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XIII domenica omelia

Hai posto mano all’aratro, non voltarti indietro sulle tue sconfitte.

Il Signore Gesù «rese forte» il suo volto, dice Luca, e si avviò verso Gerusalemme. Come uno che serra le labbra, stringe i denti, raccoglie le forze per il grande viaggio.

Alcuni ricorderanno il vangelo secondo Matteo di Pasolini: quel volto di Cristo che esprimeva grande decisione, quel Cristo sempre in cammino come se avesse il fuoco dentro, come se tutto il vangelo dovesse diffondersi a passo di corsa.

Ma era anche violentemente mite! Infatti:

Un villaggio di Samaria rifiuta di accogliere Gesù. «Vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?» Eterna tentazione dei discepoli di imporsi.

“Gesù si volta, li rimprovera e si avvia verso il villaggio dopo.

Egli non ha nulla da spartire con chi invoca fuoco e fiamme sugli altri, fossero pure ostili, eretici o nemici.

Uno che difende perfino la libertà di chi non la pensa come lui. L’uomo viene prima della sua fede; l’uomo conta più delle sue idee.

L’uomo, e guai se ci fosse un aggettivo.

Difende quei samaritani per difenderci tutti.

Andiamo in un altro villaggio!” Perché c’è sempre un’altra casa cui bussare, un’altra casa cui augurare pace; c’è sempre un altro paese dove trovare un cieco da guarire, un peccatore da perdonare, un povero cui annunciare la bontà di Dio.

Si volta, li rimprovera, si avvia. Nella concisione di questi tre verbi, nella loro sobrietà appare tutta la grande forza interiore di Gesù. La forza di affrontare una sconfitta, di non abbattersi per un rifiuto, di deprimersi per un fallimento.

Avvìati di nuovo, riparti, ricomincia. Un rifiuto non fermerà la storia di Dio, né il cammino del bene. Un rifiuto, un villaggio chiuso, un porto chiuso non fermerà la storia dei poveri, non bloccherà la storia del bene. Appena dopo c’è un altro villaggio, un altro povero, un altro naufrago, e altre braccia aperte.

Nella seconda parte del Vangelo Luca racconta tre personaggi che in tre brevi dialoghi si misurano su come si va dietro a Gesù.

Il primo è un generoso: “Ti seguirò dovunque tu vada!” E Gesù deve avere gioito per lo slancio, deve avere apprezzato l’entusiasmo giovane di questo ascoltatore, ma vuole togliergli ogni illusione. Le volpi hanno tane, gli uccelli nidi, ma io non ho dove posare il capo.

Eppure non era esattamente così. Gesù aveva cento case di amici e amiche felici di accoglierlo a condividere pane e sogni. Con la metafora delle volpi e degli uccelli Gesù traccia il ritratto della sua esistenza sempre minacciata, cacciato e inseguito; e della sua visione della vita sempre in movimento, con la follia giovanile dell’andare e ancora andare. Per tre anni ha camminato, senza mai sentirsi arrivato

Chi vuole vivere tranquillo e in pace nel suo nido sicuro, nella sua tana non potrà essere suo discepolo.

Neanche un nido, neanche una tana, solo strada, niente altro che strada. Tutti si annidano, tutti si intanano, io no. Io poso il capo sulla strada.

Cercano la loro zona di conforto, le sedie più alte. Io no. Io vado, avanti. Smontando il presente e seminandovi futuro.

Il secondo personaggio riceve lui una chiamata: “Seguimi!” e la sua risposta è positiva, dice “Si”, soltanto chiede una concessione: “Permettimi di andare prima a seppellire mio padre” e la sua richiesta è la più legittima che si possa pensare.

Lascia che i morti seppelliscano i morti!” parole estreme, tra le più dure del Vangelo, io, tu puoi essere nient’altro che morto seppellitore di morti. Gesù non censura gli affetti: Quando incontra a Nain la donna che va a seppellire il figlio, si lascia ferire da quelle lacrime, ferma il corteo, prende per mano il ragazzo morto, lo riconsegna alla madre. Una madre che piange non è una morta che seppellisce i suoi morti ma è l’emblema della vita ferita che Gesù è venuto a guarire.

Sono parole simboliche, mi dicono che dicono a me e a ciascuno che è possibile vivere una vita morta, essere dei morti dentro, e anche vivere una religiosità che mortifica.

Il poeta Charles Péguy ha scritto così: Di un peccatore si può fare un santo, di un pagano si può fare un cristiano, ma di coloro che non sono niente, né peccatori né santi, né cristiani né pagani, né caldi né freddi, di loro, i vivi-morti, che cosa faremo? (C. Péguy).

Parole simboliche: chiudi i conti con il tuo passato, con la tua infanzia, non tirarti dietro le cose di ieri, memorie morte, solo memorie vive. E infine il terzo dialogo: “Ti seguirò, Signore, ma prima lascia che mi congedi da quelli di casa”. Ancora una richiesta delicata e naturale. E’ così duro il cammino senza affetti! A Eliseo (I Lettura) è stato concesso di salutare quelli di casa, ma ora Gesù risponde: “Non guardare indietro”, non puoi arare con la testa altrove,

non puoi costruire niente guardando da un’altra parte.

Non guardare indietro, neppure alla colpa di ieri:

non appesantirti delle tue sconfitte, risali sulla strada.

Non guardare alle difficoltà, ma all’orizzonte che si apre, ai grandi campi del mondo.

Chi ha messo mano all’aratro… Un aratore è ciascuno, chiamato a dissodare una minima porzione di mondo, che traccia un solco e nient’altro: poi passerà il Signore a seminare di vita i campi della vita.

Ma Io un solco di bontà cercherò di lasciare. Almeno questo: un piccolo solco senza mai cattiveria.

Però una parola mi mette in difficoltà: Signore, chi non ha mai guardato da un’altra parte? Chi è davvero adatto al Regno?

Non Pietro, non Giacomo e Giovanni, tanto meno io se guardo alla mia coerenza. Ma ti ho visto andare in cerca della pecora perduta, aspettare il figlio prodigo e dichiarare per tre volte Pietro, che per tre volte si è girato indietro, adatto ancora a prendersi cura di pecore e agnelli.

Forse, allora, sono adatto anch’io, se penso che le pietre scartate ti sono servite meglio delle altre per la tua casa.

Sarà un solco poco profondo, il mio;

un solco forse poco diritto, ma il mio ci sarà.

Il mio piccolo solco non mancherà sui campi della vita.

Poi tu ne farai qualcosa che serva a qualcuno.

 

Preghiera alla comunione

Signore, sono qui a calcolare se conviene, se non conviene,

a elencare tutti i miei ma e i miei se

Mi sento un aratore con i solchi storti, colmi di rimpianti

Non sarò mai pronto, se guardo alla mia coerenza,

forse sì se guardo a te,

e vedo che tanti che si sono girati indietro,

Pietro fra tutti, e figli prodighi e pecore perdute,

tante pietre pentite ti sono servite,

meglio delle altre, a costruire la tua casa.

Signore, sono l’ultimo dei coraggiosi,

sono il primo dei paurosi

eppure ti seguirò,

traccerò il mio solco, forse poco profondo,

certo poco diritto, ma sarà il mio solco.

Che tu riempirai di speranza.

 

 

 

Mi si permetta questa disgressione: facendo parlare le galline si ironizza anche su qualche aspetto particolare dell’umanità…

 

 

 

 

 

 

Le galline sono grate al proprio padrone per non aver introdotto un gallo tra di loro: in questo modo ha evitato di fare infelici tanti futuri polli.

Chissà se le galline sanno che senza di loro il mondo sarebbe diverso?

La gallina sembra stupida, ma non è proprio così : ha lo sguardo rivolto altrove, ma ti osserva lo stesso; sembra non accorgersi di te, ma ti ascolta ed appena ti vede con il cibo in mano ti corre incontro.

Per una gallina è strano che il suo padrone non vada a caccia di vermi e fili d’erba. Penserà che non ha bisogno di nutrirsi, come fosse un semidio.

Per le galline il loro cielo è la terra: passano tutto il giorno a fissarla. Solo quando covano guardano in alto… Per ogni gallina ogni uomo è mostruoso: ha due occhi frontali, due padiglioni auricolari, è senza becco e senza piume, articola suoni strani. 

uniche cose che la accomuna all’uomo è il fatto che anch’egli cammina con due zampe, anche se troppo grosse, e vive aggregato con gli altri. Le galline sanno che la loro vita è breve?

Probabilmente è questa spensieratezza che le rende tranquillamente scorazzanti per il prato.. 

 

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Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi

VIII Dom. T. O. – anno C – 2019

La fecondità è la prima legge di un albero

Il Vangelo Luca 6,39-45

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? […]

Commento di Ermes Ronchi

L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene. Il buon tesoro del cuore: una definizione così bella, così piena di speranza, di ciò che siamo nel nostro intimo mistero. Abbiamo tutti un tesoro buono custodito in vasi d’argilla, oro fino da distribuire. Anzi il primo tesoro è il nostro cuore stesso: «un uomo vale quanto vale il suo cuore» (Gandhi).

La nostra vita è viva se abbiamo coltivato tesori di speranza, la passione per il bene possibile, per il sorriso possibile, la buona politica possibile, una “casa comune” dove sia possibile vivere meglio per tutti. La nostra vita è viva quando ha cuore. Gesù porta a compimento la religione antica su due direttrici: la linea della persona, che viene prima della legge, e poi la linea del cuore, delle motivazioni profonde, delle radici buone.

Accade come per gli alberi: l’albero buono non produce frutti guasti. Gesù ci porta alla scuola della sapienza degli alberi. La prima legge di un albero è la fecondità, il frutto. Ed è la stessa regola di fondo che ispira la morale evangelica: un’etica del frutto buono, della fecondità creativa, del gesto che fa bene davvero, della parola che consola davvero e guarisce, del sorriso autentico.

Nel giudizio finale (Matteo 25), non tribunale ma rivelazione della verità ultima del vivere, il dramma non saranno le nostre mani forse sporche, ma le mani desolatamente vuote, senza frutti buoni offerti alla fame d’altri. Invece gli alberi, la natura intera, mostrano come non si viva in funzione di se stessi ma al servizio delle creature: infatti ad ogni autunno ci incanta lo spettacolo dei rami gonfi di frutti, un eccesso, uno scialo, uno spreco di semi, che sono per gli uccelli del cielo, per gli animali della terra, per gli insetti come per i figli dell’uomo.

Le leggi profonde che reggono la realtà sono le stesse che reggono la vita spirituale. Il cuore del cosmo non dice sopravvivenza, la legge profonda della vita è dare. Cioè crescere e fiorire, creare e donare. Come alberi buoni.

Ma abbiamo anche una radice di male in noi. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello? Perché ti perdi a cercare fuscelli, a guardare l’ombra anziché la luce di quell’occhio? Non è così lo sguardo di Dio. L’occhio del Creatore vide che l’uomo era cosa molto buona! Dio vede l’uomo molto buono perché ha un cuore di luce. L’occhio cattivo emana oscurità, diffonde amore per l’ombra. L’occhio buono è come lucerna, diffonde luce. Non cerca travi o pagliuzze o occhi feriti, i nostri cattivi tesori, ma si posa su di un Eden di cui nessuno è privo: «con ogni cura veglia sul tuo cuore perché è la sorgente della vita» (Proverbi 4,23).

(Letture: Siracide 27,5-8; Salmo 91; 1 Corinzi 15,54-58; Luca 6,39-45)

http://www.smariadelcengio.it/fra-ermes-ronchi-comunica/27050/commento-al-vangelo-domenica-3-marzo-p-ermes-la-fecondita-e-la-prima-legge-di-un-albero/

 

 

 

 

 

Queste graziose bestiole vivono in gabbie affollate…

Eppure per il comune passante sembra una cosa ovvia e normalissima….

Chissà…un giorno l’umanità vedrà in modo diverso anche il mondo animale ed avrà più rispetto…

 

 

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Ermes Ronchi – Il Vangelo – 26 febbraio 2017

VIII Domenica Tempo ordinario – Anno A

Dio ha bisogno delle nostre mani per essere Provvidenza

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza. Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. (…)

Non preoccupatevi. Per tre volte Gesù ribadisce il suo invito pressante: non abbiate quell’affanno che toglie il respiro, per cui non esistono feste o domeniche, non c’è tempo di fermarsi a guardare negli occhi la vita, a parlare con chi si ama. Non lasciatevi rubare la serenità e salvate la capacità di godere delle cose belle che ogni giorno il Padre mette sulla vostra strada, che accadono dentro il vostro spazio vitale.
Ma soprattutto, per quale motivo non essere in ansia? Perché Dio non si dimentica: può una madre dimenticarsi del suo figliolo? Se anche una madre si dimenticasse, io non mi dimenticherò di te, mai (Isaia 49,14-15, Prima Lettura).

Guardate gli uccelli del cielo, osservate i gigli del campo. Gesù parla della vita con le parole più semplici e più proprie: coglie dei pezzi di terra, li raduna nella sua parola e il cielo appare.
Gesù osserva la vita e nascono parabole. Osserva la vita e questa gli parla di fiducia. Il Vangelo oggi ci pone la questione della fiducia. Dove metti la tua fiducia? La risposta è chiara: in Dio, prima di tutto, perché Lui non abbandona e ha un sogno da consegnarti. Non mettere la sicurezza nel tuo conto in banca.

Gesù sceglie gli uccelli, esseri liberi, quasi senza peso, senza gravità, che sono una nota di canto e di libertà nell’azzurro. Lasciatevi attirare come loro dal cielo, volate alto e liberi! Vivete affidàti. La fede ha tre passi: ho bisogno, mi fido, mi affido.

Affidatevi e non preoccupatevi. Non un invito al fatalismo, in attesa che Qualcuno risolva i problemi, perché la Provvidenza conosce solo uomini in cammino (don Calabria): se Dio nutre creature che non seminano e non mietono, quanto più voi che seminate e mietete.

Non preoccupatevi, il Padre sa. Tra le cose che uniscono le tre grandi religioni, c’è la certezza che Dio si prende cura, che Dio provvede.
Non preoccupatevi, Dio sa. Ma come faccio a dirlo a chi non trova lavoro, non riesce ad arrivare a fine mese, non vede futuro per i figli?
«Se uno è senza vestiti e cibo quotidiano e tu gli dici, va in pace, non preoccuparti, riscaldati e saziati, ma non gli dai il necessario per il corpo, a che cosa ti serve la tua fede?» (Giacomo 2,16). Dio ha bisogno delle mie mani per essere Provvidenza nel mondo. Sono io, siamo noi, i suoi amici, il mezzo con cui Dio interviene nella storia. Io mi occupo di qualcuno e Lui, che veste di bellezza i fiori del campo, si occuperà di me.

Cercate prima di tutto il Regno. Vuoi essere una nota di libertà nell’azzurro, come un passero? Bello come un fiore? Cerca prima di tutto le cose di Dio, cerca solidarietà, generosità, fiducia; fìdati e troverai ciò che fa volare, ciò che fa fiorire!

(Letture: Isaia 49,14-15; Salmo 61; 1 Corinzi 4,1-5; Matteo 6,24-34)

http://buff.ly/2lAZJWm

https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/dio-ha-bisogno-delle-nostre-mani-per-essere-provvidenza

1 Giugno 2016

Messaggio della Madonna di Medjugorje

 

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I 10 SEGRETI DI MEDJUGORJE (di Padre Livio Fanzaga):

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VIDEO RELATIVI AI MESSAGGI DELLA MADONNA DI MEDJUGORJE

PLAYLIST RELATIVA A MEDJUGORJE (MESSAGGI E COMMENTI IN VIDEO)
https://www.youtube.com/playlist?list=PL_I8V9Z5YmOY_O1E9krjhlTo3O_k-L-6y

LE APPARIZIONI DELLA MADONNA A PORZUS – Nuova versione

6 luglio 2005

Il Catechismo della Chiesa Cattolica in mp3

IL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA IN AUDIO

5 Gennaio 2010

REPORT SUL 21° SECOLO

Attraverso un
fantascientifico viaggio nel tempo, l’autore del libro, Pier Angelo
Piai, desidera sensibilizzare il lettore a prendere coscienza del
nostro comune modo di pensare ed agire, noi del 21° secolo che ci
vantiamo di essere progrediti. In che cosa consiste, allora, la vera
evoluzione della specie umana?
Quando l’uomo potrà diventare davvero integrale?
Report
cerca di dare alcune risposte ai moltissimi interrogativi che emergono
in queste pagine scritte attraverso riflessioni e  considerazioni
sociologiche, antropologiche e filosofiche.

6 Luglio 2005

6 luglio 2005 Il Catechismo della Chiesa Cattolica in mp3

IL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA IN AUDIO
Catechesi e omelie di padre Lino Pedron