Fb 19 marzo – IV di Quaresima
Gv 9,1-41
L’albeggiare di Dio in noi (p.Ermes Ronchi)
Lungo i suoi tre anni sulla strada Gesù incontra molta gente, ma oggi, per la via, incrocia l’ultimo degli ultimi: un cieco, innocente e innocuo. Gli si avvicina, lo tocca. Lo riconosciamo! Solo lui passa oltre le colpe che sembrano interessare tutti, ma non Gesù.
La muta speranza del cieco non chiede, non gli chiede, il perché della sua condanna: cerca solo a tentoni mani che lo tocchino, e che sugli occhi spenti gli infondano un po’ di vita. Alla sua impurità cerca partecipazione, non spiegazione.
Invece i farisei su questo hanno eretto una serie di parole e sofismi per non ascoltare la vita. È il mondo ad essere cieco! Infatti sulla bocca dei farisei il termine più ricorrente è “peccato”, innalzato a teoria per spiegare il mondo e la sua realtà.
Una religione immiserita a questioni di peccato che Gesù capovolge all’istante: l’uomo non coincide con il suo errore, mai. Esso non spiega Dio, che è compassione, futuro, approccio ardente, amore che fa ripartire a cuor leggero.
Gesù non parlerà di peccato se non per dire che è perdonato; che Dio non si spreca in castighi, che non indugia sul moralismo. Che l’essenza etica del suo Vangelo è il valore assoluto di ogni persona, che la nostra vita è un quotidiano e continuo albeggiare. Che Dio albeggia in noi.
Gesù si fa culla per le nostre albe, e seguirlo è rinascere.
Con poco fango, con la creta di poca polvere impastata a saliva, ecco un minimo nuovo creato, che Gesù stende su quelle palpebre innocenti e giudicate, bozzolo chiuso nel buio. E come con la bambina di Giairo, lo congeda con “Kum!”: “Alzati!”. Risorgi e vai dove tutti ti possano vedere con occhi nuovi. E fallo anche tu, illumina la tua vita.
In questa piccola liturgia di mani e saliva, celebrata con fragile argilla impastata d’amore, Gesù è Dio che si contamina con l’uomo, è l’uomo contagiato di cielo.
“Vai alla piscina di Siloe!”. Il mendicante cieco si aggrappa al bastone e ad una carezza sugli occhi. Si fida di un miracolo che ancora non c’è, di un salto nel buio.
Andò, e tornò che ci vedeva.
Non siederà più a terra a invocare pietà, ma starà ritto in piedi con la faccia nel sole, finalmente libero. Finalmente uomo.
Di fronte alla gioia di un uomo che per la prima volta vede gli occhi di sua madre, anche gli alberi applaudono, anche i fiumi battono le mani, come dice il salmo.
Ma l’uomo nato cieco passa da miracolato a imputato. Ai farisei delle certezze e della teologia morale non interessano quegli occhi tornati a splendere, ma la “sana” dottrina. E sul guarito di sabato avviano un processo per eresia.
Ma la strada maestra della Chiesa è l’uomo. Sempre.
Una carezza di luce sul cieco: Gesù lo illumina e tutti ne siamo sanati. Ci dice che se una esperienza regala vita, allora è buona e benedetta. Perché legge suprema di Dio è che l’uomo viva.
Avvenire IV di Quaresima Gv 9,1-41
UN UOMO NATO CIECO
Un uomo nato cieco, così povero che possiede soltanto se stesso. E Gesù si ferma proprio per lui. Arriva la prima domanda: perché cieco? Chi ha peccato? Lui o i suoi genitori? Gesù ci allontana immediatamente dall’idea che il peccato sia la spiegazione del male, la chiave di volta della religione. La bibbia non da risposte al perché del male innocente, le cerchi invano. Neppure Gesù lo spiega. Fa altro: lui libera dal male, si commuove, si avvicina, tocca, abbraccia, fa rialzare. Il dolore più che spiegazione vuole condivisione.
Gesù spalma un petalo di fango sulle palpebre del cieco, lo manda alla piscina di Siloe, torna che ci vede: uomo finalmente dato alla luce. Nella nostra lingua partorire si dice anche “dare alla luce”. Gesù dà alla luce, partorisce vita piena.
Il filo rosso del racconto è una seconda domanda, incalzante, ripetuta sette volte: come ti si sono aperti gli occhi? Tutti vogliono sapere “come” si fa, “come” ci si impadronisce del segreto di occhi nuovi e migliori, tutti sentono di avere occhi incompiuti. Lo sappiamo: basta una lacrima e non vedi più. Quanti occhi acutissimi ho visto spegnersi: dicevano di vederci bene ed è bastata una lacrima, l’unghiata di un dolore, e si sono annebbiati, gli orizzonti e le strade scomparsi.
Di fronte alla gioia dell’uomo “dato alla luce”, che vede per la prima volta il sole, il blu del cielo e gli occhi di sua madre, anche gli alberi, se potessero, danzerebbero; anche i fiumi batterebbero le mani, dice il salmo. I farisei, no. Non vedono il cieco illuminato ma solo un articolo violato: Niente miracoli di sabato. Non si salvano vite, oggi. C’è il riposo santo. Avete sei giorni per farvi guarire, non di sabato. Di sabato Dio vi vuole ciechi! Ma che religione è mai quella che non guarda al bene dell’uomo, ma che parla solo di se stessa, a se stessa? Una fede che non si interessi dell’umano non merita che ad essa ci dedichiamo (Bonhoeffer)
C’è un’infinita tristezza nella pagina. I farisei mettono Dio contro l’uomo, ed è il peggior dramma che possa capitare alla nostra fede, a tutte le fedi: mostrano che è possibile essere credenti, senza essere buoni; credenti e duri di cuore. È facile ed è mortale.
E invece no, gloria di Dio non è il sabato osservato, ma un mendicante che si alza, che torna a vita piena, “uomo finalmente promosso a uomo” (P. Mazzolari). E il suo sguardo che illumina il mondo dà gioia a Dio più di tutti i comandamenti osservati
Come lui, torniamo ad avere occhi di bambini, di figli amati: occhi aperti, occhi meravigliabili, occhi grati e fiduciosi, occhi speranzosi, occhi che ridono o piangono con chi sta loro davanti; occhi, insomma, contagiati di cielo.
Signore metti luce nei miei pensieri, luce nelle mie parole, luce nel mio cuore.
Fb 26 febbraio 23 – I di quaresima
Mt 4,1-11
Dal punto più alto di noi (p. Ermes Ronchi)
Ogni tentazione è una scelta tra due amori: «Sempre sul ciglio dei due abissi / tu devi camminare e non sapere / quale seduzione se del Nulla / o del Tutto ti abbatterà» (David Maria Turoldo).
Il più astuto degli spiriti si è mascherato e si presenta come un amico che vuole aiutare Gesù a fare meglio il messia. Ma che cosa propone il diavolo di così potente? Non le tentazioni che ci saremmo aspettate per tradizione: la sessualità o le osservanze religiose. Si tratta invece di scegliere che tipo di Messia diventare, che tipo di Uomo. Se il Maestro avesse risposto diversamente al tentatore, non avremmo avuto né la croce né la via cristiana.
Le tre tentazioni ridisegnano lo schema delle relazioni: il rapporto con me stesso e con le cose (pietre o pane?); con Dio (un Onnipotente, magico distributore di grazie a nostro servizio); con gli altri (il potere e il dominio). Di tutto questo il diavolo fa mercato (se tu mi adorerai…), al contrario di Dio che mai mercanteggia sui suoi doni. E quanto è facile fare mercato di se stessi, in cambio di prestigio, poltrone, denaro.
Le tentazioni di Gesù riassumono i grandi inganni della vita, primo fra tutti quello di sostituire Dio con delle cose: «dì che queste pietre diventino pane, questa è tutta la vita, non c’è altro!». Pietre o pane, quindi? Gesù denuncia questa alternativa, dove l’uomo sopravvive appena, dilatando la fame e gli orizzonti del cuore: di solo pane l’uomo non vive, anzi lentamente muore
Il pane è un bene, un bene santo. Cosa c’è di male nel pane? Gesù l’ha moltiplicato, ma non l’ha mai cercato per sé, si è invece fatto pane offerto a tutti, nessuno escluso. . Il nostro errore è aver proclamato assolute le cose.
Capisco allora che la fede è un’offerta di più vita: il pane mantiene la vita, ma più vita viene dalla sua Parola. E mi ritrovo mendicante di cielo, di giustizia vera e bella, di amore per me e per gli altri, di agognata pace, dove trova senso il viaggio bello della quaresima, questo passaggio dalla dispersione alla profondità.
È bella la Quaresima. Non si impone come stagione penitenziale, ma si propone come reinvenzione: la primavera che riparte, la vita che punta diritta verso la luce di Pasqua. Un tempo di novità, di semplici, solidali, concreti, nuovi stili di vita, a cura della casa comune e di tutti i suoi abitanti.
«Ed ecco angeli si avvicinarono e lo servivano». Avvicinarsi e servire, parole angeliche. Se in questa Quaresima ognuno di noi si avvicina e si prende cura di una persona che ha bisogno, regalando del tempo e un po’ di cuore, questo sarà per lei l’avvicinarsi di un angelo, un frullare d’ali in volo nella casa.
Il Nemico allora si allontanerà, per far posto ancora agli angeli, al nostro avvicinarsi e servire: questo è il vangelo semplice dove il male non ha più casa, da dove continua a fuggire.
Avvenire I DI QUARESIMA
In quel tempo. In questo tempo.
Come in una parabola dei nostri giorni, provo a immaginare il vangelo delle tentazioni nella città che conosco meglio: Milano.
Il diavolo portò Gesù nella metropoli, capitale della finanza e della moda. Lo pose in alto, sopra la guglia centrale del Duomo, e gli mostrò la città ai suoi piedi: il Castello, la Borsa, la cintura delle banche, lo stadio, le vie della moda. E c’era folla sul corso, turisti e polizia. Qualcuno dei mendicanti stringeva un cagnolino in grembo, forse per un po’ di calore, forse per attivare un briciolo di pietà.
Sull’asfalto grigio, coriandoli e stelle filanti di carnevale, e la pioggia leggera di fine inverno. Qualcuno, occhi tristi e pelle scura, vendeva le ultime rose ai passanti .
Guardando bene si vedevano anche quelli che si lasciavano andare: alla solitudine, alla vecchiaia, alla depressione, che si lasciavano morire di droga o di dolore.
Allora il diavolo disse a Gesù: “Tutto questo è mio! Tutto sarà tuo se ti inginocchi davanti a me!”
Signore, perché non gli hai dato del bugiardo? Dicendogli, e dicendo a noi, che non è vero, che non tutto è suo, che la città non è il suo regno, che ci sono giusti e bambini e innamorati e poeti.
Lascia che ti mostri una cosa, Signore, proprio a Te che non hai reagito. Nella città, che il Nemico dice sua, ci sono luoghi dove per tutto il giorno si asciugano lacrime, dove donne e uomini intercedono per la città, la collegano al cielo, e altri che provano a fare del loro poco qualcosa che serva a qualcuno.
Ci sono madri che danno la vita per i figli e gente onesta perfino nelle piccole cose; ci sono padri che trasmettono rettitudine ai figli e occhi diritti.
C’è il grido del male, lo sento forte, e mi stordisce a giorni, ma più ancora c’è il silenzioso lievitare del bene.
Signore, se guardi bene nella città che il diavolo dice sua, non c’è solo competizione, puoi incontrare la passione per la giustizia, il sottovoce dell’onestà, gente limpida senza secondi fini. E se vieni ancora un po’ più vicino, puoi incontrare anche me, perché ci sono anch’io e sono tra quelli che credono ancora nell’amore, e non si consultano con le loro paure ma con i sogni.
Buttati, ti ha detto, verranno gli angeli a portarti sulle mani! Io lo so che verranno, quando con l’ultimo, con il più grande atto di fede, mi butterò in Te nel giorno della mia morte, fidandomi.
Se c’è un angelo nel cielo sopra Milano, chiedo che mi accompagni nell’ultimo viaggio, tenendomi per mano, perché ho un po’ paura, e mi dica in quell’ultimo tratto di cielo solo questo: “Vieni, hai tentato di amare, il tuo desiderio di amore era già amore”!
Non chiedo altro, ma che lo dica con un sorriso.
Il paeaggio rurale rappresentato dall’artista Laura in questa tela è davvero essenziale ed apparentemente “banale”, quasi puerile: un campo fiorito, degli alberi ed uno sfondo con alcuni monti.
Eppure emana un’atmosfera particolarmente difficile da descrivere: una sensazione di tenero tepore misto a serenità interiore, senso di speranza e stupore contenuto, solitudine gioiosa ecc.
Il digiuno non consiste solo in una mera rinuncia al cibo ed alle comodità materiali. Il digiuno è finalizzato a renderci consapevoli su cosa è realmente essenziale per la nostra esistenza. Dovrebbe suscitare nelle nostre menti e nei nostri cuori una maggiore consapevolezza che Dio è il nostro Creatore e Signore, e che solo Lui merita la nostra amorosa attenzione, la quale si riversa poi su quello che Egli desidera da noi: impegnarci ad aiutare il prossimo in Lui, per amore suo, in comunione con Lui.
Nella conversione interiore ci rendiamo conto della nostra zavorra, degli attaccamenti e dei pregiudizi che distolgono la nostra volontà dal vero Bene.Quando corrispondiamo sinceramente all’amore di Dio, diamo la precedenza a Lui, il quale desidera ardentemente i nostri cuori per riempirli di Lui e renderli così sereni e felici.
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V DI QUARESIMA Gv 11,1-53
p.Ermes Ronchi
Il racconto della risurrezione di Lazzaro è la pagina dove Gesù appare più umano. Lo vediamo fremere, piangere, commuoversi, gridare. Quando ama, l’uomo compie gesti divini; quando ama, Dio lo fa con gesti molto umani.
Una forza scorre sotto tutte le parole del racconto: non è la vita che vince la morte. La morte, nella realtà, vince e ingoia la vita. Invece ciò che vince la morte è l’amore. Tutti i presenti quel giorno a Betania se ne rendono conto: guardate come lo amava, dicono ammirati. E le sorelle coniano un nome bellissimo per Lazzaro: Colui-che-tu-ami.
Il motivo della risurrezione di Lazzaro è l’amore di Gesù, un amore fino al pianto, fino al grido arrogante: vieni fuori! Le lacrime di chi ama sono la più potente lente d’ingrandimento della vita: guardi attraverso una lacrima e capisci cose che non avresti mai potuto imparare sui libri.
La ribellione di Gesù contro la morte passa per tre gradini:
E poi: lasciatelo andare, dategli una strada, e amici con cui camminare, qualche lacrima, e una stella polare. Che senso di futuro e di libertà emana da questo Rabbi che sa amare, piangere e gridare; che libera e mette sentieri nel cuore.
E capisco che Lazzaro sono io. Io sono Colui-che-tu-ami, e che non accetterai mai di veder finire nel nulla della morte.
Gesù ripete oggi per noi le tre parole di ogni ricominciamento: togliete le pietre, uscite fuori, e poi andate!
Io invidio Lazzaro non perché ritorna di nuovo alla vita, ma perché è circondato da un mucchio di gente che gli vuol bene fino alle lacrime.
Vivere è il risultato di molte risurrezioni, di molte liberazioni: dalla paura, dalla disperazione, dalla violenza, dalla solitudine, dall’indifferenza. Risorgere è faccenda di adesso, di questo momento: risorgere dalle vite spente, dalle vite senza sogno e senza fuoco.
La seconda parola:
Non è il tuo angolino o la tua tana, il luogo dove sei al sicuro: non stare al chiuso, da solo, allo stretto: vieni fuori, incontro al mondo. Incontro agli altri. Fuori c’è forza e sole.
Dio in noi. È Lui che apre il passaggio, Lui che sta nel riflesso più profondo delle nostre lacrime, e si fa argine alla paura, argine alla morte; e toglie la dura pietra.
Prendiamoci un momento di silenzio per metterlo al centro della nostra umanità, come lievito, sale e luce, seme e strada.
Avvenire V di quaresima
Di Lazzaro sappiamo poche cose, ma sono quelle che contano: la sua casa è ospitale, è fratello amato di Marta e Maria, amico speciale di Gesù. Il suo nome è: ospite, amico e fratello, insieme a quello coniato dalle sorelle: colui-che-Tu-ami, il nome di ognuno.
A causa di Lazzaro sono giunte a noi due tra le parole più importanti del vangelo: io sono la risurrezione e la vita. Non già: io sarò, in un lontano ultimo giorno, in un’altra vita, ma qui, adesso, io sono.
Notiamo la disposizione delle parole: prima viene la Risurrezione e poi la Vita. Secondo logica dovrebbe essere il contrario. Invece no: io sono risurrezione delle vite spente, sono il risvegliarsi dell’umano, il rialzarsi della vita che si è arresa.
Vivere è l’infinita pazienza di risorgere, di uscire fuori dalle nostre grotte buie, lasciare che siano sciolte le chiusure e le serrature che ci bloccano, tolte le bende dagli occhi e da vecchie ferite, e partire di nuovo nel sole: “ scioglietelo e lasciatelo andare”. Verso cose che meritano di non morire, verso la Galilea del primo incontro.
Anch’io risorgerò perché il mio nome è lo stesso: “amato per sempre”; perché il Signore non accetta di essere derubato dei suoi amati. Non la vita vince la morte, ma l’amore. Se Dio è amore, dire Dio e dire Risurrezione sono la stessa cosa.
Lazzaro, vieni fuori! Esce, avvolto in bende come un neonato, come chi viene di nuovo alla luce. Morirà una seconda volta, è vero, ma ormai gli si apre davanti un’altissima speranza: ora sa che i battenti della morte si spalancano sulla vita.
Tre imperativi raccontano la risurrezione: esci, liberati e vai! Quante volte sono morto, mi ero arreso, era finito l’olio nella lampada, finita la voglia di amare e di vivere. In qualche grotta dell’anima una voce diceva: non mi interessa più niente, né Dio, né amori, né vita.
E poi un seme ha cominciato a germogliare, non so perché; una pietra si è smossa, è entrato un raggio di sole, un amico ha spezzato il silenzio, lacrime hanno bagnato le mie bende, e ciò è accaduto per segrete, misteriose, sconvolgenti ragioni d’amore: un Dio innamorato dei suoi amici, che non lascerà in mano alla morte.
Omelia
Di Lazzaro sappiamo poche cose, ma sono quelle che contano: la sua casa è ospitale, è fratello amato di Marta e Maria, amico speciale di Gesù: ospite, amico e fratello. Ma il suo nome più vero è quello coniato dalle sorelle: colui-che-Tu-ami è malato, il nome di ognuno di noi.
Se Tu fossi stato qui, non sarebbe morto. Le sorelle esprimono un rimprovero, per la loro preghiera non esaudita. E quante volte, anche le nostre… Ma forse Dio non risponde perché prepara dell’altro, come a Betania.
“Vostro fratello risorgerà”. Marta la sente come una frase consolatoria, parole formali che tutti sanno dire, e risponde come delusa: “so bene che risorgerà nell’ultimo giorno. Ma quel giorno è così lontano da questo dolore”.
Mentre lei parla con verbi al futuro, Gesù parla al presente: “Io sono”, e seguono parole tra le più importanti del vangelo: “Io sono la risurrezione e la vita”. Lo sono adesso.
Notiamo la disposizione delle parole. Prima viene la Risurrezione e non, come si saremmo aspettati, la vita.
Per Gesù prima viene la liberazione e poi la vita autentica.
Io sono la risurrezione: una linfa potente e fresca che si dirama per tutto il cosmo e che non riposerà finché non abbia raggiunto e fatto fiorire l’ultimo ramo della creazione, l’ultimo angolo del cuore.
Riascoltiamo le tre parole finali di Gesù disposte come tre gradini di questa risurrezione: togliete la pietra!
Chiesa in uscita, tante volte invocata da papa Francesco.
Davanti al grande mare aperto capisco che posso avere paura con la mia piccola barca. Le navi sono al sicuro quando restano ormeggiate nel porto, ma non è per questo che sono state costruite. Non siamo nati per restarcene spiaggiati sulla riva, per finire arenati nei bassifondi della vita.
Ed ecco la terza parola: Liberatelo e lasciatelo andare! Lazzaro esce avvolto in bende come un neonato. Morirà una seconda volta, ma ormai gli si apre davanti un mondo abitato da una altissima speranza: Qualcuno gli vuole bene, e questo Qualcuno è più forte della morte. La vita non finisce per sempre.
Liberatelo e lasciatelo andare. Lo ripete per ciascuno di noi: liberati come si liberano le vele al vento,
E poi: lasciatelo andare l’uomo è un inventore di strade; dategli una stella polare per il suo viaggio, la lacrima di qualche amico, la certezza di un approdo, e sarà creativo.
Dove sta il perché ultimo della risurrezione di Lazzaro? Sta nelle lacrime di Gesù, che sono una dichiarazione d’amore fino al pianto.
Noi tutti risorgiamo per le lacrime di Dio, risorgiamo perché amati.
Dio è padre e non ha figli da buttare. La risurrezione è prima di tutto un bisogno di Dio: Dio non è padre se non ha dei figli vivi!
Io invidio Lazzaro, non perché ritorna in vita una seconda volta, ma perché è circondato da gente che gli vuole bene, pieno di amici quel suo mondo. Che sono il presagio di vita vera.
Quante volte sono morto, quante volte mi sono addormentato, era finito l’olio nella lampada, era finita la voglia di impegnarmi e di amare, forse era finita anche la voglia di vivere. L’anima era nella tomba, mentre una voce, che era mia e non era mia, diceva: non mi interessa niente, non mi interessa nessuno, basta, è finita.
E poi un seme ha cominciato a germogliare, non so da dove, non so perché. Una pietra si è smossa, è entrato un raggio di sole.
Qualcuno è venuto, un grido di amico ha spezzato il silenzio.
Delle lacrime hanno bagnato le mie bende.
E questo accade perché Dio continua ad essere amico, e per questo continua ad essere risurrezione e vita.
Dio in noi come un tarlo che rode le bende, ruggine che spezza le catene, forza che abbatte la grotta che ci rinchiude.
Lui è la Risurrezione, energia che non riposerà
finché non abbia raggiunto l’ultimo ramo della creazione,
finché non sia spezzata la pietra dell’ultima tomba
Fb 29 marzo 2020
Non mi lasci morire
Gesù piange. Le lacrime sono la sua ribellione, stupenda “arroganza” dell’amico che si rifiuta di accettare la morte dell’amico.
Amore arrogante fino al grido: vieni fuori!
Di Lazzaro non sappiamo nulla se non che era suo amico. Sappiamo anche di tutte le lacrime versate per la sua morte: di Marta e Maria, dei giudei, di Gesù stesso.
Io invidio Lazzaro non per la vita ridata, ma per essere circondato da amici, segno di una vita riuscita con la santità che è propria dell’amicizia, il sacramento che conforta la vita.
La morte mette in gioco la credibilità di Dio. Se è per sempre, allora Lui è Dio di morte!
Ma un forte filo rosso attraversa tutta la Bibbia: Lui è il Dio dei vivi, non dei morti. Come alla samaritana è ancora a una donna che Gesù regala parole di speranza: Io ci sono e sono colui che adesso, qui, fa rinascere e ripartire da tutte le cadute, gli inverni, gli abbandoni.
Eppure a me che cosa importa di Lazzaro, cosa me ne faccio della sua resurrezione? Lazzaro non è mio amico, non è mio padre o mia madre, non è uno dei miei morti.
A me non importa Lazzaro, mi importano le lacrime di Gesù per l’amico! È questa la salvezza: il pianto di Dio. Sono io l’amico che Egli non accetta di veder finire nel nulla della morte. E quante volte sono morto! Quante volte mi sono addormentato! Era finito l’olio della lampada e.. punto. Finito tutto. Buio immenso di silenzio.
Finita la voglia di amare, e con lei quella di vivere. E mi dicevo in qualche grotta oscura dell’anima: Dio non mi interessa più. Non mi importa se mi ama.
Nel giorno delle lacrime Dio sembra essere lontano. Il suo ritardo pesa.
Poi un seme ha cominciato a spingere, non so dove.. perché. Una pietra si è mossa e si è infilato un raggio di sole, un sussurro d’amico ha percosso il silenzio, delle lacrime hanno bagnato le bende.
Il risvegliarsi dell’umano.
Io sono la risurrezione, io il rialzarsi della vita che si è arresa!
Bella la sequenza delle parole: prima viene la risurrezione e poi la vita, non il contrario.
Siamo chiamati come vivi alla fatica del risorgere per una vita salda, amorevole, generosa, sorridente, creativa. Eterna. Una vita che rotola armoniosa nelle mani di Dio.
E il perché sta in questo amore fino al pianto. Risorgiamo ora, e dopo la morte, perché il suo vero nemico non è la vita, è l’amore. Forte come la morte, dice il Cantico.
Se il nome di Dio è amore, allora lo è anche Risurrezione.
Lazzaro, vieni fuori! Liberatelo e lasciatelo andare!
Tre ordini per risorgere: esci, liberati e vai. Con passo leggero, su sentieri aperti al sole, in un mondo che sa, sicuro, che qualcuno va ben oltre la morte.
Il vero risorto non è Lazzaro, tornato alla sua vita mortale, ma le sorelle di Betania e tutti i giudei che quel giorno hanno creduto all’amore.
Come chiunque riempia la propria vita di Dio.
Fb 8 marzo 2020
(p.Ermes Ronchi)
Per capire la Trasfigurazione, bisogna leggere ciò che è successo prima.
Gesù ormai ha capito di avere davanti la Passione e comincia a parlarne apertamente ai dodici. Il risultato è disastroso. Gesù tratta Pietro da Satana (avversario) e si ritrova da solo.
Solo e incompreso.
Lo stato d’animo di Pietro e compagni non è meglio. L’aria si carica di silenzi e musi lunghi. Chissà quante ne avranno pensate sul maestro in questi “sei” giorni riportati da Matteo: segno che se li ricorda bene.
Succede anche a noi di litigare perché non si capiscono le intenzioni dell’altro. Figuriamoci se la persona sulla quale mi appoggio mi dice che se ne deve andare, o sacrificarsi per una giusta causa!
C’è un parallelo con la storia di Abramo. Sarà stato difficile per lui seguire la voce che lo invitava a partire; ma non meno difficile per il suo clan accettare l’idea di prendere una strada sconosciuta, lasciando le abituali fertili pianure. Chissà quali discussioni!
Anche per noi è cosi, ogni volta che le vie del Signore vengono a contrastare le nostre.
Per provare a porre rimedio a questa situazione di disagio, Gesù invita Pietro e compagni ad andare a pregare sul monte. Perché “su un alto monte”? Forse perché sul monte si posa il primo raggio di sole e vi indugia l’ultimo, e là il giorno è più lungo e la notte più corta.
Il monte come luogo della luce.
I suoi ancora non capiscono il discorso della Passione, ma si fidano e si rimettono in cammino.
Gesù oggi invita noi a fermarci e pregare, affinché possa aiutarci a contemplare e accogliere il dono di Dio.
E’ così che la Quaresima, più ancora che a penitenza, ci chiama a conversione: a girarci verso la luce, così come l’inverno in questi giorni si gira verso la primavera. Allora smettiamola di sottolineare l’errore negli altri! Staniamo, snidiamo in noi e in ognuno la bellezza della luce, invece di fustigare le ombre!
Qui siamo di casa, altrove siamo sempre fuori posto; e come Pietro, stordito e sedotto da ciò che vede, balbettiamo: altrove non è bello, ci possiamo solo camminare, ma non stare! Qui è la nostra identità, qui la fine del viaggio dell’esule che ritorna a casa. Trovare Cristo è trovare senso e bellezza del vivere.
Ma come tutte le cose belle la visione non fu che la freccia di un attimo: una nube li coprì e venne una voce: ascoltate lui.
Il Padre prende la parola, ma per scomparire dietro quella di suo Figlio. La fede biblica è fede d’ascolto, non di visione: Shemà, ascolta Israel.
Sali sul monte per vedere, e sei rimandato all’ascolto.
Scendi dal monte, e ti rimane nella memoria l’eco dell’ultima parola: ascoltatelo.
Beati coloro che hanno il coraggio di essere ingenuamente luminosi nello sguardo, nel giudizio, nel sorriso. Davvero è bello per noi stare qui, accanto a loro.
2° Riflessione
La quaresima ci sorprende: la subiamo come un tempo penitenziale, mortificante, e invece ci spiazza con questo vangelo vivificante, pieno di sole e di luce. Dal deserto di pietre (prima domenica) al monte della luce (seconda domenica); da polvere e cenere, ai volti vestiti di sole. Per dire a tutti noi: coraggio, il deserto non vincerà, ce la faremo, troveremo il bandolo della matassa.
Gesù prese con sé tre discepoli e salì su di un alto monte. I monti sono come indici puntati verso il mistero e le profondità del cosmo, raccontano che la vita è ascensione, con dentro una fame di verticalità, come se fosse incalzata o aspirata da una forza di gravità celeste: e là si trasfigurò davanti a loro, il suo volto brillò come il sole e le vesti come la luce.
Tutto si illumina: le vesti di Gesù, le mani, il volto sono la trascrizione del cuore di Dio. I tre guardano, si emozionano, sono storditi: davanti a loro si è aperta la rivelazione stupenda di un Dio luminoso, bello, solare. Un Dio da godere, finalmente, un Dio da stupirsene. E che in ogni figlio ha seminato la sua grande bellezza.
Che bello qui, non andiamo via… lo stupore di Pietro nasce dalla sorpresa di chi ha potuto sbirciare per un attimo dentro il Regno e non lo dimenticherà più.
Vorrei per me la fede di ripetere queste parole: è bello stare qui, su questa terra, su questo pianeta minuscolo e bellissimo; è bello starci in questo nostro tempo, che è unico e pieno di potenzialità. È bello essere creature: non è la tristezza, non è la delusione la nostra verità.
San Paolo nella seconda lettura consegna a Timoteo una frase straordinaria: Cristo è venuto ed ha fatto risplendere la vita. E’ venuto nella vita, la mia e del mondo, e non se n’è più andato. È venuto come luce nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno vinta (Gv1,5). In lui abitava la vita e la vita era la luce degli uomini (Gv1,4), la vita era la prima Parola di Dio, bibbia scritta prima della bibbia scritta.
Allora perdonate “se non sono del tutto e sempre / innamorata del mondo, della vita / sedotta e vinta dalla rivelazione / d’esserci d’ogni cosa (….)/ Questo più d’ogni altra cosa perdonate / la mia disattenzione” (Mariangela Gualtieri). A tutte le meraviglie quotidiane.
La condizione definitiva non è monte, c’è un cammino da percorrere, talvolta un deserto, certamente una pianura alla quale ritornare. Dalla nube viene una voce che traccia la strada: “questi è il figlio mio, l’amato. Ascoltatelo”. I tre sono saliti per vedere e sono rimandati all’ascolto. La voce del Padre si spegne e diventa volto, il volto di Gesù, “che brillò come il sole”. Ma una goccia della sua luce è nascosta nel cuore vivo di tutte le cose.
Non solo il viso e le vesti, non solo i discepoli o i nostri sogni, ma la vita, qui, adesso, quella di tutti.
Ha riacceso la fiamma delle cose. Ha messo nelle vene del mondo frantumi di stelle. Ha dato splendore e bellezza all’esistenza. Ha dato sogni e canzoni bellissimi al nostro pellegrinare di uomini e donne. Basterebbe ripetere senza stancarci: ha fatto risplendere la vita, per ritrovare la verità e la gioia di credere in questo Dio, fonte inesausta di canto e di luce. Forza mite e possente che preme sulla nostra vita per aprirvi finestre di cielo.
Noi, che siamo una goccia di luce custodita in un guscio d’argilla, cosa possiamo fare per dare strada alla luce? La risposta è offerta dalla voce: Questi è il mio figlio, ascoltatelo. Il primo passo per essere contagiati dalla bellezza di Dio è l’ascolto, dare tempo e cuore al suo vangelo.
L’entusiasmo di Pietro ci fa inoltre capire che la fede per essere forte e viva deve discendere da uno stupore, da un innamoramento, da un ‘che bello!’ gridato a pieno cuore. Perché io credo? Perché Dio è la cosa più bella che ho incontrato, Perché credere è acquisire bellezza del vivere. Che è bello amare, avere amici, esplorare, creare, seminare, perché la vita ha senso, va verso un esito buono, che comincia qui e scorre nell’eternità.
Quella visione sul monte dovrà restare viva e pronta nel cuore degli apostoli. Gesù con il volto di sole è una immagine da conservare e custodire nel viaggio verso Gerusalemme, viaggio durissimo e inquietante, come segno di speranza e di fiducia.
Devono custodirla per il giorno più buio, quando il suo volto sarà colpito, sfigurato, oltraggiato. Nel colmo della prova, un filo terrà legati i due volti di Gesù. Il Volto che sul monte gronda di luce, nell’ultima notte, sul monte degli ulivi, stillerà sangue. Ma anche allora, ricordiamo: ultima, verrà la luce: ‘sulla croce già respira nuda la risurrezione’ (A. Casati).
Nella santa assemblea, o nel segreto dell’anima,
prostriamoci e imploriamo la divina clemenza.
Dall’ira del giudizio liberaci, o Padre buono;
non togliere ai tuoi figli il segno della tua gloria.
Ricorda che ci plasmasti col soffio del tuo Spirito:
siam tua vigna, tuo popolo, e opera delle tue mani.
Perdona i nostri errori, sana le nostre ferite,
guidaci con la tua grazia alla vittoria pasquale.
Sia lode al Padre altissimo, al Figlio e al Santo Spirito
com’era nel principio, ora e nei secoli eterni. Amen.
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Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi
Noi siamo cristiani perché crediamo che Dio ci ama
marzo 2018di carmelovalmadonna
IV Domenica di Quaresima “Laetare” – Anno B
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».
Dio ha tanto amato il mondo, versetto centrale del Vangelo di Giovanni, versetto dello stupore che rinasce ogni volta, per queste parole buone come il miele, tonificanti come una camminata in riva al mare, fra spruzzi d’onde e aria buona respirata a pieni polmoni; parole da riassaporare ogni giorno e alle quali aggrapparci forte in tutti i passaggi della vita, in ogni caduta, in ogni notte, in ogni delusone.
Dio ha così tanto amato… e la notte di Nicodemo, e le nostre notti si illuminano. Qui possiamo rinascere. Ogni giorno. Rinascere alla fiducia, alla speranza, alla serena pace, alla voglia di amare, di lavorare e creare, di custodire e coltivare persone e talenti e creature, tutto intero il piccolo giardino che Dio mi ha affidato.
Non solo l’uomo, ma è il mondo che è amato, la terra è amata, e gli animali e le piante e la creazione intera. E se egli ha amato la terra, anch’io la devo amare, con i suoi spazi, i suoi figli, il suo verde, i suoi fiori.. E se Egli ha amato il mondo e la sua bellezza fragile, allora anche tu amerai il creato come te stesso, lo amerai come il prossimo tuo: «mio prossimo è tutto ciò che vive» (Gandhi).
La rivelazione di Gesù è questa: Dio ha considerato il mondo, ogni uomo, questo mio niente cui però ha donato un cuore, più importante di se stesso. Per acquistare me ha perduto se stesso. Follia d’amore.
Dio ha amato: la bellezza di questo verbo al passato, per indicare non una speranza o una attesa, ma una sicurezza, un fatto certo, e il mondo intero ne è intriso: «il nostro guaio è che siamo immersi in un oceano d’amore, e non ce ne rendiamo conto» (G. Vannucci). Tutta la storia biblica inizia con un “sei amato” e termina con un “amerai” (P. Beauchamp). Noi non siamo cristiani perché amiamo Dio. Siamo cristiani perché crediamo che Dio ci ama.
Dio non ha mandato il Figlio per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato, perché chi crede abbia la vita. A Dio non interessa istruire processi contro di noi, non dico per condannare o per pareggiare i conti, ma neppure per assolverci. La vita degli amati da Dio non è a misura di tribunale, ma a misura di fioritura e di abbraccio, nel paradigma della pienezza.
Perché il mondo sia salvato: salvare vuol dire conservare, e nulla andrà perduto, non un sospiro, non una lacrima, non un filo d’erba; non va perduta nessuna generosa fatica, nessuna dolorosa pazienza, nessun gesto di cura per quanto piccolo e nascosto: Se potrò impedire a un Cuore di spezzarsi, non avrò vissuto invano. Se potrò alleviare il Dolore di una Vita o lenire una Pena, o aiutare un Pettirosso caduto a rientrare nel suo nido non avrò vissuto invano. (Emily Dickinson).
(Letture: 2 Corinzi 36,14-16.19-23; Salmo 136; Efesini 2, 4-10; Giovanni 3, 14-21)
https://buff.ly/2FpmyDN
https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/noi-siamo-cristiani-perche-crediamo-che-dio-ci-ama
I DOMENICA DI QUARESIMA –2017
p. Ermes Ronchi
Mt 4, 1-11
OMELIA
Vangelo delle tentazioni, sul quale san Giacomo ci spiazza tutti:
considerate perfetta letizia subire ogni sorta di tentazioni.
Come se fosse una gioia, se fosse bello essere tentati.
Giacomo che dice: finalmente le tentazioni! Togliete le tentazioni e nessuno si salverà più (Antonio abate).
E potremmo aggiungere: finalmente Quaresima! Un’altra volta quaresima! Mi piace molto la quaresima, è la stagione dell’essenziale e delle ripartenze, della primavera che riparte, della vita che punta diritto verso la luce di Pasqua.
La primavera, la nostra e quella di Dio, non si lascia sgomentare da tutto ciò che accade. Lo dicono anche i due segni che chiudono la quaresima: le ceneri e l’acqua.
Le ceneri dell’inizio, il mercoledì, e l’acqua della conclusione, il giovedì santo. Le ceneri sul capo e l’acqua sui piedi. La strada sembra breve, meno di due metri e invece il percorso è lunghissimo, perché porta ai piedi dell’altro. Alla vita generosa.
Non ti sgomentare per la tua vita, se ti sembra una raccolta di ceneri o di fatiche senza frutto. Non ti deprimere: le ceneri non sono la fine. C’è l’acqua del giovedì santo, c’è la luce della Pasqua.
Il nostro chiostro oggi abbraccia i laboratori sull’acqua. Per nuovi stili di vita. Senza acqua non c’è vita. L’acqua, sorella umile preziosa e pura, è una delle questioni cruciali del mondo attuale (Laudato sì, 30). Un diritto e un dovere.
Quaresima vuol dire conversione, cioè novità di vita, uguale a nuovi stili di vita, concreti e semplici; piccoli gesti che forse non sono religiosi ma cristiani sì; sono gesti umani e proprio per questo atti religiosi; perché fede è scegliere sempre l’umano contro il disumano; gesti piccoli e umanissimi.
Considerate perfetta letizia… Le tentazioni non sono peccato, sono un decreto di libertà. Lo assicurano le parole che aprono tutta la sezione della Legge nella Bibbia: io metto davanti a te la vita e la morte, scegli!
Il primo comandamento è un decreto di libertà: scegli! Tocca a te imboccare una delle due strade, quella della vita o quella della morte.
Le tentazioni hanno dentro una logica pasquale, avviano una storia di contropiedi, una partita tutta di ripartenze contro ciò che fa male all’uomo.
Vediamo come accade:
In quel tempo, Gesù… ed è come dire: in questo tempo, io.
Perché ogni uomo è quell’uomo, ogni luogo è quel deserto, in cui lo Spirito ti spinge sul bivio che si apre davanti ad ogni scelta decisiva. Noi siamo ciò che scegliamo.
Il racconto di Matteo mette in scena il Nemico intelligente, il più intelligente degli spiriti, e le tentazioni sono da par suo, intelligenti: propone cose ragionevoli, baratti vantaggiosi, del buon pane, un governo nuovo del mondo.
Scrive O. Clément: “le grandi tentazioni non sono quelle di cui si è preoccupato e perfino ossessionato un certo cristianesimo moralistico, non sono quelle che ci saremmo aspettati, quelle, per es. che riguardano la sfera sessuale, ma sono quelle che vanno a demolire la fede”. Se Gesù avesse risposto in un altro modo alle tre proposte del diavolo, non avremmo avuto né la croce né il cristianesimo.
Dì che queste pietre diventino pane! Il pane è un bene, un valore indubitabile, che cosa c’è di male nel pane?
Se tu sei figlio di Dio, poiché lo sei Figlio di Dio, usa il tuo potere per te. Ma Gesù non ha mai cercato il pane a suo vantaggio, si è fatto pane a vantaggio di tutti. Non ha mai usato il suo potere per alimentare se stesso, ma lui si è fatto alimento e pane per tutti.
E risponde, citando la parola di Dio e giocando al rialzo, offrendo più vita: “Non di solo pane vivrà l’uomo”. Il pane dà vita ma più vita viene dalla bocca di Dio. Dalla sua bocca è venuta la luce, il cosmo, la creazione. È venuto il soffio che ci fa vivi, sei venuto tu fratello, amico, amore, che sei parola pronunciata dalla bocca di Dio per me. E anche di te io vivo.
L’uomo vive di ogni parola… Se osservi le parole che vengono dalla bocca di Dio non solo vivi ma avrai una vita capace di superare la morte, di risorgere sempre.
Seconda tentazione: Buttati, così potremo vedere uno stormo di angeli in volo…gettati giù dal punto più alto del tempio, perché tanto ci saranno angeli a farti da gradini.
Fai un bel miracolo, la gente ama i miracoli, e ti verranno dietro. E invece Gesù guarirà molti dicendo loro: torna a casa tua e non dire niente a nessuno. Gesù non cerca il successo, cerca uomini liberi e pieni.
Il diavolo non si presenta come un avversario, ma come un amico, come chi vuole aiutare Gesù a fare meglio il messia. E in più la tentazione è fatta con la bibbia in mano (sta scritto…).
La risposta è: non tentare Dio, attraverso ciò che sembra il massimo della fiducia nella provvidenza e invece ne è la caricatura, perché è solo ricerca del proprio vantaggio. Tu non ti fidi di Dio, vuoi solo sfruttarlo. Stai manipolando Dio, come chi lo prega solo se e quando ne ha bisogno.
Nella terza tentazione il diavolo alza ancora la posta: adorami e ti darò tutto il potere del mondo. Adorami, cioè segui la mia logica, la mia politica. Prendi il potere, occupa i posti chiave, cambia le leggi. Così risolverai i problemi, e non con la croce; con rapporti di forza, non con l’amore.
Vuoi avere gli uomini dalla tua parte? Assicuragli tre cose: pane, miracoli e un leader, e li avrai in mano. Ma Gesù non cerca uomini da dominare, vuole figli liberi e amanti. Per Gesù ogni potere è idolatria.
Allora angeli si avvicinarono e lo servivano.
Se in questa Quaresima ognuno di noi potesse avvicinarsi a una persona, anche una soltanto, che ha bisogno perché malata o sola o povera, regalando un po’ di tempo e un po’ di cuore, fatti non parole, allora per quella persona tu saresti come un angelo del deserto.
Siamo noi gli angeli di Dio.
Il Signore manda angeli anche nella mia casa:
li manda a prendersi cura di me,
sono i miei cari, quelle persone buone
che sanno inventare una nuova carezza, hanno occhi di luce,
ti sorreggono con le loro mani, instancabili e leggere,
tutte le volte che inciampi.
E se lo farò anch’io, vedrò accadere il sogno di Isaia:
“Illumina altri e ti illuminerai,
guarisci altri e guarirà la tua ferita.
Illumina altri e la tua luce sorgerà
come un’estate di sole.
Preghiera alla comunione
Non smettere di volermi bene, non smettere mai.
Ho sbagliato, sapevo che non era da fare,
l’ho fatto lo stesso, l’ho fatto apposta.
Non capisco cosa mi succede a volte, so che è sbagliato,
Tu me l’hai detto e ridetto che è sbagliato
ma io lo faccio lo stesso non posso farne a meno
è più forte di me. Mi hai insegnato ad essere sincero,
chi è sincero è buono, dici sempre.
Mi hai insegnato di non avere paura di quello che sono,
a non nascondermi, ma ora ti prego vieni a cercarmi.
Trovami, non dirmi che non ti fidi più di me
e fammi tornare ad essere contento,
dimentica i miei errori e non ci saranno più,
non mandarmi via, non mandarmi dove Tu non ci sei,
non dirmi che non mi vuoi più qui con Te
e non andare via neppure Tu.
Rimani qui e guardami come quando mi vuoi bene,
Pensa che posso farcela e ce la farò
pensa che sono buono e lo sarò.
Io non so farti promesse,
Tu perdonami però, e vieni a cercarmi.
Eccoti, finalmente sei qui,
mi prendi tra le braccia,
tienimi così e dimmelo, dimmelo
che non smetterai di volermi bene MAI.
(Salmo 50, da G. Quarenghi: Salmi per voce di bambino).
Dal discorso di Francesco:
Come si legge nel libro della Genesi, l’acqua è al principio di tutte le cose (Gn 1, 2); è “creatura utile, pura e umile”, fonte della vita e della fecondità (San Francesco d’Assisi). Perciò la questione non è marginale, è fondamentale e molto urgente. Fondamentale perché dove c’è acqua c’è vita, e allora la società può sorgere e progredire. Ed è urgente perché la nostra casa comune ha bisogno di protezione e, inoltre, che si comprenda che non tutta l’acqua è vita: solo l’acqua sicura e di qualità. Ogni persona ha diritto all’accesso all’acqua potabile e sicura; è un diritto umano essenziale e una delle questioni cruciali nel mondo attuale (Laudato si’, n. 30; Caritas in veritate, n. 27). È un problema che riguarda tutti e fa sì che la nostra casa comune sopporti tanta miseria e reclami soluzioni effettive, davvero capaci di superare gli egoismi che impediscono l’attuazione di questo diritto vitale per tutti gli esseri umani. (Papa Francesco 24.02.2017)
p. Ermes Ronchi
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I 10 SEGRETI DI MEDJUGORJE (di Padre Livio Fanzaga):
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6 luglio 2005
IL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA IN AUDIO
Catechesi e omelie di padre Lino Pedron