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Ci sono persone talmente povere, che l’unica cosa che hanno sono i soldi…

Molte “povere” persone basano tutta la loro vita sui soldi che accumulano: pensano che se ne posseggono pochi non sono nessuno e non vengono nemmeno considerati dagli altri. Questa è la nuova mentalità molto diffusa.

I soldi per questi nuovi “poveri” procurano più prestigio dell’ingegno, dell’arte, della professione, dello status sociale, della vera e onesta politica. Essi non hanno più una vera e profonda interiorità umana e nemmeno dell’autentico sentimento.

Anche se hanno davanti a loro una persona di valore, se è senza soldi non riconoscono la sua grande statura umana. È uno che non conta nulla, lo ritengono un fallito.Per questo non hanno veri amici.

Non vogliono nemmeno credere ai valori cristiani perché li costringono a cambiare la visione del loro mondo incancrenito nella ricerca del potere economico e sociale.

In realtà la loro particolare povertà consiste nell’essere posseduti dal denaro e dalle cose che credono di possedere.

 

 

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Dal Diario di un pellegrino carnico di p.Albino Candido22 Ottobre 1984

 

Cosa vuol dire “arricchirsi” davanti a Dio? È nell’ultima frase del Vangelo di oggi. (Lc 12, 13 – 21).

Se volgo lo sguardo al passato, mi sono arricchito? Sono arricchito di povertà, perché una volta non avevo la percezione di essere lontano, invece ora mi sento lontano da Lui nel senso che c’è un’immensa sproporzione tra me e Lui.

Forse la ricchezza consiste nel sentire e soffrire questa sproporzione che cresce a misura che Egli si fa conoscere. Non c’è altro modo di diventare ricchi davanti a Lui. Infatti se Egli non si manifesta o non lo cerchi con curiosità prima e poi con amore, ti sembra di essere abbastanza ricco perché osservi la regola, la legge, ti senti buono, ma è una ricchezza fasulla, è una illusione.

Mentre, quando lo hai trovato, tutto è alla rovescia: sei povero, ma ugualmente e proporzionatamente alla tua povertà sei ricco perché l’hai trovato, e trovandolo riconosci la tua piccolezza, e la tua precedente ricchezza viene confusa e arrossisce. (p.327)

 

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Scriveva il monaco p. Albino Candido nel suo Diario di un pellegrino carnico:

È drammatico anche il ritrovarci, il sentirci così meschini. Il mio piccolo dramma unito al Suo. Ma credo che Lui gongoli anche di questa pochezza perché se noi siamo “povertà” la sua ricchezza risplende maggiormente.
(p.Albino Candido, Diario di un pellegrino carnico, p.323)

 

Quando pensiamo alla purezza ed alla grandezza di Dio e siamo consapevoli della nostra meschinità, ci viene spontaneo rattristarci.
Gesù ha detto: “Siate perfetti come perfetto è il Padre Celeste…”
Spesso vediamo questa infinita differenza tra noi ed i Padre come un dramma esistenziale che preme sul nostro animo angosciato e ci fa sentire molto a disagio.
Vorremmo essere puri, ma non lo siamo, altruisti, ma ci sentiamo egoisti, misericordiosi e ferventi ma ci ritroviamo interiormente aridi.
Vorremmo essere gioiosi, ma cadiamo spesso nella tristezza, attivi ma spiritualmente pigri…
Tutto ciò Dio lo sa infinitamente meglio di noi, per questo Egli esulta quando vede in noi un barlume di tentativo di conversione sincera nell’umiltà di riconoscerci per quello che siamo.
Quando siamo consapevoli che senza di Lui non possiamo nulla, per cui ci affidiamo completamente a Lui e gli offriamo tutte le nostre colpe e fragilità, è allora che può intervenire ed agire in noi per condurci verso la serenità interiore e la salvezza eterna…

 

 

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I veri cristiani seguono l’esempio di Gesù Cristo.

Non si lasciano condizionare dal consumismo esasperato: considerano il denaro utile ma non è una priorità assoluta.

Non desiderano dominare sugli altri per fini egoistici: sanno bene che ogni persona è figlio di Dio ed ai suoi occhi ha una grande dignità.

Non vogliono calpestare i più elementari diritti dei più deboli e poveri, perché sono consapevoli che Dio li predilige.

Non si lasciano trascinare dalle passioni della carne, perché il loro maestro viveva una vita sobria.

Non si comportano da ipocriti per paura e viltà: Gesù smascherava ed ammoniva pubblicamente gli ipocriti.

Ripudiano l’odio, la calunnia e la doppiezza.

Smascherano le menzogne che stanno diffondendosi anche tra i media moderni, perché amano la Verità.

Un “atto d’amore” significativo è anche quello di informarsi correttamente e con discernimento su tutto ciò che può nuocere al corpo ed all’anima…

 

 

 

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Il Vangelo – Ermes Ronchi

Solennità di Ognissanti

I santi sono gli uomini e le donne delle Beatitudini

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:

«Beati i poveri in spirito,

perché di essi è il regno dei cieli.

Beati quelli che sono nel pianto,

perché saranno consolati.

Beati i miti,

perché avranno in eredità la terra.

Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,

perché saranno saziati.

Beati i misericordiosi,

perché troveranno misericordia.

Beati i puri di cuore,

perché vedranno Dio.

Beati gli operatori di pace,

perché saranno chiamati figli di Dio.

Beati i perseguitati per la giustizia,

perché di essi è il regno dei cieli.

Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».

I santi sono gli uomini delle Beatitudini. Queste parole sono il cuore del Vangelo, il racconto di come passava nel mondo l’uomo Gesù, e per questo sono il volto alto e puro di ogni uomo, le nuove ipotesi di umanità. Sono il desiderio prepotente di un tutt’altro modo di essere uomini, il sogno di un mondo fatto di pace, di sincerità, di giustizia, di cuori limpidi.

Al cuore del Vangelo c’è per nove volte la parola beati, c’è un Dio che si prende cura della gioia dell’uomo, tracciandogli i sentieri. Come al solito, inattesi, controcorrente. E restiamo senza fiato, di fronte alla tenerezza e allo splendore di queste parole.

Le Beatitudini riassumono la bella notizia, l’annuncio gioioso che Dio regala vita a chi produce amore, che se uno si fa carico della felicità di qualcuno il Padre si fa carico della sua felicità.

Quando vengono proclamate sanno ancora affascinarci, poi usciamo di chiesa e ci accorgiamo che per abitare la terra, questo mondo aggressivo e duro, ci siamo scelti il manifesto più difficile, incredibile, stravolgente e contromano che l’uomo possa pensare.

La prima dice: beati voi poveri. E ci saremmo aspettati: perché ci sarà un capovolgimento, perché diventerete ricchi.

No. Il progetto di Dio è più profondo e vasto. Beati voi poveri, perché vostro è il Regno, già adesso, non nell’altra vita! Beati, perché c’è più Dio in voi, più libertà, più futuro.

Beati perché custodite la speranza di tutti. In questo mondo dove si fronteggiano lo spreco e la miseria, un esercito silenzioso di uomini e donne preparano un futuro buono: costruiscono pace, nel lavoro, in famiglia, nelle istituzioni; sono ostinati nel proporsi la giustizia, onesti anche nelle piccole cose, non conoscono doppiezza. Gli uomini delle Beatitudini, ignoti al mondo, quelli che non andranno sui giornali, sono invece i segreti legislatori della storia.

La seconda è la Beatitudine più paradossale: beati quelli che sono nel pianto. In piedi, in cammino, rialzatevi voi che mangiate un pane di lacrime, dice il salmo. Dio è dalla parte di chi piange ma non dalla parte del dolore! Un angelo misterioso annuncia a chiunque piange: il Signore è con te. Dio non ama il dolore, è con te nel riflesso più profondo delle tue lacrime, per moltiplicare il coraggio, per fasciare il cuore ferito, nella tempesta è al tuo fianco, forza della tua forza.

La parola chiave delle Beatitudini è felicità. Sant’Agostino, che redige un’opera intera sulla vita beata, scrive: abbiamo parlato della felicità, e non conosco valore che maggiormente si possa ritenere dono di Dio. Dio non solo è amore, non solo misericordia, Dio è anche felicità. Felicità è uno dei nomi di Dio.

(Letture: Apocalisse 7,2-4.9-14; Salmo 23; 1 Giovanni 3,1-3; Matteo 5, 1-12).

https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/i-santi-sono-gli-uomini-e-le-donne-delle-beatitudini_20151029

Commento al Vangelo – di Ermes Ronchi – pubblicato su Avvenire
Quella porta «stretta» per aprirci all’essenziale

XXI Dom. T. O. – Anno C – agosto 2019

In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. […]» (Luca 13,22-30)

Gesù è in cammino verso la città dove muoiono i profeti. Lungo la strada, un tale gli pone una domanda circa la salvezza: di Gerusalemme e di tutti. Tremore e ansia nella voce di chi chiede. E Gesù risponde con altrettanta cura: salvezza sarà, ma non sarà facile. E ricorre all’immagine della porta stretta. Un aggettivo che ci inquieta, perché «stretta» evoca per noi fatiche e difficoltà. Ma tutto il Vangelo è portatore non di dolenti, ma di belle notizie: la porta è stretta, cioè piccola, come lo sono i piccoli e i bambini e i poveri che saranno i principi del Regno di Dio; è stretta ma a misura d’uomo, di un uomo nudo ed essenziale, che ha lasciato giù tutto ciò di cui si gonfia: ruoli, portafogli gonfi, l’elenco dei meriti, i bagagli inutili, il superfluo; la porta è stretta, ma è aperta.

L’insegnamento è chiaro: fatti piccolo, e la porta si farà grande. Quando il padrone di casa chiuderà la porta, voi busserete: Signore aprici. E lui: non so di dove siete, non vi conosco. Avete false credenziali. Quelli che si accalcano per entrare si vantano di cose che contano poco: abbiamo mangiato e bevuto con te, eravamo in piazza ad ascoltarti. Ma questo può essere solo un alibi di comodo. «Quando è vera fede e quando è solo religione? Fede vera è quando fai te sulla misura di Dio; semplice religione è quando fai Dio a tua misura» (Turoldo).

Abbiamo mangiato in tua presenza… Non basta mangiare il pane che è Gesù, spezzato per noi, bisogna farsi pane, spezzato per la fame d’altri. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia. Non vi conosco. Il riconoscimento sta nella giustizia fattiva. Dio non ti riconosce per formule, riti o simboli religiosi, ma perché hai mani di giustizia. Ti riconosce non perché fai delle cose per lui, ma perché con lui e come lui fai delle cose per i piccoli e i poveri.

Non so di dove siete: il vostro modo di vedere è lontanissimo dal mio, voi venite da un mondo diverso rispetto al mio, da un altro pianeta. Infatti, quelli che bussano alla porta chiusa hanno compiuto sì azioni per Dio, ma nessun gesto di giustizia per i fratelli.

La conclusione della piccola parabola è piena di sorprese: la sala è piena, oltre quella porta Gesù immagina una festa multicolore: verranno da oriente e occidente, dal nord e dal sud del mondo e siederanno a mensa. Viene sfatata l’idea della porta stretta come porta per pochi, solo per i più bravi. Tutti possono passare, per la misericordia di Dio. Il suo sogno è far sorgere figli da ogni dove, per una offerta di felicità, per una vita in pienezza. Lui li raccoglie da tutti gli angoli del mondo, variopinti clandestini del regno, arrivati ultimi e per lui considerati primi.
(Letture: Isaia 66,18-21; Salmo 116; Ebrei 12,5-7.11-13; Luca 13,22-30)

https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/quella-porta-stretta-per-aprirciall-essenziale

 

 

 

(Simulazione di storie simili)

Quest’uomo americano alcuni anni fa era povero e vinse 22 milioni di dollari. Aveva 19 anni.

Comprò subito una lussuosa villa con un bell’arredamento ed assunse domestici e giardinieri.

Si fece fare abiti su misura, acquistando scarpe lussuose.

Comprò tre auto costosissime.

Organizzò costosi festini invitando diversi amici e conoscenti.

Cominciò a frequentare escort di lusso.

Iniziò a giocare alla lotteria e frequentava diverse sale da gioco.

In breve tempo sperperò il suo patrimonio ed ora si adatta a fare qualche lavoretto occasionale.

Ora molti vincitori della lotteria come lui hanno perso tutto perché avevano trascurato la sana amministrazione e si erano dimenticati dei poveri.

 

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VI Domenica – T. O. – Anno C – febbraio 2019

«Beati voi». Ma il nostro pensiero dubita

Vangelo – (Luca 6,17.20-26)

In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone. Ed egli, alzati gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. […]».

L’essere umano è un mendicante di felicità, ad essa soltanto vorrebbe obbedire. Gesù lo sa, incontra il nostro desiderio più profondo e risponde. Per quattro volte annuncia: beati voi, e significa: in piedi voi che piangete, avanti, in cammino, non lasciatevi cadere le braccia, siete la carovana di Dio. Nella Bibbia Dio conosce solo uomini in cammino: verso terra nuova e cieli nuovi, verso un altro modo di essere liberi, cittadini di un regno che viene. Gli uomini e le donne delle beatitudini sono le feritoie per cui passa il mondo nuovo.

Beati voi, poveri! Certo, il pensiero dubita. Beati voi che avete fame, ma nessuna garanzia ci è data. Beati voi che ora piangete, e non sono lacrime di gioia, ma gocce di dolore. Beati quelli che sentono come ferita il disamore del mondo. Beati, perché? Perché povero è bello, perché è buona cosa soffrire? No, ma per un altro motivo, per la risposta di Dio. La bella notizia è che Dio ha un debole per i deboli, li raccoglie dal fossato della vita, si prende cura di loro, fa avanzare la storia non con la forza, la ricchezza, la sazietà, ma per seminagioni di giustizia e condivisione, per raccolti di pace e lacrime asciugate.

E ci saremmo aspettati: beati perché ci sarà un capovolgimento, una alternanza, perché i poveri diventeranno ricchi. No. Il progetto di Dio è più profondo e più delicato. Beati voi, poveri, perché vostro è il Regno, qui e adesso, perché avete più spazio per Dio, perché avete il cuore libero, al di là delle cose, affamato di un oltre, perché c’è più futuro in voi. I poveri sono il grembo dove è in gestazione il Regno di Dio, non una categoria assistenziale, ma il laboratorio dove si plasma una nuova architettura del mondo e dei rapporti umani, una categoria generativa e rivelativa. Beati i poveri, che di nulla sono proprietari se non del cuore, che non avendo cose da donare hanno se stessi da dare, che sono al tempo stesso mano protesa che chiede, e mano tesa che dona, che tutto ricevono e tutto donano.

Ci sorprende forse il guai. Ma Dio non maledice, Dio è incapace di augurare il male o di desiderarlo. Si tratta non di una minaccia, ma di un avvertimento: se ti riempi di cose, se sazi tutti gli appetiti, se cerchi applausi e il consenso, non sarai mai felice. I guai sono un lamento, anzi il compianto di Gesù su quelli che confondono superfluo ed essenziale, che sono pieni di sé, che si aggrappano alle cose, e non c’è spazio per l’eterno e per l’infinito, non hanno strade nel cuore, come fossero già morti.

Le beatitudini sono la bella notizia che Dio regala vita a chi produce amore, che se uno si fa carico della felicità di qualcuno il Padre si fa carico della sua felicità.

(Letture: Geremia 17,5-8; Salmo 1; 1 Corinzi 15,12.16-20; Luca 6,17.20-26)

Commento al Vangelo domenica 17 febbraio – p.Ermes – “Beati voi”. Ma il nostro pensiero dubita.

https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/beati-voi-ma-il-nostro-pensiero-dubita

 

 

 

 

Ascensione del Signore Mc16,15-20

(di p. Ermes Ronchi)

Gesù lascia la terra con un bilancio deficitario: gli sono rimasti soltanto undici uomini impauriti e confusi, e un piccolo nucleo di donne tenaci e coraggiose. Lo hanno seguito per tre anni sulle strade di Palestina, non hanno capito molto ma lo hanno amato molto, e sono venuti tutti all’appuntamento sull’ultimo colle.

E questa è la sola garanzia di cui Gesù ha bisogno. Ora può tornare al Padre, rassicurato di essere amato, anche se non del tutto capito, e sa che nessuno di quegli uomini e di quelle donne lo dimenticherà.

Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono.

Di che cosa dubitano? Non che sia risorto. Lo vedono. Hanno mangiato insieme. Non che sia il volto di Dio tra noi. Si prostrano in adorazione.

Di che cosa allora? Dubitano di se stessi, di non farcela, di non essere all’altezza, di non avere forza e cuore e intelligenza.

Lo sanno bene come sono scappati tutti, nella notte del tradimento e lo hanno rinnegato; poi non hanno creduto alle donne a pasqua; poi sono rimasti tappati in casa per giorni e giorni, porte e finestre sbarrate, in quell’aria morta. Conoscono i propri limiti.

Gesù compie un atto di enorme, illogica fiducia in uomini e donne che dubitano ancora. Non rimane con loro ancora un tempo, per spiegare meglio, per chiarire meglio. Ma affida la lieta notizia ai loro dubbi.

I dubbi sono come i poveri, li avremo sempre con noi. Ma come i poveri ci sono dati per la nostra salvezza. Per non arrendersi all’ovvio e al risaputo. Il dubbio fa parte della natura della fede, non esiste fede vera senza dubbi.

Gesù affida il suo vangelo e il mondo nuovo che hanno sognato insieme alla fragilità degli 11 e di alcune donne, e non all’intelligenza dei primi della classe.

È grande, proprio perché non si pone come colui che ti risolve i problemi ma come uno che offre orizzonti e incalza ad avanzare;

con fiducia totale affida ai dubitanti la verità, chiama i claudicanti ad andare, gli zoppicanti a correre fino agli estremi della terra: è la legge del granello di senape, del pizzico di sale, dei piccoli che possono essere contagio di vangelo e di nascite.

Con quale scopo? Arruolare devoti, rinforzare il movimento? No, ma per un contagio, un’epidemia divina da spargere sulla terra. Andate, profumate di cielo le vite che incontrate, insegnate il mestiere di vivere, così come l’avete visto in me, mostrate loro quanto sono belli e grandi e amati.

Immergeteli in Dio, ‘battezzare’ vuol dire questo: rendere intrisi di Dio, come è intriso, inzuppato, imbevuto d’acqua chi è calato nel fiume, o sotto una cascata, nel lago, nell’oceano.

Cosa devono fare i discepoli? Fare del mondo un laboratorio di immersione in Dio. Nel Dio che è libertà e amore

Andate in tutto il mondo e proclamate il vangelo ad ogni creatura.

Sono le parole che mi rivelano il cuore di Gesù, il suo desiderio impellente che nessuno sia escluso: Gesù mai stanco di dare vita ad ogni creatura, in ogni angolo della terra.

E guardate chi sceglie per prolungare la sua stessa opera: creature imperfette, dalla fede fragile. Come noi. Come me.

Ognuno di noi riceve oggi la stessa missione degli apostoli: “Annunciate”. Niente altro. Non dice: organizzate, occupate i posti chiave, fate grandi opere caritative, ma semplicemente: “Annunciate”.

E che cosa devo annunciare? Il Vangelo, una lieta notizia, il racconto della tenerezza di Dio. Non le mie idee più belle, non le soluzioni di tutti i problemi, non una politica o una teologia migliore: solo il Vangelo, la vita e la persona di Cristo, racconto della tenerezza del Padre.

L’ultimo versetto del brano di oggi è quello che chiude il Vangelo di Marco e apre il mio Vangelo: “Il Signore operava insieme con loro”. Il verbo greco suona così: “Il Signore era in sinergia con loro”, era la loro energia.

Perché io non sono mai con le mie sole forze, c’è sempre in me forza della mia forza, pace della mia pace, radice delle mie radici, sempre intrecciata alla mia forza, sale in me la forza di Cristo.

A sigillo del vangelo di Marco, questa bella definizione di Gesù:

Il Signore è energia che opera con i credenti.

Il Risorto è sinergia con te, agisce in ogni gesto di bontà, ogni volta che porgi una parola fresca e viva, costruisce con te quando costruisci pace, quando poni segni di vita. Il vangelo ne elenca alcuni:

scacceranno demoni, è la capacità di divincolarsi e sgusciare via dall’abbraccio del Separatore, dalla presa della menzogna;

– parleranno lingue nuove: non si tratta di inventare un altro idioma tra i diecimila parlati, ma è la capacità di parlare in modo nuovo e fresco, da uomo nuovo, come un bambino che sa dirti: ti voglio bene, e ti spacca il cuore; perché chi parla con amore è sempre ascoltabile (F. Rosini);

– prenderanno in mano serpenti e se berranno veleni: i serpenti interiori, quegli sbagli, quel male… le parole velenose che qualche volta ti hanno colpito…

– Imporranno le mani ai malati e questi guariranno! Il Vangelo letteralmente dice non già che “guariranno”, ma che ne avranno del bene, che questo sarà bello per loro. Se ti avvicini a chi soffre e tocchi la sua malattia e trasmetti Spirito, forse guarirà e forse no, ma certamente ne avrà bene, certamente questo sarà bello per lui. Entreranno nel cuore pace, solidarietà, Spirito…

Ascensione è la navigazione del cuore che ti conduce dalla chiusura in te all’amore che abbraccia l’universo (Benedetto XVI). A questa navigazione del cuore Gesù chiama gli undici, un gruppetto di uomini impauriti e confusi, un nucleo di donne coraggiose e fedeli, e affida loro il mondo.

E partirono e predicarono dappertutto… Li spinge a pensare in grande a guardare lontano: il mondo è tuo. Perché crede in loro, crede nell’uomo. Ha fiducia in me, più di quanta ne abbia io stesso; sa che riuscirò a contagiare di Spirito e di nascite chi mi è affidato.

L’Ascensione al cielo non è una vittoria sulla forza di gravità. Gesù non è andato lontano o in alto, in qualche angolo remoto del cosmo. È asceso nel profondo delle cose, nell’intimo del creato e delle creature, e da dentro preme come forza ascensionale verso più luminosa vita.

La Laudato Si’ dice che lo puoi trovare, unito all’umano, unito ad ogni creatura vivente e perfino, ma davvero, dentro il più piccolo granello di polvere. Il mondo è santo.

Lui ha intriso il mondo, il mondo ne è battezzato, immerso in Dio. Se solo fossi capace di sentirlo e goderlo, camminerei sulla terra come dentro un unico tabernacolo, dentro un battesimo infinito.

 

 

Preghiera alla comunione

 

A te fratello-amico, viandante di una strada senza fine:

Possa la strada alzarsi per venirti incontro

possa il vento essere sempre alle tue spalle

possa il sole splendere caldo sul tuo volto

e la pioggia cadere lieve sui tuoi campi,

oggi e per tanti giorni futuri.

 

La benedizione della luce sia sempre su di te.

Il sole brilli su di te e riscaldi il tuo cuore.

brilli come un grande fuoco,

a cui possano riscaldarsi gli amici e anche gli sconosciuti.

Che brilli una luce dai tuoi occhi

come una candela sul davanzale di una casa.

Che inviti il viandante ad entrare

per ripararsi dal temporale e dalla notte.

 

E fino a quando non ci incontreremo di nuovo

possa Iddio tenerci sul palmo della sua mano.

(Preghiera tradizionale irlandese)

 

 

 

 

 

Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi

Se mercanteggiamo con lui, Dio ci rovescia il tavolo

III Domenica di Quaresima – Anno B

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà». Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. […]

Gesù entra nel tempio: ed è come entrare nel centro del tempo e dello spazio, nel fulcro attorno al quale tutto ruota. Ciò che ora Gesù farà e dirà nel luogo più sacro di Israele è di capitale importanza: ne va di Dio stesso. Gesù si prepara una frusta e attraversa la spianata come un torrente impetuoso, travolgendo uomini, animali, tavoli e monete. I tavoli rovesciati, le sedie capovolte, le gabbie portate via mostrano che il capovolgimento portato da Gesù è totale.

Vendono buoi per i ricchi e colombe per i sacrifici dei poveri. Gesù rovescia tutto: è finito il tempo del sangue per dare lode a Dio. Come avevano gridato invano i profeti: io non bevo il sangue degli agnelli, io non mangio la loro carne; misericordia io voglio e non sacrifici (Os 6,6). Gesù abolisce, con il suo, ogni altro sacrificio; il sacrificio di Dio all’uomo prende il posto dei tanti sacrifici dell’uomo a Dio.

Gettò a terra il denaro, il dio denaro, l’idolo mammona, vessillo innalzato sopra ogni cosa, installato nel tempio come un re sul trono, l’eterno vitello d’oro è sparso a terra, smascherata la sua illusione.
E ai venditori di colombe disse: non fate della casa del Padre, una casa di mercato. Dio è diventato oggetto di compravendita. I furbi lo usano per guadagnarci, i devoti per guadagnarselo. Dare e avere, vendere e comprare sono modi che offendono l’amore. L’amore non si compra, non si mendica, non si impone, non si finge.
Non adoperare con Dio la legge scadente del baratto dove tu dai qualcosa a Dio perché lui dia qualcosa a te. Come quando pensiamo che andando in chiesa, compiuto un rito, accesa una candela, detta quella preghiera, fatta quell’offerta, abbiamo assolto il nostro dovere, abbiamo dato e possiamo attenderci qualche favore in cambio.

Così siamo solo dei cambiamonete, e Gesù ci rovescia il tavolo. Se crediamo di coinvolgere Dio in un gioco mercantile, dobbiamo cambiare mentalità: Dio non si compra ed è di tutti. Non si compra neanche a prezzo della moneta più pura. Dio è amore, chi lo vuole pagare va contro la sua stessa natura e lo tratta da prostituta. «Quando i profeti parlavano di prostituzione nel tempio, intendevano questo culto, tanto pio quanto offensivo di Dio» (S. Fausti): io ti do preghiere e offerte, tu mi dai lunga vita, fortuna e salute.

Casa del Padre, sua tenda non è solo l’edificio del tempio: non fate mercato della religione e della fede, ma non fate mercato dell’uomo, della vita, dei poveri, di madre terra. Ogni corpo d’uomo e di donna è divino tempio: fragile, bellissimo e infinito. E se una vita vale poco, niente comunque vale quanto una vita. Perché con un bacio Dio le ha trasmesso il suo respiro eterno.

(Letture: Esodo 20,1-17; Salmo 18; 1 Corinzi 1,22-25; Giovanni 2,13-25)

Commento al Vangelo domenica 4 marzo 2018 – p.Ermes Ronchi

 

 

2017 NATALE DEL SIGNORE

messa del giorno

 

E’ Natale: la Parola di Dio è un Bambino d’uomo che non sa neppure parlare, l’Eterno è un neonato, appena il mattino di una vita.

E’ da qui, dove l’infinitamente grande si fa infinitamente piccolo, chi cristiani cominciano a contare gli anni, a raccontare la storia. Questo è il nodo vivo del tempo. Ad esso siamo convocati, perché attorno a questo nodo danzano i secoli e il cuore può cambiare. Ma se anche Cristo fosse nato mille volte a Betlemme ma non nasce in te, allora è nato invano.

Signore Gesù, siamo qui perché vogliamo restare umani, inquieti, sensibili e visionari, per questo ti preghiamo: nasci in noi, Signore.

Signore Gesù, che continui a perdonarmi anche quando io non mi perdono, che mi corri dietro a riportarmi le chiavi di casa, che alleggerisci i miei errori con sorriso di madre, ti prego nasci in me Signore

Signore Gesù, sono venuto da te che non ti stanchi di abbracciarmi nella fatica, di ridarmi l’infinita pazienza di ricominciare, per questo ti prego: nasci in noi Signore.

 

Omelia

Dietro l’altare vedete questo mosaico di legni antichi, spezzati e dipinti: Cristo abbracciante, un grande abbraccio, un abbraccio infinito, smisurato, che sembra allargarsi ancora, dove c’è posto per tutti, per sempre.

Natale è l’abbraccio di Dio. Che non è l’onnipotente ma l’onniabbracciante, il tutto-abbracciante. Perché il mondo non sempre è comprensibile, ma è sempre abbracciabile (M. Buber).

Qui davanti all’altare vedete un grande pane che fa da culla al Bambino. Betlemme vuol dire: Casa del pane, c’è pane per l’umanità in quel luogo, Dio si è fatto pane, deposto in una mangiatoia, che è il luogo umile del cibo, per dirci: mangiate di me, io sono il pane della vita, pane spezzato per la nostra fame di vita. Qui troviamo il morso del più, energia per vivere senza paura.

E’ anche bello l’albero di Natale, bello il presepio. Ma questi legni duri che fioriscono, che mettono gemme di tenerezza, e questo pane, mi commuovono.

Il Verbo si è fatto abbraccio, pane, corpo! Ma per capire di più penso al Bambino che cerca il latte della Madre e dico: il Verbo si è fatto fame.

Non gli angeli, ma una ragazza inesperta e generosa si occupa di Lui: Dio si è fatto bisogno.

Penso agli abbracci che Gesù ha ricevuto e poi ha riservato ai piccoli e agli amici e dico: il Verbo si è fatto carezza.

Penso al pianto di Gesù davanti alla tomba dell’amico Lazzaro e dico: Dio si è fatto lacrime.

Penso a quel petalo di fango che Gesù stende sugli occhi del cieco e dico: il Verbo si è fatto polvere, mano e saliva, e occhi nuovi.

Poi penso alla Croce e dico: Dio si è fatto agnello, carne che grida di dolore.

Colui che ha riempito il cielo con miliardi di galassie, l’inventore dell’universo si fa piccolo e ricomincia da Betlemme, da una mangiatoia. Ci deve essere qualcosa di vero in tutto ciò, non può trattarsi di un inganno, è troppo diverso da tutto ciò che pensiamo.

Colui che ha separato luce e tenebra, firmamento e terra si fa inchiodare su una Croce. Ci deve essere, per forza, qualcosa di vero in questo troppo disarmato amore.

E se della storia di Gesù i due vertici, i due estremi sono una mangiatoia e una croce questa nostra fede non può essere una illusione. A Betlemme non c’è nessun inganno, nessun raggiro, nessuna menzogna, lo garantiscono la mangiatoia e un gruppo di pastori, odorosi di lana e di latte.

Avvolti da una nuvola di canto: “Pace in terra agli uomini che Dio ama”. Tutti, nessuno escluso, tutti amati

E loro vanno dove l’angelo aveva detto. E’ così bello che Luca prenda nota di questa unica visita.

E’ bello per tutti i poveri, gli ultimi, gli anonimi, i dimenticati. I pastori facevano un lavoro disprezzato e impuro, mai in sinagoga, sempre persi dietro i loro agnelli, e Dio li sceglie. Sceglie la via della periferia. Betlemme non si accorge di essere la culla di Dio.

Questi nostri paesi non vedono che sono la porta di Dio.

Eppure chissà quanti uomini e donne e bambini, i più veri, sanno ascoltare la buona novella: Dio come un abbraccio, come un pane.

Gli angeli a Betlemme si rivolgono agli ultimi della fila e questi diventano i primi…

La grande ruota della storia aveva sempre girato in un unico senso, dal basso verso l’alto, dal piccolo verso il grande, dal debole verso il forte. Quando Dio si fa Figlio di una donna, il movimento del meccanismo della storia si inceppa. E poi riprende a scorrere nel senso opposto, nel senso del Forte che si fa servo del debole, dell’Eterno, che cammina fra l’età dell’uomo. Il fiume di fuoco si abbrevia in una scintilla, il tutto nel frammento.

Natale è l’inizio di un capovolgimento, di un nuovo ordinamento di tutte le cose.

Natale non è ricordare un compleanno, è profezia.

Non è facile il Natale, una festa drammatica, tutta la violenza del mondo contraddice gli angeli di Betlemme, tutte le lacerazioni contraddicono il sogno della pace.

E viene un dubbio: se fosse tutto una illusione generata dal bambino che vive in noi? Se fossimo rimandati a Dio, rimbalzati fino a Lui soltanto dalla paura e dai disastri della storia? Se la fede fosse figlia della paura?

Ma a Betlemme è accaduto l’opposto, è Dio che è venuto fino a noi, è Lui che ha bisogno di noi, per questa sua passione di unirsi all’amato, in questa passione d’abbracci, di pane mangiato.

 

Ora è il tempo del nostro Natale, Cristo nasce perché io nasca in lui, che io nasca così piccolo e così libero da essere incapace di aggredire, di odiare, di minacciare, di umiliare.

Lo dico con le parole di Ambrogio: “Se Gesù Cristo fosse nato mille volte a Betlemme ma non nasce in te allora è nato invano.”

Io non conosco nessuna prova che dimostri che il Natale è vero. Avrò sempre domande dentro, e molte. Ma c’è un bambino in me che a Natale sa ascoltare ancora il brusìo degli angeli; c’è un bambino in me, tu gli parli di Dio e lui lo sente respirare, gli dici che è Natale e lui vede un volo di angeli che aprono la strada.

C’è in me, però, anche un uomo disilluso che ritiene il Natale una festa ormai pagana, che ha visto il cielo perdere le stelle e brillare di luci illusorie; gli dici ‘Betlemme’ e lui contesta che duemila anni di storia hanno portato solo al moltiplicarsi dei posti di blocco, a un muro alto sette metri che separa Betlemme dal resto del mondo e taglia in due quella che è la casa del pane.

Ma in me c’è, oltre al bambino, oltre all’uomo disilluso, in me c’è anche un uomo che crede e prega così:

Mio Dio, mio Dio Bambino / povero come l’amore / piccolo come un piccolo d’uomo / umile come la paglia dove sei deposto. / Mio piccolo Dio / che impari a vivere questa nostra stessa vita / che domandi attenzione e protezione / mio Dio incapace di difenderti / e di aggredire e di fare del male / mio Dio che vivi soltanto se sei amato / che altro non sai fare che amare / e domandare amore, / insegnami che non c’è altro senso / non c’è altro destino che diventare come Te / Colui che cinge per sempre in un abbraccio / l’amarezza di ogni sua creatura / malata di solitudine.

 

 

Preghiera alla comunione (L. Verdi)

Abita in mezzo a noi, Signore, con la tua presenza leggera.

Facci tremare davanti al tuo sguardo chiaro.

Tu hai portato poesia nel cuore dell’universo,

hai riaperto le porte, risvegliato la primavera,

Tu il presente e l’avvenire, Tu la forza e l’amore.

Il tuo tocco amoroso benedice ogni povertà.

Nato come ogni uomo

fremente di luce, ruvido di terra,

mormorante d’acqua e di vento,

nato per ricordarci

che ci vuole vita per amare la vita.

Nato in una notte di respiro su respiro

notte che si fece intima

con il dono della tua nudità.

In questo giorno aiuta il nostro sguardo

a non allontanarsi da Te,

un’ansia di luce

morda gli uomini

che non sognano più.

 

 

 

Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi

Cosa resterà di noi alla fine? L’amore dato e ricevuto

Solennità di Cristo, Re dell’ Universo – 2017

XXXIV Domenica – tempo ordinario – Anno A

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. […]

Il Vangelo dipinge una scena potente, drammatica che noi siamo soliti chiamare il giudizio universale. Ma che sarebbe più esatto definire invece “la rivelazione della verità ultima, sull’uomo e sulla vita”. Che cosa resta della nostra persona quando non rimane più niente? Resta l’amore, dato e ricevuto.

Avevo fame, avevo sete, ero straniero, nudo, malato, in carcere: e tu mi hai aiutato. Sei passi di un percorso, dove la sostanza della vita ha nome amore, forma dell’uomo, forma di Dio, forma del vivere. Sei passi per incamminarci verso il Regno, la terra come Dio la sogna. E per intuire tratti nuovi del volto di Dio, così belli da incantarmi ogni volta di nuovo.

Prima di tutto Gesù stabilisce un legame così stretto tra sé e gli uomini da arrivare fino a identificarsi con loro: l’avete fatto a me. Il povero è come Dio! Corpo di Dio, carne di Dio sono i piccoli. Quando tocchi un povero è Lui che tocchi.

Poi emerge l’argomento attorno al quale si tesse l’ultima rivelazione: il bene, fatto o non fatto. Nella memoria di Dio non c’è spazio per i nostri peccati, ma solo per i gesti di bontà e per le lacrime. Perché il male non è rivelatore, mai, né di Dio né dell’uomo. È solo il bene che dice la verità di una persona.

Per Dio il buon grano è più importante e più vero della zizzania, la luce vale più del buio, il bene pesa più del male.
Dio non spreca né la nostra storia né tantomeno la sua eternità facendo il guardiano dei peccati o delle ombre. Al contrario, per lui non va perduto uno solo dei più piccoli gesti buoni, non va perduta nessuna generosa fatica, nessuna dolorosa pazienza, ma tutto questo circola nelle vene del mondo come una energia di vita, adesso e per l’eternità.

Poi dirà agli altri: Via, lontano da me… tutto quello che non avete fatto a uno di questi piccoli, non l’avete fatto a me.
Gli allontanati da Dio che male hanno commesso? Non quello di aggiungere male a male, il loro peccato è il più grave, è l’omissione: non hanno fatto il bene, non hanno dato nulla alla vita.

Non basta giustificarsi dicendo: io non ho mai fatto del male a nessuno. Perché si fa del male anche con il silenzio, si uccide anche con lo stare alla finestra. Non impegnarsi per il bene comune, restando a guardare, è già farsi complici del male comune, della corruzione, delle mafie, è la “globalizzazione dell’indifferenza” (papa Francesco).

Ciò che accade nell’ultimo giorno mostra che la vera alternativa non è tra chi frequenta le chiese e chi non ci va, ma tra chi si ferma accanto all’uomo bastonato e a terra, e chi invece tira dritto; tra chi spezza il pane e chi si gira dall’altra parte, e passa oltre. Ma oltre l’uomo non c’è nulla, tantomeno il Regno di Dio.

(Letture: Ezechiele 34,11-12.15-17; Salmo 22; 1 Corinzi 15,20-26.28; Matteo 25,31-46)

https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/cosa-restera-di-noi-alla-fine-l-amore-dato-e-ricevuto

 

 

Che cosa resta della nostra persona
quando non rimane più niente?
Resta l’amore, dato e ricevuto.

Avevo fame, avevo sete,
ero straniero, nudo,
malato, in carcere:
e tu mi hai aiutato.

Sei passi di un percorso,
dove la sostanza della vita ha nome amore,
forma dell’uomo,
forma di Dio,
forma del vivere.
Sei passi per incamminarci verso il Regno,
la terra come Dio la sogna.
E per intuire tratti nuovi del volto di Dio,
così belli da incantarmi ogni volta di nuovo.

… l’argomento attorno al quale si tesse l’ultima rivelazione: il bene, fatto o non fatto.
Nella memoria di Dio non c’è spazio per i nostri peccati, ma solo per i gesti di bontà e per le lacrime. Perché il male non è rivelatore, mai, né di Dio né dell’uomo.
È solo il bene che dice la verità di una persona.

(Ermes Ronchi – Solennità di Cristo, Re dell’ Universo – Anno A )

https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/cosa-restera-di-noi-alla-fine-l-amore-dato-e-ricevuto

 

 

 

Donami amore, Signore, che come il vento del mattino ripulisca il viso della terra e addolcisca gli occhi.

Donami amore che aggiunga speranza quando la speranza dispera.

Donami amore che raccolga tutte le preghiere uscite dal cuore, che mi faccia vulnerabile alle lacrime e al riso.

Donami amore che riduca la distanza dalle altre creature, Donami amore nel passato che mi riassorbe, nel presente per la fioritura del mio cuore.

 

ERMES RONCHI XXX domenica A (novembre 2017)

Libri di p. Ermes Ronchi: https://www.ibs.it/libri/autori/Ermes…

 

ALCUNI LIBRI DI PIER ANGELO PIAI GUARIRE LA MENTE PER GUARIRE IL CORPO: http://www.edizionisegno.it/libro.asp…

LA SPIRALE DELLA VITA (riedizione) :    http://www.edizionisegno.it/libro.asp…

L’ANIMA ESISTE ED È IMMORTALE ed. Segno http://www.edizionisegno.it/libro.asp…

“LA FORZA DELLA FRAGILITÀ” ed.Segno (In questo mio libro troverete preghiere per molti stati d’animo e situazioni personali) http://www.edizionisegno.it/libro.asp….

VERSO L’ETERNITÀ (commenti su 4 anni di messaggi della Regina della Pace) http://www.edizionisegno.it/libro.asp…

LA STIMMATIZZATA DI UDINE (Storia autentica di Raffaella Lionetti, dotata di speciali carismi) http://www.edizionisegno.it/libro.asp…

FIAMMA D’AMORE DEL CUORE IMMACOLATO DI MARIA http://www.edizionisegno.it/libro.asp…

CONCETTA BERTOLI – La donna che vide la terza guerra mondiale http://www.edizionisegno.it/libro.asp…

IL RESPIRO DELL’ANIMA INNAMORATA http://www.edizionisegno.it/libro.asp…

MARCELLO TOMADINI  il pittore fotografo dei lager   https://www.edizionisegno.it/libro.as…

 

Se volete essere aggiornati sui nuovi video che realizzo (più di 2200) iscrivetevi al mio canale youtube “piaipier”: http://www.youtube.com/user/piaipier a cura di https://www.mondocrea.it

 

 

 

 

1° NOVEMBRE 2017 – TUTTI I SANTI –

Ap 7,2-4. 9-14 – Rom 8,28-39 – Mt 5, 1-12

 

Festa di Tutti i Santi, di tutti i poveri, i buoni, i pacificati, misericordiosi, sognatori di cieli nuovi e terra nuova. Festa dei santi di casa, che hanno vissuto al nostro fianco e ci hanno insegnato il mestiere di vivere e l’arte di amare. I genitori, che ci hanno insegnato come ci chiamiamo e come ci si comporta con gli altri…

 

Omelia

Le beatitudini raccontano di un Dio che regala gioia a chi genera bontà, che regala vita a chi produce amore.

Gandhi le definiva le parole più alte che l’umanità abbia ascoltate, sono un vulcano di nostalgia prepotente di un mondo fatto di bontà e di giustizia, di occhi limpidi.

Percorrere queste otto piste rende più bella la vita, più umana la storia.

Perché sono i poveri i pilastri segreti della terra, e non i ricchi.

Gli affamati di giustizia sono i legislatori nascosti della storia, quelli che non valgono agli occhi avidi del mondo, e quelli che hanno il cuore bambino, i tessitori segreti della pace.

La parola beatitudine è un termine un po’ pallido. Ma nella Bibbia “Beato” indica qualcosa di energico: non un generico essere contento, gioioso, soddisfatto. Ma qualcosa di più che capiamo dalla prima parola del primo salmo, che comincia così: beato l’uomo.

Ma quale uomo? l’uomo che cammina sulla via della giustizia… Allora beato si dovrebbe tradurre così: in piedi, in cammino, avanti, in marcia, voi poveri, Dio cammina e lotta con voi.

In piedi quanti amate la pace; avanti, non fermatevi, Dio è dalla vostra parte, cammina con voi.

Alzatevi, voi che siete contro la violenza, la terra vi appartiene.

Avanti quelli che hanno fame di giustizia, è vero pane, pane buono.

E ci sorprende che il vangelo non si rivolga ai migliori, i più bravi, i più devoti o intelligenti. O a quelli che non hanno peccati, che non hanno problemi nella vita.

Le locomotive della storia, piccole o grandi, quelle che tirano avanti, anche di un solo passo, tutto il mondo, sono coloro che assomigliano a questi otto tipi umani, ai poveri, i buoni, i pacificati, misericordiosi, sognatori di cieli nuovi e terra nuova, e a Gesù, volto alto e puro dell’uomo, che li riassume tutti.

Le beatitudini sono la bella notizia che i somiglianti a Cristo vivono meglio e umanizzano il mondo.

Sono parole che ti portano al cuore delle relazioni umane.

Ed è una sorpresa vedere che Gesù, in queste otto parole, non si riferisca mai a comportamenti religiosi. Non dice beati quelli che pregano molto, i molto devoti, i frequentatori assidui di chiese.

Ma i poveri, gli affamati, i misericordiosi, quelli delle lacrime, quelli della pace e della non violenza. Sono atteggiamenti umani, è la santità delle case, delle strade, della vita quotidiana.

È la religiosità della vita. Dentro questi comportamenti c’è Dio, che semina la sua vita, e innesta eternità e gioia.

Allora riprendiamoci i santi. Che non sono quelli che fanno miracoli, i taumaturghi, gli asceti del no, ma gli uomini dalla vita intensa, che hanno dato qualcosa, un po’, o molto alla vita. Che non hanno fatto cose straordinarie, ma si sono appassionati per la trasparenza del cuore, e si sono presi cura della giustizia, della pace, della felicità di qualcuno.

Non dei campioni, degli eroi duri e puri, o realizzatori di grandi opere. Gesù ha canonizzato una povera vedova che aveva offerto due centesimi per il tempio, un niente ma pieno di cuore. Ha fatto santo Zaccheo, ricco, ladro, odiato, capo degli impuri di Gerico, quello che si dice un caso disperato! Io sto con loro.

Perchè il Paradiso non è pieno di santi, ma di peccatori perdonati, di gente proprio come noi, come me.

Che tentiamo di seguire Cristo.

Nel Credo diremo: credo la comunione dei santi…

C’è nella storia, e la conosciamo bene, una comunione dei malvagi che si spalleggiano tra loro; una rete di violenti e corrotti che umilia, offende, inquina la nostra terra.

Noi la vediamo, ma non crediamo in essa, non le accordiamo fiducia. Io so che i potenti, i forti, i ricchi dominano, ma io non credo in loro.

Credo invece nella comunione dei santi, nei buoni che fanno rete tra loro e che, senza neppure saperlo, sostengono il mondo.

Credo nella catena di solidarietà dei buoni, degli onesti, dei miti, dei generosi, in questo legame umile e fortissimo che si oppone alla rete dei violenti e dei corrotti. E che con piccoli gesti rammendano tenacemente il tessuto continuamente lacerato del mondo.

Io credo che il futuro dell’umanità è comunione, credo che in ognuno c’è l’orma di ognuno, che i valori si salvano insieme. Non si vince da soli!

Credo anche che un pensiero di pace pensato nella grotta più nascosta da un eremita silenzioso, o da te nel silenzio della tua camera, non resta senza effetto,

Credo nella comunione dei buoni:

Le mie braccia aperte sono appena l’inizio del cerchio

che un amore più vasto compirà (Margherita Guidacci).

Ognuno è inviato alla terra come braccia aperte, punto caldo di un vasto cerchio d’amore.

Ascolto le beatitudini, il manifesto più stravolgente e contromano che sia dato ascoltare. Mi fido di loro. Credo che il bene è più forte del male, che la luce è più forte del buio, che la purezza è più umana della volgarità, la pace più umana della guerra, la giustizia migliore dell’accumulo di denaro. Altrimenti perché varrebbe la pena vivere e lottare e credere?

Credo nella forza dei giusti e dei miti, dei non violenti sola forza invincibile, e la mia fede è rafforzata dalla tua fede; il mio cuore si fa più pulito nella comunione con chi ha occhi più limpidi dei miei.

Qui nel tempo e poi nell’eterno, santi e peccatori si tengono per mano, e i santi trascinano gli altri in alto, su, verso la vita.

E se non avremo molto da offrire al Signore nell’ultimo giorno, ci presenteremo a lui come mendicanti, ricchi solo di speranze.

E credo che per ciascuno di noi il Padre buono dirà:

Vieni figlio, il tuo desiderio di amore era già amore.

Vieni figlio, sognatore, devoto, vagabondo, poco importa, vieni.

E se anche hai infranto mille volte le tue promesse, vieni.

Vieni, nonostante tutto, vieni,

con i tuoi tesori in vasi di argilla,

con i tuoi gesti pieni di cuore, vieni!

Nulla mai ti separerà dall’amore.

 

 

 

 

 

 

 

 

PREGHIERA alla comunione

 

Signore, tu che regali vita

a chi produce amore,

tu che non convochi eroi nella tua casa,

ma uomini e donne veri,

vedi, qualche volta, lo sono anch’io.

 

Fammi restare davanti a te,

semplicemente, come un bambino,

a mani aperte, a cuore aperto,

con fame di abbracci.

 

Donami occhi puri che sappiano vedere te

nel sorriso e nella croce,

nei colori dell’autunno

nel piccolo animale

e nel tappeto di galassie su cui cammini.

 

Donami orecchi attenti che ti ascoltino

nel silenzio e nell’orchestra di tutto il creato,

nelle lacrime dei fratelli e nella loro gioia.

 

La tua voce, Signore, fammi sentire,

la tua voce che sussurra:

Vieni, chiunque tu sia,

vieni così come sei

sognatore, devoto, vagabondo, vieni.

Il tuo desiderio di amore era già amore.

 

Vieni, adesso nulla

ti separerà mai più

dall’amore di Dio.

 

p. Ermes Ronchi

 

 

 

Il vangelo a cura di Ermes Ronchi

XIV Dom. T. O. Anno A – luglio 2017

Il pane d’amore per il nostro cuore stanco

In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

È un periodo di insuccessi per il ministero di Gesù: contestato dall’istituzione religiosa, rifiutato dalle città attorno al lago, da una generazione che non esita a definire «di bambini» (Mt 11,16), Gesù ha improvvisamente come un sussulto di stupore, gli si apre davanti uno squarcio inatteso, un capovolgimento: Padre, ho capito e ti rendo lode. Attorno a Gesù il posto sembrava rimasto vuoto, si erano allontanati i grandi, i sapienti, gli scribi, i sacerdoti ed ecco che il posto lo riempiono i piccoli: poveri, malati, vedove, bambini, i preferiti da Dio.

Ti ringrazio, Padre, perché hai parlato a loro, e loro ti hanno capito. I piccoli sono le colonne segrete della storia; i poveri, e non i potenti, sono le colonne nascoste del mondo. Gesù vede e capisce la logica di Dio, la sua tenerezza comincia dagli ultimi della fila, dai bastonati della vita. Non è difficile Dio: sta al fianco dei piccoli, porta quel pane d’amore di cui ha bisogno ogni cuore stanco… E ogni cuore è stanco. Di un segno d’affetto ha estremo bisogno l’animo umano: è la vera lingua universale della Pentecoste, che ogni persona dal cuore puro capisce, in ogni epoca, su tutta la terra.

Gesù che si stupisce di Dio; mi incanta, è bellissima questa meraviglia che lo invade e lo senti felice, mentre le sue parole passano dal lamento alla danza. Ma poi non basta, Gesù fa un ulteriore passo avanti.

Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro, non un nuovo sistema di pensiero, non una morale migliore, ma il ristoro, il conforto del vivere. Anche per me e per te, nominare Cristo deve equivalere a confortare la vita. Le nostre prediche, i tanti incontri devono diventare racconti di speranza e di libertà. Altrimenti sono parole e gesti che non vengono da lui, sono la tomba della domanda dell’uomo e della risposta di Dio. Invece là dove le domande dell’uomo e la bellezza del Dio di Gesù si incontrano, lì esplode la vita.

Imparate da me… Andare da Gesù è andare a scuola di vita. Imparate dal mio cuore, dal mio modo di amare, delicato e indomito. Il maestro è il cuore. Se ascolti per un minuto il cuore, scrive il mistico Rumi, farai lezione ai sapienti e agli intelligenti!

Il mio giogo è dolce e il mio peso è leggero: dolce musica, buona notizia. Il giogo, nella Bibbia, indica la Legge. Ora la legge di Gesù è l’amore. Prendete su di voi l’amore, che è un re leggero, un tiranno amabile, che non colpisce mai ciò che è al cuore dell’uomo, non vieta mai ciò che all’uomo dà gioia e vita, ma è instancabile nel generare, curare, rimettere in cammino. Cos’è l’amore? È ossigeno. Che se la vita si è fermata, la attende, la impregna di sé e le ridona respiro.

(Letture: Zaccaria 9,9-10; Salmo 144; Romani 8,9.11-13; Matteo 11,25-30)

http://buff.ly/2uxsMfJ

 

https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/il-pane-d-amore-per-il-nostro-cuore-stanco?utm_content=bufferd71aa&utm_medium=social&utm_source=facebook.com&utm_campaign=buffer

 

Domenica VIII Matteo 6,24-34

Il vangelo inizia con un affondo: non potete servire Dio e la ricchezza. Nella bibbia, il rivale di Dio non è mai il peccato. Dio assedia di cure il peccatore, ama il fragile, e forse un giorno troverà la strada della vita. Il vero rivale di Dio, il muro davanti al quale la sua potenza d’amore si spegne, è la ricchezza, cioè l’interesse, la convenienza, il proprio vantaggio.

Il grande idolo nella bibbia è il denaro. Infatti, la prima delle beatitudini, la più importante, dice: beati i poveri, perché di essi è il Regno di Dio. Non saranno i ricchi a portare sulla terra il mondo che Dio sogna; non saranno quelli che cercano il proprio vantaggio a creare un futuro buono per tutti.

Perciò io vi dico: Non preoccupatevi. Per tre volte Gesù ripete questo invito, rasserenante e costruttivo: non affannatevi, non abbiate quell’affanno, quell’ansia che toglie il respiro, per cui non esistono feste o domeniche, non c’è tempo di fermarsi a guardare negli occhi la vita, a parlare con chi si ama. Per cui si ha paura del domani.

Non preoccupatevi. E come si fa per non sentire questa stretta allo stomaco, quando sembra che mi manchi l’aria? Gesù dà la risposta: Guardatevi intorno, guardate gli uccelli.

Il primo mezzo che Gesù indica è l’attenzione, lo sguardo contemplativo, lo sguardo intelligente: guardate per imparare. Usate l’intelligenza per capire la legge della vita. Guarda, la vita racconta Dio.

Allora non guardare solo a te stesso, o non ti illumini mai. Guardatevi attorno, non siete voi il centro del mondo. Oggi mi sono alzato, ho guardato fuori, i campi bianchi di brina e poi: il sole, ma è da incanto, è da brividi una giornata così! Vuoi uscire dall’ansia? guardati intorno. Guarda gli occhi di una creatura, naviga per occhi, fossero anche quelli piccolissimi di un uccello o di un fiore!

Guardate e salvate la capacità di godere delle cose vive che ogni giorno il Padre mette sulla vostra strada o dentro il vostro spazio vitale.

Poi viene un secondo mezzo. Dopo l’intelligenza, usa il cuore. Che Gesù convoca così: Tu vali per il Padre. Tu conti per lui.

Non seminano, non mietono, eppure Il Padre vostro li nutre. Non valete voi più di molti passeri? Si arriva diritti al cuore di Dio. Tu vali! Dio non si dimentica: può una madre dimenticarsi del suo figliolo? Se anche una madre si dimenticasse, io non mi dimenticherò di te, mai (Isaia 49,14-15, Prima Lettura). Mai, parola divina.

Non che tutto sia risolto, non che tutto vada diritto, non che sei assicurato contro gli infortuni della vita. Non arriva per posta il pane o per Amazon; guardate bene: anche gli uccellini devono andare a cercarsi l’insetto o il piccolo seme, di albero in albero. Ma non ti affannare. Cerca, vivi quel sano equilibrio tra il non fare e l’essere travolto.

Ma li vedete i gigli del campo, le viole o le primule? Domani non ci sono più, ma guardate la loro bellezza! Dio è bellezza. Gesù parla della vita con le parole più semplici e a lei più proprie: coglie dei pezzi di terra, li raduna nella sua parola e il cielo appare, e il Padre appare.

Gesù osserva la vita e nascono parabole.

Osserva la vita e questa gli parla di fiducia.

Gli parla di Dio, del suo prendersi cura di un fiore, di un Dio giardiniere.

 

Non preoccupatevi di cosa mangerete, di cosa berrete. Il Padre vostro sa di cosa avete bisogno. L’azione del Padre precede la richiesta, addirittura precede il bisogno. Che bello, questo anticipo. Non solo nel momento in cui tu lo chiami, ma prima ancora, Lui sa. Tu, fidati.

Ed ecco una frase da scolpire, da mandare a memoria: cercate prima di tutto il regno di Dio, cercate una società giusta dove non domini il possedere ma il condividere; dove non ci sia la scalata a comandare ma la gioia di servire; non il salire, ma lo scendere e l’inginocchiarsi accanto, a millimetro di cuore.

Il regno di Dio è questa terra nuova, un mondo altro, una società alternativa, dove non guardi solo a te stesso, ma ti guardi attorno con intelligenza e cuore, vedi la bellezza e il bisogno, dove ti occupi di tuo fratello, e sai che Dio si occuperà di te.

 

Con il ripetere per tre volte “non preoccupatevi”, Gesù ci accompagna in tre passi vitali: dall’intelligenza, al cuore, alla fede. Il Vangelo oggi ci pone la questione della fiducia. Dove metti la tua fiducia?

La fede ha questi tre passi: ho bisogno, mi fido, mi affido.

Gesù sceglie gli uccelli, esseri liberi, quasi senza peso, senza gravità, che sono una nota di canto e di libertà nell’azzurro. Lasciatevi attirare come loro dal cielo, volate alto e liberi! Vivete affidàti.

Affidatevi e non preoccupatevi. Non un invito al fatalismo, in attesa che Qualcuno dall’alto risolva i problemi, perché la Provvidenza non conosce uomini seduti, ma solo uomini in cammino (don Calabria): se Dio nutre creature che non seminano e non mietono, quanto più voi che seminate e mietete.

Non preoccupatevi, il Padre sa. E nutre la vita. Guardate la potenza della vita: Dio non si stanca neanche di un passerotto, figuriamoci se ci abbandona.

Non si stanca di una primula, vuoi che si stanchi di te che vali più di tutte le primule di questa e di tutte le primavere?

Ogni bambino che nasce è la dichiarazione solenne che Dio non si è stancato del mondo.

Non preoccupatevi, Dio sa. Ma come faccio a dirlo a chi non trova lavoro, non riesce ad arrivare a fine mese, non vede futuro per i figli, o ha una malattia grave? La Bibbia risponde, con la lettera di Giacomo. La ascoltiamo:

“Se uno è senza vestiti e cibo e tu gli dici, va in pace, non preoccuparti, riscaldati e saziati, ma non gli dai il necessario per il corpo, a che cosa ti serve la tua fede?” (Giacomo 2,16). Dio ha bisogno delle mie mani per essere Provvidenza nel mondo. Sono io, siamo noi, i suoi amici, il mezzo con cui Dio interviene nella storia. Io mi occupo di qualcuno e Lui, che veste di bellezza i fiori del campo, si occuperà di me.

 

Non preoccupatevi del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. Come oggi il Padre fa, così farà anche domani.

Non accumulare davanti a te tutti i problemi, e i rischi immaginari, e le ansie figlie delle tue paure.

A ciascun giorno bastano le sue difficoltà. Tu fidati: le difficolta sono risolte dal Padre ogni giorno, giorno per giorno. Fidati, perché il contrario della paura non è il coraggio, è la fede!

Cercate prima di tutto il Regno.

Vuoi essere una nota di libertà nell’azzurro, come un passero?

Bello come un fiore?

Cerca prima di tutto le cose di Dio:

cerca solidarietà, generosità, fiducia, giustizia;

fìdati, e troverai ciò che fa volare,

ciò che fa fiorire!

 

p. Ermes Ronchi

 

 

 

 

 

p. Ermes Ronchi

 

IV domenica A Matteo 5,1-12

 

Davanti al vangelo delle beatitudini provo ogni volta il desiderio del silenzio, sento la paura di rovinarlo con i miei tentativi di commento.

Perché so di non averlo ancora capito. Perché dopo anni di ascolto e di lotta, questa parola continua a stupirmi e a sfuggirmi.

Non c’è prova o garanzia per queste affermazioni, eppure Gandhi diceva che queste sono “le parole più alte del pensiero umano”.

Pagina del vangelo affascinante e devastante, un contromano, un controcorrente totale alla logica del mondo.

In chiesa ci crediamo anche, ma appena usciamo ci accorgiamo che come programma per vivere nel mondo ci siamo scelti il manifesto più stravolgente e rovesciante che si possa immaginare.

Eppure le 8 beatitudini hanno, in qualche modo, conquistato la nostra fiducia, le sentiamo difficili eppure suonano amiche. Amiche perché non stabiliscono nuovi comandamenti, ma propongono la bella notizia che Dio regala vita a chi produce amore, che se uno si fa carico della felicità di qualcuno il Padre si fa carico della sua felicità.

 

Si può pensare che si tratti di una bella pagina verticale, un sesto grado, che io però io non riuscirò mai a scollinare.

Si può pensare che si tratti di una pia pagina illusoria, che Gesù ha pronunciato sul monte di Dio, ma figuriamoci se si realizzerà mai… Qualcuno (Niestche) ha anche pensato, leggendole, che il cristianesimo sia una religione da schiavi, da perdenti, da sottomessi, poveri, piangenti, deboli, miti, insomma si direbbe oggi da “sfigati”, da bastonati della vita.

Invece io sento, dentro le beatitudini, sapore di vita, il segreto per stare bene.

La prima cosa che mi colpisce è la parola: Beati.

Dio si allea con la gioia degli uomini, e se ne prende cura.

Il Vangelo mi assicura che il senso della vita è, nel suo intimo, nel suo nucleo profondo, ricerca di felicità.

Che questa ricerca è nel sogno di Dio, e che Gesù è venuto a portare una risposta. Attraverso una proposta che, come al solito, è inattesa, controcorrente, che srotola otto sentieri che lasciano senza fiato: felici i poveri, gli ostinati a proporsi giustizia, i costruttori di pace, quelli che hanno il cuore dolce e occhi bambini, i disarmati, quelli che sono coraggiosi perché inermi. Sono loro la sola forza invincibile (Turoldo).

Ma il punto di svolta, lo snodo sintattico delle frasi è nel perché; perché di essi è il regno, perché possiederanno la terra, perché vedranno Dio…

I poveri non sono beati perché poveri, ma perché se stai dalla loro parte trovi la strada per un futuro buono per tutti.

Dio non ama la sofferenza, ma il consolare lo stare con chi è solo, con chi piange.

È quello che intende fare la Chiesa delle periferie, anzi la chiesa con le periferie nel cuore, come dice Francesco, quella degli ultimi della fila, la chiesa in uscita.

Beati i poveri in spirito dice Matteo; in o per lo spirito, credo significhi: beato chi ha scelto per un motivo grande, di condividere e spezzare il suo pane con gli altri; chi ha scelto, in nome dell’umano, la vita sobria e solidale: avere meno, perché tutti abbiano il necessario.

Sobrietà e solidarietà. Perché solo il pane nostro è pane di Dio. Questo è il modo per essere poveri in o per lo spirito.

Per capire qualcosa in più del significato della parola ‘beati’ osservo anche come essa ricorra già nel primo dei 150 salmi, quello delle due vie, anzi sia la parola che apre l’intero salterio: “Beato l’uomo che non resta nella via dei peccatori, che cammina sulla via giusta”. E ancora nel salmo dei pellegrinaggi: “beato l’uomo che ha la strada nel cuore” (Sl 84,6).

Dire beati è come dire: In piedi voi che piangete; avanti, in cammino, Dio cammina con voi, è sulla vostra strada, asciuga lacrime, fascia il cuore, apre sentieri”. Dio conosce solo uomini in cammino.

Beati: non arrendetevi, voi i poveri, i vostri diritti non sono diritti poveri, i diritti dei deboli non sono deboli diritti.

Le beatitudini sono il più grande atto di speranza del cristiano. Indicano la via: il mondo non è e non sarà, né oggi né domani, sotto la legge del più ricco e del più forte. Il mondo appartiene a chi lo rende migliore, non a chi lo compra.

La terra non sarà resa migliore da chi accumula più denaro. I potenti si difendono, hanno paura, vogliono mantenere e conservare ciò che possiedono. Non sono beati perché non hanno sentieri nel cuore.

 

Mi azzardo a immaginare gli occhi di Gesù oggi, le sue mani oggi, la sua voce oggi. Lui, che era il vento della storia, verso dove ci spingerebbe? Verso dove farebbe segno agli amici? Siamo come una barca in rada,
con le vele afflosciate,
annusiamo il vento.
E in queste pagine lo senti alzarsi, il vento dello spirito, senti un richiamo, un grido, un urlo, che giunge a noi, compagni a riva,
perché diventiamo soci di sconfinamenti,
viviamo il sogno dell’azzardo.

Oggi che ascoltiamo alzarsi contro-beatitudini, che ascoltiamo rabbrividendo urla di populismi deliranti, vediamo con un disagio fisico l’innalzamento di muri minacciosi, che assistiamo indignati al respingimento disumano degli ultimi. Oggi immagino che avrebbe occhi tristi, per avvento di disumanità, per tradimento del vangelo, per devastanti false beatitudini. Ci stiamo abituando all’orrore. Dove tutti fregano tutti. Ci salvano queste poche parole, pagine che danno vento alle vele, che ci mettono ali.

E se ti chiedessimo Signore che cosa fare, da dove cominciare? Forse oggi non ci manderesti sulle piazze, ci diresti di creare cenacoli di resistenza. E che siano grumo di lievito nella pasta, fermento non nel gelo dei palazzi, ma là dove si vive, si soffre, si muore, nelle “periferie”, come invita il vescovo di Roma che tu dall’alto benedici.

Non è ora di tirare i remi in barca. E’ ora che si ricominci. Con piccole cose, e molta convinzione.

La logica delle beatitudini ti cambia il cuore sulla misura di quello di Dio. Che non è imparziale,

ha un debole per i deboli,

incomincia dalle periferie della storia,

ha scelto ciò che nel mondo è povero e malato

per cambiare radicalmente il mondo,

per fare una storia che avanzi

non per le vittorie della forza,

ma per seminagioni di giustizia

e raccolti di pace.

 

 

Preghiera

Beati voi poveri, che avete il cuore al di là delle cose;

Beati voi che sapete piangere,

Dio ricomporrà ogni lacerazione, asciugherà ogni lacrima;

Beati voi che non usate armi,

solo voi darete sicurezza alla terra;

Beati voi che avete fame di giusti rapporti con tutte le cose,

a voi Dio darà in risposta una grande armonia con tutto ciò che vive;

Beati voi che guardate tutti con amore e che scusate tutti,

sarete amati e scusati sempre;

Beati gli operai silenziosi della pace,

i tessitori del meglio segreto;

Beati gli ostinati a proporsi la giustizia;

Beate le mani nude dei miti;

Beati quanti hanno compreso la logica di Dio,

che si impossessa di te

ma poi ti fa libero come nessuno saprà mai,

che ti fa spoglio eppure ricco,

apparentemente battuto e invece protagonista,

con occhi così chiari da affascinare.

E allora Dio trasparirà dal fondo della tua anima. Amen

p. Ermes Ronchi

1 Giugno 2016

Messaggio della Madonna di Medjugorje

 

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I 10 SEGRETI DI MEDJUGORJE (di Padre Livio Fanzaga):

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VIDEO RELATIVI AI MESSAGGI DELLA MADONNA DI MEDJUGORJE

PLAYLIST RELATIVA A MEDJUGORJE (MESSAGGI E COMMENTI IN VIDEO)
https://www.youtube.com/playlist?list=PL_I8V9Z5YmOY_O1E9krjhlTo3O_k-L-6y

LE APPARIZIONI DELLA MADONNA A PORZUS – Nuova versione

6 luglio 2005

Il Catechismo della Chiesa Cattolica in mp3

IL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA IN AUDIO

5 Gennaio 2010

REPORT SUL 21° SECOLO

Attraverso un
fantascientifico viaggio nel tempo, l’autore del libro, Pier Angelo
Piai, desidera sensibilizzare il lettore a prendere coscienza del
nostro comune modo di pensare ed agire, noi del 21° secolo che ci
vantiamo di essere progrediti. In che cosa consiste, allora, la vera
evoluzione della specie umana?
Quando l’uomo potrà diventare davvero integrale?
Report
cerca di dare alcune risposte ai moltissimi interrogativi che emergono
in queste pagine scritte attraverso riflessioni e  considerazioni
sociologiche, antropologiche e filosofiche.

6 Luglio 2005

6 luglio 2005 Il Catechismo della Chiesa Cattolica in mp3

IL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA IN AUDIO
Catechesi e omelie di padre Lino Pedron