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Molti sognano di diventare ricchissimi: “se avessi tanti soldi farei questo, farei quello, avrei più potere sugli altri, sarei piú rispettato ecc.”

Si sbagliano perché vedono la ricchezza come un prolungamento dell’io, in senso orizzontale.

Per questo sono poveri: si auto-limitano nelle cose destinate a perire prima o poi, pertanto vivono in un perenne stato di insoddisfazione.

É ricco, invece, chi é distaccato, nel senso che non ritiene prioritario prolungare se stesso nelle cose desiderando di possederle e rischiando di essere posseduto da esse.

Il vero ricco é colui che si fida del Signore e cerca la sua volontá giorno e notte… ” Il Signore é il mio pastore”

Ricordiamo che Egli é Amore Onnipotente, ed é proprio Lui che regge l’Universo e noi stessi…

 

 

 

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Gv 10,1-10 IV di Pasqua

 

A sera, i pastori erano soliti condurre il loro gregge in un recinto per la notte, un solo recinto serviva per diversi greggi. Al mattino, ciascun pastore gridava il suo richiamo e le sue pecore, riconoscendone la voce, lo seguivano (B. Maggioni).

Su questo sfondo familiare Gesù inserisce l’eccedenza della sua visione, dettagli che sembrano eccessivi e sono invece rivelatori: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome. Quale pastore conosce per nome le centinaia di pecore del suo gregge e le chiama a sé a una a una? Per Gesù le pecore hanno ciascuna un nome, ognuna è unica, irripetibile; vuole te, così come sei, per quello che sei.

E le conduce fuori. Anzi: “le spinge fuori”. Non un Dio dei recinti ma uno che apre spazi più grandi, pastore di libertà e non di paure. Che spinge a un coraggioso viaggio fuori dagli ovili e dai rifugi, alla scoperta di orizzonti nuovi nella fede, nel pensiero, nella vita. Pecore che non possono tornare sui pascoli di ieri, pena la fame, ma “gregge in uscita”, incamminato, che ha fiducia nel pastore e anche nella storia, nera di ladri e di deserti, ma bianca di sentieri e di sorgenti.

Il pastore cammina davanti alle pecore. Non abbiamo un pastore di retroguardie, ma una guida che apre cammini. Non un pastore alle spalle, che grida o agita il bastone, ma uno che precede e convince, con il suo andare tranquillo che la strada è sicura.

Le pecore ascoltano la sua voce. E lo seguono. Basta la voce, non servono ordini, perché si fidano e si affidano. Perché lo seguono? Semplice, per vivere, per non morire. Quello che cammina davanti, che pronuncia il nome profondo di ciascuno, non è un ladro di felicità o di libertà: ognuno entrerà, uscirà e troverà pascolo. Troverà futuro.

Io sono la porta: non un muro, o un vecchio recinto, dove tutto gira e rigira e torna sui suoi giri. Cristo è porta aperta, buco nella rete, passaggio, transito, per cui va e viene la vita di Dio. “Amo le porte aperte che fanno entrare notti e tempeste, polline e spighe. Libere porte che rischiano l’errore e l’amore. Amo le porte aperte di chi invita a varcare la soglia. Strade per tutti noi. Amo le porte aperte di Dio” (Monastero di San Magno).

Sono venuto perché abbiano la vita, in abbondanza. Questa è il vangelo che mi seduce e mi rigenera ogni volta che l’ascolto: lui è qui per la mia vita piena, abbondante, potente, vita ‘cento volte tanto’ come dirà a Pietro.

La prova ultima della bontà della fede cristiana sta nella sua capacità di comunicare vita, umanità piena, futuro; e di creare in noi il desiderio di una vita più grande, vita eterna, di una qualità indistruttibile, dove vivi cose che meritano di non morire mai.

 

p. Ermes Ronchi

 

Fb Gv 10,10

Io sono la tua porta

 

Per me, una delle fra­si più solari del Vangelo, dove poggia la mia fede, che mi rigenera ogni volta che l’ascolto: sono venuto per la vita piena, abbondante, gioiosa. Non quel minimo senza il quale non è vita, ma quella esuberante, eccessiva, che rompe gli argini e tracima, scialo di libertà e coraggio.

La parola “vita” lega tutta la Scrittura; è supplica nei Salmi: fa’ che io viva! Fammi camminare sui campi della vita! Giona si adira con Dio perché, invece di distruggere Ninive, è pastore per i centoventimila della città che non distinguono la destra dalla sinistra. Il primo dei comandamenti è: scegli la vita. Tutta la legge di Mosè introduce a questo: “Hai davanti a te la vita e la morte. Scegli!” E supplica, ti prega: scegli la vita! Vita è tutto ciò che pensiamo per riempire questo suono, è cambiare desiderio e mete, è gioia nelle terre di Dio.

Ancora, la piccola parola “vita” rende inconciliabili il pastore e il ladro. Unica condizione: ascoltare quella voce che chiama le pecore per nome, quel Gesù per cui non c‘è il gregge, ma ciascuno ha un volto.

Il pastore della vita entra nel recinto delle pecore. Lì egli pronuncia il mio nome e la mia verità: maestro capace di accogliere tutti i miei sentimenti. Sulla sua bocca il mio nome dice intimità, e lui mi chiama senza evocare nessun ruolo, autorità, funzione, attributo, riconoscendo il mio solo, puro e autentico io. Senza aggettivi.
Io sono la porta. Non muri o steccati a dividere; Cristo è passaggio, apertura, pasqua, breccia di luce, vita che entra ed esce. Lui è una porta sulla soglia dell’amore leale e sicuro, (chi entra attraverso di me si troverà in salvo); più forte di ogni prigione (potrà entrare e uscire), dove placare la fame e la sete della storia (troverà pascolo).

E le conduce fuori: il Dio degli spazi aperti!

Il pastore bello cammina davanti alle pecore. Non grida, non minaccia per farsi seguire, ma precede sicuro davanti a tutti a prendersi in faccia il sole e il vento! Lui, pieno di futuro, mi rassicura: tu non sei nel vecchio recinto dove si deve solo obbedire, sei nella vita definitiva, eterna, dove Qualcuno provvede manna per quarant’anni di deserto, pane per cinquemila, anfore colme fino all’orlo, acqua che diventa il miglior vino, pelle di primavera per il lebbroso, pietra rotolata per Lazzaro, vaso di nardo profumato a riempire la casa.

Dio non risponde ai miei bisogni essenziali, questo lo faranno altri, lui vuole per me la fioritura di tutto ciò che posso essere.

L’asse attorno alla quale danza il Vangelo è vita piena da parte di Dio, che un verso bellissimo di Giuseppe Centore canta così: “Tu sei per me ciò ch’è la primavera per i fiori!”. Senza te non esisto.

 

p. Ermes Ronchi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Siamo qui davanti a Te, o Signore, nascosto nel pane e nel vino, da Te trasformati, con la forza dello Spirito Santo, in tuo Corpo e tuo Sangue.

Ti rendiamo grazie di questa tua presenza, fatta speranza per le nostre città e per i nostri paesi, perché ritroviamo la gioia di camminare uniti e solidali. Cambia la nostra vita in uno stile di amore, vinci le nostre paure e trasforma il destino in progetto.

Fa’ di noi un solo popolo, radunato dalla tua mano di pastore, allontana le divisioni, abbatti i muri e fa’ crescere i ponti della gioia.

Fa’ che mangiando l’unico pane dell’altare, diveniamo un solo corpo in Te, spezzando in fraternità e letizia anche il pane sulle nostre tavole.

Benedici i nostri bambini, dà forza e lavoro ai giovani, serenità alle nostre case, conforto ai malati e agli anziani.

Al mondo intero dona giustizia e pace, pace per tutti, specie per chi viene da lontano, ci sia un cuore e una comunità che accoglie e condivide.

O Gesù, Pastore buono, dacci il gusto di una vita piena, che ci faccia camminare su questa terra come pellegrini, verso il traguardo della mensa celeste, dove tutti riuniti potremo cantare in eterno la tua lode.

Amen.

 

(di Mons. Bregantini)

 

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Da qualche parte si suggerisce di creare il movimento delle ORATE. Il termine “orata” deriva dalla caratteristica striscia di color oro che il pesce mostra fra gli occhi. Ma si presta anche ad un altro significato.

“Orate” (al plurale) in latino significa “PREGATE”. L’orata è un pesce molto sospettoso ed ha l’abitudine di girare l’esca tra le labbra più volte prima di ingoiarla.

Anche il cristiano, come l’orata, deve essere molto prudente per non cadere vittima dei suoi agguerriti avversari.

Questa prudenza si può ottenere nella preghiera allo Spirito Santo, il quale è ricco di doni per chi glieli chiede umilmente e con fede.

 

 

“È noto che i primi cristiani avevano un simbolo segreto: il pesce. Le lettere che formano la parola “pesce” in greco, quando scritte in maiuscolo (ΙΧΘΥΣ), formano un acronimo con le iniziali dell’espressione “Iēsous Christos Theou Yios Sōtēr“, che significa “Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore” (in greco antico Ἰησοῦς Χριστός, Θεοῦ ͑Υιός, Σωτήρ).

In questo modo, il pesce diventò uno dei primi simboli cristiani insieme all’immagine del Buon Pastore e in seguito al crocifisso. L’Ichthys era usato anche per indicare le catacombe cristiane durante le persecuzioni contro la comunità, di modo che solo i cristiani sapessero quali erano i tumuli dei loro correligionari.”

(ultimi brani tratti da https://it.aleteia.org/2017/03/27/perche-simbolo-segreto-cristiani-pesce/  )

 

Il movimento delle “ORATE”  dovrebbe costituire un forte richiamo al cristianesimo ed ha il compito di risvegliare le coscienze in base a quello che sta proponendo la Regina della Pace.

 

 

 

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Gv 1,29-34

Giovanni vedendo Gesù venire… Poter avere, come lui, occhi di profeta e so che non è impossibile perchè “vi è un pizzico di profeta nei recessi di ogni esistenza umana” (A. J. Heschel); vedere Gesù mentre viene, eternamente incamminato lungo il fiume dei giorni, carico di tutta la lontananza; mentre viene negli occhi dei fratelli uccisi come agnelli; mentre viene lungo il confine tra bene e male dove si gioca il tuo e, in te, il destino del mondo.

Vederlo venire (come ci è stato concesso a Natale) pellegrino dell’eternità, nella polvere dei nostri sentieri, sparpagliato per tutta la terra, rabdomante d’amore dentro l’accampamento umano, da dove non se ne andrà mai più.

Ecco l’agnello, il piccolo del gregge, l’ultimo nato che ha ancora bisogno della madre e si affida al pastore, che vuole crescere con noi e in mezzo a noi. Non è il “leone di Giuda”, che viene a sistemare i malvagi e i prepotenti, ma un piccolo Dio che non può e non vuole far paura a nessuno; che non si impone, ma si propone e domanda solo di essere accolto. Accolto come il racconto della tenerezza di Dio.

Viene e porta la rivoluzione della tenerezza, porta un altro modo possibile di abitare la terra, vivendo una vita libera da inganno e da violenza. “Amatevi, dirà, altrimenti vi distruggerete”, è tutto qui il vangelo.

Ecco l’agnello, inerme e più forte di tutti gli Erodi della terra. Una sfida a viso aperto alla violenza, alla sua logica, al disamore che è la radice di ogni peccato.

Viene l’Agnello di Dio, e porta molto di più del perdono, porta se stesso: Dio nella carne, il cromosoma divino nel nostro DNA, il suo cuore dentro il nostro cuore, respiro dentro il respiro, per sempre.

E toglie il peccato del mondo. Il verbo è al declinato al presente: ecco Colui che instancabilmente, infallibilmente, giorno per giorno, continua a togliere, a raschiare via, adesso ancora, il male dell’uomo.

E in che modo toglie il male? Con la minaccia e il castigo? No, ma con lo stesso metodo vitale, positivo con cui opera nella creazione. Per vincere il buio della notte Dio incomincia a soffiare sulla luce del giorno; per vincere il gelo accende il suo sole; per vincere la steppa semina milioni di semi; per vincere la zizzania del campo si prende cura del buon grano; per demolire la menzogna Lui passa libero, disarmato, amorevole fra le creature.

Il peccato è tolto: nel Vangelo il peccato è presente e tuttavia è assente. Gesù ne parla solo per dirci: è tolto, è perdonabile sempre! E come Lui, il discepolo non condanna, ma annuncia un Dio che dimentica se stesso dietro una pecora smarrita, un bambino, un’adultera. Che muore per loro e tutti li catturerà dentro la sua risurrezione.

: viene a guarire la radice della sua debolezza che chiede all’uomo di sognare insieme cieli nuovi e terra nuova.

L’agnello è un ‘no!’ di fronte al nostro ‘non c’è niente da fare’; un ‘no!’ in faccia al nostro ‘ così va il mondo‘.

Ma per che cosa sarà sacrificato l’Agnello di Dio?

Per pagare a Dio con una morte orrenda un debito dell’uomo? È la vecchia religione dei sacerdoti e del sistema dei sacrifici, che pensavano la salvezza dell’umanità come il pagamento di un debito: sarebbe questa la giustizia di Dio? La giustizia di Dio è misericordia, è rimettere i debiti, abbracciare il figlio prodigo, caricarsi sulle spalle la pecora perduta.

Il mondo non riesce, la terra non ce la fa a fiorire secondo il sogno di Dio; gli uomini non ce la fanno a vivere la vita buona, bella e beata. Allora Gesù viene come agnello, come il piccolo, a portare se stesso, la sua vita dentro la vita dell’uomo, il cuore dentro il cuore, fiato dentro il fiato, per sempre.

Un pareggiare i conti in sospeso tra l’uomo e Dio?

È la nostra piccola idea di giustizia, equilibrio tra dare e avere

a sarà vittima Gesù? Della giustizia di Dio che esige che il peccato sia espiato fino in fondo? E lo fa pagare al figlio?

Tristissima idea di Dio. l’uomo ha un debito con il Padre, è insolvente, e allora lo paga al Padre, al posto nostro, il Figlio. Ma questo farebbe mercato della misericordia di Dio.

Viene e la bella notizia, il suo vangelo è questo: è possibile vivere meglio, per tutti. E chi ne possiede il segreto, le chiavi, è Lui.

 

p. Ermes Ronchi

 

 

 

 

 

 

Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi    Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo – Anno C – 2019

Le porte del cielo spalancate per noi

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 23,35-43

In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto».

Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».

Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male».

E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

Commento di Padre Ermes Ronchi

Sta morendo, posto in alto, nudo nel vento, e lo deridono tutti: guardatelo, il re! I più scandalizzati sono i devoti osservanti: ma quale Dio è il tuo, un Dio sconfitto che ti lascia finire così? Si scandalizzano i soldati, gli uomini forti: se sei il re, usa la forza! E per bocca di uno dei crocifissi, con una prepotenza aggressiva, ritorna anche la sfida del diavolo nel deserto: se tu sei il figlio di Dio… (Lc 4,3). La tentazione che il malfattore introduce è ancora più potente: se sei il Cristo, salva te stesso e noi. È la sfida, alta e definitiva, su quale Messia essere; ancora più insidiosa, ora che si aggiungono sconfitta, vergogna, strazio.

Fino all’ultimo Gesù deve scegliere quale volto di Dio incarnare: quello di un messia di potere secondo le attese di Israele, o quello di un re che sta in mezzo ai suoi come colui che serve (Lc 22,26); se il messia dei miracoli e della onnipotenza, o quello della tenerezza mite e indomita.

C’è un secondo crocifisso però, un assassino “misericordioso”, che prova un moto compassione per il compagno di pena, e vorrebbe difenderlo in quella bolgia, pur nella sua impotenza di inchiodato alla morte, e vorrebbe proteggerlo: non vedi che anche lui è nella stessa nostra pena? Una grande definizione di Dio: Dio è dentro il nostro patire, Dio è crocifisso in tutti gli infiniti crocifissi della storia, Dio che naviga in questo fiume di lacrime. Che entra nella morte perché là entra ogni suo figlio. Che mostra come il primo dovere di chi ama è di essere insieme con l’amato. Lui non ha fatto nulla di male. Che bella definizione di Gesù, nitida semplice perfetta: niente di male, per nessuno, mai, solo bene, esclusivamente bene.

E Gesù lo conferma fino alla fine, perdona i crocifissori, si preoccupa non di sé ma di chi gli muore accanto e che prima si era preoccupato di lui, instaurando tra i patiboli, sull’orlo della morte, un momento sublime di comunione.

E il ladro misericordioso capisce e si aggrappa alla misericordia: ricordati di me quando sarai nel tuo regno. Gesù non solo si ricorderà, ma lo porterà via con sé, se lo caricherà sulle spalle, come fa il pastore con la pecora perduta e ritrovata, perché sia più leggero l’ultimo tratto di strada verso casa. Oggi sarai con me in paradiso: la salvezza è un regalo, non un merito.

E se il primo che entra in paradiso è quest’uomo dalla vita sbagliata, che però sa aggrapparsi al crocifisso amore, allora le porte del cielo resteranno spalancate per sempre per tutti quelli che riconoscono Gesù come loro compagno d’amore e di pena, qualunque sia il loro passato: è questa la Buona Notizia di Gesù Cristo.

(Letture: 2 Samuele 5,1-3; Salmo 121, Colossesi 1,12-20; Luca 23,35-43)

https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/le-portedel-cielo-spalancateper-noi

 

IV DOMENICA DI PASQUA

Gv 10, 27-30

 

– Per quelli che ci hanno accompagnato nella vita e non ci hanno lasciati soli, grazie. Se noi invece ci siamo isolati dagli altri, senza farci compagnia a nessuno, ti chiediamo perdono

– Per quelli che ci hanno difeso dai pericoli, dai lupi e dalle paure, grazie. Se noi non abbiamo difeso gli ultimi, gli umiliati, perdono

– Per coloro che negli anni ci guidato a sorgenti buone, grazie. Se noi non abbiamo custodito la libertà e la speranza in qualcuno, perdono.

 

Omelia

Un Vangelo così breve che si può seguirlo parola per parola.

Le mie pecore ascoltano la mia voce. Prima grande sorpresa. Una voce attraversa le distanze, un io si rivolge a un tu, sopra di me c’è uno sguardo, che si interessa di me.

La prima delle caratteristiche dei discepoli è quella di ascoltare la voce, dare attenzione, tempo e cuore, a una voce.

Non ascoltano i comandi, la voce. Non tono intimidatorio, impositivo, costrittivo, sono toccati da quella voce. Ubbidiamo alla sua bellezza Quella voce che attraversa le distanze, inconfondibile; che racconta una relazione, rivela una intimità, fa emergere una presenza in te.

La voce giunge all’orecchio del cuore prima delle cose che dice. È l’esperienza con cui il bambino piccolo, quando sente la voce della madre, la riconosce, si emoziona, tende le braccia e il cuore verso di lei, ed è già felice ben prima di arrivare a comprendere il significato delle parole.

Ma perché le pecore ascoltano? Per dovere, per obbligo? No.

Perché ci si sente conosciuti, e la voce è entrata nel cuore

Pastore e agnelli: una relazione non basata sulle regole, sui precetti, ma sulla conoscenza. Non è un obbligo, è una voce che fa sentire conosciuti.

Non perché si deve, ma perché la voce è bellissima.

Nella nostra formazione prima di tutte venivano le regole, le strutture, l’inquadramento, stare al passo con il gregge. Non funziona così. È inutile tutto se quella parola non arriva nel cuore,

 

La sua voce sa toccare, perché conosce cosa c’è nel cuore. Io conosco le mie pecore: La samaritana al pozzo aveva detto: venite, c’è uno che mi ha detto tutto di me. Una bellissima definizione del Signore, colui che dice il tutto dell’uomo, che risponde alle domande più profonde del cuore, alla sete.

Due generi di persone si disputano il nostro ascolto: i seduttori e i maestri. Come distinguere tra i due? I seduttori, sono quelli che promettono piaceri facili, vita facile; i maestri veri sono invece quelli che rendono feconda la tua vita, che ti danno ali e fecondità.

 

Poi viene la seconda caratteristica del gregge. Io do loro la vita eterna. Un dono, al presente, di adesso, non un tfr alla fine del nostro lavoro nel mondo.

Che cos’è la vita eterna? Non è la vita dalla durata indefinita, ma è la qualità della vita, vita eterna è la vita dell’Eterno in noi, quel pezzetto di Dio in te, che spesso neppure cerchiamo: bellissimo sant’Agostino, tu eri in me più intimo a me di me stesso e io fuori di me ti cercavo…

Io do loro la vita eterna! è qui, in me, senza condizioni, prima di qualsiasi risposta, senza paletti e confini; la vita di Dio è data, presente come un seme potente, seme di fuoco nella mia terra nera. Come linfa che non vedo ma che risale la vite senza stancarsi mai, giorno e notte, e si dirama per tutti i tralci, dentro tutte le mie gemme. Ogni volta che sfiori Gesù o la parola un po’ più da vicino, prende a vibrare, a muoversi questo seme vivo. Il nostro male è che non sappiamo quanto siamo ricchi. S. Basilio: o uomo considera la tua dignità regale: tu porti Dio in te!

E poi la terza caratteristica: Non andranno mai perdute. La mia fede cristiana è dilatazione, cuore grande, accrescimento d’umano e di cose che meritano di non morire. Gesù lo dice con una immagine di lotta, di combattiva tenerezza: Nessuno le strapperà dalla mia mano. Una parola assoluta: nessuno. E un’altra parola infinita: in eterno.

Una promessa subito raddoppiata, come se avessimo dei dubbi: nessuno può strapparle dalla mano del Padre.

Io sono vita indissolubile dalle mani di Dio. Legame che non si strappa, nodo che non si scioglie. L’eternità è un posto fra le mani di Dio. Siamo passeri che hanno il nido nelle sue mani. E nella sua voce, che scalda il freddo della solitudine.

Io sono vita, che nessuno strapperà. Amato che nessuno porterà via, legame non lacerabile. Come agnelli abbiamo un ovile un posto nelle sue mani, come bambini ci aggrappiamo forte a quella mano che non ci lascerà cadere, come innamorati cerchiamo quella mano che scalda la solitudine, come crocefissi ripetiamo: nelle tue mani affido la mia vita.

E ad alcuni possiamo dire anche noi parole copiate da Dio: nessuno ti strapperà dalla mia mano. Coloro che amiamo, meritano queste parole divine.

Beati noi se potremo dire a qualcuno: tu sei inseparabile dalle mie mani.

l’avventura di coloro che vogliono, sulla terra, custodire e lottare, camminare e liberare, ed essere donatori di vita, inizia da qui, dalla certezza che per Dio tu sei importante. E io dovrei ripetere e rilanciare quersto, io a sua immagine, io pastore di anche solo un minimo gregge, dovrei dire parole di Dio: mi importa, ai care, diceva don Milani, del fratello dello Sri Lanka, agnelli uccisi a centinaia come pecore al macello mentre celebrano il Risorto a Pasqua; mi importa dell’annegato nel mediterraneo, dell’uomo o della donna sola, vicini di casa.

L’uomo mi importa. Altro che religione oppio dei popoli, voi capite che questa immagine del pastore, le sue parole se le mettiamo in pratica sono l’adrenalina dei popoli, e del cuore mai indifferente (don Borsato).

Le mie pecore mi seguono. Seguire Cristo vuol dire vivere una vita come la sua. Significa, in qualche modo, diventare pastori. Ciascuno voce e parola e mano di un discorso amoroso. Di più, ciascuno mano da cui il mio piccolo gregge non sarà mai rapito.

Oggi Dio mi rassicura: Nessuno mai ti strapperà dalle mie mani. Nessuno, mai.

 

Preghiera alla Comunione

 

Signore, nessuno mai ci rapirà dalle tue mani.

Nessuno mai ci separerà dall’amore.

Nessuno mai ci strapperà da quelle mani

che hanno dispiegato i cieli,

gettato le fondamenta della terra.

 

Mani di vasaio sull’argilla dell’Eden,

come una infinita carezza.

Mani di Creatore sull’Adamo addormentato

e nasce, estasi dell’uomo: Eva.

 

Mani inchiodate alla Croce

per un abbraccio senza fine,

che non rifiuterà nessuno mai, estasi della storia.

Nessuno mai ci strapperà da queste mani.

 

Come passeri abbiamo in esse il nido,

come bambini ci aggrappiamo forte

a quella mano che non ci lascerà cadere,

come innamorati cerchiamo la tua mano

che scalda la solitudine, annulla la lontananza.

 

Come crocifissi ripetiamo:

nelle tue mani, Signore, affido la mia vita.

A Te, il solo Pastore

che pei cieli ci fai camminare.

 

 

 

 

 

Sono molti quelli che ci parlano, pochi quelli che parlano al cuore.

Gesù è l’unico che parla sul cuore.

Lo ha detto il profeta Osea: Ti porterò nel deserto e là parlerò – letteralmentesul tuo cuore, a distanza annullata, come un bacio posato sulle labbra del cuore, toccandoti dentro.

 

Quante volte forse anche noi avremmo voluto dire queste parole, in casa, in comunità, sul lavoro. Il sogno di tutti è poter vivere con persone cui importiamo veramente, con dei pastori di vite.

 

Che come dice Geremia ci dia pastori secondo il suo cuore.

 

 

 

 

Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi

I seduttori e i maestri: due voci ben diverse

IV Domenica di Pasqua – Anno C – 2019

Vangelo – Giovanni 10,27-30

In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

Le mie pecore ascoltano la mia voce. Non i comandi, la voce. Quella che attraversa le distanze, inconfondibile; che racconta una relazione, rivela una intimità, fa emergere una presenza in te. La voce giunge all’orecchio del cuore prima delle cose che dice. È l’esperienza con cui il bambino piccolo, quando sente la voce della madre, la riconosce, si emoziona, tende le braccia e il cuore verso di lei, ed è già felice ben prima di arrivare a comprendere il significato delle parole. La voce è il canto amoroso dell’essere: «Una voce! L’amato mio! Eccolo, viene saltando per i monti, balzando per le colline» (Ct 2,8). E prima ancora di giungere, l’amato chiede a sua volta il canto della voce dell’amata: «La tua voce fammi sentire» (Ct 2,14)…

Quando Maria, entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta, la sua voce fa danzare il grembo: «Ecco appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo» (Lc 1,44).

Tra la voce del pastore buono e i suoi agnelli corre questa relazione fidente, amorevole, feconda. Infatti perché le pecore dovrebbero ascoltare la sua voce? Due generi di persone si disputano il nostro ascolto: i seduttori, quelli che promettono piaceri, e i maestri veri, quelli che danno ali e fecondità alla vita. Gesù risponde offrendo la più grande delle motivazioni: perché io do loro la vita eterna. Ascolterò la sua voce non per ossequio od obbedienza, non per seduzione o paura, ma perché come una madre, lui mi fa vivere. Io do loro la vita.

Il pastore buono mette al centro della religione non quello che io faccio per lui, ma quello che lui fa per me. Al cuore del cristianesimo non è posto il mio comportamento o la mia etica, ma l’azione di Dio. La vita cristiana non si fonda sul dovere, ma sul dono: vita autentica, vita per sempre, vita di Dio riversata dentro di me, prima ancora che io faccia niente.

Prima ancora che io dica sì, lui ha seminato germi vitali, semi di luce che possono guidare me, disorientato nella vita, al paese della vita. La mia fede cristiana è incremento, accrescimento, intensificazione d’umano e di cose che meritano di non morire. Gesù lo dice con una immagine di lotta, di combattiva tenerezza: Nessuno le strapperà dalla mia mano. Una parola assoluta: nessuno. Subito raddoppiata, come se avessimo dei dubbi: nessuno può strapparle dalla mano del Padre.

Io sono vita indissolubile dalle mani di Dio. Legame che non si strappa, nodo che non si scioglie. L’eternità è un posto fra le mani di Dio. Siamo passeri che hanno il nido nelle sue mani. E nella sua voce, che scalda il freddo della solitudine.

(Letture: Atti 13,14.43-52; Salmo 99; Apocalisse 7,9.14-17; Giovanni 10,27-30)

https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/i-seduttorie-i-maestri-due-voci-ben-diverse

Commento al Vangelo domenica IV di Pasqua – 12 maggio – p.Ermes – non i comandi, la Voce

 

 

 

Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi

L’arte divina della compassione per restare umani

XVI Domenica – Tempo ordinario – Anno B – 2018

Vangelo – Marco 6, 30-34

In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

C’era tanta gente che andava e veniva che non avevano neanche il tempo di mangiare. Gesù allora mostra una tenerezza di madre nei confronti dei suoi discepoli: andiamo via, e riposatevi un po’. Lo sguardo di Gesù va a cogliere la stanchezza dei suoi. Non si ferma a misurare i risultati ottenuti nella missione appena conclusa, per lui prima di tutto viene la persona, la salute profonda del cuore.

Più di ciò che fai, a lui interessa ciò che sei: non chiede ai dodici di pregare, di preparare nuove missioni o affinarne il metodo, solo li conduce a prendersi un po’ di tempo tutto per loro, del tempo per vivere. È il gesto d’amore di uno che vuole loro bene e li vuole felici. Come suggerisce questo testo molto noto:

Prenditi tempo per pensare / perché questa è la vera forza dell’uomo
Prenditi tempo per leggere /perché questa è la base della saggezza
Prenditi tempo per pregare /perché questo è il maggior potere sulla terra
Prenditi tempo per ridere /perché il riso è la musica dell’anima
Prenditi tempo per donare /perché il giorno è troppo corto per essere egoista
Prenditi tempo per amare ed essere amato/perché questo è il privilegio dato da Dio
Prenditi tempo per essere amabile / perché questo è il cammino della felicità.
Prenditi tempo per vivere!

(autore da ricercare)

E quando, sceso dalla barca vide la grande folla, provò compassione per loro. Appare una parola bella come un miracolo, filo conduttore dei gesti di Gesù: l’arte della compassione. Che è detta con un termine che evoca le viscere, un crampo nel ventre, un graffio, un’unghiata sul cuore. Che lo coinvolge. Gesù è preso fra due compassioni in conflitto: la stanchezza degli amici e lo smarrimento della folla. E cambia i suoi programmi: si mise a insegnare loro molte cose. Gesù cambia i suoi programmi, ma non quelli dei suoi amici. Rinuncia al suo riposo, non al loro. «Venite in disparte, con me», aveva detto. «Poi torneremo tra la gente con un santuario rinnovato di bellezza e generosità». E i suoi osservano e imparano ancora più a fondo il cuore di Dio: Dio altro non fa che eternamente considerare ogni suo figlio più importante di se stesso.

Stai con Gesù, lo guardi agire e lui ti offre il primo insegnamento: come guardare, prima ancora di come agire. E lo consegna ai dodici apostoli: prima ancora delle parole insegna uno sguardo che abbraccia, che ha compassione e tenerezza. Poi, le parole verranno e sapranno di cielo.

Se ancora c’è sulla terra chi ha l’arte divina della compassione, chi si commuove per l’ultimo uomo, allora questa terra avrà un futuro, allora c’è ancora speranza di restare umani, di arrestare questa emorragia di umanità, questo dominio delle passioni tristi.

(Letture: Geremia 23, 1-6; Salmo 22; Efesini 2,13-18; Marco 6, 30-34)

https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/l-arte-divina-della-compassione-per-restare-umani

Commento al Vangelo domenica 22 luglio – p.Ermes – L’arte divina della compassione per restare umani

 

IV DOMENICA DI PASQUA Giovanni   10,11-18

 

Giornata mondiale per le Vocazioni

Giornata della terra

 

Domenica del buon pastore e delle vocazioni. Tutti siamo frecce incoccate all’arco di Dio. Ognuno di noi ha una specifica vocazione umana, civile, sociale, religiosa. Per le nostre vocazioni incompiute preghiamo. Siamo tutti pastori di un pur minimo gregge: la nostra famiglia, gli amici, coloro che si affidano a noi.

Giornata mondiale della terra 1 mese e due giorni dopo l’equinozio di primavera

Il Twitter di papa Francesco oggi: la difesa della terra, la difesa dell’acqua è difesa della vita. E chi è l’autore della vita? È Dio.

Siamo custodi e coltivatori, pastori della vita di tutte le creature, nostri fratelli e sorelle minori.

 

OMELIA

 

Io sono il Buon Pastore! Una delle sette autodefinizioni di Gesù: il sono il pane, vita, strada, verità, vite, porta, pastore. Ma non il buon pastore, nel senso etico di paziente, affettuoso, gentile, no: ma il pastore buono, quello vero, l’autentico, forte e combattivo, che ha il coraggio per lottare e difendere dai lupi il suo gregge.

Gesù oppone subito pastore e pecoraio, chi mette passione e chi pensa al denaro.

Io sono il Pastore bello, dice il testo evangelico originale e noi capiamo che la bellezza del Pastore non sta nel suo aspetto esteriore ma che il fascino e la forza di attrazione vengono da coraggio e generosità.

La bellezza sta in un gesto ribadito cinque volte oggi nel Vangelo: io offro! Io non domando, io dono. Io non pretendo, io regalo. E che cosa?

Io offro la vita” è molto di più che il semplice prendersi cura del gregge. È il gesto più regale e potente.

Dare, offrire, donare, gettare sulla bilancia la propria vita.

Un Dio che non chiede, offre; che non prende niente, dona tutto; non toglie vita, dà la sua vita anche a coloro che gliela tolgono.

Cerchiamo di capire di più. Con le parole “Io offro la vita” Gesù non intende il suo morire, quel venerdì, inchiodato. Lui continuamente, incessantemente dona vita; è l’attività e il lavoro continuo di Dio, inteso al modo delle madri, inteso al modo della vite che dà linfa al tralci, della sorgente che dà acqua viva.

Domenica scorsa Pietro definiva Gesù “l’autore della vita” (At 3,15): inventore, artigiano, costruttore, custode della vita. Tu che fai vivere l’universo, prega la Chiesa, nella preghiera eucaristica:

Linfa divina che ci fa vivere, che respira in ogni nostro respiro, nostro pane che ci fa quotidianamente dipendenti dal cielo.

“Io offro la vita” significa: io ti consegno il mio modo di amare e di lottare, di prenderti cura e di benedire, perché solo così potrete battere coloro che amano la morte, i lupi di oggi. Ogni epoca ha i suoi lupi…

Il mercenario, il pecoraio vede venire il lupo e fugge perché non gli importa delle pecore. Al pastore invece, importano le pecore, io gli importo. Verbo bellissimo: essere importanti per qualcuno! E mi commuove sentire la sua voce: prima vieni tu, poi io. Mi prenderò cura della tua felicità.

E qui la parabola, la similitudine del Pastore Bello si apre su di un piano spiazzante, eccessivo, non realistico: nessun pastore sulla terra è disposto a morire per le sue pecore; a battersi sì, ma a morire no; meglio aver salva la vita che il gregge, in caso di pericolo totale è più logico perdere le pecore che la vita.

È giusto, nessuno biasima chi lo fa. Ma il nostro Dio è differente.

Gesù presenta qui uno di quei dettagli che vanno oltre gli aspetti realistici della metafora, dell’immagine (eccentrici li chiama Ricoeur, cfr Ermeneutica biblica).

Come prima aveva detto: Il pastore conosce le sue pecore e le chiama ciascuna per nome.

Non so se esiste un pastore che conosce e chiama per nome una per una le centinaia di pecore del suo gregge. Forse 10, o 20, o 40, quelle che emergono. Ma proprio in questi dettagli eccessivi la similitudine si dilata, si rompe, si apre perché faccia irruzione lo straordinario di Dio.

Cristo considera me e te ed ogni uomo più importante di se stesso, per questo dà la vita. La Sua vita per la mia vita. Il Dio capovolto.

Signore non ti importa che moriamo?” grido di Apostoli in una notte di tempesta, e il Signore risponde placando le onde, sgridando il vento: sì, mi importa di te, mi importa la tua vita, tu sei importante per me.

E lo ripete a ciascuno: mi importano i passeri del cielo ma tu per me vali di più di molti passeri; mi importano i gigli del campo ma tu conti più di tutti i gigli del mondo. Mi importano gli agnelli del gregge, ma tu di più.

Di questo Dio io mi fido, a lui mi affido come un bambino.

Il versetto di Giovanni che precede il brano di oggi, che purtroppo la liturgia ha trascurato, offre la chiave di lettura: sono venuto perchè abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza (Gv 10,10). Per me una delle frasi più belle del vangelo, è la mia preferita, la frase della mia fede, quella che mi rigenera ogni volta che l’ascolto.

Non solo la vita necessaria, non solo quel minimo senza il quale la vita non è vita, ma la vita esuberante, magnifica, eccessiva; vita che rompe gli argini e dilaga e feconda, uno scialo di vita, che profuma di amore, di libertà e di coraggio.

È ora di chiudere con l’idea della religione come sacrificio e rinuncia, è ora di parlare del piacere del credere. La fede non nasce da una sottrazione, ma da una addizione. Da un di più di vita buona, da un centuplo.

Così è Dio: manna non per un giorno ma per quarant’anni di deserto, pane per cinquemila persone, pelle di primavera per dieci lebbrosi, pietra rotolata via per Lazzaro, cento fratelli per chi ha lasciato la casa, perdono per settanta volte sette, vaso di nardo per 300 denari, pastore che conosce e chiama per nome ciascuna delle pecore. E dà la vita.

E noi l’abbiamo accolta, e adesso viviamo due vite, la nostra e quella di Dio. Siamo uno e due al tempo stesso. Siamo gravidi di Dio. Un Dio che cresce dentro.

È bello sapere che la prova ultima della bontà della fede sta nella sua capacità di trasmettere e custodire umanità, vita, pienezza di vita, come il Pastore Bello.

Non gli chiederò allora: Signore, perché non converti i lupi in agnelli? Perché non abbatti i prepotenti? Perché non dai agli agnelli almeno un po’ degli artigli dei lupi?

Non glielo chiederò perchè Gesù ha già risposto: Io dò a voi la mia vita. Vi dò il mio modo di amare e di lottare, di incontrare e di accogliere, di custodire la vita e combattere il male, il mio modo di gridare “non ti è lecito!”

Solo con questo supplemento di vita potremo battere coloro che amano la morte, che disumanizzano il cuore. Ci sono i lupi, sì, ma non vinceranno. Forse sono più numerosi degli agnelli, ma non sono più forti. Perché gli agnelli vengono, ma non da soli, portano un pezzetto di Dio in sé, sono forti della sua forza, vivi della sua vita.

 

 

PREGHIERA ALLA COMUNIONE

 

E perdona, Signore, se oso mormorare,

come in una dichiarazione d’amore: Tu sei il Pastore bello.

Tu sai che quando diciamo a qualcuno: ‘tu sei bello’

è come dirgli: ‘io ti amo’.

Ti seguirò, Signore, perché a te io importo:

prima Tu – mi dici – poi io.

Perché so che nulla mancherà ad ogni attesa,

Nulla mancherà, a nessuna delle mie attese,

se non mi manchi tu. Amen.

 

 

 

Giornata mondiale della terra

Salmo del ‘Pellegrino russo’” di D.M. Turoldo

Innamorato, Signore, vai

nell’alto mattino per i campi.

E ti saluta il canneto

con mani di bimbo

lungo il fiume…

 

(Ognuno, pienamente quieto,

s’abbandoni alla strada senza meta

e si bagni le labbra e il viso

al mare di rugiada).

 

Dio, stella del mattino

lasciaci bere il sangue

alla fontana della tua rossa ferita,

paradiso della nostra origine.

 

 

Giornata mondiale della terra 1 mese e due giorni dopo l’equinozio di primavera

Il Twitter di papa Francesco oggi: la difesa della terra, la difesa dell’acqua è difesa della vita.

Siamo custodi e coltivatori della vita, pastori delle creature, nostri fratelli e sorelle minori.

 

L’associazione: Casa dei sentieri e dell’ecologia integrale:

 

Stiamo avviando un progetto importante.

Non impediamoci di sognare in grande

Un presidio della Laudato Sì sul territorio

Vuol dire prendere dell’enciclica di papa Francesco la passione ispiratrice

E l’intelligenza della realtà

 

Questo progetto vuole essere:

Polo culturale + spirituale + pratico

Per prenderci cura della casa comune

Per un mondo nuovo possibile

Dove sia possibile vivere meglio per tutti:

Madre terra è oggi l’uomo bastonato sulla via di Gerico, incappato nei briganti che l’hanno avvelenata e depredata.

 

 

Che cosa facciamo nella Nuova Casa?

 

studio della Laudato si’

nuovo sguardo sul vangelo: il vangelo della terra, letto con un’ottica innovativa: a partire dalle strade e dai sentieri, dai campi, dal seme, dal chicco, dal fico, dalla vigna

 

trekking biblici

turismo lento, polmone spirituale sulla Romea Strata

 

laboratori artistici sulla natura

e di esperienze concrete, con la terra, con il pane…

 

la filiera terra-cibo-vita (il profumo della terra;) il cibo è sacro

nuovi stili di vita, sobrietà, no allo spreco, acquisti intelligenti, corti, senza scorie

 

Il depliant spiega e; se volete, potete lavorare con noi, aiutarci a:

la difesa della terra, la difesa dell’acqua è difesa della vita.

E L’autore della vita è Dio. Noi difendiamo il sogno di Dio.

 

 

 

Il Vangelo – a cura di Ermes Ronchi

I lupi sono più numerosi degli agnelli, ma non più forti

IV Domenica di Pasqua – Anno B

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. […]

Io sono il Pastore buono è il titolo più disarmato e disarmante che Gesù abbia dato a se stesso. Eppure questa immagine, così amata e rassicurante, non è solo consolatoria, non ha nulla di romantico: Gesù è il pastore autentico, il vero, forte e combattivo, che non fugge a differenza dei mercenari, che ha il coraggio per lottare e difendere dai lupi il suo gregge.

Io sono il Pastore bello dice letteralmente il testo evangelico, e noi capiamo che la bellezza del pastore non sta nel suo aspetto esteriore, ma che il suo fascino e la sua forza di attrazione vengono dal suo coraggio e dalla sua generosità.
La bellezza sta in un gesto ribadito cinque volte oggi nel Vangelo: io offro! Io non domando, io dono. Io non pretendo, io regalo. Ma non per avere in cambio qualcosa, non per un mio vantaggio. Bello è ogni atto d’amore.

Io offro la vita è molto di più che il semplice prendersi cura del gregge.
Siamo davanti al filo d’oro che lega insieme tutta intera l’opera di Dio, il lavoro di Dio è da sempre e per sempre offrire vita. E non so immaginare per noi avventura migliore: Gesù non è venuto a portare un sistema di pensiero o di regole, ma a portare più vita (Gv 10,10); a offrire incremento, accrescimento, fioritura della vita in tutte le sue forme.

Cerchiamo di capire di più. Con le parole Io offro la vita Gesù non intende il suo morire, quel venerdì, per tutti. Lui continuamente, incessantemente dona vita; è l’attività propria e perenne di un Dio inteso al modo delle madri, inteso al modo della vite che dà linfa al tralci, della sorgente che dà acqua viva.
Pietro definiva Gesù «l’autore della vita» (At 3,15): inventore, artigiano, costruttore, datore di vita. Lo ripete la Chiesa, nella terza preghiera eucaristica: tu che fai vivere e santifichi l’universo. Linfa divina che ci fa vivere, che respira in ogni nostro respiro, nostro pane che ci fa quotidianamente dipendenti dal cielo.

Io offro la vita significa: vi consegno il mio modo di amare e di lottare, perché solo così potrete battere coloro che amano la morte, i lupi di oggi.

Gesù contrappone la figura del pastore vero a quella del mercenario, che vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge perché non gli importa delle pecore. Invece al pastore buono ogni pecora importa e ogni agnello, a Dio le creature stanno a cuore. Tutte. Ed è come se a ciascuno di noi ripetesse: tu sei importante per me. E io mi prenderò cura della tua felicità.
Ci sono i lupi, sì, ma non vinceranno. Forse sono più numerosi degli agnelli, ma non sono più forti. Perché gli agnelli vengono, ma non da soli, portano un pezzetto di Dio in sé, sono forti della sua forza, vivi della sua vita.

(Letture: Atti 4,8-12; Salmo 117; 1 Giovanni 3,1-2; Giovanni 10,11-18)

https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/i-lupi-sono-piu-numerosi-degli-agnelli-ma-non-piu-forti

 

 

Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi

II Domenica di Avvento – Anno B

Questo mondo ne porta un altro nel grembo

Vangelo – Marco 1,1-8

Inizio del Vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio. Come sta scritto nel profeta Isaìa: «Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via. Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri», vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».

Inizio del Vangelo di Gesù. Sembra quasi un’annotazione pratica, un semplice titolo esterno al racconto. Ma leggiamo meglio: inizio di Vangelo, di una bella, lieta, gioiosa notizia. Ciò che fa cominciare e ricominciare a vivere e a progettare è sempre una buona notizia, un presagio di gioia, una speranza intravista.

Inizio del Vangelo che è Gesù. La bella notizia è una persona, un Dio che fiorisce sulla nostra terra: «Il tuo nome è: Colui-che fiorisce-sotto-il-sole» (D.M. Turoldo). Ma fioriscono lungo i nostri giorni anche altri vangeli, pur se piccoli; altre buone notizie fanno ripartire la vita: la bontà delle creature, chi mi vive accanto, i sogni condivisi, la bellezza seminata nel mondo, «la tenerezza che trova misteri dove gli altri vedono problemi» (L. Candiani). E se qualcosa di cattivo o doloroso è accaduto, buona notizia diventa il perdono, che lava via le ombre dagli angoli oscuri del cuore.

Viene dopo di me uno più forte di me. Gesù è forte, non perché “onnipotente” ma perché “onni-amante”; forte al punto di dare la propria vita; più forte perché è l’unico che parla al cuore. E chiama tutti a essere “più forti”, come lo sono i profeti, a essere voce che grida, essere gente che esprime, con passione, la propria duplice passione per Cristo e per l’uomo, inscindibilmente. La passione rende forte la vita.

Giovanni non dice: verrà un giorno, o sta per venire tra poco, e sarebbe già una cosa grande. Ma semplice, diretto, sicuro dice: viene. Giorno per giorno, continuamente, ancora adesso, Dio viene. Anche se non lo vedi e non ti accorgi di lui, Dio è in cammino. L’infinito è all’angolo di ogni strada. C’è chi sa vedere i cieli riflessi in una goccia di rugiada, Giovanni sa vedere il cammino di Dio, pastore di costellazioni, nella polvere delle nostre strade. E ci scuote, ci apre gli occhi, insinua in noi il sospetto che qualcosa di determinante stia accadendo, qualcosa di vitale, e rischiamo di perderlo: Dio che si incarna, che instancabilmente si fa lievito e sale e luce di questa nostra terra.

Il Vangelo ci insegna a leggere la storia come grembo di futuro, a non fermarci all’oggi: questo mondo porta un altro mondo nel grembo. La presenza del Signore non si è dissolta. Anzi, il mondo è più vicino a Dio oggi di ieri. Lo attestano mille segni: la coscienza crescente dei diritti dell’uomo, il movimento epocale del femminile, il rispetto e la cura per i disabili, l’amore per madre terra…
La buona notizia è che la nostra storia è gravida di futuro buono per il mondo, gravida di luce, e Dio è sempre più vicino, vicino come il respiro, vicino come il cuore. Tu sei qui, e io accarezzo la vita perché profuma di Te.

(Letture: Isaia 40,1-5.9-11; Salmo 84; 2 Pietro 3,8-14; Marco 1,1-8)

https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/questo-mondo-ne-porta-un-altro-nel-grembo

Giovanni proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».

Giovanni non dice: verrà … dice: viene.
Giorno per giorno, continuamente,
ancora adesso, Dio viene.
Anche se non lo vedi e non ti accorgi di lui,
Dio è in cammino.
L’infinito è all’angolo di ogni strada.
C’è chi sa vedere i cieli riflessi in una goccia di rugiada,
Giovanni sa vedere il cammino di Dio,
pastore di costellazioni,
nella polvere delle nostre strade.
E ci scuote, ci apre gli occhi,
insinua in noi il sospetto che
qualcosa di determinante stia accadendo,
qualcosa di vitale,
e rischiamo di perderlo:
Dio che si incarna,
che instancabilmente si fa lievito
e sale e luce di questa nostra terra.

(Ermes Ronchi – II Dom. di Avvento – anno B)

https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/questo-mondo-ne-porta-un-altro-nel-grembo

 

 

di p. Ermes Rochi

IV di Pasqua Gv 10,1-10

 

Il buon pastore, immagine di un tempo andato e che non torna. Ne incontri ancora qualcuno, di pastori, ma quelli che vediamo, nelle transumanze che ancora passano di qua, sono per lo più dei ragazzi abbastanza disperati, vengono dal profondo est, pagati poco, vivono all’addiaccio o in furgoni scalcinati, fanno una vita che nessuno vuol più fare.

Invece in un mondo lontano, in Mongolia, popolo delle tende, ancora nomade, ho visto pastori fieri del loro gregge, orgogliosi dei loro cavalli e delle loro mandrie. Se penso a un buon pastore oggi, lo vedo laggiù, nelle steppe.

Seguiamo nel vangelo di oggi le caratteristiche del pastore vero.

1 Egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome. Chi ti chiama per nome ti conosce, non ti confonde con nessun altro. Sei tu. Se mi chiama per nome, vuol dire innanzitutto che lui parla con me, non solo di me.

Dice: voglio te, parlare con te. Io e te, relazione che mi avvolge.

Mi chiama con il mio nudo nome, cioè senza nessun ruolo o attività o funzione o laurea, davanti a lui non sono il prete o il frate, semplicemente uomo, nella mia umanità profonda. Così come sono, per quello che sono. Senza aggettivi, senza clausole. A immagine di Dio.

E nell’ultimo giorno non mi domanderà perché non sei stato come padre Pio o madre Teresa o papa Francesco. Ma: perché non sei stato Ermes, perché non sei stato te stesso?

2 La seconda caratteristica: Egli le conduce fuori. Il nostro non è un Dio dei recinti ma degli spazi aperti, è pastore di libertà e non di paure, che ha fiducia in ciò che è fuori: ha fiducia nella gente, fiducia nei suoi discepoli, fiducia nel mondo e nei poveri, nella steppa. Fiducia è la prima condizione perché vita ci sia. Io vivo perché mi fido.

Ci chiama a non scegliere mai, nella vita, in nome della paura, che può avere mille motivi, ma se l’ascolto, resto paralizzato dentro il mio recinto, e alzo palizzate, e più è piccolo quel buco dove sto più mi sembra sicuro. Esci fuori, fiducioso nelle persone e nel futuro: anche la steppa ha un gomitolo di sentieri, un ventaglio di strade, tra cui c’è la tua.

3 La terza caratteristica del pastore autentico è quella di camminare davanti alle pecore (v.4). Non abbiamo un pastore di retroguardie, ma una guida che apre cammini e inventa strade. Non un pastore alle spalle, che grida o minaccia per farsi seguire, ma uno che è davanti, precede e convince, con il suo andare sicuro, davanti a tutti, a prendere in faccia il sole e il vento, che mi assicura: tu fai parte di un sistema aperto e creativo, non di un vecchio recinto dove tutto si ripete uguale. Strade nuove. E se io mi fermo ed ho paura ad un passaggio difficile, Lui ha già fatto quella strada e sa come venirmi in aiuto.

 

E poi: “Le pecore ascoltano la sua voce”. Non è facile ascoltarlo. Si tratta di abituare l’orecchio. Di allenarlo. A noi sembra, ai ragazzi, che in chiesa si dicono più o meno sempre le stesse cose. È vero. Ma il vangelo non è così. Il prete comincia a parlare e sai già dove va a finire. Ma il vangelo non è così, ti spiazza e ti sorprende. Addestrare l’orecchio.

La parola assurdo ha la stessa radice di sordo, entra nell’assurdo chi è sordo, chi non sa ascoltare, esce dall’assurdo chi ascolta la voce.

E, badate bene, la voce viene prima ancora di ogni parola, dice con la sua sola vibrazione che c’è un rapporto, una relazione amorosa tra lui e me, un combaciare tra noi come nel Cantico dei Cantici: la tua voce fammi sentire…mi basta un particolare. Ci si innamora dei particolari, di un tono, di una inflessione, di un modo di ridere…

4 Io sono la porta, non un muro chiuso, non uno steccato che divide. Cristo è passaggio, apertura, breccia di luce, luogo attraverso cui vita entra e vita esce. Va e viene, non chiude mai.

Entrerà, uscirà, troverà pascolo, tutti verbi al futuro, nella speranza, nella fiducia.

Cosa significa varcare quella porta? Semplice. Essere come Cristo. Diventare porta. L’alternativa che vediamo nel mondo: alzare muri o aprire porte. Blindarsi o spalancare. Tu come Cristo non sei muro, sei porta!

Tu come Cristo sei pastore! Pastore del tuo fosse anche minimo gregge, di casa tua, o degli amici, tu sei porta aperta, attraversata da molte vite e non steccato chiuso, sei pane e pascolo per molti, per alcuni, anche per uno soltanto.

 

E poi l’ultima parola: “Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. Per me, una delle frasi più solari di tutto il vangelo. Anzi, è la frase della mia fede, quella che mi seduce e mi rigenera ogni volta che l’ascolto: sono qui per la vita piena, abbondante, potente. Non solo quel minimo senza il quale la vita non è vita, ma la vita che rompe gli argini e tracima e feconda; uno spreco che profuma di amore, di libertà e di coraggio. Di accoglienza, gioia, energia. E speranza…

Così è nella Bibbia: manna non per un giorno ma per quarant’anni nel deserto, pane per cinquemila persone, carezza per i bambini, pelle di primavera per dieci lebbrosi, pietra rotolata via per Lazzaro, cento fratelli per chi ha lasciato la casa, vaso di nardo prezioso versato sui piedi del grande Viandante delle nostre vite.

Dio non intende rispondere ai tuoi bisogni essenziali, questo lo farà la politica, la tecnica, l’intelligenza, Egli è il Dio del centuplo, dei talenti da moltiplicare, del seme che dà il 30, il 60, il 100 per uno, del perdono 70 volte 7.

Che ha immesso nei solchi della storia un seme che tenacemente, implacabilmente salirà a spezzare la crosta arida della nostra e di tutte le epoche per riportarvi primavera.

Giornata delle vocazioni. Vorrei cambiare il titolo: giornata della vocazione, quella evangelica, di tutti, comune a tutti. E qual è?

Unica, una sola per tutti: avere la vita in pienezza. Per questo Cristo è venuto, e ogni scelta concreta che uno fa, ogni vocazione specifica, quella del frate o dello sposato, quella della suora o della moglie, non è che una strada diversa, ma quella adatta a me, per l’unica meta: avere la vita in pienezza.

Che non significa una vita più facile, ma più piena e appassionata, ferita e luminosa, piagata e guaritrice.

Credere fa bene, credetemi (credete a Tommaso, a Giovanni, a Maddalena, a quanti l’hanno incontrato). Credete all’ultima riga del vangelo di Giovanni: tutto questo è stato scritto, perché crediate e, credendo, abbiate in voi la vita (Gv 20,31).

 

Vivere è camminare per un futuro di pienezza: lo prepara e lo tiene aperto lui, il pastore innamorato.

Innamorato di ognuno, “il solo pastore che per i cieli ci fa camminare” (D. M. Turoldo).

1 Giugno 2016

Messaggio della Madonna di Medjugorje

 

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I 10 SEGRETI DI MEDJUGORJE (di Padre Livio Fanzaga):

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VIDEO RELATIVI AI MESSAGGI DELLA MADONNA DI MEDJUGORJE

PLAYLIST RELATIVA A MEDJUGORJE (MESSAGGI E COMMENTI IN VIDEO)
https://www.youtube.com/playlist?list=PL_I8V9Z5YmOY_O1E9krjhlTo3O_k-L-6y

LE APPARIZIONI DELLA MADONNA A PORZUS – Nuova versione

6 luglio 2005

Il Catechismo della Chiesa Cattolica in mp3

IL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA IN AUDIO

5 Gennaio 2010

REPORT SUL 21° SECOLO

Attraverso un
fantascientifico viaggio nel tempo, l’autore del libro, Pier Angelo
Piai, desidera sensibilizzare il lettore a prendere coscienza del
nostro comune modo di pensare ed agire, noi del 21° secolo che ci
vantiamo di essere progrediti. In che cosa consiste, allora, la vera
evoluzione della specie umana?
Quando l’uomo potrà diventare davvero integrale?
Report
cerca di dare alcune risposte ai moltissimi interrogativi che emergono
in queste pagine scritte attraverso riflessioni e  considerazioni
sociologiche, antropologiche e filosofiche.

6 Luglio 2005

6 luglio 2005 Il Catechismo della Chiesa Cattolica in mp3

IL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA IN AUDIO
Catechesi e omelie di padre Lino Pedron