprudente giovane rabbi, solo, e va ad affrontare confini, nella meticcia Galilea, crogiolo delle genti, quasi Siria, quasi Libano, quasi pagana.
A Cafarnao, sulla via del mare, era uno dei passaggi più importanti per uomini e merci, tra Libano e Siria, tra Egitto e le terre dei Parti.
Una zona di contagio, di contaminazioni culturali e religiose, e Gesù la sceglie; invece che nella Gerusalemme dei puri va a Cafarnao, che invece accoglie tutti. Comincia da un luogo dove c’è tanta gente, e movimento e anche confusione, ed è questa che Gesù sceglie. C’è confusione sulla Via Maris, e insieme ombra, dice il profeta. Come la nostra esistenza che è nella confusione, e il cuore ha spesso un’ombra…
Ma il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce,
per quelli che abitavano l’ombra una luce è sorta.
Gesù cominciò a predicare e a dire: convertitevi perché il regno dei cieli è vicino.
Siamo davanti al messaggio generativo del vangelo, le parole sorgive.
La bella notizia non è “convertitevi”, cioè “cambiate direzione”; la parola nuova e potente sta in quel piccolo vocabolo “è vicino”: il regno è vicino, e non lontano; il cielo è vicino e non perduto in lontananze siderali; Dio è vicino e non smarrito nell’alto dei suoi cieli.
La traduzione esatta sarebbe: il regno è venuto vicino, è quel sogno che viene incontro, che adesso cammina sulla via del mare che pullula di vita. C’è polline divino nel mondo, là dove c’è umanità, tanta umanità, come a Cafarnao.
Dio viene, forza di vicinanza dei cuori, “forza di coesione degli atomi, forza di attrazione delle costellazioni” (Turoldo). Cos’è questa passione di vicinanza che corre nel mondo? Che brucia lontananze? Amore, in tutta la potenza e varietà del suo fuoco.
“L’amore è passione di unirsi all’amato” (Tommaso d’Aquino), passione di comunione, di Dio con l’umanità lungo la Via del Mare, di Adamo con Eva sulla via dei corpi dove è detto il cuore , della madre con il figlio, dell’amico con l’amico, delle stelle con le altre stelle.
La notizia che apre il vangelo di Gesù è questa: Dio è venuto, è all’opera, qui tra le colline e il lago, per le strade di Cafarnao e di Betsaida, a guarire la tristezza e il disamore del mondo, a creare legami. E ogni strada del mondo è Galilea. Perché la nostra infinita tristezza si cura soltanto con un infinito amore (Evangelii Gaudium).
Che cos’è il Regno che cammina e viene?
Questo mondo porta un altro mondo nel grembo, ha una luce dentro, una forza che penetra la trama segreta della storia, che circola nelle cose, che non sta ferma, che sospinge verso l’alto, come il lievito, come il seme. La vita che riparte. E Dio dentro.
E allora quell’invito che apre tutto “Convertitevi” significa: svegliatevi, accorgetevi, giratevi verso la luce, perché la luce è già qui.
Ma tutto questo può restare un discorso astratto, e allora il vangelo racconta una storia concreta, la chiamata dei primi discepoli.
Dove si racconta di qualcuno che fa un salto fuori dall’ombra, esce da una vita in ombra: da una vita che è lavorare, mangiare, dormire, e poi ancora lavorare mangiare, dormire… e un giorno morire. Tutto qua? Tutto questo il futuro?
Riascoltiamo il vangelo: mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli che gettavano le reti in mare. Gesù li vede mentre iniziano il loro lavoro, li chiama, e gli cambia la prospettiva, li chiama ad osare, ad essere un po’ folli, come lui.
Sapete che facciamo, che non c’è più da pescare pesci, c’è da toccare il cuore della gente. C’è da salvare e illuminare vite. Volete farlo con me?
E loro lo fanno subito. Notate: subito!
Perché lo fanno? Perché sono degli eroi, affamati e un po’ pazzi? Uomini pieni di coraggio e insieme di incoscienza? Io allora non ce la farò mai, non ha questi slanci eroici.
Domandiamoci: che cosa si fa subito?
Immaginate: state facendo un lavoro, chiedete l’aiuto di un figliolo che sta nella sua stanza, di un marito davanti alla tv, e gli dite: dai, vieni c’è questo e quest’altro da fare. E in risposta sentite: E aspetta, dai, ancora un momento…
Se invece gli dici: c’è qui un tuo amico, è già lì.
Che cosa si fa subito? Ciò che piace, ciò che è bello, ciò che attrae, ciò che prende.
Gesù sta proponendo una cosa bella. Non una rinuncia, ma una fioritura di vita, una addizione di vita.
Lasciano subito le reti, non le riprendono nemmeno, le lasciano in acqua; come gli altri due che lasciano la piccola azienda, il padre, i garzoni, le barche, una vita sicura. Perché lo seguono?
Perché Cristo ha cose belle da dire.
La Parola ci mette in movimento perché ci dice qualcosa di bello, non perché ci fustiga, non perché ci da i voti come una maestra, ma perché ci tira fuori dalle nostre piccole prospettive, fuori dal laghetto, dal cortile di casa, per portarci a un’opera bella, grande, luminosa, che abbraccia il mondo.
Non possiamo pensare di consegnare agli uomini una parola che è un richiamo morale. Per pescare gli uomini dobbiamo consegnare non una Parola che suona come un richiamo morale, ma la bellezza che conosciamo, la libertà che conosciamo, la luce bella che conosciamo, il regno…
Il vangelo non è una morale ma una sconvolgente liberazione.
Celebriamo il bello che ci muove, che ci muove dal di dentro.
Ci conceda il Signore di godere oggi e di celebrare la sua Parola,
che illumina, libera, sorride,
che mette tanta voglia di vivere e tanta voglia di bellezza.
Questo è ciò che ci vuole dare il Regno:
voglia di vivere, voglia di bellezza.
Passa per tutta la Galilea uno che è il guaritore dell’uomo.
Passa uno che sa reincantare la vita.
E dietro gli vanno uomini e donne senza doti particolari,
e dietro oggi gli andiamo anche noi,
affascinati da qualcosa che lui solo ha
e nessun altro sa dare.
Pescatore di uomini, di Helder Camara.
Per amore di Dio rispondetemi:
Dove sono i bambini
per raccontarmi i loro giochi,
i poeti
per raccontarmi i loro sogni
i pazzi
per raccontarmi i loro deliri,
i malati
per raccontarmi le loro sofferenze,
e i felici e gli infelici
i santi e peccatori
i bambini e i vecchi
i morti e i vivi
i credenti e gli increduli
gli uomini e gli angeli
gli animali e le piante
le creature tutte
di tutti i mondi?
Povero me
se salissi da solo
all’altare di Dio!…
Dom Helder Camara, da “Mille ragioni per vivere”
Abbiamo un debito di memoria e di gratitudine verso fra Germano,
lo ricordiamo, oggi, insieme a voi, a sette giorni dalla morte.
A te, Germano,
ultimo di quella splendida razza evangelica
Dei cercatori, dei mendicanti per amore
Dalle tue mani ho ricevuto pane.
Grazie.
Dai tuoi occhi ho ricevuto luce.
Grazie.
Noi preghiamo per te Germano, fratello caro,
cuore libero e occhi di luce,
ma tu prega per noi, perché conquistiamo
il tuo cuore bambino e grande
il tuo sguardo gioioso sulla vita,
la tua carità instancabile.
Perché le cose che per te furono vere e grandi
Siano vere e grandi anche per noi,
che continuiamo più poveri e più soli il nostro cammino.
Arrivederci, fradi, sulle vie del cielo.
Mandi.
Se qualcuno scoprisse cosa c’è realmente dopo la morte, innazittutto si pentirebbe dei suoi errori, proverebbe un profondo dispiacere per avere offeso Dio, se stesso ed il prossimo ed andrebbe subito a confessarsi con buoni propositi.
Poi frequenterebbe ogni giorno l’Eucaristia per ricevere Gesù in corpo, sangue, anima e divinità durante la Santa Comunione.
Pregherebbe in continuazione per la salvezza della propria anima, per quella dei suoi cari ed amici e conoscenti.
Pregherebbe per tutta l’umanità. Ringrazierebbe Dio per il dono dell’esistenza, del Battesimo, dell’Eucaristia e per tutti gli altri doni di cui non se ne accorgeva prima.
Tratterebbe i suoi famigliari con amore e rispetto.
Cercherebbe di consolare e di aiutare chi si trova in difficoltà. Si affiderebbe continuamente ai Cuori Misericordiosi di Gesù e Maria.
Aiuterebbe la propria Parrocchia in base alle sue capacità e carismi.
Offrirebbe le sue preghiere e le sue sofferenze per tutti i peccatori e gli atei incalliti.
Invocherebbe l’aiuto dell’angelo custode e dei Santi.
Cercherebbe di soddisfare le indulgenze parziali e plenarie.
Chiederebbe allo Spirito Santo l’aumento della fede e dell’amore per sè e per gli altri, giorno dopo giorno. Infine implorerebbe il Signore di affrettare la sua venuta, rispettando però la volontà di Dio.
l’Escatologia cristiana nella quale uno fa benissimo a credere è quella che si deduce dal Vangelo, dalla vita dei Santi e dai grandi Teologi e ministri della Chiesa.
Ed è anche quello che dice la Regina della Pace nelle varie apparizioni.
Nell’Aldilà, subito dopo la morte ci attendono il giudizio personale e le realtà escatologiche (Paradiso, Purgatorio o Inferno).
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Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi
Il Signore è qui, ma riusciamo a distrarci
III Dom. T. O. – Anno A – 2020
Vangelo – (Matteo 4,12-23)
Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nazaret e andò ad abitare a Cafarnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zabulon e di Neftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia:
«Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti! Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta».
Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino». Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. (…)
Giovanni è stato arrestato, tace la grande voce del Giordano, ma si alza una voce libera sul lago di Galilea. Esce allo scoperto, senza paura, un imprudente giovane rabbi, solo, e va ad affrontare confini, nella meticcia Galilea, crogiolo delle genti, quasi Siria, quasi Libano, regione quasi perduta per la fede.
Cominciò a predicare e a dire: convertitevi perché il regno dei cieli è vicino. Siamo davanti al messaggio generativo del Vangelo. La bella notizia non è «convertitevi», la parola nuova e potente sta in quel piccolo termine «è vicino»: il regno è vicino, e non lontano; il cielo è vicino e non perduto; Dio è vicino, è qui, e non al di là delle stelle. C’è polline divino nel mondo. Ci sei immerso.
Dio è venuto, forza di vicinanza dei cuori, «forza di coesione degli atomi, forza di attrazione delle costellazioni» (Turoldo). Cos’è questa passione di vicinanza nuova e antica che corre nel mondo? Altro non è che l’amore, che si esprime in tutta la potenza e varietà del suo fuoco. «L’amore è passione di unirsi all’amato» (Tommaso d’Aquino) passione di vicinanza, passione di comunione immensa: di Dio con l’umanità, di Adamo con Eva, della madre verso il figlio, dell’amico verso l’amico, delle stelle con le altre stelle.
Convertitevi allora significa: accorgetevi! Giratevi verso la luce, perché la luce è già qui. La notizia bellissima è questa: Dio è all’opera, qui tra le colline e il lago, per le strade di Cafarnao e di Betsaida, per guarire la tristezza e il disamore del mondo. E ogni strada del mondo è Galilea.
Noi invece camminiamo distratti e calpestiamo tesori, passiamo accanto a gioielli e non ce ne accorgiamo.
Il Vangelo di Matteo parla di «regno dei cieli», che è come dire «regno di Dio»: ed è la terra come Dio lo sogna; il progetto di una nuova architettura del mondo e dei rapporti umani; una storia finalmente libera da inganno e da violenza; una luce dentro, una forza che penetra la trama segreta della storia, che circola nelle cose, che non sta ferma, che sospinge verso l’alto, come il lievito, come il seme. La vita che riparte. E Dio dentro.
Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli che gettavano le reti in mare. Gesù cammina, ma non vuole farlo da solo, ha bisogno di uomini e anche di donne che gli siano vicini (Luca 8,1-3), che mostrino il volto bello, fiero e luminoso del regno e della sua forza di comunione. E li chiama ad osare, ad essere un po’ folli, come lui.
Passa per tutta la Galilea uno che è il guaritore dell’uomo. Passa uno che sa reincantare la vita. E dietro gli vanno uomini e donne senza doti particolari, e dietro gli andiamo anche noi, annunciatori piccoli affinché grande sia solo l’annuncio. Terra nuova, lungo il mare di Galilea.
E qui sopra di noi, un cielo nuovo. Quel rabbi mi mette a disposizione un tesoro, di vita e di amore, un tesoro che non inganna, che non delude. Lo ascolto e sento che la felicità non è una chimera, è possibile, anzi è vicina.
(Letture: Is 8,23-9,3; Salmo 26; 1 Corinzi 1,10-13.17; Matteo 4,12-23)
Gesù cominciò a predicare e a dire:
convertitevi
perché il regno dei cieli è vicino.
Siamo davanti
al messaggio generativo del Vangelo.
La bella notizia non è «convertitevi»,
la parola nuova e potente sta
in quel piccolo termine «è vicino»:
il regno è vicino, e non lontano;
il cielo è vicino e non perduto;
Dio è vicino, è qui, e non al di là delle stelle.
C’è polline divino nel mondo.
Ci sei immerso.
(Ermes Ronchi)
Gesù cammina lungo il mare e guarda.
E in Simone vede la Roccia.
Guarda, e in Giovanni
indovina il discepolo dalle più belle parole d’amore.
“Signore, io sono l’ultimo dei coraggiosi
eppure pronto a dire:
eccomi, vengo, io ci sto;
sono il primo dei paurosi
ma mi fido della tua parola:
eccomi, io ci sono.
D’ora in avanti qualcosa sarò, Signore,
se la tua grazia fa del mio nulla
qualcosa che serva a qualcuno”.
(Ermes Ronchi)
(preghiera di un cristiano pre-adolescente)
Signore Gesù, aiutami ad accrescere la mia fede.
Tu sai che, pur avendo l’uso di ragione, sono ancora “piccolo” agli occhi degli adulti e, se non sono prudente, rischio di essere influenzato negativamente da coloro che non ti conoscono o ti disprezzano.
Aiutami ad essere convinto che Tutto è stato creato per mezzo tuo e che Tu sei la Sapienza incarnata.
Fa’ che ascolti volentieri le tue sante parole contenute del Vangelo e le possa mettere in pratica.
Illumina coloro che mi educano e mi istruiscono affinché io cammini nella verità.
Vedo che il mondo, creato per mezzo tuo, è meraviglioso, ma ci sono anche tanti pericoli insidiosi.
Oggi sono pochi coloro che ti adorano in cuor loro.
Fa’ che io, i miei famigliari, gli educatori, gli amici e l’intero genere umano, riconosciamo in Te la Verità per poterti glorificare con la nostra vita e per l’eternità.
Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi
XXVII Dom. T.O. anno C – 2019
Servi “inutili” cioè senza secondi fini, che si donano
Vangelo (Luca 17, 5-10)
In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».
Per capire la domanda degli apostoli: “accresci in noi la fede”, dobbiamo riandare alla vertiginosa proposta di Gesù un versetto prima: se tuo fratello commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te e sette volte al giorno ritornerà a te dicendo: “sono pentito”, tu gli perdonerai. Sembra una missione impossibile, ma notiamo le parole esatte. Se tuo fratello torna e dice: sono pentito, non semplicemente: “scusa, mi dispiace” (troppo comodo!) ma: “mi converto, cambio modo di fare”, allora tu gli darai fiducia, gli darai credito, un credito immeritato come fa Dio con te; tu crederai nel suo futuro. Questo è il perdono, che non guarda a ieri ma al domani; che non libera il passato, libera il futuro della persona.
Gli apostoli tentennano, temono di non farcela, e allora: “Signore, aumenta la nostra fede”. Accresci, aggiungi fede. È così poca! Preghiera che Gesù non esaudisce, perché la fede non è un “dono” che arriva da fuori, è la mia risposta ai doni di Dio, al suo corteggiamento mite e disarmato.
«Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “sradicati e vai a piantarti nel mare” ed esso vi obbedirebbe». L’arte di Gesù, il perfetto comunicatore, la potenza e la bellezza della sua immaginazione: alberi che obbediscono, il più piccolo tra i semi accostato alla visione grandiosa di gelsi che volano sul mare!
Ne basta poca di fede, anzi pochissima, meno di un granello di senape. Efficace il poeta Jan Twardowski: «anche il più gran santo/ è trasportato come un fuscello/ dalla formica della fede».
Tutti abbiamo visto alberi volare e gelsi ubbidire, e questo non per miracoli spettacolari – neanche Gesù ha mai sradicato piante o fatto danzare i colli di Galilea – ma per il prodigio di persone capaci di un amore che non si arrende. Ed erano genitori feriti, missionari coraggiosi, giovani volontari felici e inermi.
La seconda parte del vangelo immagina una scena tra padrone e servi, chiusa da tre parole spiazzanti: quando avete fatto tutto dite “siamo servi inutili”.
Guardo nel vocabolario e vedo che inutile significa che non serve a niente, che non produce, inefficace. Ma non è questo il senso nella lingua di Gesù: non sono né incapaci né improduttivi quei servi che arano, pascolano, preparano da mangiare. E mai è dichiarato inutile il servizio. Significa: siamo servi senza pretese, senza rivendicazioni, senza secondi fini. E ci chiama ad osare la vita, a scegliere:
in un mondo che parla il linguaggio del profitto, di parlare la lingua del dono;
in un mondo che percorre la strada della guerra, di prendere la mulattiera della pace.
Dove il servizio non è inutile, ma è ben più vero dei suoi risultati: è il nostro modo di sradicare alberi e farli volare.
(Letture: Abacuc 1,2-3;2,2-4; Salmo 94; 2 Timòteo 1,6-8.13-14; Luca 17, 5-10).
https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/servi-inutili-cioe-senzasecondi-fini-che-si-donano
Troppi apostati divulgano grandi falsità, sostenendo che non ci sono prove reali dell’esistenza storica di Gesù Cristo stesso e che quindi i Vangeli sono stati inventati completamente e che la sua Chiesa è tutta una mistificazione..ecc.
È davvero un grave errore che la Regina della Pace sta denunciando da anni. Questa incredulità appartiene soprattutto all’Anticristo che sta scatenando il combattimento spirituale per impadronirsi del mondo per distruggerlo e progetta continuamente di portarsi all’inferno un maggior numero di anime.
Gli apostati che divulgano queste idee distruttive stiano attenti, perché stanno lottando contro Gesù Cristo stesso, accusandolo di essere un impostore, proprio Lui che è la Verità, è Dio stesso incarnato ed è venuto per salvarci dal male soffrendo moltissimo per condurci alla Vita Eterna.
Non si possono distruggere millenni di storia cristiana in questo modo ed i Vangeli non sono semplici favole inventate da gente ignorante: contengono, invece, una saggezza profonda, che va continuamente riscoperta nell’umiltà.
Chi nega le Verità del Vangelo diffondendo la propria incredulità si mette contro Dio stesso perché nega suo Figlio e così rischia la perdizione eterna. Che nessuno si perda per questo motivo!
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CORPO e SANGUE DEL SIGNORE C 2019 Luca 9,11b-17
Né a noi né a Dio è bastato darci la sua Parola. Troppa fame ha l’uomo, e Dio ha dovuto dare la sua Carne e il suo Sangue (Divo Barsotti). Neppure il suo corpo ha tenuto per sé: prendete, mangiate, neppure il suo sangue ha tenuto per sé: prendete, bevete. Neppure il suo futuro: sarò con voi tutti i giorni fino al consumarsi del tempo. La festa del Corpo e Sangue del Signore è raccontata dal vangelo attraverso il segno del pane che non finisce. I Dodici sono appena tornati dalla missione, erano partiti armati d’amore, e tornano carichi di racconti. Gesù li accoglie e li porta in disparte. Ma la gente di Betsaida li vede, accorre, li stringe in un assedio che Gesù non può e non vuole spezzare.
Allora è lui a riprendere la missione dei Dodici: cominciò a parlare loro di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.
C’è tutto l’uomo in queste parole, il suo nome è: creatura che ha bisogno, di pane e di assoluto, di cure e di Dio.
C’è tutta la missione di Cristo, e della Chiesa: insegnare, nutrire, guarire.
E c’è il nome di Dio: Colui che si prende cura.
La prima riga di questo Vangelo la sento come la prima riga della mia vita. Sono uno di quei cinquemila, in quella sera sospesa: il giorno cominciava a declinare; è il tempo di Emmaus, tempo della casa e del pane spezzato.
Mandali via, tra poco è buio e qui non c’è niente… Gli apostoli hanno a cuore la situazione, si preoccupano della gente e di Gesù, ma non hanno soluzioni da offrire: che ognuno si risolva i suoi problemi da solo. Hanno un vecchio mondo in cuore, in quel loro cuore che pure è buono, ed è il mondo dell’ognuno per sé, della solitudine.
Ma Gesù non li ascolta, lui non ha mai mandato via nessuno. Vuole generare, come si genera un figlio, un nuovo mondo. Vuole fare di quel luogo deserto, di ogni deserto, una casa, dove si condividono pane e sogni.
Per questo risponde: date loro voi stessi da mangiare. Gli apostoli non possono, non sono in grado, hanno soltanto cinque pani e due pesciolini. Ma a Gesù non interessa la quantità, e passa subito a un’altra logica, sposta l’attenzione da che cosa mangiare a come mangiare: fateli sedere a gruppi, a tavolate, create mense comuni, comunità dove ognuno possa ascoltare la fame dell’altro e faccia circolare il pane che avrà fra le mani.
Infatti non sarà lui a distribuire, ma i discepoli, anzi l’intera comunità. Il gioco divino, al quale in quella sera tutti partecipano, non è la moltiplicazione, ma la condivisione (R. Virgili). Allora il pane diventa una benedizione (alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, e lo spezzò) e non una guerra.
E tutti furono saziati. C’è tanto pane nel mondo che a condividerlo davvero basterebbe per tutti.
Moltissimi cristiani si dichiarano credenti, ma non praticanti.
Se uno dice di essere “credente”, significa che accetta le verità della Sacra Scrittura in tutto il suo insieme, soprattutto il Vangelo.
Una di queste verità, ad esempio, è il fatto che Gesù “comanda” di mangiare il suo corpo, che per noi oggi significa partecipare all’Eucaristia, dove Egli si offre in corpo, sangue, anima e divinità.
Se un’occasione così importante viene trascurata da chi si dichiara “credente” suscita degli interrogativi in chi lo ascolta.
È possibile credere solo ad una parte del Vangelo, mentre l’altra viene sottovalutata?
È una grande responsabilità che ci si assume quando ci dichiariamo pubblicamente credenti, ma non praticanti per non essere giudicati “bigotti”.
Una contraddizione che potrebbe turbare più delle affermazioni di alcuni atei, i quali, almeno, cercano di apparire meno ipocriti.
ALCUNI LIBRI DI PIER ANGELO PIAI
GUARIRE LA MENTE PER GUARIRE IL CORPO: http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
LA SPIRALE DELLA VITA (riedizione) : http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
L’ANIMA ESISTE ED È IMMORTALE ed. Segno http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
“LA FORZA DELLA FRAGILITÀ” ed.Segno (In questo mio libro troverete preghiere per molti stati d’animo e situazioni personali) http://www.edizionisegno.it/libro.asp….
VERSO L’ETERNITÀ (commenti su 4 anni di messaggi della Regina della Pace) http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
LA STIMMATIZZATA DI UDINE (Storia autentica di Raffaella Lionetti, dotata di speciali carismi) http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
FIAMMA D’AMORE DEL CUORE IMMACOLATO DI MARIA http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
CONCETTA BERTOLI – La donna che vide la terza guerra mondiale http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
IL RESPIRO DELL’ANIMA INNAMORATA (con disegni di Perla Paik) http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
MARCELLO TOMADINI il pittore fotografo dei lager https://www.edizionisegno.it/libro.as…
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GESÙ CHIEDE TOTALE FIDUCIA IN LUI (nel “Colloquio interiore” di suor Maria della Trinità) https://www.edizionisegno.it/libro.as…
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Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi
Siamo tutti mendicanti di amore in cammino
V Domenica di Pasqua – Anno C – ‘19
Vangelo – (Giovanni 13,31-35)
Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».
«Vi do un comandamento nuovo, che vi amiate come io vi ho amato»: una di quelle frasi che portano il marchio di fabbrica di Gesù. Parole infinite, in cui ci addentriamo come in punta di cuore. Ma perché nuovo, se quel comando percorre tutta la Bibbia, fino ad abbracciare anche i nemici: «Se il tuo nemico ha fame, dagli pane da mangiare, se ha sete, dagli acqua da bere» (Prov 25,21)? Se da sempre e dovunque nel mondo le persone amano?
La legge tutta intera è preceduta da un «sei amato» e seguita da un «amerai». «Sei amato», fondazione della legge; «amerai», il suo compimento. Chiunque astrae la legge da questo fondamento amerà il contrario della vita (P. Beauchamp). Comandamento significa allora non già un obbligo, ma il fondamento del destino del mondo e della sorte di ognuno.
Il primo passo per noi è entrare in questa atmosfera in cui si respira Dio. E non è un premio per la mia buona condotta, ma un dono senza perché. Scriveva Angelo Silesio: «La rosa è senza perché, fiorisce perché fiorisce». L’amore di Dio è la rosa senza perché, Lui ama perché ama, è la sua natura. La realtà è che «siamo immersi in un oceano d’amore e non ce ne rendiamo conto» (G. Vannucci).
Il secondo passo lo indica un piccolo avverbio: Gesù non dice amate quanto me, il confronto ci schiaccerebbe. Ma: amate come me. Non basta amare, potrebbe essere anche una forma di possesso e di potere sull’altro, un amore che prende e pretende, e non dona niente; esistono anche amori violenti e disperati, tristi e perfino distruttivi. Gesù ama di «combattiva tenerezza» (Evangelii gaudium), alle volte coraggioso come un eroe, alle volte tenero come un innamorato o come una madre, che non si arrende, non si stanca, non si rassegna alla pecora perduta, la insegue per rovi e pietraie e trovatala se la carica sulle spalle, teneramente felice.
Amore che non è buonismo, perché non gli va bene l’ipocrisia dei sepolcri imbiancati, perché se un potente aggredisce un piccolo, un bambino, un povero, Gesù tra vittima e colpevole non è imparziale, sta con la vittima, fino ad evocare immagini potenti e dure.
Terzo passo: amatevi gli uni gli altri. Espressione capitale, che ricorre decine di volte nel Nuovo Testamento e vuol dire: nella reciprocità, guardandovi negli occhi, faccia a faccia, a tu per tu. Non si ama l’umanità in generale; si ama quest’uomo, questo bambino, questo straniero, questo volto. Si amano le persone ad una ad una, volto per volto, corpo a corpo. Amatevi gli uni gli altri, uno scambio di doni, perché dare sempre, dare senza ritorno è molto duro, non ce la facciamo; siamo tutti mendicanti d’amore, di una felicità che si pesa sulla bilancia preziosa del dare e del ricevere amore.
(Letture: Atti 14,21-27; Salmo 144; Apocalisse 21,1-5; Giovanni 13,31-35)
https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/siamo-tuttimendicantidi-amorein-cammino
Commento V domenica di Pasqua -19 maggio – p.Ermes – L’amore di Dio è la rosa senza perché
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 13,31-33a.34-35
Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.
Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».
Parola del Signore
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Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 6,60-69)
In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?».
Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono».
Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre».
Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?».
Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».
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VII domenica C Luca 6,26-37
OMELIA (di p. Ermes Ronchi)
Domenica scorsa Gesù aveva proiettato nel cielo della pianura umana il sogno e la rivolta del vangelo, beati voi poveri, guai a voi sazi, oggi pronuncia il primo dei suoi “amate”.
E di colpo mette davanti a una scalata durissima: amate i vostri nemici.
E io, come voi, penso che non ce la faremo mai, che è un progetto troppo esigente per noi piccoli, impossibile.
Ma io credo a Gesù. E mi sono domandato: Come possiamo fare per non guardare questa pagina come si guarda un film, là sullo schermo, a distanza, senza potervi entrare?
Forse ci può aiutare una frase: fate, agite come volete che gli uomini agiscano verso di voi.
Come vorrei che agissero con me? chi vorremmo avere attorno?
Vorremmo gente che ci perdoni quando abbiamo sbagliato, che abbia pazienza quando siamo irritanti; che ci dia un’altra possibilità se non ce l’abbiamo fatta la prima volta; io desidero gente che non reagisca ai miei scatti d’ira, alle parole brusche, che tenga in poco conto i miei difetti, e nessuno che mi maledica e qualcuno che preghi per me, e poter contare sul mantello di un amico…
Gente così vogliamo tutti, voglio un padre così, un coniuge così, un amore così ciascuno spera di trovare nel cuore del suo uomo della sua donna.
Questo io cercherò di dare agli altri. Allora vedi chiaro che questa di Gesù è l’unica strada: “amate i vostri nemici, benedite, date”; è l’unica strada perché un futuro ci sia, un futuro bello tra le persone. L’altra strada porta alla guerra infinita: Amatevi altrimenti vi distruggerete. A una distanza…
Se questo vangelo ci pare impossibile, facciamo una prova, leggiamolo all’incontrario, secondo quello che a noi pare possibile, secondo ciò che accade:
in quel tempo Gesù disse: odiate i vostri nemici; fate del male a quelli che vi odiano, maledite quelli che parlano male di voi; vendicatevi di quelli che vi trattano male, se uno ti colpisce con uno schiaffo tu coprilo di colpi, a chi ti chiede qualcosa, non dargli assolutamente niente e mandalo via…
Ma è vivere questo? Quale bambino potrebbe crescere con una madre così? Che non lo perdona mai? Un fratello che calcola tutto ciò che ti ha dato e rivuole tutto al millimetro, ma che fratello è? Un marito, una moglie vendicativi e senza perdono: se l’altro è arrabbiato perché farlo anch’io? Se l’altro ti ha fatto del male, perché farlo anche tu?…così’ non si vive.
Abbiamo tutti un disperato bisogno di essere abbracciati, perdonati. Di trovare uno che ci accolga senza calcoli, e uno da accogliere senza paura e senza misurare. L’amore non è un optional sulla terra. È necessario per vivere.
Quella di Gesù, che ci appare esagerata, è invece l’unica strada realistica per aprire un futuro tra le persone, e che sia di fiducia, di relazioni creative, di avanzamenti, una crescita di umanità e non di violenza e di inganni.
Amatevi altrimenti vi distruggerete tutti. Perché la notte non si sconfigge con altra tenebra; l’odio non si batte aggiungendo odio alle bilance. La violenza non si disinnesca con una dose di maggiore violenza.
Ma Gesù vuole eliminare il concetto stesso di nemico. Tutti attorno a noi, tutto dentro di noi dice: fuggi da Caino, allontanalo, rendilo innocuo.
Poi viene Gesù e ci sorprende: avvicinatevi ai vostri nemici, e capovolge la paura in custodia amorosa, perché la paura non libera dal male.
E indica otto passi della sua strada, attraverso l’incalzare di verbi concreti: quattro rivolti a tutti: amate, fate, benedite, pregate;
e quattro indirizzati al singolo, a me: offri, non rifiutare, da’, non chiedere indietro. Passi concreti, amore di mani, di tuniche, di prestiti, di gesti.
Offri l’altra guancia, disinnesca la violenza, sii disarmato, non incutere paura, mostra che non hai nulla da difendere, neppure te stesso, e l’altro capirà l’assurdo di esserti nemico. Offri l’altra guancia altrimenti a vincere sarà sempre il più forte, il più armato, e violento, e crudele.
Fallo, non per passività morbosa, ma prendendo tu l’iniziativa, riallacciando la relazione, facendo tu il primo passo, ricominciando, dando fiducia.
Via altissima. Ma il maestro non convoca eroi nel suo Regno, atleti dello spirito chiamati a imprese impossibili. E infatti ecco il regalo di questo vangelo: come volete che gli uomini facciano a voi così anche voi fate a loro. Ciò che desiderate per voi fatelo voi agli altri: prodigiosa contrazione della legge, ultima istanza del comandamento è il tuo desiderio.
Il mondo che desideri, costruiscilo. “Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo” (Gandhi).
Ciò che desideri per te, ciò che ti tiene in vita e ti fa felice, questo tu darai ai compagni di vita, in modo asimmetrico, minoritario, unilaterale. Lascia l’eterna illusione del pareggio del dare e dell’avere. E se i realisti ti diranno di stare con i piedi per terra, non credergli: sono questi i piedi ben piantati sulla terra dell’uomo; e quelli che ci vorrebbero come loro, verranno, è già successo, verranno a mangiare il pane dei nostri sogni. Siatene certi, è già accaduto. Verranno a mangiare il pane dei sogni del vangelo.
Ed ecco cinque parole con cui Gesù ci porta alla radice della morale evangelica: Siate misericordiosi come il Padre. Questa è la roccia su cui si fonda l’intera costruzione dell’etica cristiana, avere viscere di madre e di padre: fate così perché così fa Dio! Niente di meno di questo. Passa nel mondo con viscere di madre!
Tutto il vangelo di Luca è una variazione su questo tema della misericordia. Addirittura che previene la nostra colpa. Ci ha già perdonati, in anticipo, di essere come siamo; e mi commuove pensare che la misericordia di Dio mi anticipa, il tempo della misericordia è l’anticipo, libera misericordia, che mi ha già avvolto, prima ancora che io domandi perdono, è il colore dell’aria, è il respiro di Dio, il cuore di Dio.
E a noi che abbiamo fatto tanta fatica per imparare a perdonare, ad amare, ci sarà dato un giorno di amare con il cuore stesso di Dio.
PREGHIERA ALLA COMUNIONE
Donami amore,
che come il vento del mattino
ripulisca le ombre del cuore e addolcisca gli occhi.
Donami amore,
che aggiunga speranza quando la speranza dispera
e mi liberi dalla luce ingannevole che brucia e non riscalda.
Donami amore,
nella mia paura dell’altro, nel passato che mi riassorbe,
nella fatica del perdonare, mentre tu attendi la mia fioritura.
Donami amore,
per amici e per nemici,
che raccolga tutte le preghiere strappate al cuore
e tutte le vie incapaci di ritrovarsi.
Donami amore,
che riduca la distanza in cui mi trovo dalle altre creature,
origine del mio male e delle mie amarezze.
Donami amore! (don Gigi Verdi)
Natale è celebrare l’inedito di Dio, o meglio, un Dio inedito, che ribalta le nostre logiche e le nostre attese. Fare Natale, allora, è accogliere in terra le sorprese del Cielo. Non si può vivere “terra terra”, quando il Cielo ha portato le sue novità nel mondo. Natale inaugura un’epoca nuova, dove la vita non si programma, ma si dona; dove non si vive più per sé, in base ai propri gusti, ma per Dio; e con Dio, perché da Natale Dio è il Dio-con-noi.
Vivere il Natale è lasciarsi scuotere dalla sua sorprendente novità. Il Natale di Gesù non offre rassicuranti tepori da caminetto, ma il brivido divino che scuote la storia. Natale è la rivincita dell’umiltà sull’arroganza, della semplicità sull’abbondanza, del silenzio sul baccano, della preghiera sul “mio tempo”, di Dio sul mio io. Fare Natale è fare come Gesù, venuto per noi bisognosi, e scendere verso chi ha bisogno di noi.
È fare come Maria: fidarsi, docili a Dio, anche senza capire cosa Egli farà. È fare come Giuseppe: alzarsi per realizzare ciò che Dio vuole, anche se non è secondo i nostri piani. San Giuseppe è sorprendente: nel Vangelo non parla mai e il Signore gli parla proprio nel silenzio, nel sonno.
Natale è preferire la voce silenziosa di Dio ai frastuoni del consumismo. Se sapremo stare in silenzio davanti al presepe, Natale sarà anche per noi una sorpresa, non una cosa già vista.
Purtroppo, però, si può sbagliare festa, e preferire alle novità del Cielo le solite cose della terra. Se Natale rimane solo una bella festa tradizionale, dove al centro ci siamo noi e non Lui, sarà un’occasione persa. Per favore, non mondanizziamo il Natale!
Non mettiamo da parte il Festeggiato, come allora, quando «venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto» (Gv 1,11). Udienza Generale (19/12/2018)
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Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi
Se tutto il Vangelo sta in un bicchiere d’acqua
XXVI Dom. – T. O. – Anno B
Vangelo – Marco 9,38-43.45.47-48
In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demoni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi. Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa. Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile». […]
Maestro, quell’uomo guariva e liberava, ma non era dei nostri, non era in regola, e noi glielo abbiamo impedito. Come se dicessero: i malati non sono un problema nostro, si arrangino, prima le regole. I miracoli, la salute, la libertà, il dolore dell’uomo possono attendere.
Non era, non sono dei nostri. Tutti lo ripetono: gli apostoli di allora, i partiti, le chiese, le nazioni, i sovranisti. Separano. Invece noi vogliamo seguire Gesù, l’uomo senza barriere, il cui progetto si riassume in una sola parola “comunione con tutto ciò che vive”: non glielo impedite, perché chi non è contro di noi è per noi. Chiunque aiuta il mondo a fiorire è dei nostri. Chiunque trasmette libertà è mio discepolo. Si può essere uomini che incarnano sogni di Vangelo senza essere cristiani, perché il regno di Dio è più vasto e più profondo di tutte le nostre istituzioni messe insieme.
È bello vedere che per Gesù la prova ultima della bontà della fede sta nella sua capacità di trasmettere e custodire umanità, gioia, pienezza di vita. Questo ci pone tutti, serenamente e gioiosamente, accanto a tanti uomini e donne, diversamente credenti o non credenti, che però hanno a cuore la vita e si appassionano per essa, e sono capaci di fare miracoli per far nascere un sorriso sul volto di qualcuno. Stare accanto a loro, sognando la vita insieme (Evangelii gaudium).
Gesù invita i suoi a passare dalla contrapposizione ideologica alla proposta gioiosa, disarmata, fidente del Vangelo. A imparare a godere del bene del mondo, da chiunque sia fatto; a gustare le buone notizie, bellezza e giustizia, da dovunque vengano. A sentire come dato a noi il sorso di vita regalato a qualcuno: chiunque vi darà un bicchiere d’acqua non perderà la sua ricompensa. Chiunque, e non ci sono clausole, appartenenze, condizioni. La vera distinzione non è tra chi va in chiesa e chi non ci va, ma tra chi si ferma accanto all’uomo bastonato dai briganti, si china, versa olio e vino, e chi invece tira dritto.
Un bicchiere d’acqua, il quasi niente, una cosa così povera che tutti hanno in casa.
Gesù semplifica la vita: tutto il Vangelo in un bicchiere d’acqua. Di fronte all’invasività del male, Gesù conforta: al male contrapponi il tuo bicchiere d’acqua; e poi fidati: il peggio non prevarrà.
Se il tuo occhio, se la tua mano ti scandalizzano, tagliali… metafore incisive per dire la serietà con cui si deve aver cura di non sbagliare la vita e per riproporre il sogno di un mondo dove le mani sanno solo donare e i piedi andare incontro al fratello, un mondo dove fioriscono occhi più luminosi del giorno, dove tutti sono dei nostri, tutti amici della vita, e, proprio per questo, tutti secondo il cuore di Dio.
(Letture: Numeri 11,25-29; Salmo 18; Giacomo 5,1-6; Marco 9,38-43.45.47-48)
https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/se-tutto-il-vangelo-sta-in-un-bicchiere-d-acqua
L’uomo non divida ciò che Dio ha congiunto.
+ Dal Vangelo secondo Marco 10,1-12
In quel tempo, Gesù, partito da Cafarnao, venne nella regione della Giudea e al di là del fiume Giordano. La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli insegnava loro, come era solito fare. Alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, gli domandavano se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla».
Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto».
A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».
ALCUNI LIBRI DI PIER ANGELO PIAI
GUARIRE LA MENTE PER GUARIRE IL CORPO: http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
LA SPIRALE DELLA VITA (riedizione) : http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
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“LA FORZA DELLA FRAGILITÀ” ed.Segno (In questo mio libro troverete preghiere per molti stati d’animo e situazioni personali) http://www.edizionisegno.it/libro.asp….
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LA STIMMATIZZATA DI UDINE (Storia autentica di Raffaella Lionetti, dotata di speciali carismi) http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
FIAMMA D’AMORE DEL CUORE IMMACOLATO DI MARIA http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
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Il Signore è energia che opera con i credenti. Il Risorto è sinergia con te, agisce in ogni gesto di bontà, ogni volta che porgi una parola fresca e viva, costruisce con te quando costruisci pace, quando poni segni di vita.
Il vangelo ne elenca alcuni:
– scacceranno demoni, è la capacità di divincolarsi e sgusciare via dall’abbraccio del Separatore, dalla presa della menzogna;
– parleranno lingue nuove: non si tratta di inventare un altro idioma tra i diecimila parlati, ma è la capacità di parlare in modo nuovo e fresco, da uomo nuovo, come un bambino che sa dirti: ti voglio bene, e ti spacca il cuore; perché chi parla con amore è sempre ascoltabile (F. Rosini);
– prenderanno in mano serpenti e se berranno veleni: i serpenti interiori, quegli sbagli, quel male… le parole velenose che qualche volta ti hanno colpito…
– Imporranno le mani ai malati e questi guariranno! Il Vangelo letteralmente dice non già che “guariranno”, ma che ne avranno del bene, che questo sarà bello per loro. Se ti avvicini a chi soffre e tocchi la sua malattia e trasmetti Spirito, forse guarirà e forse no, ma certamente ne avrà bene, certamente questo sarà bello per lui. Entreranno nel cuore pace, solidarietà, Spirito…
Ascensione è la navigazione del cuore che ti conduce dalla chiusura in te all’amore che abbraccia l’universo (Benedetto XVI). A questa navigazione del cuore Gesù chiama gli undici, un gruppetto di uomini impauriti e confusi, un nucleo di donne coraggiose e fedeli, e affida loro il mondo.
(p. Ermes Ronchi)
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La divinità di Cristo illumina e rischiara l’intera vita cristiana.
Senza la fede nella divinità di Cristo:
Dio è lontano, Cristo resta nel suo tempo,
il Vangelo è uno dei tanti libri religiosi dell’umanità,
la Chiesa, una semplice istituzione,
l’evangelizzazione, una propaganda,
la liturgia, rievocazione di un passato che non c’è più,
la morale cristiana, un peso tutt’altro che leggero e un giogo tutt’altro che soave.
Ma con la fede nella divinità di Cristo:
Dio è l’Emanuele, il Dio con noi,
Cristo, è il risorto che vive nello Spirito, il Vangelo, parola definitiva di Dio a tutta l’umanità,
la Chiesa, sacramento universale di salvezza,
l’evangelizzazione, condivisione di un dono,
la liturgia, incontro gioioso con il Risorto, la vita presente,
inizio dell’eternità.
È scritto infatti: “Chi crede nel Figlio ha la vita eterna” (Gv 3, 36).
La fede nella divinità di Cristo ci è soprattutto indispensabile in questo momento per mantenere viva la speranza sul futuro della Chiesa e del mondo.
p. Raniero Cantalamessa
https://it.zenit.org/articles/sant-at…
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Marco 1,14-20
III domenica
(p. Ermes Ronchi)
È il momento fresco, sorgivo del vangelo, che ci riporta le prime parole che Gesù pronuncia, i primi gesti che compie.
E in primo piano, emerge il suo coraggio: Giovanni è appena catturato e messo a tacere, e Gesù entra in scena, come in una staffetta di profeti, ora tocca a lui mostrare che la parola non è incatenata. E si espone, al re Erode e ai pescatori del lago, senza paura dei rischi, senza mimetizzarsi. Il profeta è colui che non si mimetizza.
Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio. La prima caratteristica dell’uomo Gesù, quella che da subito ha colpito gli evangelisti, è quella di un uomo che cammina, cammina sempre, camminerà tre anni, e mai da solo, incalzato da una forza che lo obbliga a partire, a lasciare casa, famiglia, clan, paese, luoghi: Gesù venne da Nazaret di Galilea al Giordano (Mc 1,9)…e subito lo Spirito lo sospinse nel deserto (Mc 1,12)…arrestato Giovanni Gesù andò nella Galilea (Mc 1,14).
Un Gesù che ha scelto come casa la strada. Un “senza fissa dimora”, si direbbe oggi. E non esiste nessun caso, in Israele, nessun racconto nella Bibbia, prima di lui, di un maestro itinerante, senza scuola e senza casa. Nessuno mai leggero e libero come lui.
E porterà i suoi discepoli alla scuola della strada. Perché la strada è luogo di incontri, è di tutti e non domanda lasciapassare a nessuno, ti apre all’imprevisto, perché non sai chi sarà il prossimo a venirti incontro, ma sai che l’infinito è all’angolo di ogni strada.
Ed ecco la seconda nota caratteristica: Gesù andò nella Galilea proclamando il vangelo di Dio. Proclamando che Dio è una bella notizia.
Non era ovvio per niente. Non tutta la bibbia è vangelo, non tutta è bella e gioiosa notizia, alle volte è minaccia e giudizio, spesso è comando e ingiunzione, ma la caratteristica nuova del rabbi delle strade è proprio la parola vangelo: felice, lieta, gioiosa notizia. Dio conforta la vita. E se non conforta la vita non è Dio quello che noi proclamiamo.
La bella notizia che inizia a correre per la Galilea è raccontata così: il regno di Dio è vicino, Dio è vicino a te, forte come il tuo eroe e tenero come il tuo innamorato.
Gesù è il racconto della tenerezza di Dio, non della onnipotenza di Dio, ma della sua tenerezza!
Infatti vedi che Gesù passa per le strade e dietro di lui resta una scia di pollini di primavera, uno strascico di guarigioni e di abbracci.
È il mondo come Dio lo sogna: i poveri come principi, la pace tra il lupo e l’agnello, cancellare il concetto stesso di nemico, l’amore come unica regola, il corpo guarito e il cuore ubriaco di gioia.
Passa Gesù e vedi che un altro mondo è possibile, e lui ne conosce il segreto, sembra possederne la chiave: comincia a liberare, guarisce, purifica, perdona, rialza. Toglie barriere alle donne, recupera gli scartati, ridona pienezza di possibilità ai poveri, ciechi oppressi lebbrosi. E toglie il peccato, che ha un nome solo: è il disamore. Gesù è il guaritore del disamore del mondo.
Il vangelo di Marco riporta poi la seconda parte dell’annuncio: convertitevi e credete nel vangelo.
La conversione è come fare una inversione a U, quando ti accorgi che hai sbagliato strada, che stai andando nel fosso, che la felicità è dall’altra parte. Non è allora una esigenza moralistica, non vuol dire: diventate “bravi ragazzi”. Dio non ama i bravi ragazzi, ama le persone sincere autentiche vere.
Vuol dire: Cambia strada e vieni con me: di qua si va in un posto molto bello; di qua il cielo è più vicino e più luminoso; e l’azzurro non è così azzurro da nessun’ altra parte; e il volto di Dio è solare e sorridente, e perfino gli uomini sono buoni, e mostreremo loro quanto sono belli. “Il vostro male fratelli è che non sapete quanto siete belli” (Dostoewski).
‘Convertitevi’ vuol dire ‘giratevi verso la luce perché la luce è già qui’, come fa un girasole che si rimette ad ogni alba sui sentieri del sole.
Convertiti non suona come un ordine, un comando da caserma che fa scattare sull’attenti e temere la punizione, è una offerta di sole, di solarità, l’offerta della migliore delle possibilità.
Poi viene la chiamata dei primi discepoli. Camminando lungo il mare di Galilea, Gesù vide… Gesù cammina e guarda. Cammina senza fretta e senza ansia, abita pienamente la vita. Cammina e vede Simone e in lui intuisce la Roccia. Vede Giovanni e in lui indovina il discepolo dalle più belle parole d’amore. Vede Giacomo è in loro non vede solo gli imprenditori di una piccola azienda di pesca, ma “i figli del tuono”. Un giorno guarderà l’adultera e in lei vedrà la donna capace di amare bene.
Il suo è uno sguardo creatore e poetico.
Vi faro diventare pescatori di uomini, una frase che non avevano mai sentita nelle Sacre Scritture, inedita e un po’ illogica.
I quattro sapevano pescare. Sapevano che pescare è la morte del pesce. Ma Gesù è amico della vita, profuma di vita. È come se dicesse: “vi farò pescatori di umano”. Tirerete fuori gli uomini da sotto quella superficie in cui la vita non è vita; tirerete fuori ogni persona il meglio, il fiore dell’umanità di ciascuno.
Vi farò pescatori di umanità, cercatori di tutto ciò che di più umano, bello, grande, luminoso ogni figlio di Dio porta nel cuore. Lo tirerete fuori dall’oscurità, come tesoro dissepolto dal campo, come neonato dalle acque materne, li porterete dalla vita sommersa alla vita nel sole.
Insegnerete a vivere meglio.
Ti sembra piccola cosa insegnare a vivere? è il massimo che c’è!
I discepoli, i quattro non sono pronti. Non sono preparati, non hanno fatto corsi, ritiri, non hanno studiato teologia o psicologia, in compenso hanno qualcosa: sentono il fascino di Gesù. Sentono che emana vita e si mettono alla sua scuola.
Di quel Rabbi così diverso, alternativo, quasi fuori dalle righe (“solo gente fuori dalle righe può soffiare via la coltre di cenere che copre la brace delle nostre vite”… Card Martini).
Il maestro guarda anche me, che non sono pronto; e si fa pescatore di umano: vede in me, nonostante i miei inverni, una primavera possibile,
una generosità che non sapevo di avere,
capacità che non conoscevo,
un’allegria profonda ma ancora muta.
Mi guarda con la fiducia di chi contempla le stelle
prima ancora che sorgano. E mi dice: seguimi.
Signore, sono il primo dei paurosi,
ma pronto a dire eccomi.
Sono l’ultimo dei coraggiosi,
ma pronto a dire, insegnami a vivere meglio.
Ti seguirò, Signore che apri sentieri e insegni respiri.
Perché sei pescatore di stelle,
anche nel cielo buio della mia vita.
Preghiera
Donami, Signore, un cuore libero e saldo,
leggero e possente come un germoglio di cielo.
Donami un cuore giovane, attento a tutto ciò che nasce,
che sta dalla tua parte per creare un mondo nuovo.
Aiutami ad amare questa storia barbara e magnifica
e tutti i miei fratelli esposti come me alla paura,
esposti al cuore stanco,
ma dalla tua forza buona
miracolosamente accolti.
Aiutami a fissare negli occhi le creature
e insieme a fissare gli abissi del cielo.
Ad essere generoso di sentimenti
ad abbondare nell’amore,
perché diventi saldo il cuore.
E alzi il capo a contemplare il passo di Dio,
il germoglio di giustizia che è già spuntato,
che ha preso il volto indimenticabile di Gesù,
il volto del più bello tra i figli dell’uomo.
Amen.
(p. ERMES RONCHI)
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(Gv. 12, 44 – 50)
Gesù allora gridò a gran voce:
«Chi crede in me, non crede in me, ma in colui che mi ha mandato; chi vede me, vede colui che mi ha mandato. Io come luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre.
Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo.
Chi mi respinge e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho annunziato lo condannerà nell’ultimo giorno.
Perché io non ho parlato da me, ma il Padre che mi ha mandato, egli stesso mi ha ordinato che cosa devo dire e annunziare.
E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico come il Padre le ha dette a me».
(disegni di Perla Paik)
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III DI AVVENTO – Anno B
Gv 1,6-8.19-28
p. Erems Ronchi
Omelia
C’era grande attesa in Israele, in quei giorni. E Dio interviene: “venne un uomo mandato da Dio, il suo nome era Giovanni”. Dio interviene per gli uomini non con miracoli: mandando un uomo.
Il miracolo di Dio siamo noi. L’intervento di Dio, oggi, siamo noi. Dio salva attraverso persone scrive Romano Guardini. Attraverso profeti di povere parole, che siamo noi.
Giovanni, il Profeta roccioso e selvatico, deve affrontare due commissioni d’inchiesta, due inquisizioni. Chi sei? E perché battezzi?
Sacerdoti e leviti insieme: i leviti facevano anche funzione di polizia, sono lì pronti per arrestarlo qualora…Sei domande sempre più incalzanti. Tre risposte sempre più brevi: identità per spoliazione, per sottrazione, io non sono.
Io non sono, né l’eroe dei miei sogni né il bambino delle mie paure. Io non sono il personaggio che vorrei essere, né il fallito che temo di essere, io non sono ciò che gli altri credono di me, o ciò che si aspettano, né un santo, né solo peccatore, io non sono il mio ruolo e nemmeno il mio peccato.
Tre no, e un sì finale: io? semplicemente Voce. La parola è un Altro. Lui è il senso di ciò che io dico.
“La parola una volta pronunciata non muore, ma proprio in quell’istante comincia a vivere e fiorire” (E. Dikinson) per la voce di un uomo.
Io, semplicemente voce, che si alza in grido: che significa appello, bisogno, fame.
La vita dell’uomo inizia con un grido, il grido vittorioso del bambino che nasce, e termina con un grido soffocato, il grido crocifisso di ogni morente (on sort on crie, c’est la vie; on crie on sort c’est la mort”;
Grido di Cristo, quando sulla croce diventa la grande voce del mondo che urla la sua sete e le sue paure agli uomini e al cielo.
Io, semplicemente voce. Che dice parole più antiche e più grandi di me. La mia identità è di essere attraversato dal soffio di Dio, che dice e ridice, si alza e non si stanca.
Io semplicemente come una canna vuota, un flauto che emette la sua voce quando il respiro dello Spirito lo attraversa, e il soffio diventa musica. Così i mistici… Sono strumento e mi lascio adoperare.
Essere voce vuol dire allora che tutti noi abbiamo una struttura di profezia come nostra identità, siamo tutti – profondamente – profeti.
Parla tu Signore che il Tuo servo ascolta, parla le tue parole, noi non sappiamo più cosa dire; parla tu e riempi questa voce di semi di vangelo, che sono semi di vita; riempila di semi di cielo che sono semi di luce e di gioia. Parla, il tuo servo si farà voce, voce che grida nel deserto o che sussurra al cuore. Molti parlano, pochi parlano al cuore, uno solo parla sul cuore, senza distanza alcuna, toccando il cuore…
Noi cerchiamo profeti, uomini e donne dalle parole di fuoco, dal cuore in fiamme, e Dio che parla dai loro roveti. Ma dove sono? Il vangelo risponde così: E venne un uomo mandato da Dio! Un uomo vuol dire ogni uomo, vuol dire ognuno mandato da Dio, con una sillaba di Parola, con una goccia di fuoco, una parola insostituibile della frase del mondo. e se io non pronuncio la mia parola mancherà qualcosa alla compiutezza della frase. Siamo pietre vive della cattedrale che Dio va costruendo…non importa dove sei messo…ma se tu manchi la tua missione ci sarà una disarmonia cosmica, un vuoto, un buco che nessuno potrà colmare..
Per ascoltare devo chinarmi profondamente, come il Battista, cercare dentro. Se trovo Dio in me, allora sarò libero, libero come Giovanni davanti alle due inquisizioni dei potenti del tempo. Per me, come per lui, conteranno solo gli occhi del mio Signore, quel piccolo pezzo di Dio in me, che dice e ridice e non tace mai.
E mi sussurra come a Isaia, che la terra non è orfana di Dio, che qualcosa si muove, un virgulto, un agnello, un bambino: affiniamo lo sguardo! Come Isaia testimone di un Dio invisibile eppure luminoso, sconosciuto e innamorato, che è in mezzo a noi come guaritore delle vite, come germoglio di tronco tagliato.
E io credo nel sogno del lupo e dell’agnello insieme anche se, per ora, non si è realizzato; credo nel sogno della pace, anche se ancora non è venuta! Così come credo nella primavera anche se oggi non splende. E nell’amore, anche se oggi non scalda. Io credo, io do fiducia alla luce, mi fido del bene, in noi più antico del male più antico, più originario del peccato originario.
Molti di voi conosceranno Cuore di tenebra, un famoso romanzo di Joseph Conrad: nel mondo e in noi batte un cuore di tenebra. Eppure una narrazione più alta suggerisce invece che una goccia di luce batte nel cuore vivo di tutte le cose.
È Cristo venuto come luce vera che illumina ogni uomo; notate bene: ogni uomo, ogni uomo, ogni uomo.
E nessuno che sia escluso, e nessuno che sia senza luce. È venuto e ha fatto risplendere la vita: la mia vita, la tua vita, la vita innumerevole, dai mille nomi, dai mille volti.
Di questo anch’io posso essere testimone! Non di ingiunzioni ma di un bene che è dentro di me; non di castighi ma di luce, di un Dio che sorge come un sole, che fascia le piaghe dei cuori spezzati, che è germoglio sui tronchi abbattuti, che è cercatore di prigionieri per rimetterli nel sole.
Noi, a differenza di Isaia e di Giovanni, siamo profeti di povere parole. Eppure voce non inutile: “solo se il messaggero è infinitamente piccolo, il messaggio sarà infinitamente grande” (Vannucci).
In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete. In mezzo a voi e non nel tempio; in mezzo a voi ma non dentro ai vostri schemi. Cristo sconosciuto, io non lo possiedo, neppure la chiesa lo possiede, questa chiesa continuamente in cerca del suo Cristo (Paolo VI).
Egli è qui, nei miei profeti, nelle accensioni improvvise dell’anima e del cuore, è nel nostro amore e nei nostri poveri, è negli occhi testimoni della luce, nella bellezza de mondo e dello splendore del dimesso, nelle parole che consolano davvero, ogni volta che un lupo, che un violento si disarma e si fa guidare da un bambino. Da un cuore bambino.
Ogni volta che la radice mette germogli, Dio è qui e parla parole che sono nido e vela, nido che accoglie e conforta, e vela che fa ripartire la vita, come un germoglio di luce che cresce e si arrampica in noi, come un fiore di luce sbocciato nel nostro deserto.
Preghiera alla comunione
Signore, chi sono io veramente?
Vorrei dirmi appena voce, soltanto voce e Tu la parola.
Ma non è così. Ho detto parole solo mie, di cenere e sabbia.
Vorrei però essere voce che grida nei deserti e che sussurra al cuore
che una bontà immensa abita l’universo.
Vorrei essere solo pulviscolo di luce,
frammento minimo di sole, pur con tutto il mio buio.
Vorrei essere con la mia vita piccola profezia di te,
eco di un flauto che suona da altrove.
E così crederanno a te e non a me, Signore,
a te che ripeti a ciascuno con la voce di Isaia:
Il tronco fiorirà, la parola tornerà dal silenzio,
il lupo e l’agnello pascoleranno insieme.
E sia la nostra vita voce che dice
il cuore buono dell’essere,
che dice che Tu, Signore, hai un cuore di luce,
che io, con il mio frammento opaco, posso essere
frammento ospitale del cosmo
riflesso di te, nostalgia di te
venuto come un fiore di luce nel nostro deserto. Amen
p. Ermes Ronchi
Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi
II Domenica di Avvento – Anno B
Questo mondo ne porta un altro nel grembo
Vangelo – Marco 1,1-8
Inizio del Vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio. Come sta scritto nel profeta Isaìa: «Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via. Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri», vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».
Inizio del Vangelo di Gesù. Sembra quasi un’annotazione pratica, un semplice titolo esterno al racconto. Ma leggiamo meglio: inizio di Vangelo, di una bella, lieta, gioiosa notizia. Ciò che fa cominciare e ricominciare a vivere e a progettare è sempre una buona notizia, un presagio di gioia, una speranza intravista.
Inizio del Vangelo che è Gesù. La bella notizia è una persona, un Dio che fiorisce sulla nostra terra: «Il tuo nome è: Colui-che fiorisce-sotto-il-sole» (D.M. Turoldo). Ma fioriscono lungo i nostri giorni anche altri vangeli, pur se piccoli; altre buone notizie fanno ripartire la vita: la bontà delle creature, chi mi vive accanto, i sogni condivisi, la bellezza seminata nel mondo, «la tenerezza che trova misteri dove gli altri vedono problemi» (L. Candiani). E se qualcosa di cattivo o doloroso è accaduto, buona notizia diventa il perdono, che lava via le ombre dagli angoli oscuri del cuore.
Viene dopo di me uno più forte di me. Gesù è forte, non perché “onnipotente” ma perché “onni-amante”; forte al punto di dare la propria vita; più forte perché è l’unico che parla al cuore. E chiama tutti a essere “più forti”, come lo sono i profeti, a essere voce che grida, essere gente che esprime, con passione, la propria duplice passione per Cristo e per l’uomo, inscindibilmente. La passione rende forte la vita.
Giovanni non dice: verrà un giorno, o sta per venire tra poco, e sarebbe già una cosa grande. Ma semplice, diretto, sicuro dice: viene. Giorno per giorno, continuamente, ancora adesso, Dio viene. Anche se non lo vedi e non ti accorgi di lui, Dio è in cammino. L’infinito è all’angolo di ogni strada. C’è chi sa vedere i cieli riflessi in una goccia di rugiada, Giovanni sa vedere il cammino di Dio, pastore di costellazioni, nella polvere delle nostre strade. E ci scuote, ci apre gli occhi, insinua in noi il sospetto che qualcosa di determinante stia accadendo, qualcosa di vitale, e rischiamo di perderlo: Dio che si incarna, che instancabilmente si fa lievito e sale e luce di questa nostra terra.
Il Vangelo ci insegna a leggere la storia come grembo di futuro, a non fermarci all’oggi: questo mondo porta un altro mondo nel grembo. La presenza del Signore non si è dissolta. Anzi, il mondo è più vicino a Dio oggi di ieri. Lo attestano mille segni: la coscienza crescente dei diritti dell’uomo, il movimento epocale del femminile, il rispetto e la cura per i disabili, l’amore per madre terra…
La buona notizia è che la nostra storia è gravida di futuro buono per il mondo, gravida di luce, e Dio è sempre più vicino, vicino come il respiro, vicino come il cuore. Tu sei qui, e io accarezzo la vita perché profuma di Te.
(Letture: Isaia 40,1-5.9-11; Salmo 84; 2 Pietro 3,8-14; Marco 1,1-8)
https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/questo-mondo-ne-porta-un-altro-nel-grembo
Giovanni proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».
Giovanni non dice: verrà … dice: viene.
Giorno per giorno, continuamente,
ancora adesso, Dio viene.
Anche se non lo vedi e non ti accorgi di lui,
Dio è in cammino.
L’infinito è all’angolo di ogni strada.
C’è chi sa vedere i cieli riflessi in una goccia di rugiada,
Giovanni sa vedere il cammino di Dio,
pastore di costellazioni,
nella polvere delle nostre strade.
E ci scuote, ci apre gli occhi,
insinua in noi il sospetto che
qualcosa di determinante stia accadendo,
qualcosa di vitale,
e rischiamo di perderlo:
Dio che si incarna,
che instancabilmente si fa lievito
e sale e luce di questa nostra terra.
(Ermes Ronchi – II Dom. di Avvento – anno B)
https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/questo-mondo-ne-porta-un-altro-nel-grembo
Il Vangelo a cura Ermes Ronchi
Il rischio di «addormentarci», anche mentre corriamo
I Domenica di Avvento – Anno B
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».
Prima domenica di avvento: ricomincia il ciclo dell’anno liturgico come una scossa, un bagliore di futuro dentro il giro lento dei giorni sempre uguali. A ricordarci che la realtà non è solo questo che si vede, ma che il segreto della nostra vita è oltre noi. Qualcosa si muove, qualcuno è in cammino e tutt’intorno a noi «il cielo prepara oasi ai nomadi d’amore» (Ungaretti). Intanto sulla terra tutto è in attesa, «anche il grano attende, anche la pietra attende» (Turoldo), ma l’attesa non è mai egocentrica, non si attende la beatitudine del singolo, ma cieli nuovi e terra nuova, Dio tutto in tutti, la vita che fiorisce in tutte le sue forme.
Se tu squarciassi i cieli e discendessi! (Is 63,19). Attesa di Dio, di un Gesù che è Dio caduto sulla terra come un bacio (B. Calati). Come una carezza sulla terra e sul cuore.
Il tempo che inizia ci insegna cosa spetta a noi fare: andare incontro. Il Vangelo ci mostra come farlo: con due parole che aprono e chiudono il brano, come due parentesi: fate attenzione e vegliate.
Un padrone se ne va e lascia tutto in mano ai suoi servi, a ciascuno il suo compito (Marco 13,34). Una costante di molte parabole, una storia che Gesù racconta spesso, narrando di un Dio che mette il mondo nelle nostre mani, che affida tutte le sue creature all’intelligenza fedele e alla tenerezza combattiva dell’uomo. Dio si fa da parte, si fida dell’uomo, gli affida il mondo. L’uomo, da parte sua, è investito di un’enorme responsabilità. Non possiamo più delegare a Dio niente, perché Dio ha delegato tutto a noi.
Fate attenzione. L’attenzione, primo atteggiamento indispensabile per una vita non superficiale, significa porsi in modo “sveglio” e al tempo stesso “sognante” di fronte alla realtà. Noi calpestiamo tesori e non ce ne accorgiamo, camminiamo su gioielli e non ce ne rendiamo conto. Vivere attenti: attenti alla Parola e al grido dei poveri, attenti al mondo, nostro pianeta barbaro e magnifico, alle sue creature più piccole e indispensabili: l’acqua, l’aria, le piante. Attenti a ciò che accade nel cuore e nel piccolo spazio di realtà in cui mi muovo.
Vegliate, con gli occhi bene aperti. Il vegliare è come un guardare avanti, uno scrutare la notte, uno spiare il lento emergere dell’alba, perché il presente non basta a nessuno. Vegliate su tutto ciò che nasce, sui primi passi della pace, sul respiro della luce, sui primi vagiti della vita e dei suoi germogli. Il Vangelo ci consegna una vocazione al risveglio: che non giunga l’atteso trovandovi addormentati (Marco 13,36).
Rischio quotidiano è una vita dormiente, che non sa vedere l’esistenza come una madre in attesa, gravida di Dio, incinta di luce e di futuro.
(Letture: Isaia 63,16-17.19; 64,2-7; Salmo 79; 1 Corinzi 1,3-9; Marco 13, 33-37)
https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/il-rischio-di-addormentarci-anche-mentre-corriamo
Un padrone se ne va e lascia tutto in mano ai suoi servi,
a ciascuno il suo compito (Marco 13,34).
Dio si fa da parte, si fida dell’uomo, gli affida il mondo.
L’uomo, da parte sua, è investito di un’enorme responsabilità.
Non possiamo più delegare a Dio niente, perché Dio ha delegato tutto a noi.
Vegliate, con gli occhi bene aperti.
Il vegliare è come un guardare avanti,
uno scrutare la notte, uno spiare il lento emergere dell’alba,
perché il presente non basta a nessuno.
Vegliate su tutto ciò che nasce,
sui primi passi della pace,
sul respiro della luce,
sui primi vagiti della vita e dei suoi germogli.
Il Vangelo ci consegna una vocazione al risveglio:
che non giunga l’atteso trovandovi addormentati (Marco 13,36).
Rischio quotidiano è una vita dormiente,
che non sa vedere l’esistenza come una madre in attesa,
gravida di Dio, incinta di luce e di futuro.
(Ermes Ronchi I Dom. di Avvento – Anno B)
Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi
Nella notte, la voce dello sposo che risveglia la vita
XXXII Domenica – tempo ordinario – Anno A – 2017
Vangelo – Matteo 25,1-13
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. (…)
Una parabola difficile, che si chiude con un esito duro («non vi conosco»), piena di incongruenze che sembrano voler oscurare l’atmosfera gioiosa di quella festa nuziale. Eppure è bello questo racconto, mi piace sentire che il Regno è simile a dieci ragazze che sfidano la notte, armate solo di un po’ di luce. Di quasi niente.
Che il Regno è simile a dieci piccole luci nella notte, a gente coraggiosa che si mette per strada e osa sfidare il buio e il ritardo del sogno; e che ha l’attesa nel cuore, perché aspetta qualcuno, uno sposo, un po’ d’amore dalla vita, lo splendore di un abbraccio in fondo alla notte. Ci crede.
Ma qui cominciano i problemi. Tutti i protagonisti della parabola fanno brutta figura: lo sposo con il suo ritardo esagerato che mette in crisi tutte le ragazze; le cinque stolte che non hanno pensato a un po’ d’olio di riserva; le sagge che si rifiutano di condividere; e quello che chiude la porta della casa in festa, cosa che è contro l’usanza, perché tutto il paese partecipava all’evento delle nozze… Gesù usa tutte le incongruenze per provocare e rendere attento l’uditorio.
Il punto di svolta del racconto è un grido. Che rivela non tanto la mancata vigilanza (l’addormentarsi di tutte, sagge e stolte, tutte ugualmente stanche) ma lo spegnersi delle torce: Dateci un po’ del vostro olio perché le nostre lampade si spengono… La risposta è dura: no, perché non venga a mancare a noi e a voi. Andate a comprarlo.
Matteo non spiega che cosa significhi l’olio. Possiamo immaginare che abbia a che fare con la luce e col fuoco: qualcosa come una passione ardente, che ci faccia vivere accesi e luminosi. Qualcosa però che non può essere né prestato, né diviso.
Illuminante a questo proposito è una espressione di Gesù: «risplenda la vostra luce davanti agli uomini e vedano le vostre opere buone» (Mt 5,16). Forse l’olio che dà luce sono le opere buone, quelle che comunicano vita agli altri. Perché o noi portiamo calore e luce a qualcuno, o non siamo.
«Signore, Signore, aprici!».
Manca d’olio chi ha solo parole: «Signore, Signore…» (Mt 7,21),
chi dice e non fa.
Ma il perno attorno cui ruota la parabola è quella voce nel buio della mezzanotte, capace di risvegliare la vita. Io non sono la forza della mia volontà, non sono la mia resistenza al sonno, io ho tanta forza quanta ne ha quella Voce, che, anche se tarda, di certo verrà; che ridesta la vita da tutti gli sconforti, che mi consola dicendo che di me non è stanca, che disegna un mondo colmo di incontri e di luci. A me basterà avere un cuore che ascolta e ravvivarlo, come fosse una lampada, e uscire incontro a chi mi porta un abbraccio.
(Letture: Sapienza 6,12-16; Salmo 62; 1 Tessalonicesi 4,13-18; Matteo 25,1-13)
Gesù: «risplenda la vostra luce davanti agli uomini
e vedano le vostre opere buone» (Mt 5,16).
Forse l’olio che dà luce sono le opere buone,
quelle che comunicano vita agli altri.
Perché o noi portiamo calore e luce a qualcuno, o non siamo.
Ma il perno attorno cui ruota la parabola è
quella voce nel buio della mezzanotte,
capace di risvegliare la vita.
Io non sono la forza della mia volontà,
non sono la mia resistenza al sonno,
io ho tanta forza quanta ne ha quella Voce, che,
anche se tarda, di certo verrà
… quella Voce che ridesta la vita da tutti gli sconforti, che mi consola dicendo
che di me non è stanca, che disegna un mondo colmo di incontri e di luci.
A me basterà avere un cuore che ascolta e ravvivarlo, come fosse una lampada,
e uscire incontro a chi mi porta un abbraccio.
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Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi
Gesù apprezza la fatica, ma rimprovera l’ipocrisia
XXXI Dom. T. O. – Anno A
In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. (…) Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filatteri e allungano le frange; amano posti d’onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare “rabbì” dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate nessuno “padre” sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. E non fatevi chiamare “maestri”, perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo. Il più grande tra voi sia vostro servo; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato».
Il Vangelo di questa domenica brucia le labbra di tutti coloro “che dicono e non fanno”, magari credenti, ma non credibili. Esame duro quello della Parola di Dio, e che coinvolge tutti: infatti nessuno può dirsi esente dall’incoerenza tra il dire e il fare.
Che il Vangelo sia un progetto troppo esigente, perfino inarrivabile? Che si tratti di un’utopia, di inviti “impossibil”, come ad esempio: «Siate perfetti come il Padre» (Mt 5,48)?
Ma Gesù conosce bene quanto sono radicalmente deboli i suoi fratelli, sa la nostra fatica. E nel Vangelo vediamo che si è sempre mostrato premuroso verso la debolezza, come fa il vasaio che, se il vaso non è riuscito bene, non butta via l’argilla, ma la rimette sul tornio e la riplasma e la lavora di nuovo. Sempre premuroso come il pastore che si carica sulle spalle la pecora che si era perduta, per alleggerire la sua fatica e il ritorno sia facile. Sempre attento alle fragilità, come al pozzo di Sicar quando offre acqua viva alla samaritana dai molti amori e dalla grande sete.
Gesù non si scaglia mai contro la debolezza dei piccoli, ma contro l’ipocrisia dei pii e dei potenti, quelli che redigono leggi sempre più severe per gli altri, mentre loro non le toccano neppure con un dito. Anzi, più sono inflessibili e rigidi con gli altri, più si sentono fedeli e giusti: «Diffida dell’uomo rigido, è un traditore» (W. Shakespeare).
Gesù non rimprovera la fatica di chi non riesce a vivere in pienezza il sogno evangelico, ma l’ipocrisia di chi neppure si avvia verso l’ideale, di chi neppure comincia un cammino, e tuttavia vuole apparire giusto. Non siamo al mondo per essere immacolati, ma per essere incamminati; non per essere perfetti ma per iniziare percorsi.
Se l’ipocrisia è il primo peccato, il secondo è la vanità: «tutto fanno per essere ammirati dalla gente», vivono per l’immagine, recitano.
E il terzo errore è l’amore del potere. A questo oppone la sua rivoluzione: «non chiamate nessuno “maestro” o “padre” sulla terra, perché uno solo è il Padre, quello del cielo, e voi siete tutti fratelli».
Ed è già un primo scossone inferto alle nostre relazioni asimmetriche. Ma la rivoluzione di Gesù non si ferma qui, a un modello di uguaglianza sociale, prosegue con un secondo capovolgimento: il più grande tra voi sia vostro servo.
Servo è la più sorprendente definizione che Gesù ha dato di se stesso: Io sono in mezzo a voi come colui che serve. Servire vuol dire vivere «a partire da me, ma non per me», secondo la bella espressione di Martin Buber.
Ci sono nella vita tre verbi mortiferi, maledetti: avere, salire, comandare. Ad essi Gesù oppone tre verbi benedetti: dare, scendere, servire. Se fai così sei felice.
(Letture: Malachia 1,14b-2,2b.8-10; Salmo 130; 1 Tessalonicési 7b-9.13; Matteo 23,1-12)
Matteo 23,1-12
Gesù non rimprovera la fatica
di chi non riesce a vivere in pienezza
il sogno evangelico,
ma l’ipocrisia di chi neppure si avvia verso l’ideale,
di chi neppure comincia un cammino,
e tuttavia vuole apparire giusto.
Se l’ipocrisia è il primo peccato,
il secondo è la vanità:
«tutto fanno per essere ammirati dalla gente»,
vivono per l’immagine, recitano.
E il terzo errore è l’amore del potere.
A questo oppone la sua rivoluzione:
«non chiamate nessuno “maestro” o “padre” sulla terra,
perché uno solo è il Padre, quello del cielo,
e voi siete tutti fratelli».
Ma la rivoluzione di Gesù non si ferma qui, a un modello di uguaglianza sociale,
prosegue con un secondo capovolgimento: il più grande tra voi sia vostro servo.
Servo è la più sorprendente definizione che Gesù ha dato di se stesso
Ermes Ronchi
https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/gesu-apprezza-la-fatica-ma-rimprovera-l-ipocrisia
XXVIII DOMENICA – Anno A
Mt 22, 1-14
di p. Ermes Ronchi
Omelia
Una domanda mi fa soffrire: come mai sento più forte in me l’immagine amara del re che dice: legatelo e gettatelo fuori! Anziché l’allegria contagiosa di un Re che prepara per tutti una festa? Perché questa deformazione, come una slogatura della parabola? Lasciamoci evangelizzare di nuovo.
C’è, nella città, una grande festa di nozze: si sposa il figlio del re, l’erede al trono, eppure nessuno sembra interessato; nessuno almeno delle persone importanti, quelli che possiedono terreni, buoi e botteghe.
È la fotografia del fallimento del re. Che però non si arrende al primo rifiuto, e rilancia l’invito. Come mai di nuovo nessuno risponde e la festa promessa finisce nel sangue e nel fuoco? È la storia di Gesù, di Israele, di Gerusalemme…
Succede che gli invitati, persone serie, presi dai loro affari, dalle liturgie laiche e feroci del lavoro e del guadagno, dalle cose “importanti” da fare, non hanno tempo da perdere per le cose ‘secondarie’: le persone, gli incontri, la gioia, la festa, gli affetti!
Schiavi dei loro idoli (denaro, interesse, guadagno) hanno troppo da fare per riuscire anche a vivere bene. L’idolo della quantità ha chiesto in sacrificio la qualità della vita.
Dice il vangelo: non se ne curarono, mancanza di interesse. Non è forse questo il problema dei problemi: l’indifferenza verso un Dio diventato irrilevante?
Come capire invece se nella mia vita Dio è importante? Ci aiuta il Piccolo Principe: La rosa è importante se tu le dai tempo. Dare un po’ di tempo a Dio. E non per un pedaggio imposto, o per dovere.
Ma perché è l’affare migliore che puoi fare, è l’investimento che ti fa guadagnare vita, un capitale di vita.
Ascoltando questa parabola mi prende una fitta al cuore: sono ancora così pochi i cristiani che sentono Dio come un vino che dà gioia. Sono così pochi quelli per i quali credere è una festa. Per i quali credere è acquisire bellezza del vivere, un capitale di forza e di sorrisi.
Allora disse ai suoi servi: andate ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze.
Neanche Dio può stare solo, per questo non si arrende. Per la terza volta i servi ricevono il compito di uscire, chiesa in uscita, a cercare per i crocicchi, dietro le siepi, nelle periferie, uomini e donne di nessuna importanza, basta che abbiano fame di vita, voglia di festa. Oggi dove manderebbe i suoi servi? A Lampedusa? Alle stazioni ferroviarie delle grandi città?
Se i cuori e le case si chiudono, il Signore, che non è mai a corto di sorprese, apre incontri altrove.
L’ordine del re è illogico e favoloso: tutti quelli che troverete chiamateli alle nozze. Tutti, senza badare a meriti, razza, moralità. E l’invito potrebbe sembrare casuale, invece esprime la precisa volontà di raggiungere tutti, che nessuno sia escluso.
È bello questo Dio che quando è rifiutato, anziché abbassare le attese, le innalza: chiamate tutti! Lui apre, allarga, gioca al rilancio, va più lontano; e dai molti invitati passa a tutti invitati, dalle persone importanti passa agli ultimi della fila: fateli entrare tutti, cattivi e buoni. Addirittura prima i cattivi e poi i buoni… Scandalo per il fariseo che è in me.
Un invito alla totalità, senza mezze misure, senza bilancino, senza quote da distribuire…
Per noi che misuriamo tutto, e ci arrendiamo alle prime difficoltà: Dio non accetta che ci arrendiamo, con Dio c’è sempre un ‘dopo’.
Per noi che distinguiamo e separiamo i poveri: tu sei buono e ti meriti il mio obolo; tu sei cattivo, a te non do niente. Ma la fame non è buona o cattiva. È fame e basta. E chi è uomo, e basta, abbeverato alle sorgenti infinite di Dio, merita sempre, buono o cattivo, di bere anche al mio piccolo ruscello. Dio non guarda i meriti, ma il bisogno. Meriti non tutti ne abbiamo, ma bisogno sì, e sofferenze.
E questo non perché essere buoni o cattivi si equivalga. Guardate questa nostra chiesa: non è piena di santi, ma di uomini e di donne che dentro di sé sono buoni e cattivi, al tempo stesso; con slanci talvolta e spesso con durezze di cuore. Ma il vangelo mi ha insegnato che Lui non ama gli uomini perfetti, non preferisce le creature immacolate, ma vuole uomini e donne incamminati, magari col fiatone, magari claudicanti, ma in cammino.
È così è il paradiso. Pieno di santi? No, pieno di peccatori perdonati, di gente come noi. Di vite claudicanti.
Il re invita tutti, non perché gli invitati facciano qualcosa per lui, ma perché gli lascino fare delle cose per loro, lo lascino essere Dio!
Il re entrò nella sala e scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: amico, come mai sei entrato senza l’abito nuziale?
Il re nella sala. Noi pensiamo Dio lontano, separato, assiso sul suo trono di giudice, e invece è dentro la sala della vita, in questa sala del mondo, è qui con noi, come uno cui sta a cuore la gioia degli uomini, e se ne prende cura; è qui seduto alla mia destra, nei giorni delle danze e in quelli delle lacrime, insediato al centro dell’esistenza, nel cuore della vita, non ai margini di essa.
E si accorge che un invitato non indossa l’abito delle nozze. Tutti si sono cambiati d’abito, lui no, tutti anche i più poveri, non so come, l’hanno trovato, lui no; lui è come se fosse rimasto ancora fuori dalla sala. È entrato, ma come uno che non crede che ci sia una festa. Come chi non è interessato. E non gli va neppure collaborare con la sua presenza ad accrescere almeno un pochino la gioia della sala. Un contestatore.
L’abito non è il simbolo di un comportamento senza macchia, perché la sala è piena di brave persone e di cattivi soggetti mescolati. Quell’abito è la metafora della fede. L’invitato si è sbagliato su Dio, lo pensava un Dio incapace di far festa.
E invece si fa festa in cielo, ricordiamolo il vangelo, si fa festa per un peccatore pentito, per un figlio che torna, per una pecora perduta e ritrovata, per ogni mendicante d’amore che trova e beve un sorso d’amore. Si è sbagliato sulla fede, non ha capito che credere è una festa.
Vorrei parlargli, vorrei dirgli ciò che il mare dice alle montagne, ciò che il vento dice alle rocce: che una bontà immensa penetra l’universo, che Dio non è quello che lui crede, che è un vino di festa, un banchetto di condivisione in cui ciascuno dà e riceve. Un flauto che suona da oltre. E ci chiama alle sorgenti, non per un dovere, ma per un sempre nuovo stupore.
Credere è una scala di luce, posata sul cuore e che sale verso Dio, un Dio esperto di feste, un Rabbi che ama i banchetti. Un Dio cui piace sconfinare, pascolare nella terra dell’uomo e non nel solito paradiso. Piace anche a lui nutrirsi, con noi, di nutrimenti terrestri, di sentimenti umani. Padre della gioia.
Preghiera alla comunione
Amico, come hai fatto a essere qui?
Oggi, Signore, non voglio restare muto
come l’invitato della parabola.
Ti dirò: non ho l’abito bello perché sono troppo povero,
perché ne ho tessuto solo qualche scampolo.
Donamelo Tu, Signore!
Vestimi di te, vestimi della tua luce,
Tu che hai ascoltato il ladro crocifisso,
la preghiera del pubblicano,
la cananea straniera e audace:
accoglimi di nuovo nella sala del banchetto,
sono soltanto un uomo delle strade,
uno dei crocicchi che i tuoi servi percorrono.
Buono e cattivo al tempo stesso, scovato solo alla fine,
ma adesso accolgo l’invito, faccio la mia parte,
scelgo di indossare te,
indosso i tuoi occhi, i tuoi gesti,
prendo le tue mani, i tuoi piedi,
prendo te come mio desiderio, come mio sogno, come mio progetto.
E Tu, Signore, riaccoglimi nella sala del banchetto
E donami di respirare festa da te,
Tu, mia forza, mio abito, gioia mia! Amen
Il Vangelo – a cura di Ermes Ronchi
Gesù ci chiede: siamo cristiani di facciata o di sostanza?
XXVI Dom. -T. O. – Anno A
In quel tempo, disse Gesù ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, va’ oggi a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò. Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Dicono: «L’ultimo».
E Gesù disse loro: «In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. È venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli».
Un uomo aveva due figli!. Ed è come dire: Un uomo aveva due cuori. Ognuno di noi ha in sé un cuore diviso; un cuore che dice “sì” e uno che dice “no”; un cuore che dice e poi si contraddice. L’obiettivo santo dell’uomo è avere un cuore unificato.
Il primo figlio rispose: non ne ho voglia, ma poi si pentì e vi andò. Il primo figlio è un ribelle; il secondo, che dice “sì” e non fa, è un servile. Non si illude Gesù. Conosce bene come siamo fatti: non esiste un terzo figlio ideale, che vive la perfetta coerenza tra il dire e il fare.
Il primo figlio, vivo, reattivo, impulsivo che prima di aderire a suo padre prova il bisogno imperioso, vitale, di fronteggiarlo, di misurarsi con lui, di contraddirlo, non ha nulla di servile. L’altro figlio che dice “sì, signore” e non fa è un adolescente immaturo che si accontenta di apparire. Uomo di maschere e di paure.
I due fratelli della parabola, pur così diversi, hanno tuttavia qualcosa in comune, la stessa idea del padre: un padre-padrone al quale sottomettersi oppure ribellarsi, ma in fondo da eludere.
Qualcosa però viene a disarmare il rifiuto del primo figlio: si pentì. Pentirsi significa cambiare modo di vedere il padre e la vigna: la vigna è molto più che fatica e sudore, è il luogo dove è racchiusa una profezia di gioia (il vino) per tutta la casa. E il padre è custode di gioia condivisa.
Chi dei due figli ha fatto la volontà del Padre? Parola centrale. Volontà di Dio è forse mettere alla prova i due figli, misurare la loro obbedienza? No, la sua volontà è la fioritura piena della vigna che è la vita nel mondo; è una casa abitata da figli liberi e non da servi sottomessi.
Gesù prosegue con una delle sue parole più dure e più consolanti: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel Regno di Dio. Perché hanno detto “no”, e la loro vita era senza frutti, ma poi hanno cambiato vita. Dura la frase! Perché si rivolge a noi, che a parole diciamo “sì”, ma poi siamo sterili di frutti buoni. Cristiani di facciata o di sostanza? Solo credenti, o finalmente anche credibili?
Ma è consolante questa parola, perché in Dio non c’è ombra di condanna, solo la promessa di una vita totalmente rinnovata per tutti. Dio non rinchiude nessuno nei suoi ergastoli passati, nessuno; ha fiducia sempre, in ogni uomo; ha fiducia nelle prostitute e ha fiducia anche in me, in tutti noi, nonostante i nostri errori e i nostri ritardi. Dio si fida del mio cuore. E io «accosterò le mie labbra alla sorgente del cuore» (San Bernardo) unificato, «perché da esso sgorga la vita» (Proverbi 4,23), il senso, la conversione: Dio non è un dovere, è stupore e libertà, un vino di festa per il futuro del mondo.
(Letture: Ezechiele 18,25-28; Salmo 24; Filippesi 2,1-11; Matteo 21,28-32)
https://buff.ly/2xNci7u
Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi
Gesù, il compagno di viaggio che non riconosciamo
III Domenica di Pasqua – Anno A – 30 aprile 2017
Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Emmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». […]
La strada di Emmaus racconta di cammini di delusione, di sogni in cui avevano tanto investito e che hanno fatto naufragio. E di Dio, che ci incontra non in chiesa, ma nei luoghi della vita, nei volti, nei piccoli gesti quotidiani.
I due discepoli hanno lasciato Gerusalemme: tutto finito, si chiude, si torna a casa. Ed ecco che un Altro si avvicina, uno sconosciuto che offre soltanto disponibilità all’ascolto e il tempo della compagnia lungo la stessa strada.
Uno che non è presenza invadente di risposte già pronte, ma uno che pone domande. Si comporta come chi è pronto a ricevere, non come chi è pieno di qualcosa da offrire, agisce come un povero che accetta la loro ospitalità.
Gesù si avvicinò e camminava con loro. Cristo non comanda nessun passo, prende il mio. Nulla di obbligato. Ogni camminare gli va. Purché uno cammini. Gli basta il passo del momento, il passo quotidiano.
E rallenta il suo passo sulla misura del nostro, incerto e breve. Si fa viandante, pellegrino, fuggitivo, proprio come i due; senza distanza né superiorità li aiuta a elaborare, nel racconto di ciò che è accaduto, la loro tristezza e la loro speranza: Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?
Non hanno capito la croce, il Messia sconfitto, e lui riprende a spiegare: interpretando le Scritture, mostrava che il Cristo doveva patire.
I due camminatori ascoltano e scoprono una verità immensa: c’è la mano di Dio posata là dove sembra impossibile, proprio là dove sembra assurdo, sulla croce. Così nascosta da sembrare assente, mentre sta tessendo il filo d’oro della tela del mondo. Forse, più la mano di Dio è nascosta più è potente.
E il primo miracolo si compie già lungo la strada: non ci bruciava forse il cuore mentre ci spiegava le Scritture? Trasmettere la fede non è consegnare nozioni di catechismo, ma accendere cuori, contagiare di calore e di passione. E dal cuore acceso dei due pellegrini escono parole che sono rimaste tra le più belle che sappiamo: resta con noi, Signore, perché si fa sera. Resta con noi quando la sera scende nel cuore, resta con noi alla fine della giornata, alla fine della vita. Resta con noi, e con quanti amiamo, nel tempo e nell’eternità.
E lo riconobbero dal suo gesto inconfondibile, dallo spezzare il pane e darlo.
E proprio in quel momento scompare. Il Vangelo dice letteralmente: divenne invisibile. Non se n’è andato altrove, è diventato invisibile, ma è ancora con loro. Scomparso alla vista, ma non assente. Anzi, in cammino con tutti quelli che sono in cammino, Parola che spiega, interpreta e nutre la vita. È sulla nostra stessa strada, «cielo che prepara oasi ai nomadi d’amore» (G. Ungaretti). https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/ges-il-compagno-di-viaggio-che-non-riconosciamo?utm_content=buffer9782d&utm_medium=social&utm_source=facebook.com&utm_campaign=buffer
IV Domenica di Quaresima – Anno A – 2017
Vangelo. Il racconto del cieco guarito ci è proposto come un “segno” per la nostra fede:
si tratta di un incontro con Cristo che è luce e che fa uscire dalla tenebra.
Siamo invitati a rileggere la storia narrata a un livello più profondo rispetto al semplice riacquisto della vista fisica:
l’identità più vera di Gesù è qui quella del rivelatore di Dio per tutti coloro che lo accolgono.
Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi
Affidarsi a Dio, come mendicanti persi nel buio
Giovanni 9,1-41
In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita; sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». (…)
Gesù vide un uomo cieco dalla nascita… Gesù vede. Vede lo scarto della città, l’ultimo della fila, un mendicante cieco. L’invisibile. E se gli altri tirano dritto, Gesù no, si ferma. Senza essere chiamato, senza essere pregato. Gesù non passa oltre, per lui ogni incontro è una meta. Vale anche per noi, ci incontra così come siamo, rotti come siamo: «Nel Vangelo il primo sguardo di Gesù non si posa mai sul peccato, ma sempre sulla sofferenza della persona» (Johannes Baptist Metz).
I discepoli che da anni camminano con lui, i farisei che hanno già raccolto le pietre per lapidarlo, tutti per prima cosa cercano le colpe (chi ha peccato, lui o i suoi genitori?), cercano peccati per giustificare quella cecità. Gesù non giudica, si avvicina. E senza che il cieco gli chieda niente, fa del fango con la saliva, stende un petalo di fango su quelle palpebre che coprono il nulla.
Gesù è Dio che si contamina con l’uomo, ed è anche l’uomo che si contagia di cielo. Ogni uomo, ogni donna, ogni bambino che viene al mondo, che viene alla luce, è una mescolanza di terra e di cielo, una lucerna di argilla che custodisce un soffio di luce.
Vai a lavarti alla piscina di Siloe… Il mendicante cieco si affida al suo bastone e alla parola di uno sconosciuto. Si affida quando il miracolo non c’è ancora, quando c’è solo buio intorno. Andò alla piscina e tornò che ci vedeva. Non si appoggia più al suo bastone; non siederà più a terra a invocare pietà, ma ritto in piedi cammina con la faccia nel sole, finalmente libero. Finalmente uomo. «Figlio della luce e del giorno» (1Ts 5,5), ridato alla luce, ri-partorito a una esistenza di coraggio e meraviglia.
Per la seconda volta Gesù guarisce di sabato. E invece del canto di gioia entra nel Vangelo un’infinita tristezza. Ai farisei non interessa la persona, ma il caso da manuale; non interessa la vita ritornata a splendere in quegli occhi ma la “sana” dottrina. E avviano un processo per eresia: l’uomo passa da miracolato a imputato.
Ma Gesù continua il suo annuncio del volto d’amore del Padre: a Dio per prima cosa interessa un uomo liberato, veggente, incamminato; un rapporto che generi gioia e speranza, che porti libertà e che faccia fiorire l’umano! Gesù sovverte la vecchia religione divisa e ferita, ricuce lo strappo, unisce il Dio della vita e il Dio della dottrina, e lo fa mettendo al centro l’uomo. La gloria di Dio è un uomo con la luce negli occhi e nel cuore.
Gli uomini della vecchia religione dicono: Gloria di Dio è il precetto osservato e il peccato espiato! E invece no, gloria di Dio è un mendicante che si alza, un uomo con occhi che si riempiono di luce. E ogni cosa ne è illuminata.
(Letture: 1 Samuele 16,1.4.6-7.10-13; Salmo 22; Efesini 5,8-14; Giovanni 9,1-41)
https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/affidarsi-a-dio-come-mendicanti-persi-nel-buio
Domenica VIII Matteo 6,24-34
Il vangelo inizia con un affondo: non potete servire Dio e la ricchezza. Nella bibbia, il rivale di Dio non è mai il peccato. Dio assedia di cure il peccatore, ama il fragile, e forse un giorno troverà la strada della vita. Il vero rivale di Dio, il muro davanti al quale la sua potenza d’amore si spegne, è la ricchezza, cioè l’interesse, la convenienza, il proprio vantaggio.
Il grande idolo nella bibbia è il denaro. Infatti, la prima delle beatitudini, la più importante, dice: beati i poveri, perché di essi è il Regno di Dio. Non saranno i ricchi a portare sulla terra il mondo che Dio sogna; non saranno quelli che cercano il proprio vantaggio a creare un futuro buono per tutti.
Perciò io vi dico: Non preoccupatevi. Per tre volte Gesù ripete questo invito, rasserenante e costruttivo: non affannatevi, non abbiate quell’affanno, quell’ansia che toglie il respiro, per cui non esistono feste o domeniche, non c’è tempo di fermarsi a guardare negli occhi la vita, a parlare con chi si ama. Per cui si ha paura del domani.
Non preoccupatevi. E come si fa per non sentire questa stretta allo stomaco, quando sembra che mi manchi l’aria? Gesù dà la risposta: Guardatevi intorno, guardate gli uccelli.
Il primo mezzo che Gesù indica è l’attenzione, lo sguardo contemplativo, lo sguardo intelligente: guardate per imparare. Usate l’intelligenza per capire la legge della vita. Guarda, la vita racconta Dio.
Allora non guardare solo a te stesso, o non ti illumini mai. Guardatevi attorno, non siete voi il centro del mondo. Oggi mi sono alzato, ho guardato fuori, i campi bianchi di brina e poi: il sole, ma è da incanto, è da brividi una giornata così! Vuoi uscire dall’ansia? guardati intorno. Guarda gli occhi di una creatura, naviga per occhi, fossero anche quelli piccolissimi di un uccello o di un fiore!
Guardate e salvate la capacità di godere delle cose vive che ogni giorno il Padre mette sulla vostra strada o dentro il vostro spazio vitale.
Poi viene un secondo mezzo. Dopo l’intelligenza, usa il cuore. Che Gesù convoca così: Tu vali per il Padre. Tu conti per lui.
Non seminano, non mietono, eppure Il Padre vostro li nutre. Non valete voi più di molti passeri? Si arriva diritti al cuore di Dio. Tu vali! Dio non si dimentica: può una madre dimenticarsi del suo figliolo? Se anche una madre si dimenticasse, io non mi dimenticherò di te, mai (Isaia 49,14-15, Prima Lettura). Mai, parola divina.
Non che tutto sia risolto, non che tutto vada diritto, non che sei assicurato contro gli infortuni della vita. Non arriva per posta il pane o per Amazon; guardate bene: anche gli uccellini devono andare a cercarsi l’insetto o il piccolo seme, di albero in albero. Ma non ti affannare. Cerca, vivi quel sano equilibrio tra il non fare e l’essere travolto.
Ma li vedete i gigli del campo, le viole o le primule? Domani non ci sono più, ma guardate la loro bellezza! Dio è bellezza. Gesù parla della vita con le parole più semplici e a lei più proprie: coglie dei pezzi di terra, li raduna nella sua parola e il cielo appare, e il Padre appare.
Gesù osserva la vita e nascono parabole.
Osserva la vita e questa gli parla di fiducia.
Gli parla di Dio, del suo prendersi cura di un fiore, di un Dio giardiniere.
Non preoccupatevi di cosa mangerete, di cosa berrete. Il Padre vostro sa di cosa avete bisogno. L’azione del Padre precede la richiesta, addirittura precede il bisogno. Che bello, questo anticipo. Non solo nel momento in cui tu lo chiami, ma prima ancora, Lui sa. Tu, fidati.
Ed ecco una frase da scolpire, da mandare a memoria: cercate prima di tutto il regno di Dio, cercate una società giusta dove non domini il possedere ma il condividere; dove non ci sia la scalata a comandare ma la gioia di servire; non il salire, ma lo scendere e l’inginocchiarsi accanto, a millimetro di cuore.
Il regno di Dio è questa terra nuova, un mondo altro, una società alternativa, dove non guardi solo a te stesso, ma ti guardi attorno con intelligenza e cuore, vedi la bellezza e il bisogno, dove ti occupi di tuo fratello, e sai che Dio si occuperà di te.
Con il ripetere per tre volte “non preoccupatevi”, Gesù ci accompagna in tre passi vitali: dall’intelligenza, al cuore, alla fede. Il Vangelo oggi ci pone la questione della fiducia. Dove metti la tua fiducia?
La fede ha questi tre passi: ho bisogno, mi fido, mi affido.
Gesù sceglie gli uccelli, esseri liberi, quasi senza peso, senza gravità, che sono una nota di canto e di libertà nell’azzurro. Lasciatevi attirare come loro dal cielo, volate alto e liberi! Vivete affidàti.
Affidatevi e non preoccupatevi. Non un invito al fatalismo, in attesa che Qualcuno dall’alto risolva i problemi, perché la Provvidenza non conosce uomini seduti, ma solo uomini in cammino (don Calabria): se Dio nutre creature che non seminano e non mietono, quanto più voi che seminate e mietete.
Non preoccupatevi, il Padre sa. E nutre la vita. Guardate la potenza della vita: Dio non si stanca neanche di un passerotto, figuriamoci se ci abbandona.
Non si stanca di una primula, vuoi che si stanchi di te che vali più di tutte le primule di questa e di tutte le primavere?
Ogni bambino che nasce è la dichiarazione solenne che Dio non si è stancato del mondo.
Non preoccupatevi, Dio sa. Ma come faccio a dirlo a chi non trova lavoro, non riesce ad arrivare a fine mese, non vede futuro per i figli, o ha una malattia grave? La Bibbia risponde, con la lettera di Giacomo. La ascoltiamo:
“Se uno è senza vestiti e cibo e tu gli dici, va in pace, non preoccuparti, riscaldati e saziati, ma non gli dai il necessario per il corpo, a che cosa ti serve la tua fede?” (Giacomo 2,16). Dio ha bisogno delle mie mani per essere Provvidenza nel mondo. Sono io, siamo noi, i suoi amici, il mezzo con cui Dio interviene nella storia. Io mi occupo di qualcuno e Lui, che veste di bellezza i fiori del campo, si occuperà di me.
Non preoccupatevi del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. Come oggi il Padre fa, così farà anche domani.
Non accumulare davanti a te tutti i problemi, e i rischi immaginari, e le ansie figlie delle tue paure.
A ciascun giorno bastano le sue difficoltà. Tu fidati: le difficolta sono risolte dal Padre ogni giorno, giorno per giorno. Fidati, perché il contrario della paura non è il coraggio, è la fede!
Cercate prima di tutto il Regno.
Vuoi essere una nota di libertà nell’azzurro, come un passero?
Bello come un fiore?
Cerca prima di tutto le cose di Dio:
cerca solidarietà, generosità, fiducia, giustizia;
fìdati, e troverai ciò che fa volare,
ciò che fa fiorire!
p. Ermes Ronchi
Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi
Da Gesù non una nuova «morale», ma una liberazione
VI Domenica Tempo ordinario – Anno A – febbraio 2017
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Avete inteso che fu detto: “Non commetterai adulterio”. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore. Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto. Sia invece il vostro parlare: “sì, sì”, “no, no”; il di più viene dal Maligno».
Avete inteso che fu detto… ma io vi dico. Gesù non contrappone alla morale antica una super-morale migliore, ma svela l’anima segreta della legge: «Il suo Vangelo non è una morale ma una sconvolgente liberazione» (G. Vannucci).
Gesù non è né lassista né rigorista, non è più rigido o più accondiscendente degli scribi: lui fa un’altra cosa, prende la norma e la porta avanti, la fa schiudere come un fiore, nelle due direzioni decisive: la linea del cuore e la linea della persona.
Gesù porta a pienezza la legge e nasce la religione dell’interiorità. Fu detto: non ucciderai; ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, cioè chiunque alimenta rabbie e rancori, è già in cuor suo un omicida. Gesù va alla sorgente: ritorna al cuore e guariscilo, solo così potrai curare i tuoi gesti. Ritorna al cuore e custodiscilo perché è la sorgente della vita. Non giurate affatto; il vostro dire sia sì, sì; no, no. Dal divieto del giuramento, arriva al divieto della menzogna. Dì la verità sempre, e non servirà giurare.
Porta a compimento la legge sulla linea della persona: se tu guardi una donna per desiderarla sei già adultero. Non dice semplicemente: se tu, uomo, desideri una donna; se tu, donna, desideri un uomo. Il desiderio è un servitore necessario alla vita. Dice: se guardi per desiderare e vuol dire: se ti avvicini ad una persona per sedurre e possedere, se riduci l’altro a un oggetto, tu pecchi contro la grandezza di quella persona.Commetti adulterio nel senso originario del termine adulterare: tu alteri, falsifichi, manipoli, immiserisci la persona. Le rubi il sogno di Dio, l’immagine di Dio. Pecchi non contro la morale, ma contro la persona, contro la nobiltà e la profondità della persona.
Cos’è la legge morale allora? Ascolti Gesù e capisci che la norma è salvaguardia della vita, custodia di ciò che ci fa crescere oppure diminuire in umanità. Ascolti queste parole che sono tra le più radicali del Vangelo e capisci che diventano le più umane, perché Gesù parla solo in difesa della umanità dell’uomo, con le parole proprie della vita.
Allora il Vangelo diventa facile, umanissimo, anche quando dice parole che danno le vertigini. Perché non aggiunge fatica a fatica, non convoca eroi duri e puri, non si rivolge a santi, ma a persone autentiche, semplicemente a uomini e donne sinceri nel cuore.
(Letture: Siracide 15,16-21; Salmo 118; 1 Corinzi 2,6-10; Matteo 5,17-37)
https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/da-gesu-non-una-nuova-morale-ma-una-liberazione
Il Vangelo – a cura di P. Ermes Ronchi
IV Domenica Tempo Ordinario – Anno A
Le Beatitudini, il più grande atto di speranza cristiano
Vangelo – Matteo 5,1-12
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».
Davanti al Vangelo delle Beatitudini provo ogni volta la paura di rovinarlo con i miei tentativi di commento, perché so di non averlo ancora capito. Perché dopo anni di ascolto e di lotta, questa parola continua a stupirmi e a sfuggirmi.
Gandhi diceva che queste sono «le parole più alte del pensiero umano». Ti fanno pensoso e disarmato, ma riaccendono la nostalgia prepotente di un mondo fatto di bontà, di sincerità, di giustizia, senza violenza e senza menzogna, un tutt’altro modo di essere uomini. Le Beatitudini hanno, in qualche modo, conquistato la nostra fiducia, le sentiamo difficili eppure suonano amiche. Amiche perché non stabiliscono nuovi comandamenti, ma propongono la bella notizia che Dio regala vita a chi produce amore, che se uno si fa carico della felicità di qualcuno il Padre si fa carico della sua felicità.
La prima cosa che mi colpisce è la parola: Beati voi. Dio si allea con la gioia degli uomini, se ne prende cura. Il Vangelo mi assicura che il senso della vita è, nel suo intimo, nel suo nucleo profondo, ricerca di felicità. Che questa ricerca è nel sogno di Dio, e che Gesù è venuto a portare una risposta. Una proposta che, come al solito, è inattesa, controcorrente, che srotola nove sentieri che lasciano senza fiato: felici i poveri, gli ostinati a proporsi giustizia, i costruttori di pace, quelli che hanno il cuore dolce e occhi bambini, i non violenti, quelli che sono coraggiosi perché inermi. Sono loro la sola forza invincibile.
Le beatitudini sono il più grande atto di speranza del cristiano. Il mondo non è e non sarà, né oggi né domani, sotto la legge del più ricco e del più forte. Il mondo appartiene a chi lo rende migliore.
Per capire qualcosa in più del significato della parola beati osservo anche come essa ricorra già nel primo dei 150 salmi, quello delle due vie, anzi sia la parola che apre l’intero salterio: «Beato l’uomo che non resta nella via dei peccatori, che cammina sulla via giusta». E ancora nel salmo dei pellegrinaggi: «Beato l’uomo che ha la strada nel cuore» (Sl 84,6).
Dire beati è come dire: «In piedi voi che piangete; avanti, in cammino, Dio cammina con voi, asciuga lacrime, fascia il cuore, apre sentieri». Dio conosce solo uomini in cammino.
Beati: non arrendetevi, voi i poveri, i vostri diritti non sono diritti poveri. Il mondo non sarà reso migliore da coloro che accumulano più denaro. I potenti sono come vasi pieni, non hanno spazio per altro. A loro basta prolungare il presente, non hanno sentieri nel cuore. Se accogli le Beatitudini la loro logica ti cambia il cuore, sulla misura di quello di Dio; te lo guariscono perché tu possa così prenderti cura bene del mondo.
(Letture: Sofonía 2,3; 3,12-13; Salmo 145; 1 Corinzi 1,26-31; Matteo 5,1-12)
https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/le-beatitudini-il-piu-grande-atto-di-speranza-cristiano
Beati voi.
Dio si allea con la gioia degli uomini, se ne prende cura.
Il Vangelo mi assicura che il senso della vita è,
nel suo intimo, nel suo nucleo profondo, ricerca di felicità.
Beati voi.
Una proposta che, come al solito,
è inattesa, controcorrente,
che srotola nove sentieri che lasciano senza fiato:
felici i poveri,
gli ostinati a proporsi giustizia,
i costruttori di pace,
quelli che hanno il cuore dolce e occhi bambini,
i non violenti,
quelli che sono coraggiosi perché inermi.
Sono loro la sola forza invincibile.
(Ermes Ronchi)
III^ DOMENICA T.O. anno A
Vangelo – Mt 4,12-23 12
Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nazareth e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti! Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta.
Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino”. Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: “Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini”. Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono. Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo.
Il Vangelo – Ermes Ronchi
III Domenica T. O. Anno A
22 gennaio 2017
E lasciarono tutto per Gesù, come chi trova un tesoro
Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nazaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa: «Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti! Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta». Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino». Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. (…)
Il Battista è appena stato arrestato, un’ombra minacciosa cala su tutto il suo movimento. Ma questo, anziché rendere prudente Gesù, aumenta l’urgenza del suo ministero, lo fa uscire allo scoperto, ora tocca a lui. Abbandona famiglia, casa, lavoro, lascia Nazaret per Cafarnao, non porta niente con sé, solo una parola: convertitevi perché il regno dei cieli è vicino. È l’annuncio generativo del Vangelo.
Convertitevi è l’invito a rivoluzionare la vita: cambiate visione delle cose e di Dio, cambiate direzione, la strada che vi hanno fatto imboccare porta tristezza e buio. Gesù intende offrire lungo tutto il Vangelo una via che conduca al cuore caldo della vita, sotto un cielo più azzurro, un sole più luminoso, e la mostrerà realizzata nella sua vita, una vita buona bella e beata.
Ed ecco il perché della conversione: il regno si è fatto vicino. Che cos’è il regno dei cieli, o di Dio? «Il regno di Dio verrà con il fiorire della vita in tutte le sue forme» (Giovanni Vannucci). Il regno è la storia, la terra come Dio la sogna.
Gesù annuncia: è possibile vivere meglio, per tutti, e io ne conosco la via; è possibile la felicità. Nel discorso sul monte dirà: Dio procura gioia a chi produce amore. È il senso delle Beatitudini, Vangelo del Vangelo.
Questo regno si è fatto vicino. È come se Gesù dicesse: è possibile una vita buona, bella e gioiosa; anzi, è vicina. Dio è venuto, è qui, vicinissimo a te, come una forza potente e benefica, come un lievito, un seme, un fermento. Che nulla arresterà.
E subito Gesù convoca persone a condividere la sua strada: vi farò pescatori di uomini. Ascolta, Qualcuno ha una cosa bellissima da dirti, così bella che appare incredibile, così affascinante che i pescatori ne sono sedotti, abbandonano tutto, come chi trova un tesoro. La notizia bellissima è questa: la felicità è possibile e vicina. E il Vangelo ne possiede la chiave. E la chiave è questa: la nostra tristezza infinita si cura soltanto con un infinito amore (Evangelii gaudium).
Il Vangelo ne possiede il segreto, la sua parola risponde alle necessità più profonde delle persone. Quando è narrato adeguatamente e con bellezza, il Vangelo offre risposte ai bisogni più profondi e mette a disposizione un tesoro di vita e di forza, che non inganna, che non delude.
La conclusione del brano è una sintesi affascinante della vita di Gesù. Camminava e annunciava la buona novella, camminava e guariva la vita. Gesù cammina verso di noi, gente delle strade, cammina di volto in volto e mostra con ogni suo gesto che Dio è qui, con amore, il solo capace di guarire il cuore. Questo sarà anche il mio annuncio: Dio è con te, con amore. E guarirà la tua vita.
(Letture: Isaia 8,23-9,3; Salmo 26; 1 Corinzi 1,10-13.17; Matteo 4,12-23)
https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/e-lasciarono-tutto-per-gesu-come-chi-trova-un-tesoro
Il Vangelo – Ermes Ronchi
IV Dom di Avvento – anno A – 2016
Giuseppe, il giusto con gli stessi sogni di Dio
Vangelo – (Matteo 1,18-24)
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”. Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.
Tra i testimoni d’Avvento, tra coloro che rendono, «testimonianza alla luce» (Gv 1,7.8) e ci accompagnano al Natale, entra Giuseppe, uomo giusto che sogna e ama, non parla e agisce.
Prima che andassero a vivere insieme Maria si trovò incinta. Sorpresa assoluta della creatura che arriva a concepire l’inconcepibile, il proprio Creatore. Qualcosa che però strazia il cuore di Giuseppe, che si sente tradito. Ed entra in crisi: non volendo accusarla pubblicamente pensò di ripudiarla in segreto. Vive il conflitto tra la legge di Dio che ribadisce più volte: toglierai di mezzo a te il peccatore (cfr Deut 22,22) e l’amore per quella giovane donna.
Giuseppe è innamorato di Maria, non si dà pace, continua a pensare a lei, a sognarla di notte. Ma basta che la corazza della legge venga appena incrinata, scalfita dall’amore, che lo Spirito irrompe e agisce.
Mentre stava considerando queste cose, ecco che in sogno un angelo… Giuseppe, mani indurite dal lavoro e cuore intenerito e ferito, non parla ma sa ascoltare i sogni che lo abitano: l’uomo giusto ha gli stessi sogni di Dio. Giuseppe fece come gli aveva detto l’angelo, sceglie l’amore per Maria, perché «mettere la legge prima della persona è l’essenza della bestemmia» (Simone Weil).
E in questo modo è profeta che anticipa e prepara le scelte che farà Gesù, quando infrangerà la legge del sabato per guarire il dolore dell’uomo. Eccoli i giusti: «la nostra unica regola è l’amore; lasciare la regola ogni volta che essa è in contrasto con l’amore» (sorella Maria di Campello)
Maria lascia la casa del sì detto a Dio e va nella casa del sì detto a un uomo, ci va da donna innamorata, con il suo cuore di carne, in tenerezza e libertà.
Maria e Giuseppe, poveri di tutto ma non d’amore, sono aperti al mistero proprio perché se c’è qualcosa sulla terra che apre la via all’assoluto, questa cosa è l’amore, luogo privilegiato dove arrivano angeli. Il cuore è la porta di Dio.
Giuseppe prende con sé Maria e il bambino, quel figlio che non ha generato, di cui però sarà vero padre perché lo amerà, lo farà crescere, lo farà felice, gli insegnerà il mestiere di uomo, e a sognare, e a credere nell’amore.
Giuseppe non ha sogni di immagini, ma sogni di parole. Un sogno di parole è offerto anche a tutti noi: è il Vangelo.
E sono offerti angeli: in ognuna delle nostre case Dio manda i suoi messaggeri, come in quella di Maria; invia sogni e progetti, come in quella di Giuseppe. I nostri angeli non hanno ali, sono le persone che condividono con noi pane e amore; vivono nella nostra casa ma sono messaggeri dell’invisibile e annunciatori dell’infinito: angeli che nella loro voce portano il seme della Parola di Dio.
(Letture: Isaia 7,10-14; Salmo 23; Romani 1,1-7; Matteo 1,18-24).
Fonte https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/giuseppe-il-giusto-con-gli-stessi-sogni-di-dio
SECONDA DOMENICA DI AVVENTO – A
Is 11,1-10 – Rom 15, 4-9 – Mt 3, 1-12
di p. Ermes Ronchi
Due Profeti nel deserto di Giudea: Isaia e Giovanni, un sogno che chiama dal futuro, una decisione che preme oggi.
Vieni a cercarci:
noi siamo sempre più smarriti e dunque vieni sempre Signore.
Vieni, tu che ci ami:
nessuno è in comunione con te se non lo è anche col fratello, e dunque vieni sempre, Signore.
Noi siamo tutti lontani,
non sappiamo chi siamo, cosa fare e come farlo e dunque vieni sempre, Signore.
Omelia
Giovanni il Battista predicava nel deserto della Giudea dicendo: convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino (Mt 3,2).
Gesù cominciava sulla riva del lago con l’identico annuncio: convertitevi perché il regno dei cieli è vicino (Mt 4,17).
Tutti i profeti hanno gli occhi fissi nel sogno, che ha nome regno dei cieli, che è un mondo nuovo intessuto di rapporti buoni e felici. Ne percepiscono il respiro vicino: è possibile, è ormai iniziato. Su quel sogno ci chiedono di osare la vita, ed è la conversione.
Si tratta di tre annunci in uno, e tra tutte la parola più calda di speranza è l’aggettivo “vicino”. Dio è vicino, è qui, prima buona notizia: il grande Pellegrino ha camminato, ha consumato distanze, è vicinissimo a te.
Dio è accanto, a fianco, dentro tutto ciò che vive: rete che raccoglie insieme, in armonia, il lupo e l’agnello, il leone e il bue, il bambino e il serpente (parola di Isaia), uomo e donna, arabo ed ebreo, mussulmano e cristiano, bianco e nero, per una nuova architettura del mondo e dei rapporti umani.
Il Regno dei cieli e la terra come Dio la sogna. Non si è ancora realizzata? Non importa, il sogno di Dio è più vicino, anzi è più vero che non la realtà stessa, fatta di lupi e di muri, è il nostro futuro che ci porta, la forza che fa partire.
Convertitevi, ossia osate la vita, mettetela in cammino, e non per eseguire un comando, ma per una bellezza; non per una imposizione da fuori ma per una seduzione. Ciò che converte il freddo in calore non è un ordine dall’alto, ma la vicinanza del fuoco; ciò che toglie le ombre dal cuore non è un obbligo o un divieto, ma una lampada che si accende, un raggio, una stella, uno sguardo. Convertitevi: giratevi verso la luce, perché la luce è già qui: cambiate lo sguardo con cui vedete gli uomini e le cose, cambiate strada, sopra i miei sentieri il cielo è più vicino e più azzurro, il sole più caldo, il suolo più fertile, e ci sono cento fratelli, e alberi fecondi, e miele.
La forza che cambia il cuore non è mai la paura, ma è una forza non umana che cresce dentro, una forza im-mane, cioè il divino in noi, Dio che viene, che va alla radice del vivere, più vicino a me di me stesso.
La prima parola di Giovanni e Gesù è vangelo, bella notizia: si è avvicinato il Regno di Dio.
Noi pensiamo che la presenza del Signore si sia rarefatta in questa società di idoli.
Il profeta ripete: il regno è più vicino oggi di ieri, di dieci o vent’anni fa, ma a noi sembra che si sia allontanato.
Se guardo con attenzione, io vedo che il mondo è più vicino al regno di Dio oggi di ieri: è cresciuta la libertà di essere se stessi, l’autenticità nelle relazioni, la consapevolezza che l’uomo è il diritto di avere diritti, è cresciuta la giustizia e la solidarietà verso i deboli, verso i disabili c’è stata una autentica rivoluzione, l’amore per tutte le creature, per la terra, l’aria, le acque. E l’istruzione e la scienza.
Anche altro è cresciuto, è vero, una solitudine, una individualizzazione, una disgregazione dei legami, una idolatria del denaro e dell’apparire, una insofferenza verso gli estranei.
Ma io credo nella buona notizia di Isaia, Giovanni, Gesù.
Lo credo non per un vacuo ottimismo. Il cristiano non è ottimista, ha speranza. L’ottimista tra due ipotesi sceglie quella positiva. Io scelgo il Regno per un atto di speranza: perché Dio si è impegnato con noi, in questa storia, con un intreccio così scandaloso con la nostra carne da arrivare fino alla morte di croce.
Come riuscire a vederlo? A un Maestro un giorno un discepolo chiese: ‘Un tempo c’erano uomini che vedevano Dio faccia a faccia, perché oggi nessuno più vede Dio?’ E il Maestro rispose: ‘Perché oggi nessuno sa più inginocchiarsi così profondamente!’
Per vedere bene qualsiasi cosa ti devi inginocchiare a millimetro di viso, di occhi, di voce.
Chiniamoci con attenzione e lo vedremo. Nell’intimo di ciascuno, nell’umiltà dei giorni e dei segni viene, per questo è necessario avere quello che il profeta chiama l’occhio penetrante. Uno sguardo che non si ferma alla superficie delle cose, alla nebbia delle parole, che va oltre le apparenze.
Gesù è l’incarnazione di un Dio che si fa intimo come un pane nella bocca, una parola detta sul cuore, un respiro: infatti “vi battezzerà nello Spirito Santo”, vi immergerà dentro il mare di Dio, sarete avvolti, intrisi, impregnati della vita stessa di Dio, in ogni vostra fibra.
Perché viene? Perché deve venire, per un suo bisogno, perché prima ancora che un mio problema la salvezza è un desiderio di Dio. Che io sia amato dipende da lui non da me. Il venire di Dio dipende da Lui. Perciò ne sono sicuro…
Con le immagini forti della scure e del fuoco, dagli effetti definitivi, Giovanni dice che ‘Dio viene al centro della vita non ai margini di essa’ (Bonhoeffer), che Dio raggiunge e tocca quella misteriosa radice del vivere che ci mantiene diritti come alberi forti, che ci permette di vedere orizzonti di luce nonostante le macerie, di raccogliere frumento buono nonostante gli inverni.
Dio ha a che fare non solo con la mia vita, ma con il centro della mia vita.
Non è l’ultima risorsa quando non ho più risorse; no, viene come forza della mia forza, terra profonda delle mie radici, sole del mio cielo.
Viene dentro la passione d’amore, dentro la fedeltà al dovere, dentro il coraggio di sperare, nella gioia della libertà raggiunta, quando accetto la sproporzione tra ciò che mi è promesso e ciò che stringo fra le mani, e tuttavia faccio avanzare di un passo, di un millimetro, di un niente, la bontà del mondo.
Io cerco chi sa darmi speranza. La speranza me la dà Dio in me, vicino come il respiro, vicino come il cuore, la sua vita dentro la mia vita.
Con Lui vivrò un battesimo di vento e di fuoco. Vento che gonfia le vele e fa ripartire, e focolare che dà calore e sicurezza e fa vivere accesi.
Con Lui il peccato non è più semplicemente trasgredire delle regole, ma trasgredire il sogno che Dio sogna per noi.
Un sogno grande come quello di Gesù, bello come quello di Isaia, al centro della vita come quello di Giovanni.
Preghiera alla comunione.
Manda il tuo messaggero davanti a noi, Signore,
un angelo, un uomo, una donna, un bambino
che ci insegnino a chinarci profondamente
a inginocchiarci per essere più vicini
al volto degli altri, al cuore del mondo.
Manda il tuo messaggero
manda ancora Profeti,
uomini dal cuore in fiamme:
e tu a parlare dai loro roveti.
Vieni più vicino Signore
Allunga ancora un po’ quella mano
che non hai mai cessato di tendermi
e ti sentirò vivo come acqua nel deserto,
come miele nei giorni dell’amarezza,
come vento e come fuoco
che riaccendono il sogno di un mondo nuovo,
un sogno dolce come quello dei profeti,
al cuore della vita come quello di Gesù,
seminato come una perla di luce
nel cuore vivo di tutte le cose. Amen
p. Ermes Ronchi
Il Vangelo – Ermes Ronchi
XXXIII Domenica – Tempo ordinario – Anno C
13 novembre 2016
O Dio, principio e fine di tutte le cose,
che raduni tutta l’umanità
nel tempio vivo del tuo Figlio,
fa’ che, attraverso le vicende,
liete e tristi, di questo mondo,
teniamo fissa la speranza del tuo regno,
certi che nella nostra pazienza
possederemo la vita.
(II Colletta)
Non un capello andrà perduto
Luca 21,5-19
In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». (…)
Il Vangelo ci guida lungo il crinale della storia: da un lato il versante oscuro della violenza, il cuore di tenebra che distrugge; dall’altro il versante della tenerezza che salva: neppure un capello del vostro capo andrà perduto.
Il Vangelo non anticipa le cose ultime, svela il senso ultimo delle cose. Dopo ogni crisi annuncia un punto di rottura, un tornante che svolta verso orizzonti nuovi, che apre una breccia di speranza. Verranno guerre e attentati, rivoluzioni e disinganni brucianti, ansie e paure, ma voi alzate il capo, voi risollevatevi.
Ma voi… è bellissimo questo «ma»: una disgiunzione, una resistenza a ciò che sembra vincente oggi nel mondo. Ma voi alzate il capo: agite, non rassegnatevi, non omologatevi, non arrendetevi. Il Vangelo convoca all’impegno, al tenace, umile, quotidiano lavoro dal basso che si prende cura della terra e delle sue ferite, degli uomini e delle loro lacrime, scegliendo sempre l’umano contro il disumano (Turoldo).
È la beatitudine degli oppositori: loro sanno che il capo del filo rosso della storia è saldo nelle mani di Dio. È la beatitudine nascosta dell’opposizione: nel mondo sembrano vincere i più violenti, i più ricchi, i più crudeli, ma con Dio c’è sempre un dopo. Beati gli oppositori: i discepoli non sono né ottimisti né pessimisti, sono quelli che sanno custodire e coltivare speranza. «Mentre il creato ascende… / tutto è doglia di parto / quanto morir perché la vita nasca» (Clemente Rebora).
E quand’anche la violenza apparisse signora e padrona della storia, voi rialzatevi, risollevatevi, perché nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto; espressione straordinaria ribadita da Matteo 10,30 – i capelli del vostro capo sono tutti contati, non abbiate paura. Uomo e natura possono sprigionare tutto il loro potenziale distruttivo, eppure non possono nulla contro l’amore. Davanti alla tenerezza di Dio sono impotenti. Nel caos della storia, il suo sguardo è fisso su di me. Lui è il custode innamorato d’ogni mio più piccolo frammento. La visione apocalittica del Vangelo è la rivelazione che il mondo quale lo conosciamo, col suo ordine fondato sulla forza e sulla violenza, già comincia a essere rovesciato dalle sue stesse logiche. La violenza si autodistruggerà.
Ciò che deve restare inciso negli occhi del cuore è l’ultima riga del vangelo: risollevatevi, alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina. In piedi, a testa alta, liberi, coraggiosi: così il Vangelo vede i discepoli di Gesù. Sollevate il capo, e guardate lontano, perché la realtà non è solo questo che si vede: c’è un Liberatore, il suo Regno viene, verrà con il fiorire della vita in tutte le sue forme.
(Letture: Malachia 3,19-20; Salmo 97; 2 Tessalonicesi 3,7-12; Luca 21,5-19).
https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/non-un-capello-andra-perduto
http://www.sancarloalcorso.it/scc/showPage.jsp?wi_number=35898&wmenuid=
Il Vangelo – Ermes Ronchi
XXIX^ Domenica – T. O. Anno C
16 ottobre 2016
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O Dio, che per le mani alzate del tuo servo Mosè
hai dato la vittoria al tuo popolo,
guarda la Chiesa raccolta in preghiera;
fa’ che il nuovo Israele cresca nel servizio del bene
e vinca il male che minaccia il mondo,
nell’attesa dell’ora
in cui farai giustizia ai tuoi eletti,
che gridano giorno e notte verso di te.
(II Colletta)
La lezione di preghiera della vedova che non si arrende
In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: «In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».
Disse una parabola sulla necessità di pregare sempre. E a noi pare un obiettivo impossibile da raggiungere. Ma il pregare sempre non va confuso con il recitare preghiere senza interruzione, Gesù stesso l’ha detto: quando pregate non moltiplicate parole. Vale più un istante nell’intimità che mille salmi nella lontananza (Evagrio il Pontico).
Perché pregare è come voler bene. Infatti c’è sempre tempo per voler bene: se ami qualcuno, lo ami sempre. Così è con Dio: «il desiderio prega sempre, anche se la lingua tace. Se tu desideri sempre, tu preghi sempre» (S. Agostino).
Il Vangelo ci porta a scuola di preghiera da una vedova, una bella figura di donna, forte e dignitosa, che non si arrende, fragile e indomita al tempo stesso. Ha subito ingiustizia e non abbassa la testa.
C’era un giudice corrotto. E una vedova si recava ogni giorno da lui e gli chiedeva: fammi giustizia contro il mio avversario!
Gesù lungo tutto il Vangelo ha una predilezione particolare per le donne sole, perché rappresentano l’intera categoria biblica dei senza difesa, vedove orfani forestieri, i difesi da Dio.
Una donna che non si lascia schiacciare ci rivela che la preghiera è un “no” gridato al “così vanno le cose”, è come il primo vagito di una storia nuova che nasce.
Perché pregare? È come chiedere: perché respirare? Per vivere. La preghiera è il respiro della fede. Come un canale aperto in cui scorre l’ossigeno dell’infinito, un riattaccare continuamente la terra al cielo. Come per due che si amano, il respiro del loro amore.
Forse tutti ci siamo qualche volta stancati di pregare. Le preghiere si alzavano in volo dal cuore come colombe dall’arca del diluvio, ma nessuna tornava indietro a portare una risposta. E mi sono chiesto, e mi hanno chiesto, tante volte: ma Dio esaudisce le nostre preghiere, si o no? La risposta di un grande credente, il martire Bonhoeffer è questa: «Dio esaudisce sempre, ma non le nostre richieste bensì le sue promesse». E il Vangelo ne è pieno: non vi lascerò orfani, sarò con voi, tutti i giorni, fino alla fine del tempo.
Non si prega per cambiare la volontà di Dio, ma il cuore dell’uomo. Non si prega per ottenere, ma per essere trasformati. Contemplando il Signore veniamo trasformati in quella stessa immagine (cfr 2 Corinzi 3,18). Contemplare, trasforma. Uno diventa ciò che contempla con gli occhi del cuore. Uno diventa ciò che prega. Uno diventa ciò che ama.
Infatti, dicono i maestri dello spirito «Dio non può dare nulla di meno di se stesso, ma dandoci se stesso ci dà tutto» (Santa Caterina da Siena). Ottenere Dio da Dio, questo è il primo miracolo della preghiera. E sentire il suo respiro intrecciato per sempre con il mio respiro.
(Letture: Esodo 17,8-13; Salmo 120; 2 Timoteo 3,14-4,2; Luca 18,1-8).
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http://www.avvenire.it/rubriche/Pagine/Il%20Vangelo/La%20lezione%20di%20preghiera%20della%20vedova%20che%20non%20si%20arrende_20161013.aspx?rubrica=Il%20Vangelo
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