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Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi
XXVII Dom. T.O. anno C – 2019
Servi “inutili” cioè senza secondi fini, che si donano
Vangelo (Luca 17, 5-10)

In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

Per capire la domanda degli apostoli: “accresci in noi la fede”, dobbiamo riandare alla vertiginosa proposta di Gesù un versetto prima: se tuo fratello commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te e sette volte al giorno ritornerà a te dicendo: “sono pentito”, tu gli perdonerai. Sembra una missione impossibile, ma notiamo le parole esatte. Se tuo fratello torna e dice: sono pentito, non semplicemente: “scusa, mi dispiace” (troppo comodo!) ma: “mi converto, cambio modo di fare”, allora tu gli darai fiducia, gli darai credito, un credito immeritato come fa Dio con te; tu crederai nel suo futuro. Questo è il perdono, che non guarda a ieri ma al domani; che non libera il passato, libera il futuro della persona.

Gli apostoli tentennano, temono di non farcela, e allora: “Signore, aumenta la nostra fede”. Accresci, aggiungi fede. È così poca! Preghiera che Gesù non esaudisce, perché la fede non è un “dono” che arriva da fuori, è la mia risposta ai doni di Dio, al suo corteggiamento mite e disarmato.

«Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “sradicati e vai a piantarti nel mare” ed esso vi obbedirebbe». L’arte di Gesù, il perfetto comunicatore, la potenza e la bellezza della sua immaginazione: alberi che obbediscono, il più piccolo tra i semi accostato alla visione grandiosa di gelsi che volano sul mare!
Ne basta poca di fede, anzi pochissima, meno di un granello di senape. Efficace il poeta Jan Twardowski: «anche il più gran santo/ è trasportato come un fuscello/ dalla formica della fede».
Tutti abbiamo visto alberi volare e gelsi ubbidire, e questo non per miracoli spettacolari – neanche Gesù ha mai sradicato piante o fatto danzare i colli di Galilea – ma per il prodigio di persone capaci di un amore che non si arrende. Ed erano genitori feriti, missionari coraggiosi, giovani volontari felici e inermi.

La seconda parte del vangelo immagina una scena tra padrone e servi, chiusa da tre parole spiazzanti: quando avete fatto tutto dite “siamo servi inutili”.
Guardo nel vocabolario e vedo che inutile significa che non serve a niente, che non produce, inefficace. Ma non è questo il senso nella lingua di Gesù: non sono né incapaci né improduttivi quei servi che arano, pascolano, preparano da mangiare. E mai è dichiarato inutile il servizio. Significa: siamo servi senza pretese, senza rivendicazioni, senza secondi fini. E ci chiama ad osare la vita, a scegliere:

in un mondo che parla il linguaggio del profitto, di parlare la lingua del dono;

in un mondo che percorre la strada della guerra, di prendere la mulattiera della pace.

Dove il servizio non è inutile, ma è ben più vero dei suoi risultati: è il nostro modo di sradicare alberi e farli volare.

(Letture: Abacuc 1,2-3;2,2-4; Salmo 94; 2 Timòteo 1,6-8.13-14; Luca 17, 5-10).

https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/servi-inutili-cioe-senzasecondi-fini-che-si-donano

 

 

 

 

 

Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi
Marta e Maria, il Signore cerca amici non servi
XVI Dom. T.O. anno – C – 2019

Vangelo – Lc 10,38-42
Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: «Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma Gesù le rispose: «Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta».

 

 

XVI domenica Luca 10,38-42bis

Una donna di nome Marta lo ospitò nella sua casa. Ha la stanchezza del viaggio nei piedi, negli occhi la fatica del dolore incontrato. Allora riposare nella frescura amica di una casa, cenare in compagnia sorridente, è un dono, e Gesù lo accoglie con gioia. Entra nella casa di due donne, sovranamen­te libero di andare dove lo porta il cuore. Libero di par­lare alle donne, le escluse, le relegate.

Una stanza piena di gente: Maria ai piedi dell’amico; i discepoli intorno; Marta, la generosa, è sola nella sua cucina, alimenta il fuoco, controlla le pentole, si alza, passa e ripassa davanti al gruppo, a preparare pane e bevande e tavola, lei sola affaccendata per tutti.

Maria seduta ascoltava Gesù. Un uomo che profuma di cielo e una donna, seduti vicinissimi. Una scena così inconsueta per gli usi del tempo che pare quasi un miracolo. Tutti i pregiudizi sulle donne saltati in aria. Si fa discepola privilegiata la donna che i rabbini del tempo neppure accettavano alla loro scuola. Invece Gesù e Maria di Betania rompono gli schemi, spezzano i ruoli sociali e culturali. Totalmente presi l’uno dall’altra, lui a darsi, lei a ri­ceverlo. E li sento tutti e due felici. Lui total­mente suo, lei totalmente sua.

Mi piace Maria che sa essere in vacanza dentro al quotidiano. Senza sensi di colpa. Che sa incantarsi, come fosse la prima volta. Conosciamo tutti il miracolo della prima volta. Poi, ci si abitua. L’eternità invece è non abituarsi, è il miracolo della prima volta che si ripete sempre: quello di Maria di Betania seduta a bersi quelle parole, i silenzi, gli occhi…

Il primo rapporto con Dio è l’ascolto. Dall’ascolto comincia la relazione. Ascoltare uno è come dirgli “tu sei importante per me, mi interessi, mi piaci, ti do tempo, ti do cuore”.

E poi c’è Marta, la padrona di casa. Gli ospiti sono come gli angeli e c’è da offrire loro il meglio. Marta teme di non farcela, e allora “si fa avanti”, con la libertà che le detta l’amicizia, e s’interpone tra Gesù e la sorella: “dille che mi aiuti!”. Qualche conflitto tra familiari c’è anche nelle case più belle e visitate da Dio, lo sappiamo…

E Gesù, affettuosamente come si fa con gli amici, chiama Marta e la calma; ha osservato a lungo il suo lavoro, l’ha seguita con gli occhi, ha visto il riverbero della fiamma sul suo volto, ha ascoltato i rumori della stanza accanto, sentito l’odore del fuoco e del cibo quando Marta passava, era come se fosse stato con lei, in cucina. In quel luogo che ci ricorda il nostro corpo, il bisogno del cibo, la lotta per la sopravvivenza, il gusto di cose buone, i nostri piccoli piaceri, e poi la trasformazione dei doni della terra e del sole, anche lì abita il Signore (J. Tolentino).

La realtà sa di pane, la preghiera sa di casa e di fuoco. Ma la casa di che cosa profuma? La profumano le persone.

Gesù non accetta che Marta si limiti, si impoverisca nelle troppe faccende di casa: Tu, le dice Gesù, sei molto di più. Tu non sei le cose che fai; tu puoi stare con me in una relazione nuova, non di servizi ma di orizzonti, semine, guarigioni, Tu puoi essere profeta, bocca di Dio. I primi profeti del vangelo infatti sono due donne, Maria ed Elisabetta: hanno un cuore che ascolta.

«Maria ha scelto la parte buona»: Marta non si ferma un minuto, Maria invece è seduta, occhi liquidi di felicità; Marta si agita e non può ascoltare, Maria nel suo apparente “far niente” ha messo al centro della casa Gesù, l’amico e il profeta. Doveva bruciarle il cuore quel giorno.

Le due sorelle di Betania tracciano i passi della fede vera: passare dall’affanno di ciò che devo fare per Dio, allo stupore di ciò che Lui fa per me. I passi di fede di ogni credente: passare da Dio come dovere a Dio come desiderio.

Perché Dio non cerca servi, ma amici (Gv 15,15); non cerca persone che facciano delle cose per lui, ma gente che gli lasci fare delle cose, che lo lasci essere Dio… Il centro della fede è ciò che Dio fa per me, non ciò che io faccio per Dio.

Una lettura grezza del Vangelo ha spesso contrapposto le due sorelle, mentre esse sono i due polmoni della Chiesa, vorrei dire “i due cuori”. C’è del cuore in Marta che non sa più che cosa inventare per il suo amico. C’è del cuore in Maria che non vuole perdere una sola delle sue parole. Gesù ha bisogno di tutte e due le cose: del pane quotidiano e dell’ascolto amoroso.

E se rimprovera Marta non le dice: non fare niente, stasera non mangiamo, ma: fa’ un po’ meno, siediti qui, guardiamoci, ascoltiamoci, come fanno gli amici. “Marta”, le dice, “prima le persone poi le cose”.

Gesù non contraddice il servizio ma l’affanno, non contesta il cuore generoso ma il fare frenetico, che vela lo sguardo e il cuore.

Gesù ferma la corsa di Marta, la donna serva, e la mette davanti a sé: donna amica. La donna negata diventa la donna ridestata. La donna dell’ombra viene messa in piena luce e, lasciatemi dire, quanto diversa sarebbe la Chiesa se Papa, vescovi, preti chiamassero le donne a condividere pensieri, orizzonti, sogni ed emozioni. Quanto diversa e quanto più calore e freschezza, quanta meno burocrazia e più amicizia, più forza del cuore, come scrive il mistico Rumi (XIII sec): “Se tu ascoltassi la lezione del cuore anche una sola volta, faresti lezione ai professori”.

Di questa sola cosa c’è bisogno. Attento alle troppe cose. Lo dice a me e a tutti: attento a un troppo che è in agguato, a un troppo che può sorgere e in­goiarti, troppo lavoro, trop­pi desideri, troppo correre, troppi impegni e non c’è posto per tutti. E non distingui più tra su­perfluo e necessario, tra il­lusorio e permanente, tra ef­fimero ed eterno. Prima la persona, poi le cose da fare. L’amica seduta e l’amica affaccendata sono due modi d’amare, entrambi necessari. Maria non può fare ameno di Marta, né Marta può fare a meno di Maria.

Io sono Marta, io sono Maria; dentro di me le due sorelle si tengono per mano, battono i loro due cuori, il cuore che ascolta, il cuore che sa servire. Entrambi, sempre, per amore.

 

 

Commento a cura di Ermes Ronchi per gli amici dei social

Un rabbi che entra nella casa di due donne, sovranamente libero di andare dove lo porta il cuore. Libero di parlare alle donne, le
escluse, seguendo la strada tracciata per la prima volta dall’angelo dell’annunciazione: mettere a parte le donne dei più
riposti segreti del Signore.
Passare dall’affanno di ciò che devo fare per Lui, allo stupore di ciò che Lui fa per me, questo è l’itinerario delle due sorelle di
Betania, simbolo di ogni credente. Passare da Dio come dovere a Dio come desiderio.
Maria, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola.
Sapienza del cuore di donna, intuito che sceglie ciò che fa bene alla vita e regala pace, libertà, orizzonti e sogni: la Parola di Dio.
Maria, che ben conosce Gesù, sa ancora ascoltarlo stupefatta; sa incantarsi ancora, come fosse la prima volta. Tutti conosciamo il
miracolo della prima volta. Poi, ci si abitua. L’eternità invece è non abituarsi, è il miracolo della prima volta che si ripete
sempre: il miracolo di Maria di Betania, ancora una volta a bere le sue parole e i suoi silenzi e i suoi occhi. Perché Gesù non cerca
servitori, ma amici; non cerca delle persone che facciano delle cose per lui, ma gente che gli lasci fare delle cose grandi, come
Maria di Nazareth: ha fatto grandi cose in me l’Onnipotente. Il centro di tutta la fede è ciò che Dio fa per me, non ciò che io
faccio per Dio.

Allora il primo servizio da rendere a Dio è l’ascolto. E’ dall’ascolto che comincia la relazione, perché ti prende una sorta
di contagio quando sei vicino a uno come Lui, un contagio di luce quando sei vicino alla luce.
Mi piace immaginare questi due totalmente presi l’uno dall’altra, lui a darsi, lei a riceverlo. E li sento tutti e due felici, lui di aver
trovato un nido e un cuore in ascolto, lei di avere un rabbi tutto per sé, per lei che è donna, a cui nessuno insegna. Lui totalmente
suo, lei totalmente sua.
A Maria doveva bruciare il cuore quel giorno. Da quel momento la sua vita è cambiata. Maria è diventata feconda, grembo dove si
custodisce il seme della Parola, apostola: inviata a donare, ad ogni incontro, ciò che Gesù le aveva seminato nel cuore.
Marta Marta tu ti affanni e ti agiti per troppe cose. Gesù, affettuosamente raddoppia il nome, non contraddice il servizio
ma l’affanno, non contesta il cuore generoso di Marta ma l’agitazione.
A tutti, ripete: attento a un troppo che è in agguato, a un troppo che può sorgere e ingoiarti, troppo lavoro, troppi desideri,
troppo correre. Prima la persona poi le cose. Ti siedi ai piedi di Cristo e impari la cosa più importante: distinguere tra superfluo
e necessario, tra illusorio e permanente, tra effimero ed eterno.
Gesù non sopporta che Marta sia impoverita in un ruolo di servizio marginale, che si perda nelle troppe faccende di casa:
Tu, le dice Gesù, sei molto di più. Tu non sei le cose che fai; tu puoi stare con me in una relazione diversa,
condividere non solo servizi, ma pensieri, sogni, emozioni, sapienza, conoscenza.

Marta e Maria non si oppongono, i loro atteggiamenti sono complementari. Marta non può fare a meno di Maria perché il
nostro servizio ha un’unica sorgente che fa grande il cuore.
Maria non può fare a meno di Marta perché non c’è amore di Dio che non debba tradursi in gesti concreti. L’amica e l’ancella sono
due modi d’amare, entrambi necessari, i due poli di un unico comandamento: amerai il Signore tuo Dio e amerai il tuo
prossimo. Di un’unica beatitudine: beati quelli che ascoltano la Parola, beati quelli che la mettono in pratica.

Io sono Marta, io sono Maria; dentro di me le due sorelle si tengono per mano, e quando nulla separerà l’uomo da Dio, allora nulla separerà l’uomo dal servizio all’uomo. (Lc 10,38-42)

Commenti al Vangelo domenica 21 luglio – p. Ermes – Aiutarlo ad essere Dio

 

 

 

Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi

Nella gerarchia di Dio chi ama occupa il posto più alto

XXIX Domenica – Tempo ordinario – Anno B

Vangelo – Marco 10,35-45

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato». […]

Commento di Padre Ermes Ronchi

Giovanni, il discepolo preferito, il migliore, il fine teologo, si mette di fronte a Gesù e gli chiede, con il fare proprio di un bambino: «Voglio che tu mi dia quello che chiedo. A me e a mio fratello». Eppure Gesù lo ascolta e rilancia con una bellissima domanda: «Cosa vuoi che io faccia per voi?». «Vogliamo i primi posti!»

Dopo tre anni di strade, di malati guariti, di uomini e donne sfamati, dopo tre annunci della morte in croce, è come se non avessero ancora capito niente. Ed ecco ancora una volta tutta la pedagogia di Gesù, paziente e luminosa. Invece di arrabbiarsi o di scoraggiarsi, il Maestro riprende ad argomentare, a spiegare il suo sogno di un mondo nuovo.
Non sapete quello che chiedete! Non capite quali corde oscure andate a toccare con questa domanda, quale povero cuore, quale povero mondo nasce da queste fame di potere. E la dimostrazione arriva immediatamente: gli altri dieci apostoli hanno sentito e si indignano, si ribellano, unanimi nella gelosia, accomunati dalla stessa competizione per essere i primi.

Adesso non solo i due figli di Zebedeo (i boanerghes, i figli del tuono, irruenti e autoritari come indica il loro soprannome), ma tutti e dodici vengono chiamati di nuovo da Gesù, chiamati vicino.
E spalanca loro l’alternativa cristiana: tra voi non sia così. I grandi della terra dominano sugli altri, si impongono… Tra voi non così! Credono di governare con la forza… tra voi non è così!

Gesù prende le radici del potere e le capovolge al sole e all’aria: Chi vuole diventare grande tra voi sia il servitore di tutti. Servizio, il nome difficile dell’amore grande. Ma che è anche il nome nuovo, il nome segreto della civiltà. Anzi, è il nome di Dio. Come assicura Gesù: Non sono venuto per procurarmi dei servi, ma per essere io il servo. La più sorprendente, la più rivoluzionaria di tutte le autodefinizioni di Gesù. Parole che danno una vertigine: Dio mio servitore! Vanno a pezzi le vecchie idee su Dio e sull’uomo: Dio non è il padrone e signore dell’universo al cui trono inginocchiarsi tremando, ma è Lui che si inginocchia ai piedi di ogni suo figlio, si cinge un asciugamano e lava i piedi, e fascia le ferite.

Se Dio è nostro servitore, chi sarà nostro padrone? L’unico modo perché non ci siano più padroni è essere tutti a servizio di tutti. E questo non come riserva di viltà, ma come moltiplicazione di coraggio. Gesù infatti non convoca uomini e donne incompiuti e sbiaditi, ma pienamente fioriti, regali, nobili, fieri, liberi. Belli della bellezza di un Dio con le mani impigliate nel folto della vita, custode che veglia, con combattiva tenerezza, su tutto ciò che fiorisce sotto il suo sole.

(Letture: Isaia 53,10-11; Salmo 32; Ebrei 4,14-16; Marco 10,35-45)

https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/nella-gerarchia-di-dio-chi-ama-occupa-il-posto-piu-alto

Servi «inutili», che cioè non cercano il proprio utile

XXVII Domenica
Tempo ordinario –  Anno C –
29/09/2016

In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

Gesù ha appena avanzato una proposta che ai discepoli pare una missione impossibile: quante volte devo perdonare? Fino a settanta volte sette. E sgorga spontanea la richiesta: accresci in noi la fede, o non ce la faremo mai. Una preghiera che Gesù non esaudisce, perché non tocca a Dio aggiungere fede, non può farlo: la fede è la libera risposta dell’uomo al corteggiamento di Dio.
E poi ne basta poca, meno di poca, per ottenere risultati impensabili: se aveste fede come un granello di senape, potrete dire a questo gelso sradicati…

Qui appare uno dei tratti tipici dei discorsi di Gesù: l’infinito rivelato dal piccolo. Gesù sceglie di parlare del mondo interiore e misterioso della fede usando le parole di tutti i giorni, rivela il volto di Dio e il venire del Regno scegliendo il registro delle briciole, del pizzico di lievito, della fogliolina di fico, del bambino in mezzo ai grandi. È la logica dell’Incarnazione che continua, quella di un Dio che da onnipotente si è fatto fragile, da eterno si è perduto dentro il fluire dei giorni.

La fede è rivelata dal più piccolo di tutti i semi e poi dalla visione grandiosa di foreste che volano verso i confini del mare. La fede è un niente che è tutto. Leggera e forte. Ha la forza di sradicare gelsi e la leggerezza di un minimo seme che si schiude nel silenzio.
Ho visto il mare riempirsi di gelsi. Ho visto imprese che sembravano impossibili: madri e padri risorgere dopo drammi atroci, disabili con occhi luminosi come stelle, un missionario discepolo del Nazzareno salvare migliaia di bambini-soldato, una piccola suora albanese rompere i tabù millenari delle caste…

Un granello: non la fede sicura e spavalda ma quella che nella sua fragilità ha ancora più bisogno di Lui, che per la propria piccolezza ha ancora più fiducia nella sua forza.

Il Vangelo termina con una piccola parabola sul rapporto tra padrone e servo, chiusa da tre parole spiazzanti: quando avete fatto tutto dite: siamo servi inutili. Capiamo bene, però: mai nel Vangelo è detto inutile il servizio, anzi è il nome nuovo della civiltà. Servi inutili non perché non servono a niente, ma, secondo la radice della parola, perché non cercano il proprio utile, non avanzano rivendicazioni o pretese. Loro gioia è servire la vita.

Servo è il nome che Gesù sceglie per sé; come lui sarò anch’io, perché questo è l’unico modo per creare una storia diversa, che umanizza, che libera, che pianta alberi di vita nel deserto e nel mare.
Inutili anche perché la forza che fa germogliare il seme non viene dalle mani del seminatore; l’energia che converte non sta nel predicatore, ma nella Parola. «Noi siamo i flauti, ma il soffio è tuo, Signore». (Rumi).

(Letture: Abacuc 1,2-3;2,2-4; Salmo 94; 2 Timoteo 1,6-8.13-14; Luca 17,5-10).
p: Ermes Ronchi

 

http://www.sancarloalcorso.it/scc/showPage.jsp?wi_number=35887&wmenuid=

http://www.avvenire.it/rubriche/Pagine/Il%20Vangelo/Servi%20%C2%ABinutili%C2%BB%20%20che%20cioe%20non%20cercano%20il%20proprio%20utile_20160929.aspx?rubrica=Il%20Vangelo

 

1 Giugno 2016

Messaggio della Madonna di Medjugorje

 

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I 10 SEGRETI DI MEDJUGORJE (di Padre Livio Fanzaga):

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VIDEO RELATIVI AI MESSAGGI DELLA MADONNA DI MEDJUGORJE

PLAYLIST RELATIVA A MEDJUGORJE (MESSAGGI E COMMENTI IN VIDEO)
https://www.youtube.com/playlist?list=PL_I8V9Z5YmOY_O1E9krjhlTo3O_k-L-6y

LE APPARIZIONI DELLA MADONNA A PORZUS – Nuova versione

6 luglio 2005

Il Catechismo della Chiesa Cattolica in mp3

IL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA IN AUDIO

5 Gennaio 2010

REPORT SUL 21° SECOLO

Attraverso un
fantascientifico viaggio nel tempo, l’autore del libro, Pier Angelo
Piai, desidera sensibilizzare il lettore a prendere coscienza del
nostro comune modo di pensare ed agire, noi del 21° secolo che ci
vantiamo di essere progrediti. In che cosa consiste, allora, la vera
evoluzione della specie umana?
Quando l’uomo potrà diventare davvero integrale?
Report
cerca di dare alcune risposte ai moltissimi interrogativi che emergono
in queste pagine scritte attraverso riflessioni e  considerazioni
sociologiche, antropologiche e filosofiche.

6 Luglio 2005

6 luglio 2005 Il Catechismo della Chiesa Cattolica in mp3

IL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA IN AUDIO
Catechesi e omelie di padre Lino Pedron