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Giovanni 13,16-20 in parallelo Matteo 10,40-42

Chi accoglie colui che io manderò, accoglie me. chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato

Il verbo d’oro è “accogliere”.

L’accoglienza fa nascere angeli sulla terra. Scrive la Lettera agli Ebrei: quanti accogliendo uno sconosciuto hanno accolto angeli.

Penso al fondamento del mondo: la mamma che accoglie nel suo grembo una vita nuova. Penso al fondamento di ogni alleanza umana, il matrimonio, quando l’amato dice all’amata, guardandola negli occhi, tenendola per mano: “io accolgo te!”. E non più “io prendo te”, ma “io ti accolgo come si accoglie un dono, come si accoglie un regalo”, e proclama: “tu sei la cosa più bella che mi sia capitata, tu sei una benedizione di Dio giunta in dono, a fare luce su questo cuore, a fare salda questa vita. Io ti accolgo perché tu sei per me Grazia di Dio”.

Grande verbo che fa della nostra esistenza una liturgia.

Dio non si merita, si accoglie. Chi accoglie voi accoglie me.

Il volto di Dio inizia dal volto dell’altro.

Se hai un cuore che accoglie, anche il niente è sufficiente, un bicchiere d’acqua, due spiccioli. Perché tutto ciò che fai con tutto il cuore ti avvicina all’assoluto di Dio. Perché l’uomo guarda le apparenze, ma Dio guarda il cuore. E un uomo vale quanto vale il suo cuore.

Vale a dire che non conta essere docente universitario o casalinga, vedova o profeta, prete o laico, non conta ciò che fai, conta come lo fai. Puoi offrire banchetti come Zaccheo o profumare i piedi di Gesù come una peccatrice; è l’energia, la passione, la convinzione che metti in ciò che fai che mette grazia d’infinito nei tuoi gesti.

Un cuore che accoglie, altrimenti sei come una casa bella dentro, ma con porte e finestre sprangate: passano poveri e profeti, e non li vedi; passano angeli e bambini, passano stagioni e invenzioni e non vedi niente; passa la vita, ti sfiora, e se ne va.

 

Non abbiate paura!

Gesù ci mostra il suo antidoto: abbiate fede, nel Padre e in me. Sappiate che il contrario della paura non è il coraggio, è la fiducia nel Dio che è amore, e non ci molla.

Vi porterò con me, perché siate dove sono io. Lì abita Qualcuno che ha desiderio e nostalgia di noi. Da questo luogo parte l’onda che smuove la storia, una passione che attraversa l’eternità. È Dio stesso che dice ad ogni suo figlio e a me: il mio cuore è a casa solo accanto al tuo.

“Signore, come ci si arriva?” “Io sono la via”.

Io sono: verità disarmante è il suo muoversi libero, regale e amorevole tra le creature. Mai arrogante. Dritto e sicuro.

La strada verso Dio è la vita di Cristo, da ripercorrere con la mia: preferire coloro che lui preferiva, rinnovare le sue scelte, muoversi solo nella sua direzione altrimenti non arrivi. È la strada del “vi do’ un comandamento nuovo, amatevi!” , quella della comunità di Gerusalemme che inventa il gruppo dei diaconi perché non siano trascurate le vedove (Atti 6,1). Quella riassunta da Maritain così: non cercatemi in un luogo, ma là dove amo e sono amato.

La verità è coraggiosa e amabile. Quando invece è arrogante e senza tenerezza, è una malattia che ci fa tutti malati di violenza. La verità dura, dispotica, gridata da parole di pietra “è così e basta”, o imposta per legge, non è la voce di Dio.

Dio è verità amabile di occhi e mani accesi!

Io sono la vita. Parole che nessuno spiegazione può esaurire. Che hai a che fare con me, Gesù di Nazareth? La risposta è una pretesa eccessiva e sconcertante: io faccio vivere.

Io sono la vita. Cioè più Vangelo c’è in me e più vivo di vita eterna, che si oppone alla pulsione di morte, alle paure, alla sterilità di una vita inutile. Vita è tutto ciò che possiamo mettere sotto questa nome: futuro, amore, casa, festa, riposo, desiderio, pasqua. Per questo fede e vita, sacro e realtà, hanno l’identica sorgente, e coincidono.

E interviene Filippo: “Mostraci il Padre!” Belli questi apostoli che vogliano capire e chiedono, come noi. Ma quanta tristezza nelle parole di Gesù, sento tutta la sua delusione: Da tanto tempo sono con voi… da così tanti anni sei cristiano e ancora non mi conosci?

Non lo conosco, e neppure conosco la fame, la nostalgia che fa dire a Filippo: mi basta vederti!

Filippo: chi ha visto me ha visto il Padre. Guardi Gesù, come vive, come ama, come accoglie, come muore, e capisci Dio e la vita.

Il mistero di Dio non è lontano da te, è nella tua vita: vive nel tuo nascere, amare, dubitare, credere, perdere, illuderti, osare, dare la vita… e in ogni tuo amore è Lui che ama.

I gesti e le parole di Gesù: energia che sa scheggiare corazze dure e fa fiorire la corteccia malata della storia, se permettiamo che la sua tenerezza passi attraverso le nostre mani.

 

Avvenire V di Pasqua Gv 14,1-12

Io sono la via, la verità e la vita. Parole immense, che evadono da tutte le parti. Io sono la via, sono la strada, che è molto di più di una stella polare che indica, pallida e lontana, la direzione. È qualcosa di vicino, solido e affidabile dove posare i piedi; il terreno, battuto dalle orme di chi è passato ed è andato oltre, e che ti assicura che non sei solo. La strada è libertà, nata dal coraggio di uscire e partire, camminando al ritmo umile e tenace del cuore.

Gesù non ha detto di essere la meta e il punto di arrivo, ma la strada, il punto di movimento, il viaggio che fa alzare le vite, perché non restino a terra, non si arrendano e vedano che un primo passo è sempre possibile, in qualsiasi situazione si trovino.

Alla base della civiltà occidentale la storia e il mito hanno posto due viaggi ispiratori: quello di Ulisse e del suo avventuroso ritorno a Itaca, il cui simbolo è un cerchio; il viaggio di Abramo, che parte per non più ritornare, il cui simbolo è una freccia.

Gesù è via che si pone dalla parte della freccia, a significare non il semplice ritorno a casa, ma un viaggio in-finito, verso cieli nuovi e terra nuova, verso un futuro da creare.

Io sono la verità: non dice io ‘conosco’ la verità e la insegno; ma ‘io sono’ la verità. Verità è un termine che ha la stessa radice latina di primavera (ver-veris). E vuole indicare la primavera della creatura, vita che germoglia e che mette gemme; una stagione che riempie di fiori e di verde il gelo dei nostri inverni. La verità è ciò che fa fiorire le vite, secondo la prima di tutte le benedizioni: crescete e moltiplicatevi.

La verità è Gesù, autore e custode, coltivatore e perfezionatore della vita. La verità sei tu quando, come lui in te, ti prendi cura e custodisci, asciughi una lacrima, ti fermi accanto all’uomo bastonato dai briganti, metti sentori di primavera dentro una esistenza.

Io sono la vita. Che è la richiesta più diffusa della bibbia (Signore, fammi vivere!), è la supplica più gridata da Israele, che è andato a cercare lontano, molto lontano il grido di tutti i disperati della terra e l’ha raccolto nei salmi.

La risposta al grido è Gesù: Io sono la vita, che si oppone alla pulsione di morte, alla violenza, all’auto distruttività che nutriamo dentro di noi.

Vita è tutto ciò che possiamo mettere sotto questa nome: futuro, amore, casa, festa, riposo, desiderio, pasqua, generazione, abbracci. Il mistero di Dio non è lontano, ma è la strada sottesa ai nostri passi. Se Dio è la vita, allora “c’è della santità nella vita, viviamo la santità del vivere” (Abraham Hescel). Per questo fede e vita, sacro e realtà non si oppongono, ma si incontrano e si baciano, come nei Salmi.

 

(p.Ermes Ronchi)

Domenica VI A Mt. 5, 17-37

p. Ermes Ronchi

 

Un vangelo lunghissimo, impossibile commentarlo tutto.

Vediamo solo i versetti principali.

La chiave per capire tutto è nel primo versetto, importantissimo:

non sono venuto ad abbattere, a demolire, a distruggere,

ma sono venuto a realizzare in pienezza, a dare pieno compimento.

A che cosa? Al codice di Mosè? No, ma alle promesse di Dio. Al sogno che Dio ha sognato sul mondo.

Contesto: Gesù ha appena annunciato le beatitudini. La delusione degli ascoltatori è totale. L’attesa era che Israele doveva conquistare tutte le terre intorno e accumulare le ricchezze dei popoli e Gesù dice: Beati i poveri, tutto il contrario.

Gesù porta avanti la storia dell’uomo su due linee di fondo: la prima è quella del cuore, la seconda è quella della persona! Il compimento pieno avviene nel cuore dell’uomo. Dove si vive il profondo delle cose. Non nelle regoline.

Non possiamo passare la vita semplicemente a fare le cose secondo le regole. Se tu, genitore, ami tuo figlio o lo cresci rispettando regole, protocolli, doveri, obblighi, il bambino crescerà, ma solo, si sentirà poco amato, poco felice… se tu padre non gli dai tenerezza e creatività e sorrisi e giocare con lui a perdifiato.

Se un uomo ama una donna secondo tutte le regole e gli obblighi, ma che felicità le può dare? Cosa godono della vita? L’amore è sempre fuorilegge, perché va oltre le regole.

La nostra vita è di più della norma. E non c’è codice che tenga. Questo è il territorio di Gesù.

E poi Dio stesso è sulla linea del cuore: Se stai facendo la tua offerta all’altare e ti accorgi che tuo fratello ha qualcosa contro di te…prima viene l’amore e dopo il culto! è la linea della persona, che viene prima anche del culto a Dio, prima di tutto.

La vita adulta è passare dalla legge esterna al cuore. Dove ogni atto inferiore all’amore necrotizza la relazione. Amerai con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutto, con tutto, con tutto.

Fu detto: non ucciderai; ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, chi nutre rancore è potenzialmente un omicida. Gesù va diritto al movente delle azioni, al laboratorio dove si assemblano i gesti. L’apostolo Giovanni affermerà una cosa enorme: “Chi non ama suo fratello è omicida”(1 Gv 3,15). Chi non ama, uccide. Il disamore non è solo il mio lento morire, è l’incubatore di omicidi.

Ma io vi dico: Chiunque si adira con il fratello, o gli dice pazzo, o stupido, è sulla linea di Caino… Gesù mostra i primi tre passi della morte: la rabbia, l’insulto, il disprezzo, tre forme di omicidio.

L’uccisione esteriore viene dalla eliminazione interiore dell’altro.

Chi gli dice pazzo sarà destinato al fuoco della Geenna.” Geenna non è l’inferno, ma quel vallone alla periferia di Gerusalemme, dove si bruciavano le immondizie della città, da cui saliva perennemente un fumo acre e cattivo. Gesù dice: se tu disprezzi e insulti il fratello tu fai spazzatura della tua vita, la butti nell’immondizia; è ben più di un castigo, è la tua umanità che marcisce e va in fumo.

Bellissime le antitesi di Gesù: fu detto ma io vi dico.

A chi fu detto? Agli antichi, non dice con rispetto ai padri venerabili, ai patriarchi, ma agli antichi, è roba del passato; il credente è nuovo e le cose di prima sono passate. Ma io vi dico. Gesù entra nel progetto di Dio non per rifare un codice, ma per rifare il coraggio del cuore, il sogno di Dio. Agendo su tre leve decisive: la violenza, il desiderio, la sincerità nella relazione.

E quando dice: chi non osserverà questi precetti…chi trasgredirà una sola virgola, non fa improvvisamente un passo indietro; non si riferisce alle antiche regole di Mosè, ma a quello che ha appena detto lui, alle beatitudini. Chi non vive le beatitudini sarà un uomo piccolo, un uomo minuscolo nel regno. Qui si parla del Regno, e nel Regno non si entra con le vecchie norme mosaiche, ma con le nuove parole di vita di Gesù, con le beatitudini, con il suo “ma io vi dico!”..

Avete inteso che fu detto: non commettere adulterio. Ma io vi dico: se guardi una donna per desiderarla sei già adultero. Non dice semplicemente: se un uomo desidera una donna, o viceversa, e come si fa?

Ma: se guardi per desiderare, cioè per conquistare e violare, per sedurre e possedere, se la riduci a un oggetto da prendere o collezionare, tu commetti un reato, un delitto contro la nobiltà di quella persona.

Non si tratta del desiderio di un uomo verso una donna, che fa parte dell’ordinamento della natura, ma il desiderio predatorio di impossessarsi di lei come di una cosa, un oggetto per te.

E così per il giuramento che si deve alla mancanza di fiducia. Dal divieto del giuramento, Gesù va fino in fondo, arriva al divieto della menzogna. Di’ sempre la verità, sarai credibile e non servirà più giurare.

Allora ha portato più scrupoli, più ansia, più problemi?

No, il passaggio è dalla legge al cuore.

Dall’obbligo alla tenerezza.

Dalla ritualità alla figliolanza.

C’è da guarire il cuore,

per poi guarire la vita.

 

 

 

 

 

 

“Di fronte ad una situazione così spiritualmente devastante come faccio a convincere gli altri che Gesù ci ama e vuole che ognuno di noi si salvi?”

Questa è una domanda che si fanno non solo i buoni sacerdoti ed i catechisti impegnati, ma anche molti laici cristiani pieni di zelo.

In effetti siamo testimoni di molti comportamenti peccaminosi: si tralasciano i Sacramenti, ci si tuffa nei bagordi e divertimenti di ogni tipo, non si considera il valore altissimo del sacramento del matrimonio, la bestemmia ed il turpiloquio si diffondono sempre di più, non si rispettano i dieci comandamenti, non si crede più nell’anima immortale e nell’aldilà, dilaga apostasia, si rinnega la divinità e persino l’esistenza di Gesù Cristo.

Insomma si espande l’incredulità ed il peccato in tutti gli ambiti sociali ed a ogni età.

Ad estremi mali estremi rimedi.

I sacerdoti nelle omelie, nelle catechesi e negli incontri inter-personali dovrebbero riprendere a parlare anche dell’aldilà con convinzione. Anche i catechisti ed i laici dovrebbero farlo.

Il profeta Giona fu inviato ad ammonire la città di Ninive per il pessimo comportamento dei suoi abitanti e questi si convertirono. Allora Dio decise di non distruggerla.

Oggi ci troviamo in una situazione ben peggiore. Nonostante le esortazioni moltissimi non intendono cambiare condotta. Se non si vuole essere attratti dal fascino del vero Bene e dell’amore, allora è necessario ammonire i fratelli dicendo a tutti chiaramente che esiste l’inferno ed è eterno, come più volte ha fatto Gesù.

Questa è una delle più alte forme di carità: aiutare le persone con la predicazione, la testimonianza personale e la preghiera a salvarsi l’anima.

 

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Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi

I seduttori e i maestri: due voci ben diverse

IV Domenica di Pasqua – Anno C – 2019

Vangelo – Giovanni 10,27-30

In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

Le mie pecore ascoltano la mia voce. Non i comandi, la voce. Quella che attraversa le distanze, inconfondibile; che racconta una relazione, rivela una intimità, fa emergere una presenza in te. La voce giunge all’orecchio del cuore prima delle cose che dice. È l’esperienza con cui il bambino piccolo, quando sente la voce della madre, la riconosce, si emoziona, tende le braccia e il cuore verso di lei, ed è già felice ben prima di arrivare a comprendere il significato delle parole. La voce è il canto amoroso dell’essere: «Una voce! L’amato mio! Eccolo, viene saltando per i monti, balzando per le colline» (Ct 2,8). E prima ancora di giungere, l’amato chiede a sua volta il canto della voce dell’amata: «La tua voce fammi sentire» (Ct 2,14)…

Quando Maria, entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta, la sua voce fa danzare il grembo: «Ecco appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo» (Lc 1,44).

Tra la voce del pastore buono e i suoi agnelli corre questa relazione fidente, amorevole, feconda. Infatti perché le pecore dovrebbero ascoltare la sua voce? Due generi di persone si disputano il nostro ascolto: i seduttori, quelli che promettono piaceri, e i maestri veri, quelli che danno ali e fecondità alla vita. Gesù risponde offrendo la più grande delle motivazioni: perché io do loro la vita eterna. Ascolterò la sua voce non per ossequio od obbedienza, non per seduzione o paura, ma perché come una madre, lui mi fa vivere. Io do loro la vita.

Il pastore buono mette al centro della religione non quello che io faccio per lui, ma quello che lui fa per me. Al cuore del cristianesimo non è posto il mio comportamento o la mia etica, ma l’azione di Dio. La vita cristiana non si fonda sul dovere, ma sul dono: vita autentica, vita per sempre, vita di Dio riversata dentro di me, prima ancora che io faccia niente.

Prima ancora che io dica sì, lui ha seminato germi vitali, semi di luce che possono guidare me, disorientato nella vita, al paese della vita. La mia fede cristiana è incremento, accrescimento, intensificazione d’umano e di cose che meritano di non morire. Gesù lo dice con una immagine di lotta, di combattiva tenerezza: Nessuno le strapperà dalla mia mano. Una parola assoluta: nessuno. Subito raddoppiata, come se avessimo dei dubbi: nessuno può strapparle dalla mano del Padre.

Io sono vita indissolubile dalle mani di Dio. Legame che non si strappa, nodo che non si scioglie. L’eternità è un posto fra le mani di Dio. Siamo passeri che hanno il nido nelle sue mani. E nella sua voce, che scalda il freddo della solitudine.

(Letture: Atti 13,14.43-52; Salmo 99; Apocalisse 7,9.14-17; Giovanni 10,27-30)

https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/i-seduttorie-i-maestri-due-voci-ben-diverse

Commento al Vangelo domenica IV di Pasqua – 12 maggio – p.Ermes – non i comandi, la Voce

 

 

Il Vangelo a cura di Padre Ermes Ronchi

VII Domenica Tempo ordinario – Anno C – 2019

Il Signore elimina il concetto di nemico

Vangelo – Luca 6, 27-38

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli «A voi che ascoltate, io dico amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro (…).

Gesù ha appena proiettato nel cielo della pianura umana il sogno e la rivolta del Vangelo. Ora pronuncia il primo dei suoi “amate”. Amate i vostri nemici . Lo farai subito, senza aspettare; non per rispondere ma per anticipare; non perché così vanno le cose, ma per cambiarle.

La sapienza umana però contesta Gesù: amare i nemici è impossibile.

E Gesù contesta la sapienza umana: amatevi altrimenti vi distruggerete. Perché la notte non si sconfigge con altra tenebra; l’odio non si batte con altro odio sulle bilance della storia. Gesù vuole eliminare il concetto stesso di nemico. Tutti attorno a noi, tutto dentro di noi dice: fuggi da Caino, allontanalo, rendilo innocuo. Poi viene Gesù e ci sorprende: avvicinatevi ai vostri nemici, e capovolge la paura in custodia amorosa, perché la paura non libera dal male.

E indica otto gradini dell’amore, attraverso l’incalzare di verbi concreti: quattro rivolti a tutti: amate, fate, benedite, pregate; e quattro indirizzati al singolo, a me: offri, non rifiutare, da’, non chiedere indietro.

Amore fattivo quello di Gesù, amore di mani, di tuniche, di prestiti, di verbi concreti, perché amore vero non c’è senza un fare.

Offri l’altra guancia, abbassa le difese, sii disarmato, non incutere paura, mostra che non hai nulla da difendere, neppure te stesso, e l’altro capirà l’assurdo di esserti nemico. Offri l’altra guancia altrimenti a vincere sarà sempre il più forte, il più armato, e violento, e crudele. Fallo, non per passività morbosa, ma prendendo tu l’iniziativa, riallacciando la relazione, facendo tu il primo passo, perdonando, ricominciando, creando fiducia.

«A chi ti strappa la veste non rifiutare neanche la tunica», incalza il maestro, rivolgendosi a chi, magari, non possiede altro che quello. Come a dire: da’ tutto quello che hai. La salvezza viene dal basso! Chi si fa povero salverà il mondo con Gesù (R. Virgili). Via altissima. Il maestro non convoca eroi nel suo Regno, né atleti chiamati a imprese impossibili. E infatti ecco il regalo di questo Vangelo: come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro.

Ciò che desiderate per voi fatelo voi agli altri: prodigiosa contrazione della legge, ultima istanza del comandamento è il tuo desiderio. Il mondo che desideri, costruiscilo. «Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo» (Gandhi).

Ciò che desideri per te, ciò che ti tiene in vita e ti fa felice, questo tu darai al tuo compagno di strada, oltre l’eterna illusione del pareggio del dare e dell’avere. È il cammino buono della umana perfezione. Legge che allarga il cuore, misura pigiata, colma e traboccante, che versa gioia nel grembo della vita.

(Letture 1 Samuele 26,2.7-9.12-13.22-23; Salmo 102; 1 Corinzi 15, 45-49; Luca 6, 27-38).

https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/il-signoreeliminail-concettodi-nemico

Commento al vangelo domenica 24 febbraio – p.Ermes – Il Signore elimina il concetto di nemico

 

di p. Ermes Ronchi

PASQUA NOTTE 2018

Marco 16,1-8

 

Parole d’angelo, forti e tenere: voi, non abbiate paura. Non temete la vita, voi donne, madri della vita! È guerra tra Dio e la paura.

E continua con parole struggenti: so che cercate Gesù Nazareno, il crocifisso! come l’amata del cantico lo cercate: cerco l’amore dell’anima mia, lo cerco e non lo trovo, uscirò per la città, e oltre le mura: avete visto l’amore dell’anima mia?…

L’angelo, lui sì ha visto l’amore, e sa la risposta: Non è qui.

Che bella questa parola, queste tre parole: ‘non è qui’.

L’ho ripetuta dentro di me inginocchiato al santo Sepolcro a Gerusalemme, sintesi di Pasqua.

Lui è, ma non qui.

Lui è, ma va cercato fuori, altrove, è in giro per le strade; è il vivente, è un Dio da sorprendere nella vita.

È dovunque, eccetto che fra le cose morte.

Matura come un germoglio di luce nella notte,

come un seme di fuoco nella storia.

È dentro i sogni di bellezza, in ogni scelta per un più grande amore, è dentro l’atto di generare degli uomini, nei gesti di pace, negli abbracci degli amanti, nel grido vittorioso del bambino che nasce, nell’ultimo respiro del morente, nei martiri per fede.

tutti convocati dall’angelo, perché la risurrezione di Gesù Cristo non riguarda lui solo, coinvolge me, e cattura dentro il suo risorgere tutto l’universo; queste pasque non solo umane, come canta p. Turoldo

Pasqua è una energia che si dirama per tutte le vene del mondo,

una forza che ha imbevuto di sé tutta la trama del creato.

 

Non è qui. Bisogna cercare più a fondo, cercare in altro modo, con occhi attenti, non c’è luogo che lo contenga, non chiesa, non parole, non riti. Lui è oltre, sempre oltre è il suo infinito cammino.

Vi precede in Galilea (Mt 28,7): là dove tutto è cominciato. Ripartite da quel lago, ritornate alle prime parole con cui vi ha rubato il cuore.

Il Risorto cammina davanti, ad aprire la nostra immensa migrazione verso la vita. Davanti, a ricevere in faccia il vento, l’ingiuria, la morte, il sole, senza arretrare di un passo mai. Vorrei entrare nella sua corrente ed essere trascinato in avanti e in alto.

Là lo vedrete. Noi lo vedremo. Noi, se ritorniamo alla Galilea degli inizi del vangelo, vedere Lui vuol dire vedere con occhi nuovi tutto ciò che ha fatto e detto, guarito e predicato, sanato e messo in cammino attorno a sé…

E coloro che, come lui, non accettano che il mondo si perpetui così com’è, coloro che lavorano per cieli nuovi e nuova terra, sanno che chi vive una vita come la sua, ha in dono già la sua stessa vita indistruttibile.

È risorto, dice l’angelo; lo dice con il verbo dei nostri mattini, si è svegliato, si è alzato. E continua ad alzarsi nel cuore, lui il risveglio del mondo; l’ha detto: io sono la risurrezione e la vita.

Si è alzato da dove era sceso, dalle catacombe della storia, dalle catacombe dei fuggiaschi, dai buchi dei dannati della terra, dai barconi che affondano.

È disceso nelle mie zone di durezza e di sterilità, nelle profondità della materia e della storia, nella vittima e anche nel carnefice,

ed è qui, ora, presente in me come risurrezione,

come forza di gravità celeste,

come forza di attrazione verso l’alto,

annuncio che i carnefici non avranno ragione delle loro vittime in eterno.

Eppure la morte sembra vincere. Il male del mondo mi fa dubitare, è troppo, è feroce, è pazzo: vedo Gaza e i suoi morti e dubito, la Siria mi fa dubitare; il martirio crescente dei cristiani, dubitare dell’esistenza stessa di un Padre buono;

milioni che non hanno cibo, acqua, casa, amore; il cancro, la corruzione, il cinismo, il nocciolo durissimo dell’indifferenza, mi fanno dubitare; la terra avvelenata, l’acqua avvelenata, la terra dei fuochi dove per soldi hanno avvelenato i propri figli, mi fanno dubitare.

Non è qui, dice l’angelo.

Allora guardo meglio e vedo immense energie di bene nel mondo,

vedo giovani che travasano forza in chi è debole,

donne generose fino alla follia

anziani sapienti, che amano giustizia e bellezza,

vedo gente onesta perfino nelle piccole cose,

vedo occhi pieni di luce

e sorrisi più belli di quanto la vita non lo consenta.

Il mondo è una immensa collina di croci. È vero. E tuttavia è altrettanto certo che nel mezzo dell’oscurità comincia sempre a sbocciare qualcosa di nuovo.

Dove la terra è stata spianata vedo spuntare un filo d’erba testardo, e poi un fiore che si impunta, ostinato, e poi un prato irremovibile.

Vedo mucchi di macerie, eppure sulle macerie torna ad apparire un germoglio di vita, ostinata e invincibile.

Vedo che la bellezza rinasce ogni giorno nel mondo.

E questo perché?

Perché il Risorto è all’opera, in alto silenzio e con piccole cose.

è la linfa profonda che scorre nelle arterie del mondo,

Il mondo combatte per fiorire. Sono fioriti i pruni e i biancospini in questi giorni:

“è Dio che in essi fiorisce,

si espande, dilaga, e poi torna a fiorire” (Turoldo).

Il Risorto combatte per far fiorire il mondo (papa Francesco),

ad ogni mattino combatte per svegliarci dal sonno del cuore.

E potranno tagliare tutti i germogli, potranno recidere tutti i fiori,

ma non potranno impedire alla primavera di ritornare. Io lo credo.

La Pasqua non si lascia sgomentare. Io lo credo.

La Risurrezione del Signore non si ritira,

ha già penetrato la trama nascosta di questa storia. Io lo credo

Tu, semente che si disfa, entra nel profondo del cuore umano. e noi … staremo ad ascoltare la crescita del grano” (mons. Tonino Bello)

 

Inizia dalla Risurrezione

Dal sepolcro vuoto

Da Nostra Signora della Gioia

Allora perfino la croce allieterà…

Non fate di me una piagnucolona

Dice Nostra Signora

Una volta era così

Ora è diverso

Inizia dal sepolcro vuoto

Dal sole

Il vangelo si legge come le lettere ebraiche

Dalla fine.

 

 

Maria ss.ma Madre di Dio

OTTAVA DEL NATALE

Giornata mondiale della Pace – Anno 2018

p. Ermes Ronchi
Num 6,22-27; Lc 2, 18-21

 

È un dono, è un regalo entrare in un nuovo anno. Un regalo immeritato il tempo che ci è offerto da vivere. Siamo qui per dire per l’anno trascorso ‘grazie’; per l’anno che si apre ‘sì, come tu vorrai’.

Signore, nell’anno trascorso abbiamo incontrato persone, per ogni relazione sbagliata o fallita, perdono, ma per ogni amicizia che è iniziata ti diciamo grazie

-ti ringraziamo Signore.

Ogni giorno sono nati in noi pensieri, per quelli negativi e ostili, perdono, per quelli invece luminosi e affettuosi, ti diciamo grazie,

Signore abbiamo detto un mucchio di parole, per quelle cattive, che hanno fato soffrire, perdono, per quelle che forse hanno fatto bene a qualcuno, grazie, preghiamo

 

Omelia

All’inizio dell’anno, la prima parola che Dio ci rivolge è un augurio, bello come pochi: Il Signore parlò a Mosè, ad Aronne, ai suoi figli e disse: Voi benedirete i vostri fratelli.

Voi benedirete… è un ordine, è per tutti: in principio, per prima cosa, tu benedirai. Che lo meritino o no, quelli buoni e anche i meno buoni, prima di ogni altra cosa ‘tu benedirai i tuoi fratelli’. Lo farai subito, come primo gesto. Se non impariamo a benedire non saremo mai felici.

Cosa vuol dire benedire? Per capirlo dobbiamo risalire alla prima, alla madre di tutte le benedizioni, nella Genesi: “Dio benedisse l’uomo e la donna dicendo: crescete e moltiplicatevi!” La benedizione è una energia che scende da Dio, una forza che proviene dall’alto, entra in me e si esprime in due azioni: crescete e moltiplicatevi

E come si fa a benedire? Dio stesso insegna le parole, e sono quelle e non altre, e sono bellissime. Le seguiamo ad una ad una, dalla prima lettura:

Ti benedica il Signore

e ti custodisca.

Ti benedica, venga in te, su di te portando energia di vita e di nascite.

Ti custodisca, sia con te in ogni passo che farai. In ogni strada che prenderai. Dio per te, come canta il salmo, sarà roccia e nido, castello sicuro e strada nel cuore. Non sarai mai solo.

Faccia risplendere per te il suo volto

E ti faccia grazia.

Un Dio che ha il volto luminoso. Non il Dio degli effetti speciali, non il Signore che dà le leggi e ed emana sentenze, ma colui che regala luce. Luce interiore, per vedere dove andare, per non cadere;

luce che non fa violenza mai alle cose, si posa come una carezza, risveglia i colori e fa godere la bellezza;

luce per conoscere, per incontrare gli altri senza più paura.

Dio ha un volto di luce, perché ha un cuore di luce.

Il Signore ti faccia grazia. Vuol dire:

si rivolgerà verso di me, si chinerà su di me, mi farà grazia di tutti gli sbagli, di tutti gli abbandoni, mi farà ripartire da ogni stanchezza. Non pretende che io non cada mai, ma mi aiuterà a rialzarmi, facendomi grazia, sempre.

Al Salmo abbiamo cantato: Il Signore ci benedica con la luce, la benedizione di Dio per l’anno che viene non è né salute, né ricchezza, né fortuna, né lunga vita, non sono i beni materiali, le tante cose, ma molto semplicemente è la luce.

Luce interiore per vedere in profondità le cose,

luce per scegliere la via da percorrere,

luce per poter gustare bellezza e incontri.

La benedizione di Dio sono accanto a noi persone dal volto e dal cuore luminosi che emanano bontà, generosità, bellezza, pace.

Terza piccola strofa della benedizione biblica:

Il Signore rivolga a te il suo volto

E ti conceda pace.

Rivolgere il volto a qualcuno è come dire: tu mi interessi, mi piaci, sei importante per me e mi giro verso di te.

Cosa ci riserverà l’anno che viene? Io non lo so, ma di una cosa sono certo: il Signore si girerà verso di me, sarà ancora più vicino.

E se io e mi farò cadrò e mi farò male,

Dio si piegherà ancora di più su di me.

Lui sarà il mio confine di cielo,

curvo su di me come una madre,

perché non gli deve sfuggire un solo sospiro,

non deve andare perduta una sola lacrima.

Qualunque cosa accadrà quest’anno Dio sarà chino su di me,

con un dono di luce.

E ti conceda pace: La pace, miracolo fragile, che abbiamo infranto anche quest’anno mille e mille volte, in ogni angolo della terra. La pace, dono e conquista. Sogno cento volte infranto, ma di cui non ci è concesso stancarci.

È la giornata della pace, questa notte si sono tenute molte manifestazioni e preghiere, la marcia della pace a Sotto il Monte… Com’è che non riusciamo a vivere insieme senza ucciderci? Quale è l’alternativa? Quella del vangelo: Amatevi altrimenti vi distruggerete. Il vangelo è tutto qui.

 

Ho ricevuto da un amico un bellissimo augurio-proposito che allargo a voi tutti: non regaliamo cose, “Per quest’anno regaliamo relazioni umane!” (Adriano Sella). C’è una povertà relazionale ancora più grave di quella materiale. E che dice questo: Il più bel regalo per gli altri siamo noi e non le cose. E questo regalo non è in vendita nei negozi. E si fa concreto con relazioni ricche di calore umano, gratuite, vive. Regaliamo relazioni umane. Non hanno prezzo, ma esigono che tiriamo fuori il meglio di noi. Ci fanno diventare migliori.

Otto giorni dopo Natale il Vangelo ci riporta a Betlemme, perché il Natale non è facile, è una conquista lenta: Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette dai pastori.

Lo stupore della fede. Davanti a Dio nella piccolezza: che è la forza dirompente del Natale:tutti vogliono crescere nel mondo, ogni bambino vuole essere uomo. Ogni uomo vuole essere re. Ogni re vuole essere ‘dio’. Solo Dio vuole essere bambino” (L. Boff). Essere come te.

Maria custodiva e meditava nel suo cuore. Maestra di stupore. Custodire è il verbo che salva il passato e meditare è il verbo che salva il presente. Maria medita, vuole tenere insieme gli estremi: una stalla e sopra di essa una moltitudine di angeli, un Bambino che piange al suo seno e il Verbo che era presso Dio.

Custodiva nel suo cuore! Perché la storia di un figlio è scritta prima di tutto nel cuore di sua madre.

Custodiva la Bella Notizia. Che è questa: Dio ha un cuore di carne e conosce il desiderio umanissimo di amare e di essere amato.

L’augurio è che possiamo tutti restituire tempo al cuore.

E come oggi ricomincia da capo il grande ciclo dell’anno e il tempo ridiventa nuovo, così anche noi iniziamo da capo la nostra avventura

verso più pace, verso meno violenza, meno fango, meno sangue.

Verso più relazioni umane. Buon anno, allora, buono della bontà di Dio.

Lui ti benedica e ti custodisca,

illumini per te il suo volto,

si chini su di te

e ti dia tutta la sua pace!

 

 

LA BENEDIZIONE DELLA CASA

 

Benedici ogni casa, Signore.

Il sacrificio fedele dell’amore,

la poesia dei gesti quotidiani,

la risurrezione di ogni alba,

i risvegli accanto a chi amo,

l’amore racchiuso dentro una carezza.

 

Benedici ogni casa,

quando la sera accoglie in sé le vite,

quando al mattino si offre alla luce,

quando accoglie ospiti e pellegrini e amici

attorno alla tavola, tuo primo altare.

 

Benedici ogni casa,

che sia nido e vela,

profumata di pane e di fatica,

i suoi miracoli, i suoi misteri,

l’amore sotto ogni silenzio,

la speranza sotto ogni paura.

 

Benedici la mia casa, Signore,

anche nei giorni in cui

allo slancio subentra la stanchezza

e la fatica sembra scolorire la gioia.

 

Benedici gli occhi semplici sulle cose,

il cuore che respira l’infinito,

l’istante che brilla nell’eterno

e l’eterno che abita l’istante.

 

Benedici me, Signore,

con la presenza dei miei cari

E possa tu benedire loro

con la mia presenza.

 

 

Benedizione gaelica

Possa la strada venirti incontro

Possa il vento soffiare alle tue spalle

Possa il sole splendere caldo sul tuo volto

La pioggia cadere leggera sui tuoi campi

E fino a quando non ci incontreremo di nuovo

Possa il Signore tenerti

Nel palmo della sua mano.

 

Se non impariamo a benedire non saremo mai felici.

 

 

 

Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi

Nella notte, la voce dello sposo che risveglia la vita
XXXII Domenica – tempo ordinario – Anno A – 2017

Vangelo – Matteo 25,1-13

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. (…)

 

Una parabola difficile, che si chiude con un esito duro («non vi conosco»), piena di incongruenze che sembrano voler oscurare l’atmosfera gioiosa di quella festa nuziale. Eppure è bello questo racconto, mi piace sentire che il Regno è simile a dieci ragazze che sfidano la notte, armate solo di un po’ di luce. Di quasi niente.

Che il Regno è simile a dieci piccole luci nella notte, a gente coraggiosa che si mette per strada e osa sfidare il buio e il ritardo del sogno; e che ha l’attesa nel cuore, perché aspetta qualcuno, uno sposo, un po’ d’amore dalla vita, lo splendore di un abbraccio in fondo alla notte. Ci crede.

 

Ma qui cominciano i problemi. Tutti i protagonisti della parabola fanno brutta figura: lo sposo con il suo ritardo esagerato che mette in crisi tutte le ragazze; le cinque stolte che non hanno pensato a un po’ d’olio di riserva; le sagge che si rifiutano di condividere; e quello che chiude la porta della casa in festa, cosa che è contro l’usanza, perché tutto il paese partecipava all’evento delle nozze… Gesù usa tutte le incongruenze per provocare e rendere attento l’uditorio.

 

Il punto di svolta del racconto è un grido. Che rivela non tanto la mancata vigilanza (l’addormentarsi di tutte, sagge e stolte, tutte ugualmente stanche) ma lo spegnersi delle torce: Dateci un po’ del vostro olio perché le nostre lampade si spengono… La risposta è dura: no, perché non venga a mancare a noi e a voi. Andate a comprarlo.

 

Matteo non spiega che cosa significhi l’olio. Possiamo immaginare che abbia a che fare con la luce e col fuoco: qualcosa come una passione ardente, che ci faccia vivere accesi e luminosi. Qualcosa però che non può essere né prestato, né diviso.

Illuminante a questo proposito è una espressione di Gesù: «risplenda la vostra luce davanti agli uomini e vedano le vostre opere buone» (Mt 5,16). Forse l’olio che dà luce sono le opere buone, quelle che comunicano vita agli altri. Perché o noi portiamo calore e luce a qualcuno, o non siamo.

«Signore, Signore, aprici!».
Manca d’olio chi ha solo parole: «Signore, Signore…» (Mt 7,21),
chi dice e non fa.

Ma il perno attorno cui ruota la parabola è quella voce nel buio della mezzanotte, capace di risvegliare la vita. Io non sono la forza della mia volontà, non sono la mia resistenza al sonno, io ho tanta forza quanta ne ha quella Voce, che, anche se tarda, di certo verrà; che ridesta la vita da tutti gli sconforti, che mi consola dicendo che di me non è stanca, che disegna un mondo colmo di incontri e di luci. A me basterà avere un cuore che ascolta e ravvivarlo, come fosse una lampada, e uscire incontro a chi mi porta un abbraccio.

(Letture: Sapienza 6,12-16; Salmo 62; 1 Tessalonicesi 4,13-18; Matteo 25,1-13)

Gesù: «risplenda la vostra luce davanti agli uomini
e vedano le vostre opere buone» (Mt 5,16).
Forse l’olio che dà luce sono le opere buone,
quelle che comunicano vita agli altri.
Perché o noi portiamo calore e luce a qualcuno, o non siamo.

Ma il perno attorno cui ruota la parabola è
quella voce nel buio della mezzanotte,
capace di risvegliare la vita.
Io non sono la forza della mia volontà,
non sono la mia resistenza al sonno,
io ho tanta forza quanta ne ha quella Voce, che,
anche se tarda, di certo verrà

… quella Voce che ridesta la vita da tutti gli sconforti, che mi consola dicendo
che di me non è stanca, che disegna un mondo colmo di incontri e di luci.
A me basterà avere un cuore che ascolta e ravvivarlo, come fosse una lampada,
e uscire incontro a chi mi porta un abbraccio.

 

 

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Testo di p. Ermes Ronchi.

 

Credo la Comunione dei Santi: la mia forza è nella comunione con chi è più forte di me, la mia purezza rinasce dalla comunione con chi ha occhi più limpidi dei miei. Nel tempo e nell’eterno santi e peccatori si tengono per mano.

Santo non significa senza peccato. Anche il giusto pecca sette volte al giorno, Pietro scappa e rinnega, gli altri si nascondono: non ce l’hanno fatta loro chi sono io per credermi superiore agli apostoli?

Il santo è colui che pecca sette volte, ma fa il bene settanta volte sette; colui che ricopre il male di bene, lo soffoca, gli toglie l’aria. Nel cuore anche il santo ha radici di zizzania e di buon grano intrecciate, ma lui si dedica a coltivare, custodire, far fiorire le spighe del bene.

Santità è come per Pietro che ha tradito, è rinnovare la sua scelta per Cristo: Pietro mi ami tu, adesso. Sì, tu lo sai, un po’ di bene te lo voglio! Santità è rinnovare la passione per Dio. E per l’uomo.

 

(dall’omelia di p. Ermes Ronchi del 1° novembre 2012)

 

 

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p. Ermes Ronchi

XIV domenica Matteo 11, 25-30

Quello che mi incanta è Gesù che si stupisce di Dio.

È una cosa bellissima questo Gesù che si lascia sorprendere da un Dio sempre fantasioso e inventivo nelle sue trovate, che spiazza tutti, perfino suo figlio.

È Luca che racconta così quel momento: In quella stessa ora Gesù esultò di gioia, pieno di Spirito Santo e disse: ti rendo lode Padre: hai rivelato queste cose ai piccoli e le hai nascoste ai grandi.

Che cosa era successo? Gesù vive un brutto momento: aveva sperato che tutti, ma soprattutto i più attenti alla Sacra Scrittura, scribi e sacerdoti, rabbini e farisei, i migliori di Israele, avrebbero compreso il suo messaggio e l’avrebbero seguito… Invece è successo esattamente il contrario.

È un periodo di insuccessi, tira una brutta aria: Giovanni è arrestato, Gesù è contestato duramente dai rappresentanti del tempio, i villaggi attorno al lago dopo la prima ondata di entusiasmo e di miracoli si sono allontanati (ed ha appena levato il suo lamento: guai a te, Corazim, guai a te Betsaida…), è rifiutato da una generazione che non esista a definire “di bambini”(Mt 11, 16): è venuto Giovanni che non mangia e non beve e dicono: è un indemoniato; è venuto il Figlio dell’uomo che mangia e beve e dicono: ecco un mangione e un beone, amico di pubblicani e peccatori.

Siete come bambini che non sanno a che gioco giocare.

Ed ecco che in quell’aria di sconfitta, si apre davanti a Gesù uno squarcio inatteso, un capovolgimento improvviso che riempie Gesù di gioia: Padre, ti benedico, ti rendo lode, ti ringrazio.

Attorno a Gesù il posto sembrava rimasto vuoto, si erano allontanati i grandi, i sapienti, la gente per bene, ed ecco che il posto lo riempiono i piccoli: pescatori, poveri, malati, vedove, bambini, pubblicani, i preferiti da Dio.

Ti ringrazio, Padre, perché hai parlato a loro, e loro ti hanno capito.

Ho capito anch’io che tu scommetti su coloro sui quali la storia non scommette, sui deboli sbalzati a terra dal convoglio troppo rapido, e indifferente, e crudele della storia.

Beati voi, poveri! I piccoli sono le colonne segrete della storia; i poveri, e non i potenti, sono le colonne nascoste, le pietre vive del mondo nuovo.

Gesù che non se l’aspettava, si stupisce di Dio; è bellissima questa meraviglia che lo invade e lo senti felice, e non si lamenta più, e non c’è più aria di fallimento.

Adesso anche Gesù cambia visione del suo ministero, cambia modo di vedere le cose, è felice per questa nuova logica che è controcorrente, contromano, e molto più bella.

Mi piace tanto questo Gesù, che non si esalta per i successi, che non si deprime per qualche sconfitta: lui si apre al nuovo, a una nuova strada.

La teologa Dorothee Soelle dice di Gesù che è l’uomo più felice perché è dotato di un’immaginazione fuori dal comune. Grazie alla sua immaginazione, scopre l’agire di Dio, scopre nel fondo dell’altro angosce e speranze, e inventa come risposta parole e gesti di vita, quelli che l’amore ci fa chiamare «miracoli».

 

Hai rivelato queste cose ai piccoli… di quali cose si tratta? Nozioni, concetti? Non sono cose per i piccoli, ma per quelli che si credono i primi della classe.

Un piccolo, un bambino capisce subito l’essenziale: se gli vuoi bene o no.

In fondo è questo il segreto semplice della vita. Non ce n’è un altro, più profondo.

I piccoli, i peccatori, gli ultimi della fila, le periferie del mondo hanno capito che in questa rivoluzione della tenerezza sta il segreto di Dio. Voi valete più di molti passeri, ha detto l’altra domenica, voi avete il nido nelle sue mani.

 

Ma poi non basta, Gesù fa un ulteriore passo avanti.

Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro.

Gesù ha capito la logica di Dio e si inserisce, cominciando dagli ultimi della fila, dai bastonati della vita, stanchi e oppressi.

Non è difficile Dio: sta al fianco di chi non ce la fa, porta quel pane d’amore di cui ha bisogno ogni cuore umano stanco… E ogni cuore è stanco.

Venite, vi darò ristoro. E non già un catechismo, o nuove regole, ma il conforto del vivere. Due mani su cui appoggiare la vita stanca e riprendere il fiato del coraggio.

Come dice in questa pagina quella grande donna che fu sorella Maria di Campello sul Clitunno:

superiore all’affetto non c’è nulla.

Val più una goccia di affetto che un mare di spiritualità.

Tutti abbiamo debiti d’amore

e quelli dovranno passare sempre innanzi ai così detti interessi spirituali.

Di un segno di affetto ha estremo bisogno l’animo umano.

Si pensa a dare il pane. Sì.

Ma chi domanda pane può non averne bisogno estremo;

di questo pane ha invece bisogno ogni cuore stanco…

E ogni cuore è stanco”.

Gesù è il racconto della tenerezza di Dio per i cuori stanchi.

Se io che predico il vangelo, non sono di conforto a chi ascolta, non è vangelo vero quello che predico. Non è Cristo quello che io annuncio, perché nominare Cristo deve equivalere a confortare la vita.

Se non confortano sono parole e gesti che non vengono da lui, anzi sono la tomba della risposta di Dio.

Invece là dove le domande dell’uomo e la bellezza e la tenerezza di Dio si incontrano, lì esplode la vita.

 

E continua: Imparate da me che sono mite e umile di cuore, cioè imparate dal mio cuore. Il maestro della vita è il cuore.

Imparate dal mio modo di amare, delicato e indomito. Se ascolti per un minuto il cuore, scrive il mistico Rumi, farai lezione ai sapienti e agli intelligenti!

Il mio giogo è dolce e il mio peso è leggero: è musica, è buona notizia.

Gesù venuto a cambiarci l’immagine di Dio. Non più un dito accusatore puntato contro di noi, ma due braccia aperte. Venuto a rendere leggera e fresca la religione, a toglierci di dosso pesi. Una fede liberante.

Un liberatore di energie creative e perciò amato dai piccoli e dagli oppressi della terra.

Prendete su di voi l’amore, che è un re leggero, un tiranno amabile, che non colpisce mai ciò che è al cuore dell’uomo, non vieta mai ciò che all’uomo dà gioia e vita, ma è instancabile nel prendersi cura, nel rimettere in cammino, nel dare respiro.

Cos’è l’amore? E’ ossigeno. Ossigeno puro. Alla mia vita quando manca l’aria, alla vita che è in debito di ossigeno, alla vita che si è fermata, il vangelo di Gesù è ossigeno, è respiro. Allora, se ascolti e impari il cuore del vangelo, chiunque ti incontrerà troverà respiro, troverà ristoro per la sua vita.

 

Vorrei imparare a benedire di nuovo, ogni giorno.

Ad ogni mattino benedire i piccoli e i bambini,

mettermi alla loro scuola,

imparare dal loro cuore vero.

 

Vorrei imparare a dire grazie,

a dire bene di te e del mondo,

a stupirmi della vita, che mi ha dato tanto:

e che il lamento non prevalga mai sullo stupore.

 

Grazie per le sconfitte che non mi hanno buttato giù,

per i successi che non mi hanno dato alla testa.

Grazie per le persone che hai messo accanto a me,

nelle loro mani, nello sguardo, nel sorriso

ho visto il racconto della tua tenerezza.

 

Vorrei imparare dal tuo cuore, Signore,

ad amare nel solo modo possibile,

dolce e forte, umile e fiero:

 

instancabile nel curare,

nutrire, confortare, dare ristoro,

rimettere in cammino la vita.

 

E ti benedico, Padre, per il tuo figlio Gesù,

pienezza d’umano, stupore di te,

ristoro alla vita e cuore di luce.

Amen.

 

attende la vita là dove si è fermata e la rimette in moto.

rimettere in moto la vita, là dove si era fermata

vivificare, dare ristoro.

 

prendetevi cura, con tenerezza e serietà, di voi stessi, degli altri e del creato, diffondete la combattiva tenerezza di Dio, iniziando dai piccoli, che sono le colonne segrete della storia, le colonne nascoste del mondo. Prendersi cura di loro, come fa Dio, è prendersi cura del mondo intero.

 

Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Gesù viene e porta il ristoro della vita, mostra che è possibile vivere meglio, per tutti; che il vangelo è il sogno di rendere più umana e più bella la vita.

non è venuto a portare un sistema di nozioni, quelli dal cuore semplice lo sanno bene. Dio al fianco dei piccoli,

 

 

questa geneUn brutto periodo. Ma gesù non si lamenta, cambia modo di vedere e giunge a rendere lode al padre. La sittuazione si mette male e Gesù capisce che questa è la volontà di Dio.

Gesù si stupisce di Dio, bellissimo.

Se il posto resta vuoto chi lo occupa? i piccoli, quelli che si stupiscono di Dio sono gli ultimi, i pitocchi.

Non quelli in gamba, i preparati, i dottori… ma gli ultimi.

Rende lode al padre perché la logica di Dio va in tutt’altra direzione rispetto al mondo.

Vorrei avere la capacità di non fermarmi alla sconfitta, ma aprirmi

Dopo aver sottolineato Gesù fa un ulteriore passo in avanti.

 

Quando siamo toccati dalla sconfitta alcuni si arrabbiano, lui no. Non è il clan degli sfigati che chiama.

Chiede di prendere su di se il suo giogo, cioè la logica del dono.

I bastonati dalla vita

 

Ti rendo lode, Padre…il vangelo registra uno di quegli slanci improvvisi che accendevano di esultanza e di stupore gli incontri di Gesù: i piccoli lo capiscono, capiscono il segreto del vivere. Rappresentano l’uomo senza qualità che Dio accoglie nelle sue qualità.

Perché hai rivelato queste cose ai piccoli… Le cose rivelate non si possono recintare in una dottrina, non costituiscono un sistema di pensiero. Gesù è venuto per mostrare, per raccontare la rivoluzione della tenerezza di Dio (papa Francesco), nucleo originario e freschezza perenne del suo vangelo.

Questa rivoluzione della tenerezza, Dio al fianco dei piccoli, è la vera lingua universale, l’unica lingua comune ad ogni persona, in ogni epoca, su tutta la terra.

 

l’umanizzazione è il grande segno della spiritualità autentica. Nominare Cristo, parlare di vangelo, celebrare messa deve equivalere a confortare la vita affaticata, altrimenti sono parole e gesti che non vengono da lui. Le prediche, gli incontri, le istituzioni, devono diventare racconti d’amore, altrimenti sono la tomba della domanda dell’uomo e della risposta di Dio.

Imparate da me… Andare da Gesù è andare a scuola di vita. Gesù: quest’uomo senza poteri ma regale, libero come il vento, che nessuno ha mai potuto comprare o asservire, fonte di libere vite.

Da me che sono mite e umile di cuore… Imparate dal mio modo di essere, senza imposizione e senza arroganza. Imparate dal mio modo di amare, delicato e indomito. Il maestro è il cuore. Dio stesso non è un concetto: è il cuore dolce e forte della vita.

Il mio giogo è dolce e il mio peso è leggero, dolce musica, buona notizia. Il giogo, nel linguaggio della bibbia, indica la Legge. Ora la legge di Gesù è l’amore: prendete su di voi l’amore; prendetevi cura, con tenerezza e serietà, di voi stessi, degli altri e del creato, diffondete la combattiva tenerezza di Dio, iniziando dai piccoli, che sono le colonne segrete della storia, le colonne nascoste del mondo. Prendersi cura di loro, come fa Dio, è prendersi cura del mondo intero.

 

 

Tutta la bibbia racconta il sogno di rendere più umana, più bella la vita. L’umanizzazione è il grande segno della spiritualità autentica.

Gesù: un uomo senza poteri eppure regale, libero come il vento, che nessuno ha mai potuto comprare o indurire. Un re libero dell’infinita libertà dell’amore.

L’uomo che rivela la tenerezza combattiva (papa Francesco) di Dio che sceglie gli stanchi e gli oppressi, li ama, sta dalla loro parte. Imparate da me, che sono mite e umile di cuore: imparate dal mio modo di essere senza imposizione, senza arroganza. Chi è mite non si impone, non schiaccia con la sua superiorità, non ti costringe minacciando castighi. Ma ti fa risalire dai tuoi Egitti interiori.

Imparate dal mio modo di amare, delicato e indomito. Il maestro è il cuore. Se ascolti per un minuto il cuore, scrive il mistico Rumi, farai lezione ai sapienti e agli intelligenti!

Dio stesso non è un concetto: è il cuore dolce e forte e caldo della vita.

«Prendete il mio giogo sopra di voi. Il mio giogo è dolce e il mio peso è leggero». Il giogo nel linguaggio della bibbia è la legge. Ora la legge di Gesù è l’amore: il prendersi cura, con tenerezza e serietà, di sé, degli altri e del creato, diffondere attorno a sé la combattiva tenerezza di Dio.

Prendete su di voi l’amore, che è un re leggero, un tiranno amabile, che non colpisce mai ciò che è al cuore dell’uomo, non vieta ciò che all’uomo dà gioia e vita, ma è instancabile nel generare, curare, vivificare, dare ristoro.

Il mio giogo è dolce e il mio peso leggero,

I piccoli sono le colonne segrete della storia, i poveri sono le colonne nascoste del mondo.

Imparate da me… Il mestiere di vivere si impara, imparando il cuore di Dio, come appare in Gesù.

Scrive san Gregorio Magno: Impara il cuore di Dio dalle parole di Dio.

Ermes Ronchi

 

 

p. Ermes Ronchi

 

VI domenica di Pasqua

Gv 14,15-21

 

Un Vangelo da mistici oggi, di fronte al quale si può solo balbettare o portare la mano alla bocca. Un Vangelo che è velato più dalla bellezza delle parole che dall’innocenza del silenzio. Qui si tratta, parafrasando il titolo di un libro di Mancuso, nientemeno che di “io e Dio”.

L’orizzonte adesso non è più sui campi aperti della vita, come abbiamo potuto gustare oggi nel bellissimo trekking per il Festival Biblico “Sulle orme della Laudato si’, ma sul santuario interiore dove si svolge il tu per tu con Dio, dove ciascuno è posto faccia a faccia, corpo a corpo con il Signore.

La prima parola è un “se”: se mi amate. Un punto di partenza così libero, così umile, così fragile, così fiducioso, così paziente. Non dice: “dovete amarmi, guai a voi se non mi amate”. Nessuna minaccia, nessuna costrizione, puoi aderire e puoi rifiutarti in totale libertà.

Ma, “se mi ami”, sarai trasformato in un’altra persona, diventerai come me, prolungamento dei miei gesti, riflesso dei miei occhi: “se mi amate, osserverete i comandamenti miei”. Non per dovere, ma come espansione verso l’esterno di ciò che già preme dentro, come la linfa della vite a primavera, quando preme sulla corteccia dura dei tralci e la spacca, l’apre e ne esce in forma di gemme e di fori.

In questo passo di Giovanni, per la prima volta, Gesù chiede esplicitamente di essere amato. Il suo comando finora diceva: “Amerai Dio, amerai il prossimo tuo, vi amerete gli uni gli altri…”, ora aggiunge se stesso agli obiettivi dell’amore. Facendosi mendicante d’amore, rispettoso e generativo. Non rivendica amore, lo spera.

Ma amarlo è pericoloso. Ti cambia la vita.

Infatti il brano di oggi si compone di sette versetti in cui per sette volte Gesù ribadisce un concetto, anzi un sogno: unirsi a me, abitare in noi. E lo fa con parole che dicono unione, compagnia, incontro, grondano intimità, in una divina monotonia, umile e sublime: sarò con voi, verrò presso di voi, in voi, a voi, voi in me, io in voi. Tralcio unito alla madre vite, goccia nella sorgente, raggio nel sole, scintilla del roveto, respiro nel suo vento.

 

Gesù cerca spazi, spazi nel cuore, spazi per la trasformazione: Se mi ami diventi come me! Io posso diventare come Lui, acquisire nei miei giorni un sapore di cielo e di storia buona; sapore di libertà, di mitezza, di pace, di forza, di nemici perdonati, di tavole imbandite, e poi di piccoli abbracciati, di relazioni buone e feconde che sono la bellezza del vivere.

Quali sono “i comandamenti miei” di cui parla Gesù? Non l’elenco delle Dieci Parole del monte Sinai; non i comandi esigenti o i consigli sapienti dettati in tre anni di itineranza libera e felice.

I comandamenti da osservare sono quei gesti che riassumono la sua vita, che vedendoli non ti puoi sbagliare: è davvero Lui. Lui che si perde dietro alla pecora perduta, dietro a pubblicani e prostitute, che fa dei bambini i principi del suo regno, che ama per primo, ama in perdita, ama senza aspettare di essere ricambiato.

“Come ho fatto io, così farete anche voi” (Gv 13,15). Lui che cinge un asciugamano e lava i piedi, che spezza il pane, che nel giardino trema insieme al tremante cuore della sua amica (“donna, perché piangi?”), che sulla spiaggia prepara il pesce sulla brace per i suoi amici. Gesti che confortano la vita. Mentre nelle sue mani arde il foro dei chiodi incandescenti della crocifissione.

Il suo comando è l’amore, così noi lo riassumiamo, ma non è esatto. Il suo comando non è amare, già lo fanno in molti, in tutti i luoghi e in tutti i tempi.

Il comando di Gesù non è neanche amare il prossimo, questa è Legge antica, Legge di Mosé.

Non è neppure: Ama il prossimo tuo come te stesso, perché io non voglio, io non posso essere la misura dell’amore, non posso essere io il misero metro di una Legge che pretende di creare una terra nuova. Il comando di Gesù è, ad essere precisi: “Amatevi come io vi ho amato”.

Non quanto ma come. Inarrivabile per noi quell’amore, a misurarci finiremmo per esserne schiacciati. E’ questione di qualità non di quantità, questione di stile, di esattezza, di giusto sapore.

Ma io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore. Lo darà a tutti, senza misurare. E chiaro dovrebbe essere che tu e io, che noi abbiamo tanto Spirito Santo quanto ne ha il papa, quanto ne ha la massima autorità della Chiesa. Abbiamo tutto lo Spirito che ci serve. È vangelo.

Non vi lascerò orfani. Non lo siete ora e non lo sarete mai. La presenza di Cristo in me non è da conquistare, non è lontana. È già data, è dentro, è indissolubile, fontana che non verrà mai meno. Mai orfani.

E c’è in questo Vangelo come un girotondo, se questa parola non suonasse infantile ma soltanto innocente: come un girotondo dell’amore. Il primo versetto constata: “Se mi amate osserverete i comandamenti” e l’ultimo versetto chiude il circuito dicendo: “Se osservate i comandamenti mi amate. Sembrano contraddirsi: il primo dà come un anticipo, una priorità, un vantaggio all’amore sul fare; l’ultimo trasferisce questo primato, questo privilegio al fare che diventa la prova dell’amore.

Ma non si tratta di preferire l’uno o l’altro, bensì di leggerli insieme, di prenderli insieme nella circolarità del vivere, nella perfezione dell’amore.

Il circuito si apre con l’amore a Cristo, si chiude con la riprova di questo amore. A partire da te, ma non per te. A partire da come tu agisci io risalgo a quello che tu vivi. Per sette volte Gesù ha ribadito la sua passione di unirsi all’uomo e alla fine ne svela il perché: “Io vivo e voi vivrete”, la sua passione, la sua mania è solo quella di far vivere. “Io vivo e voi vivrete” di una vita simile alla mia. La Bibbia è il racconto del cielo che si innesta sulla terra, ma ancora di più è il racconto della trasfigurazione dell’uomo, trasformato come la sposa quando esce dalla camera nuziale gloriosa di vita nuova, dopo l’incontro d’amore con lo sposo.

Così noi, custodi di Dio, tutti vivi della sua vita.

 

Preghiera alla comunione da Angelo Silesio

 

Amore, che mi formasti a immagine

del Dio che non ha volto,

Amore, che sì teneramente

mi ricomponesti dopo la rovina,

Amore, ecco, mi arrendo:

sarò il tuo splendore eterno.

 

Amore che mi hai eletto

fin dal giorno in cui le tue mani

plasmavano il corpo mio,

Amore celato nell’umana carne,

ora simile a me interamente sei.

Amore, ecco, mi arrendo:

sarò il tuo possesso eterno.

 

Amore, che al tuo giogo

anima e sensi tutto m’hai piegato,

Amore, che mi rapisci nel gorgo tuo,

il cuore mio più non resiste.

Ecco, mi arrendo, Amore,

mia vita ormai eterna. Amen.

 

 

Il Vangelo      a cura di   Ermes Ronchi

Il giogo leggero dei comandamenti del Signore

VI Domenica di Pasqua – Anno A

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».

La prima parola è «se»: se mi amate. Un punto di partenza così libero, così umile, così fragile, così fiducioso, così paziente. Non dice: dovete amarmi. Nessuna minaccia, nessuna costrizione, puoi aderire e puoi rifiutarti in totale libertà.
Ma, se mi ami, sarai trasformato in un’altra persona, diventerai come me, prolungamento dei miei gesti, eco delle mie parole: se mi amate, osserverete i comandamenti miei. Non per dovere, ma come espansione verso l’esterno di ciò che già preme dentro, come la linfa della vite a primavera, quando preme sulla corteccia dura dei tralci e li apre e ne esce in forma di gemme e foglie.
In questo passo del Vangelo di Giovanni, per la prima volta, Gesù chiede esplicitamente di essere amato. Il suo comando finora diceva: Amerai Dio, amerai il prossimo tuo, vi amerete gli uni gli altri come io vi ho amato, ora aggiunge se stesso agli obiettivi dell’amore. Non detta regole, si fa mendicante d’amore, rispettoso e generativo. Non rivendica amore, lo spera.

Ma amarlo è pericoloso. Infatti il brano di oggi riporta sette versetti, in cui per sette volte Gesù ribadisce un concetto, anzi un sogno: unirsi a me, abitare in noi. E lo fa con parole che dicono unione, compagnia, incontro, intimità, in una divina monotonia, umile e sublime: sarò con voi, verrò presso di voi, in voi, a voi, voi in me io in voi.
Gesù cerca spazi, spazi nel cuore, spazi di trasformazione: se mi ami diventi come me! Io posso diventare come Lui, acquisire nei miei giorni un sapore di cielo e di storia buona; sapore di libertà, di mitezza, di pace, di forza, di nemici perdonati, e poi di tavole imbandite, e poi di piccoli abbracciati, di relazioni buone e feconde che sono la bellezza del vivere.

Quali sono i comandamenti miei di cui parla Gesù? Non l’elenco delle Dieci Parole del monte Sinai; non i comandi esigenti o i consigli sapienti dettati in quei tre anni di itineranza libera e felice dal rabbi di Nazaret.
I comandamenti da osservare sono invece quei gesti che riassumono la sua vita, che vedendoli non ti puoi sbagliare: è davvero lui. Lui che si perde dietro alla pecora perduta, dietro a pubblicani e prostitute, che fa dei bambini i principi del suo regno, che ama per primo, ama in perdita, ama senza aspettare di essere ricambiato.

«Come ho fatto io, così farete anche voi» (Gv 13,15). Lui che cinge un asciugamano e lava i piedi, che spezza il pane, che nel giardino trema insieme al tremante cuore della sua amica («donna, perché piangi?»), che sulla spiaggia prepara il pesce sulla brace per i suoi amici. Comandamenti che confortano la vita. Mentre nelle sue mani arde il foro dei chiodi incandescenti della crocifissione.

(Letture: Atti 8,5-8.14-17; Salmo 65; 1 Pietro 3,15-18; Giovanni 14,15-21)

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“Se mi amate, osserverete i miei comandamenti” Gv 14,15-21

I comandamenti da osservare sono quei gesti che riassumono la sua vita,

che vedendoli non ti puoi sbagliare: è davvero lui.

Lui che si perde dietro alla pecora perduta,

dietro a pubblicani e prostitute,

che fa dei bambini i principi del suo regno,

che ama per primo,

ama in perdita,

ama senza aspettare di essere ricambiato.

(Ermes Ronchi)

 

 

 

 

Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi

Gesù, il compagno di viaggio che non riconosciamo

III Domenica di Pasqua – Anno A – 30 aprile 2017

Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Emmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». […]

La strada di Emmaus racconta di cammini di delusione, di sogni in cui avevano tanto investito e che hanno fatto naufragio. E di Dio, che ci incontra non in chiesa, ma nei luoghi della vita, nei volti, nei piccoli gesti quotidiani.
I due discepoli hanno lasciato Gerusalemme: tutto finito, si chiude, si torna a casa. Ed ecco che un Altro si avvicina, uno sconosciuto che offre soltanto disponibilità all’ascolto e il tempo della compagnia lungo la stessa strada.
Uno che non è presenza invadente di risposte già pronte, ma uno che pone domande. Si comporta come chi è pronto a ricevere, non come chi è pieno di qualcosa da offrire, agisce come un povero che accetta la loro ospitalità.
Gesù si avvicinò e camminava con loro. Cristo non comanda nessun passo, prende il mio. Nulla di obbligato. Ogni camminare gli va. Purché uno cammini. Gli basta il passo del momento, il passo quotidiano.
E rallenta il suo passo sulla misura del nostro, incerto e breve. Si fa viandante, pellegrino, fuggitivo, proprio come i due; senza distanza né superiorità li aiuta a elaborare, nel racconto di ciò che è accaduto, la loro tristezza e la loro speranza: Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?
Non hanno capito la croce, il Messia sconfitto, e lui riprende a spiegare: interpretando le Scritture, mostrava che il Cristo doveva patire.
I due camminatori ascoltano e scoprono una verità immensa: c’è la mano di Dio posata là dove sembra impossibile, proprio là dove sembra assurdo, sulla croce. Così nascosta da sembrare assente, mentre sta tessendo il filo d’oro della tela del mondo. Forse, più la mano di Dio è nascosta più è potente.
E il primo miracolo si compie già lungo la strada: non ci bruciava forse il cuore mentre ci spiegava le Scritture? Trasmettere la fede non è consegnare nozioni di catechismo, ma accendere cuori, contagiare di calore e di passione. E dal cuore acceso dei due pellegrini escono parole che sono rimaste tra le più belle che sappiamo: resta con noi, Signore, perché si fa sera. Resta con noi quando la sera scende nel cuore, resta con noi alla fine della giornata, alla fine della vita. Resta con noi, e con quanti amiamo, nel tempo e nell’eternità.
E lo riconobbero dal suo gesto inconfondibile, dallo spezzare il pane e darlo.
E proprio in quel momento scompare. Il Vangelo dice letteralmente: divenne invisibile. Non se n’è andato altrove, è diventato invisibile, ma è ancora con loro. Scomparso alla vista, ma non assente. Anzi, in cammino con tutti quelli che sono in cammino, Parola che spiega, interpreta e nutre la vita. È sulla nostra stessa strada, «cielo che prepara oasi ai nomadi d’amore» (G. Ungaretti). https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/ges-il-compagno-di-viaggio-che-non-riconosciamo?utm_content=buffer9782d&utm_medium=social&utm_source=facebook.com&utm_campaign=buffer

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Il Vangelo – Ermes Ronchi
23 aprile 2017

Le ferite del Signore, quel segno eterno dell’amore

II Domenica di Pasqua – Anno A

Il Vangelo – Giovanni 20,19-31

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». […]

I discepoli erano chiusi in casa per paura. È un momento di disorientamento totale: l’amico più caro, il maestro che era sempre con loro, con cui avevano condiviso tre anni di vita, quello che camminava davanti, per cui avevano abbandonato tutto, non c’è più. L’uomo che sapeva di cielo, che aveva spalancato per loro orizzonti infiniti, è ora chiuso in un buco nella roccia. Ogni speranza finita, tutto calpestato (M. Marcolini). E in più la paura di essere riconosciuti e di fare la stessa fine del maestro.

Ma quegli uomini e quelle donne fanno una scelta sapiente, forte, buona: stanno insieme, non si separano, fanno comunità. Forse sarebbero stati più sicuri a disperdersi fra la folla e le carovane dei pellegrini. Invece, appoggiando l’una all’altra le loro fragilità, non si sbandano e fanno argine allo sgomento. Sappiamo due cose del gruppo: la paura e il desiderio di stare insieme.

Ed ecco che in quella casa succederà qualcosa che li rovescerà come un guanto: il vento e il fuoco dello Spirito. Germoglia la prima comunità cristiana in questo stringersi l’uno all’altro, per paura e per memoria di Lui, e per lo Spirito che riporta al cuore tutte le sue parole. Quella casa è la madre di tutte le chiese.

Otto giorni dopo, erano ancora lì tutti insieme. Gesù ritorna, nel più profondo rispetto: invece di imporsi, si propone; invece di rimproverarli, si espone alle loro mani: Metti, guarda; tendi la mano, tocca.

La Risurrezione non ha richiuso i fori dei chiodi, non ha rimarginato le labbra delle ferite. Perché la morte di croce non è un semplice incidente da superare: quelle ferite sono la gloria di Dio, il vertice dell’amore, e resteranno aperte per sempre.

Il Vangelo non dice che Tommaso abbia toccato. Gli è bastato quel Gesù che si ripropone, ancora una volta, un’ennesima volta; quel Gesù che non molla i suoi, neppure se l’hanno abbandonato tutti. È il suo stile, è Lui, non ti puoi sbagliare. Allora la risposta: Mio Signore e mio Dio. Mio, come lo è il respiro e, senza, non vivrei. Mio come il cuore e, senza, non sarei.

Perché mi hai veduto, hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto! Grande educatore, Gesù. Forma alla libertà, a essere liberi dai segni esteriori, e alla serietà delle scelte, come ha fatto Tommaso.

Che bello se anche nella Chiesa, come nella prima comunità, fossimo educati più alla consapevolezza che all’ubbidienza; più all’approfondimento che alla docilità.

Queste cose sono state scritte perché crediate in Gesù, e perché, credendo, abbiate la vita. Credere è l’opportunità di essere più vivi e più felici, di avere più vita: «Ecco io credo: e carezzo la vita, perché profuma di Te!» (Rumi).

(Letture: Atti 2,42-47; Salmo 117; 1 Pietro 1,3-9; Giovanni 20,19-31)

Fonte – http://buff.ly/2oYFIcd

 

DOMENICA DI PASQUA 2017

p. Ermes Ronchi

Gv 20,11-18

 

Buona Pasqua, fratelli sorelle amici, sconosciuti compagni di fede, a voi e a tutti quelli che portate nel cuore. Noi che celebriamo la Pasqua, siamo presi oggi dentro la potenza della risurrezione di Cristo Gesù, sospinti da lui, trascinati in alto da lui, forza ascensionale del cosmo, nella grande migrazione verso la vita.

Pasqua è questo: di fronte a chi decide di “amare e donare”, non c’è morte che tenga, non c’è tomba che chiuda, non c’è macigno che non rotoli via.

 

Signore, nostra vita, donaci speranza,

Signore, nostra risurrezione, donaci cuore

Signore, nostra Pasqua, donaci vita

 

La Pasqua è tornata, Pasqua è qui, testarda e lieve come il battito del cuore, in un vangelo dove tutto si colora di urgenza e di passione.

Urgenza del seme che si apre, del masso che rotola via, e il sepolcro vuoto e risplendente nel fresco dell’alba è come un grembo che ha partorito, come il guscio di un seme aperto.

Passione fino alle lacrime. Donna perché piangi?

Prima parola del Risorto, e non per dirle: spiegami, oppure non piangere più, smettila con il pianto. Ma per piegarsi su di lei, per abbracciarla, per stringersi a lei, e condividere e coinvolgersi.

“Diglielo perché piangi, Maria. Per un motivo grande, per il più grande dei motivi: Tu piangi per amore. Piange chi ama. Piange molto chi ama molto”. Maria, la chiama Gesù. Pronunciando il suo nome come nessuno sapeva fare. E lei si volta e il vangelo riporta questa parola: Rabbunì. Ma io credo che a Maria nel giardino è uscito dal cuore: amore, sei qui.

Perché tutte quelle lacrime non sono per un maestro che viene a mancare. Si piange così perché manca una parte della propria vita.

Le lacrime di Maddalena sono il tesoro del Risorto, Lui le raccoglie ad una ad una nel suo cuore, nei suoi archivi eterni, sono dichiarazioni d’amore.

Donna, perché piangi? Umanità, perché?

Eccolo il Dio che prova dolore per il dolore dell’uomo, del mondo che è un immenso pianto, che è tutto una collina di croci.

Ma ora Cristo si è innestato nel mondo, attraverso la croce e le ferite, ogni innesto avviene per ferita, lo sa bene la sapienza contadina. Innestato sul calvario, e la sua e nostra vita ormai una vita sola.

Donna perché? E’ lo stile inconfondibile di Gesù. Il Risorto riprende a fare ciò che ha sempre fatto, l’ha fatto nell’ultima ora del venerdì, occupandosi della paura e della speranza di un ladro giustiziato accanto a lui (oggi sarai con me…) lo fa nella prima ora di Pasqua, quando si occupa delle lacrime di Maria. E trema insieme al tremante cuore della sua amica. Ma poi innesta vita.

Gesù risorge dopo essere disceso agli inferi, diciamo nel Credo. E se risorge oggi è perché oggi è sceso negli inferi della storia, nella catacombe dei fuggiaschi, nei buchi dei dannati della terra, nei barconi che affondano.

È disceso nelle profondità della materia e della persona, nella vittima e anche nel carnefice, ed è qui, adesso come forza di risurrezione, come forza di gravità celeste, come forza di attrazione verso l’alto, verso la bontà, annuncio che i carnefici non avranno ragione delle loro vittime in eterno.

Eppure la morte sembra vincere. Il male del mondo mi fa dubitare, è troppo, è feroce, è pazzo: sembra contestare l’esistenza stessa di un Padre buono e provvidente;

terrorismo, armi sempre più potenti, milioni privati di cibo, acqua, casa, amore; il cancro, la corruzione, il nocciolo duro del cinismo e dell’indifferenza, milioni di Pilati che si lavano le mani, mi fanno dubitare; la terra avvelenata per denaro e che avvelena i figli, mi fanno dubitare. La mia vita accidentata, alle volte mi fa dubitare.

Tutto questo è certo. E tuttavia è altrettanto certo che nel mezzo dell’oscurità comincia sempre a sbocciare qualcosa di nuovo.

Dove la terra è stata spianata, osservo e vedo spuntare un filo d’erba testardo, e poi un fiore che si impunta a fiorire, ostinato, e poi un prato dal verde inestirpabile.

Vedo mucchi di macerie, eppure sulle macerie torna ad apparire un germoglio di vita, ostinata e invincibile. E anche in me.

Vedo che la bellezza rinasce ogni giorno nel mondo.

E questo perché?

Perché il Risorto è all’opera, in alto silenzio e con piccole cose.

Per la risurrezione di Cristo, io credo che

“non va perduta nessuna delle opere svolte con amore.

Non va perduta nessuna delle sincere preoccupazioni per gli altri. Non va perduto nessun atto d’amore,

non va perduta nessuna generosa fatica,

non va perduta nessuna dolorosa pazienza.

Tutto ciò circola attraverso il mondo,

circola come una forza di vita”(Ev Ga 278).

Una vita di una qualità indistruttibile. Questa è la linfa profonda che scorre nelle arterie del mondo, Dio si è innestato per ferita, nella ferita, e ci sospinge in avanti in una corrente di atti buoni, di parole buone, di gesti puliti, che hanno principio e futuro da Lui.

Il mondo ha molti tesori nascosti nei suoi vasi di creta (2 Cor 4,7).

Il mondo combatte per fiorire. Sono fioriti i prati, i glicini, le prime rose in questi giorni:

“è Dio che in essi fiorisce / si espande, dilaga / e poi torna a fiorire” (Turoldo).

Il Risorto combatte per far fiorire il mondo;

ad ogni mattino combatte per svegliarmi dal sonno del cuore.

E potranno tagliare tutti i germogli, potranno recidere tutti i fiori ma non potranno impedire alla primavera di ritornare. Io lo credo.

La Pasqua non si lascia sgomentare. Io lo credo.

La Risurrezione non si arrende, ha già penetrato la trama nascosta di questa storia. Io lo credo

Lo credo e sento che io sono nato davvero il mattino di Pasqua,

con lui che è innestato nel mio cuore, irrevocabile innesto

Pasqua è il tema più arduo e più bello di tutta la Bibbia.

Balbettiamo, come gli evangelisti, che per tentare di raccontarla, si fecero piccoli, non inventarono parole, ma presero in prestito i verbi delle nostre mattine: svegliarsi e alzarsi: si svegliò e si alzò il Signore.

Ed è così bello pensare che Pasqua, l’inaudito, è raccontata con i verbi semplici del mattino, di ognuno dei nostri mattini, quando anche noi ci svegliamo e ci alziamo. Nella nostra piccola risurrezione quotidiana.

Quel giorno, raccontato con i verbi di ogni giorno.

Pasqua è qui, adesso. Ogni giorno è quel giorno.

Perché la forza della Risurrezione non riposerà finché non abbia raggiunto l’ultimo ramo della creazione, rovesciato la pietra dell’ultima tomba(Luzi).

Allora questo è l’annuncio di Pasqua:

Rimane, continua, è più forte la potenza dell’amore.

Anche se non ho niente, mani inchiodate dal dolore,

rimane la potenza dell’amore.

In un luogo che non conosco, sorgente delle mie sorgenti,

cielo del mio cielo, terra profonda delle mie radici,

rimane la potenza dell’amore!”

Rimane Cristo, vivo, e questo mi fa dolce e fortissima compagnia:

io appartengo a un Dio vivo.

 

Sia con noi il Signore, sia in noi la forza della risurrezione,

la compagnia del risorto sulla strada di Emmaus,

la dolcezza amica del giardiniere con la Maddalena,

sia con noi l’ansia di Pietro e di Giovanni che corrono al sepolcro.

 

 

Ermes Ronchi – Il Vangelo – 9 aprile 2017

Quel centurione che vide un re morire di amore

Domenica delle Palme – Anno A

In quel tempo Gesù comparve davanti al governatore, e il governatore lo interrogò dicendo: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Tu lo dici». E mentre i capi dei sacerdoti e gli anziani lo accusavano, non rispose nulla. Allora Pilato gli disse: «Non senti quante testimonianze portano contro di te?». Ma non gli rispose neanche una parola, tanto che il governatore rimase assai stupito. A ogni festa, il governatore era solito rimettere in libertà per la folla un carcerato, a loro scelta. In quel momento avevano un carcerato famoso, di nome Barabba. (…)

Si aprono, con la lettura della Passione del Signore, i giorni supremi, quelli da cui deriva e a cui conduce tutta la nostra fede. E quelli che fanno ancora innamorare.
Volete sapere qualcosa di voi e di me? – dice il Signore – Vi do un appuntamento: un uomo in croce. La croce è l’immagine più pura e più alta che Dio ha dato di se stesso. E tuttavia domanda perennemente aperta.

«A stento il nulla» di David Maria Turoldo:
No, credere a Pasqua non è / Giusta fede: / troppo bello sei a Pasqua! / Fede vera / È al venerdì santo / Quando tu non c’eri lassù / Quando non una eco risponde / Al suo alto grido / E a stento il Nulla / Dà forma / Alla tua assenza

E prima ancora l’appuntamento di Gesù è stato un altro: uno che è posto in basso. Che cinge un asciugamano e si china a lavare i piedi ai suoi. Chi è Dio? Il mio lavapiedi. In ginocchio davanti a me. Le sue mani sui miei piedi. Davvero, come Pietro, vorrei dire: lascia, smetti, non fare così, è troppo. E Lui: sono come lo schiavo che ti aspetta, e al tuo ritorno ti lava i piedi. Ha ragione Paolo: il cristianesimo è scandalo e follia. Dio è così: è bacio a chi lo tradisce, non spezza nessuno, spezza se stesso. Non versa il sangue di nessuno, versa il proprio sangue. Non chiede più sacrifici, sacrifica se stesso.
Ne esce capovolta ogni immagine, ogni paura di Dio. Ed è ciò che ci permette di tornare ad amarlo da innamorati e non da sottomessi.

La suprema bellezza della storia è quella accaduta fuori Gerusalemme, sulla collina, dove il Figlio di Dio si lascia inchiodare, povero e nudo, a un legno per morirvi d’amore.
Pietra angolare della fede cristiana è la cosa più bella del mondo: bello è chi ama, bellissimo chi ama fino alla fine. L’ha colto per primo non un discepolo ma un estraneo, il centurione pagano: davvero costui era figlio di Dio. Non da un sepolcro che si apre, non da uno sfolgorare di luce, ma nella nudità di quel venerdì, vedendo quell’uomo sulla croce, sul patibolo, sul trono dell’infamia, un verme nel vento, un soldato esperto di morte dice: davvero costui era figlio di Dio. Ha visto qualcuno morire d’amore, ha capito che è cosa da Dio.

C’erano là molte donne che stavano ad osservare da lontano. In quello sguardo, lucente d’amore e di lacrime, in quell’aggrapparsi con gli occhi alla croce, è nata la Chiesa. E rinasce ogni giorno in chi ha verso Cristo, ancora crocifisso nei suoi fratelli, lo stesso sguardo di amore e di dolore. Che circola nelle vene del mondo come una possente energia di pasqua.

«Dalla fine» di Jan Twardowski:
Inizia dalla Risurrezione / Dal sepolcro vuoto / Da Nostra Signora della Gioia / Allora perfino la croce allieterà…/ Non fate di me una piagnucolona / Dice Nostra Signora / Una volta era così / Ora è diverso / Inizia dal sepolcro vuoto / Dal sole / Il vangelo si legge come le lettere ebraiche / Dalla fine.

(Letture: Isaia 50,4-7; Salmo 21; Filippesi 2,6-11; Matteo 26,14- 27,66)
https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/quel-centurione-che-vide-un-re-morire-di-amore

http://buff.ly/2nHNxAT

 

 

IV quaresima Mendicanti di luce, Giovanni 9,1-41     (di p. Ermes Ronchi)

 

Saluto: Gesù oggi illumina gli occhi spenti del cieco, come lui siamo tutti mendicanti di luce. Figli della luce, dice Paolo. Figli: infatti nascere si dice anche venire alla luce, o dare alla luce.

La nostra vita è come un albeggiare continuo, nasciamo a metà e tutta la vita ci serve per nascere del tutto. Per questo siamo qui. Per avere occhi nuovi sulle cose.

 

Grazie e perdono: Grazie Signore per la luce del sole che sorge dal grembo della notte; grazie per la luce che splende nello sguardo di coloro che ci vogliono bene; grazie per il dono di poter godere ancora la carezza della madre luce; grazie per quel poco o tanto che abbiamo capito di noi e della vita.

E poi ti chiediamo liberazione da ciò che ci oscura, forza di rinascita per ciò che in noi stenta a vivere, e sguardo ad altezza di cuore.

Discenda Cristo in noi, come luce tra le ombre, come acqua feconda su terra arida, abbia misericordia di noi che cadiamo facilmente, venga come guarigione di ciò che fa soffrire, come creazione di occhi nuovi, ripulisca il cuore dalle ombre che lo rendono triste, ci faccia vedere la goccia di luce nascosta nel cuore vivo di tutte le cose. Ci illumini, ci perdoni, ci conduca alla pienezza della vita. Amen.

 

Omelia

Il vangelo di oggi con l’immagine del cieco racconta la vicenda umana come un progressivo un venire alla luce.

Mai avuta la sensazione di essere nella notte? Quella notte brutta che è sofferenza, perdutezza dentro cose che non capiamo? Forse perché avevamo vissuto un lutto, un fallimento, un abbandono, un errore?

Gesù vide un uomo cieco dalla nascita…

Gesù esce dal tempio e vede chi nel tempio non può entrare. Vede lo scarto della città, l’ultimo della fila, un mendicante cieco. L’invisibile. E se gli altri tirano dritto, Gesù no, si ferma. Senza essere chiamato, senza essere pregato.

Gesù non passa oltre, per lui ogni incontro è una meta. Sei seduto e ti incontra, sei a terra e si ferma, ti incontra così come sei. Perché Dio non guarda le apparenze, Dio vede il cuore (prima lettura).

I discepoli amici, i farisei nemici, tutti davanti al male si perdono a cercare le colpe (chi ha peccato, lui o i suoi genitori?), tutti insieme a sbagliarsi su Dio pensando: “in questa malattia c’è la mano di Dio, la sua volontà”.

Gesù non ci sta, fugge da quella logica, via immediatamente da un Dio esperto in castighi: né lui né i suoi genitori hanno peccato. Il male non viene da Dio. In un Dio che manda il cancro, io non credo.

Quell’uomo però è nato e cresciuto nel senso di colpa… Gli facevano capire: tu sei un maledetto da Dio, sei cieco a causa di un peccato. E spesso sono gli uomini di chiesa che pensano di suscitare senso di colpa, come fosse una cosa positiva, e sono ciechi padri di ciechi (il senso di colpa è davvero un’arma di distruzione di massa…)

Di chi è la colpa, perché il male? Una domanda alla quale la bibbia non dà risposte. Gesù stesso non da risposte, lui risuscita, ricrea, restituisce umanità. Non vede in quell’uomo cieco un punto di arrivo, ma un punto di partenza, di nascita.

E senza che il cieco gli chieda niente, fa del fango con la saliva, stende un petalo di fango su quelle palpebre che coprono il nulla. La saliva si pensava che contenesse il respiro, lo spirito, la Ruah che crea Adamo.

Ecco il mio Gesù: è Dio che si sporca le mani con l’uomo, ed è al tempo stesso un uomo che viene contaminato di cielo, contagiato di luce.

Ogni uomo, ogni donna, ogni bambino che viene al mondo, che “viene alla luce”, è un contagio di terra e di cielo, una lucerna di argilla che custodisce un soffio di luce.

Vai a lavarti alla piscina di Siloe… Il mendicante cieco si affida al suo bastone e alla parola di uno sconosciuto. Si affida quando il miracolo non c’è ancora, quando c’è solo buio intorno.

Andò alla piscina e tornò che ci vedeva. Non si appoggia più al suo bastone; non siederà più a terra a invocare pietà, ma ritto in piedi cammina con la faccia nel sole, finalmente libero. Finalmente uomo. “Figlio della luce e del giorno” (1 Ts 5,5), ridato alla luce, ri-partorito a una esistenza di coraggio, dignità e meraviglia.

Nuovo. Infatti la gente che conosceva quell’uomo, ora non lo riconosce più. È lui, dicono alcuni; no, non è lui, sostengono altri.

E accade davvero: uno incontra il Signore e cambia dentro: ha un’altra visione, uno sguardo nuovo sulla vita, e diventa perfino più bello e luminoso. Si sono aperte finestre di luce. Ha una libertà e una dignità nuove.

Per la seconda volta Gesù guarisce di sabato. E invece del canto di gioia entra nel vangelo un’infinita tristezza. Perfino i genitori sembrano vili.

Ai farisei non interessa la vita ritornata a splendere in quegli occhi ma la ‘sana’ dottrina. E avviano un processo per eresia. Per difendere la dottrina negano l’evidenza.

Ma che religione è questa che non guarda al bene dell’uomo ma solo a se stessa e alle sue regole?

Invece a Dio per prima cosa interessa un uomo liberato dai sensi di colpa, veggente, incamminato; un rapporto che produca libertà e che faccia fiorire l’umano!

I farisei vorrebbero che il cieco tornasse cieco, per avere ragione loro.

Ma il cieco è diventato libero, è diventato forte, tiene testa ai sapienti: io non so di teologia, io sto con la vita e coi fatti: io ci vedo!

Il dramma che si consuma nella sala del processo, e in tante nostre comunità, è questo: da un lato la dottrina, dall’altro la vita, separati, un muro tra loro.

Gesù ricuce lo strappo, unisce il Dio della vita e il Dio della dottrina, e lo fa mettendo al centro l’uomo. La gloria di Dio è un uomo con la luce negli occhi e nel cuore.

I farisei dicono Gesù, “non viene da Dio, perché non osserva il sabato”. Per loro venire o no da Dio, dipende dall’osservanza o meno della legge. Per Gesù venire o no da Dio, dipenderà dall’atteggiamento che si ha nei confronti dell’uomo. L’atteggiamento di Dio, che ti prende là dove sei, rotto come sei, e si fa mano viva che aggiusta, che tocca il cuore e lo apre, che tocca gli occhi e li illumina. Amore che fa ripartire la vita.

Gesù non è venuto a portare il perdono dei peccati, non occorrevano l’incarnazione e la croce per questo: anche un uomo sa perdonare, e Dio molto meglio. Gesù è venuto a portare non il perdono dei peccati, ma molto di più, a portare se stesso: io sono la luce del mondo. Sole che guarisce, sguardo che consola, forza che fa ripartire, scintilla di Dio in ciascuno.

I farisei dicono: Gloria di Dio è il precetto osservato, il peccato espiato!

E invece no,

gloria di Dio è un mendicante che si alza da terra,

un pover’uomo con occhi che si riempiono di luce.

E ogni cosa ne è illuminata.

Gloria di Dio è l’uomo finalmente promosso a uomo.

Lui dà lode a Dio più di tutti i comandamenti del cielo e della terra!

 

 

Preghiera

 

Signore Gesù, luce del mondo,

luce eterna, principio di ogni cosa

Tu sei l’intima luce di ognuno di noi,

 

luce amante, luce discreta,

luce necessaria, dimenticata, amabile.

Luce che sei carezza di gioia e di libertà,

che splendi negli occhi buoni,

donami occhi in sete di luce.

 

Tu, luce del mio notturno deserto interiore,

tu, bastone cui appoggio la mia fatica,

stella accesa sulla valle oscura,

 

Tu che illimpidisci il cuore, guariscimi,

brucia le ombre che mi invecchiano

consuma le mie paure

donami occhi profondi come i tuoi.

 

Metti luce nei miei pensieri,

luce nelle mie parole,

luce nel mio cuore.

Amen.

 

p. Ermes Ronchi

 

 

 

Domenica VIII Matteo 6,24-34

Il vangelo inizia con un affondo: non potete servire Dio e la ricchezza. Nella bibbia, il rivale di Dio non è mai il peccato. Dio assedia di cure il peccatore, ama il fragile, e forse un giorno troverà la strada della vita. Il vero rivale di Dio, il muro davanti al quale la sua potenza d’amore si spegne, è la ricchezza, cioè l’interesse, la convenienza, il proprio vantaggio.

Il grande idolo nella bibbia è il denaro. Infatti, la prima delle beatitudini, la più importante, dice: beati i poveri, perché di essi è il Regno di Dio. Non saranno i ricchi a portare sulla terra il mondo che Dio sogna; non saranno quelli che cercano il proprio vantaggio a creare un futuro buono per tutti.

Perciò io vi dico: Non preoccupatevi. Per tre volte Gesù ripete questo invito, rasserenante e costruttivo: non affannatevi, non abbiate quell’affanno, quell’ansia che toglie il respiro, per cui non esistono feste o domeniche, non c’è tempo di fermarsi a guardare negli occhi la vita, a parlare con chi si ama. Per cui si ha paura del domani.

Non preoccupatevi. E come si fa per non sentire questa stretta allo stomaco, quando sembra che mi manchi l’aria? Gesù dà la risposta: Guardatevi intorno, guardate gli uccelli.

Il primo mezzo che Gesù indica è l’attenzione, lo sguardo contemplativo, lo sguardo intelligente: guardate per imparare. Usate l’intelligenza per capire la legge della vita. Guarda, la vita racconta Dio.

Allora non guardare solo a te stesso, o non ti illumini mai. Guardatevi attorno, non siete voi il centro del mondo. Oggi mi sono alzato, ho guardato fuori, i campi bianchi di brina e poi: il sole, ma è da incanto, è da brividi una giornata così! Vuoi uscire dall’ansia? guardati intorno. Guarda gli occhi di una creatura, naviga per occhi, fossero anche quelli piccolissimi di un uccello o di un fiore!

Guardate e salvate la capacità di godere delle cose vive che ogni giorno il Padre mette sulla vostra strada o dentro il vostro spazio vitale.

Poi viene un secondo mezzo. Dopo l’intelligenza, usa il cuore. Che Gesù convoca così: Tu vali per il Padre. Tu conti per lui.

Non seminano, non mietono, eppure Il Padre vostro li nutre. Non valete voi più di molti passeri? Si arriva diritti al cuore di Dio. Tu vali! Dio non si dimentica: può una madre dimenticarsi del suo figliolo? Se anche una madre si dimenticasse, io non mi dimenticherò di te, mai (Isaia 49,14-15, Prima Lettura). Mai, parola divina.

Non che tutto sia risolto, non che tutto vada diritto, non che sei assicurato contro gli infortuni della vita. Non arriva per posta il pane o per Amazon; guardate bene: anche gli uccellini devono andare a cercarsi l’insetto o il piccolo seme, di albero in albero. Ma non ti affannare. Cerca, vivi quel sano equilibrio tra il non fare e l’essere travolto.

Ma li vedete i gigli del campo, le viole o le primule? Domani non ci sono più, ma guardate la loro bellezza! Dio è bellezza. Gesù parla della vita con le parole più semplici e a lei più proprie: coglie dei pezzi di terra, li raduna nella sua parola e il cielo appare, e il Padre appare.

Gesù osserva la vita e nascono parabole.

Osserva la vita e questa gli parla di fiducia.

Gli parla di Dio, del suo prendersi cura di un fiore, di un Dio giardiniere.

 

Non preoccupatevi di cosa mangerete, di cosa berrete. Il Padre vostro sa di cosa avete bisogno. L’azione del Padre precede la richiesta, addirittura precede il bisogno. Che bello, questo anticipo. Non solo nel momento in cui tu lo chiami, ma prima ancora, Lui sa. Tu, fidati.

Ed ecco una frase da scolpire, da mandare a memoria: cercate prima di tutto il regno di Dio, cercate una società giusta dove non domini il possedere ma il condividere; dove non ci sia la scalata a comandare ma la gioia di servire; non il salire, ma lo scendere e l’inginocchiarsi accanto, a millimetro di cuore.

Il regno di Dio è questa terra nuova, un mondo altro, una società alternativa, dove non guardi solo a te stesso, ma ti guardi attorno con intelligenza e cuore, vedi la bellezza e il bisogno, dove ti occupi di tuo fratello, e sai che Dio si occuperà di te.

 

Con il ripetere per tre volte “non preoccupatevi”, Gesù ci accompagna in tre passi vitali: dall’intelligenza, al cuore, alla fede. Il Vangelo oggi ci pone la questione della fiducia. Dove metti la tua fiducia?

La fede ha questi tre passi: ho bisogno, mi fido, mi affido.

Gesù sceglie gli uccelli, esseri liberi, quasi senza peso, senza gravità, che sono una nota di canto e di libertà nell’azzurro. Lasciatevi attirare come loro dal cielo, volate alto e liberi! Vivete affidàti.

Affidatevi e non preoccupatevi. Non un invito al fatalismo, in attesa che Qualcuno dall’alto risolva i problemi, perché la Provvidenza non conosce uomini seduti, ma solo uomini in cammino (don Calabria): se Dio nutre creature che non seminano e non mietono, quanto più voi che seminate e mietete.

Non preoccupatevi, il Padre sa. E nutre la vita. Guardate la potenza della vita: Dio non si stanca neanche di un passerotto, figuriamoci se ci abbandona.

Non si stanca di una primula, vuoi che si stanchi di te che vali più di tutte le primule di questa e di tutte le primavere?

Ogni bambino che nasce è la dichiarazione solenne che Dio non si è stancato del mondo.

Non preoccupatevi, Dio sa. Ma come faccio a dirlo a chi non trova lavoro, non riesce ad arrivare a fine mese, non vede futuro per i figli, o ha una malattia grave? La Bibbia risponde, con la lettera di Giacomo. La ascoltiamo:

“Se uno è senza vestiti e cibo e tu gli dici, va in pace, non preoccuparti, riscaldati e saziati, ma non gli dai il necessario per il corpo, a che cosa ti serve la tua fede?” (Giacomo 2,16). Dio ha bisogno delle mie mani per essere Provvidenza nel mondo. Sono io, siamo noi, i suoi amici, il mezzo con cui Dio interviene nella storia. Io mi occupo di qualcuno e Lui, che veste di bellezza i fiori del campo, si occuperà di me.

 

Non preoccupatevi del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. Come oggi il Padre fa, così farà anche domani.

Non accumulare davanti a te tutti i problemi, e i rischi immaginari, e le ansie figlie delle tue paure.

A ciascun giorno bastano le sue difficoltà. Tu fidati: le difficolta sono risolte dal Padre ogni giorno, giorno per giorno. Fidati, perché il contrario della paura non è il coraggio, è la fede!

Cercate prima di tutto il Regno.

Vuoi essere una nota di libertà nell’azzurro, come un passero?

Bello come un fiore?

Cerca prima di tutto le cose di Dio:

cerca solidarietà, generosità, fiducia, giustizia;

fìdati, e troverai ciò che fa volare,

ciò che fa fiorire!

 

p. Ermes Ronchi

 

 

 

V domenica A Mt 5, 13-16

 

“Voi siete il sale, voi siete la luce della terra”.

Il vangelo è sale e luce: è come un istinto di vita che penetra nelle cose, si oppone al loro degrado e le fa durare; è come un istinto di bellezza, che si posa sulla superficie delle cose, come fa la luce, le accarezza, non fa rumore, non fa violenza mai, ne fa invece emergere forme, colori, armonie e legami, il più bello che c’è in loro.

Così il discepolo-luce è uno che ogni giorno accarezza la vita e ne rivela il bello, uno dai cui occhi emana il rispetto amoroso per ogni vivente.

Voi siete il sale, voi avete il compito di preservare ciò che nel mondo vale e merita di durare, di opporvi ai corruttori, di dare sapore, di far gustare il sapore buono della vita.

Voi siete la luce del mondo. Una affermazione che ci sorprende:

che Dio sia luce lo crediamo; ma credere che anche l’uomo sia luce, che lo sia anch’io e anche tu, con i nostri limiti e le nostre ombre, questo è sorprendente. E lo siamo già adesso, se respiriamo vangelo. La luce è il dono naturale di chi ha respirato Dio.

Incredibile la stima, la fiducia di Gesù negli uomini. Mi sembra impossibile riporre tanta speranza in noi! In me, che lo so bene, non sono né luce né sale. Eppure il vangelo mi incoraggia a prenderne coscienza:

Non fermarti alla superficie, al ruvido dell’argilla, cerca in profondità, verso la cella segreta del cuore, scendi nel tuo centro e troverai una lucerna accesa, una manciata di sale.

Quando tu segui come unica regola di vita l’amore, allora sei luce e sale per chi ti incontra.

Quando due sulla terra si amano, diventano luce nel buio, lampada ai passi di molti, piacere di vivere e di credere.

In ogni casa dove ci si vuol bene, viene sparso il sale che dà sapore buono alla vita.

Chi vive secondo il vangelo è una manciata di luce gettata in faccia al mondo (Luigi Verdi).

E non facendo il maestro che le sa tutte o il giudice con il dito puntato, ma con le opere: risplenda la vostra luce nelle vostre opere buone.

Sono opere di luce i gesti che domenica scorsa sono stati lanciati come beatitudini:

sono opere di sale e di luce i gesti dei poveri, di chi ha un cuore bambino, degli affamati di giustizia, dei mai arresi cercatori di pace, i gesti, gli stili di vita che si oppongono a ciò che corrompe il cammino del mondo: violenza e denaro.

Isaia suggerisce la strada perché la luce sia posta sul candelabro e non sotto un secchio. «Spezza il tuo pane», parola così asciutta, concreta, semplicissima. «Spezza il tuo pane.» E poi è tutto un incalzare di verbi: «Introduci in casa, vesti il nudo, non distogliere gli occhi. Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà in fretta».

E senti l’impazienza di Dio, l’impazienza di Adamo, l’impazienza dell’aurora e del corpo che ha fame e ferite e fretta di pane e di salute.

La luce attraverso il pane. Pane spezzato.

Guarisci altri e guarirà la tua ferita, illumina altri e ti illuminerai. Perché chi guarda solo a se stesso non s’illumina mai.

E chi distoglie gli occhi dalla gente che è sua, sempre, perché tutti sono dei nostri, non diventerà mai un uomo radioso, una donna luminosa.

Non restare curvo sulle tue storie e sulle tue sconfitte, ma prenditi cura d’altri e guarirà presto la tua vita.

La preghiera famosa di san Francesco lo dice con altre parole: dove è odio che io porti amore, dove è guerra che io porti pace, dove è solitudine che io porti abbracci.

Uscendo di chiesa, fate, se vi va’, un giro nel chiostro, guardate i cartelloni della mostra, occasione per ripassare le sette opere buone che sono sale e luce per il mondo: dai da mangiare, dai da bere, vesti, accogli, visita…

La luce non illumina se stessa, il sale non serve a se stesso. Così ogni credente, tutta la chiesa deve imparare e vivere la prima lezione che ci viene dalle cose: a partire da me, ma non per me. Non dobbiamo puntare i riflettori su noi stessi, ma su un Altro.

Comincio da ciò che ho e sono, ma non vivo in funzione di me stesso.

Scrive papa Francesco: Una religione che serva solo a salvarsi l’anima non è quella del vangelo (E.G.).

 Ma se il sale perde sapore, se la luce è messa sotto a un tavolo, a che cosa servono? A nulla.

Così noi, se perdiamo il vangelo, se smussiamo la Parola e la riduciamo a uno zuccherino, se non diventa carne gesto azione storia opera, se abbiamo occhi senza luce e parole senza bruciore di sale, allora corriamo il rischio mortale dell’insignificanza, di non significare più nulla per nessuno.

Un po’ brutalmente lo ha tradotto così don Fabio Rosini “se continuiamo così, tra un po’ di noi non gliene frega più niente a nessuno”

L’umiltà della luce e del sale: perdersi dentro le cose. Per loro. Illumina altri e ti illuminerai, guarisci altri e guarirai (Isaia 58,8). Non restare curvo sulle tue storie e sulle tue sconfitte, ma occupati della terra, della città degli uomini. Chi guarda solo a se stesso non si illumina mai.

Nessuno ha troppi difetti o è troppo debole o troppo piccolo per chiamarsi fuori dall’impegno di trasmettere il sapore e lo splendore di Dio. E il più delle volte lo facciamo senza saperlo. È possibile non gustare nulla di Dio eppure diffonderlo tra gli altri, senza accorgercene. Dio agisce così: quante volte l’ho visto! Può succedere che si brancoli nel dubbio e nella notte e di essere luce per qualcuno, con una parola o un gesto che non so da dove vengano. Dio agisce così.

Ma c’è una tentazione: quella di credere di avere troppe ombre in me per dedicarmi agli altri, di essere insipido e povero, di avere troppi peccati come ferite aperte.

I profeti però ripetono: Non preoccuparti delle tue ombre o delle tue malattie, ma della tua città, della tua gente, della nostra terra dove c’è fame e sofferenza

Allora guarirai, allora ti illuminerai.

Perché siamo tutti dei malati, però capaci di prenderci cura della vita.

Siamo tutti feriti, però capaci di essere guaritori.

I guaritori feriti.

Oggi inauguriamo la prima delle domeniche dei laboratori interattivi per

“NUOVI STILI DI VITA ALLA LUCE DEL VANGELO”,

domenica delle relazioni umane, dal titolo: “Gli origami relazionali”.

Come preghiera dei fedeli ci verranno presentate sette relazioni umane buone, sale e luce dei giorni, gesti semplici e possibili a tutti.

Relazioni nuove e buone sono lievito, sale e luce per un futuro buono, annuncio e impegno che è possibile vivere meglio. Per tutti. La ricchezza che nessuno ci potrà rubare.

Alla fine della messa, ognuno ne potrà scegliere una tra le sette, in questo paniere: è il mandato e l’impegno con cui prolungare nei giorni uno stile nuovo ed evangelico di vita.

 

p. Ermes Ronchi

 

 

 

V^ DOMENICA T.O.  – Anno A
5 febbraio 2017

O Dio, che nella follia della croce
manifesti quanto è distante la tua sapienza
dalla logica del mondo,
donaci il vero spirito del Vangelo,
perché ardenti nella fede
e instancabili nella carità
diventiamo luce e sale della terra.
(II colletta)

Il Vangelo – Ermes Ronchi

Se hai come unica regola di vita l’amore, sarai luce e sale
Matteo 5,13-16
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».

«Voi siete il sale, voi siete la luce della terra». Il Vangelo è sale e luce, è come un istinto di vita che penetra nelle cose, si oppone al loro degrado e le fa durare. È come un istinto di bellezza, che si posa sulla superficie delle cose, come fa la luce, le accarezza, non fa rumore, non fa violenza mai, ne fa invece emergere forme, colori, armonie e legami, il più bello che c’è in loro. Così il discepolo-luce è uno che ogni giorno accarezza la vita e ne rivela il bello, uno dai cui occhi emana il rispetto amoroso per ogni vivente.

Voi siete il sale, voi avete il compito di preservare ciò che nel mondo vale e merita di durare, di opporvi ai corruttori, di dare sapore, di far gustare il buono della vita.

Voi siete la luce del mondo. Una affermazione che ci sorprende, che Dio sia luce lo crediamo; ma credere che anche l’uomo sia luce, che lo sia anch’io e anche tu, con i nostri limiti e le nostre ombre, questo è sorprendente. E lo siamo già adesso, se respiriamo vangelo. La luce è il dono naturale di chi ha respirato Dio.

Quando tu segui come unica regola di vita l’amore, allora sei luce e sale per chi ti incontra. Quando due sulla terra si amano, diventano luce nel buio, lampada ai passi di molti, piacere di vivere e di credere. In ogni casa dove ci si vuol bene, viene sparso il sale che dà sapore buono alla vita.
Chi vive secondo il vangelo è una manciata di luce gettata in faccia al mondo (Luigi Verdi). E non facendo il maestro o il giudice, ma con le opere: risplenda la vostra luce nelle vostre opere buone.

Sono opere di luce i gesti dei poveri, di chi ha un cuore bambino, degli affamati di giustizia, dei mai arresi cercatori di pace, i gesti delle beatitudini, che si oppongono a ciò che corrompe il cammino del mondo: violenza e denaro.

La luce non illumina se stessa, il sale non serve a se stesso. Così ogni credente deve ripetere la prima lezione delle cose: a partire da me, ma non per me. Una religione che serva solo a salvarsi l’anima non è quella del Vangelo.

Ma se il sale perde sapore, se la luce è messa sotto a un tavolo, a che cosa servono? A nulla. Così noi, se perdiamo il vangelo, se smussiamo la Parola e la riduciamo a uno zuccherino, se abbiamo occhi senza luce e parole senza bruciore di sale, allora corriamo il rischio mortale dell’insignificanza, di non significare più nulla per nessuno.

L’umiltà della luce e del sale: perdersi dentro le cose. Come suggerisce il profeta Isaia: «Illumina altri e ti illuminerai, guarisci altri e guarirai» (Isaia 58,8). Non restare curvo sulle tue storie e sulle tue sconfitte, ma occupati della terra, della città. Chi guarda solo a se stesso non si illumina mai.

(Letture: Isaia 58,7-10; Salmo 111; 1 Corinzi 2,1-5; Matteo 5,13-16)

https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/se-hai-come-unica-regola-di-vita-l-amore-sarai-luce-e-sale

 

Il Vangelo – a cura di P. Ermes Ronchi

IV Domenica Tempo Ordinario – Anno A

Le Beatitudini, il più grande atto di speranza cristiano

Vangelo – Matteo 5,1-12
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».

Davanti al Vangelo delle Beatitudini provo ogni volta la paura di rovinarlo con i miei tentativi di commento, perché so di non averlo ancora capito. Perché dopo anni di ascolto e di lotta, questa parola continua a stupirmi e a sfuggirmi.

Gandhi diceva che queste sono «le parole più alte del pensiero umano». Ti fanno pensoso e disarmato, ma riaccendono la nostalgia prepotente di un mondo fatto di bontà, di sincerità, di giustizia, senza violenza e senza menzogna, un tutt’altro modo di essere uomini. Le Beatitudini hanno, in qualche modo, conquistato la nostra fiducia, le sentiamo difficili eppure suonano amiche. Amiche perché non stabiliscono nuovi comandamenti, ma propongono la bella notizia che Dio regala vita a chi produce amore, che se uno si fa carico della felicità di qualcuno il Padre si fa carico della sua felicità.

La prima cosa che mi colpisce è la parola: Beati voi. Dio si allea con la gioia degli uomini, se ne prende cura. Il Vangelo mi assicura che il senso della vita è, nel suo intimo, nel suo nucleo profondo, ricerca di felicità. Che questa ricerca è nel sogno di Dio, e che Gesù è venuto a portare una risposta. Una proposta che, come al solito, è inattesa, controcorrente, che srotola nove sentieri che lasciano senza fiato: felici i poveri, gli ostinati a proporsi giustizia, i costruttori di pace, quelli che hanno il cuore dolce e occhi bambini, i non violenti, quelli che sono coraggiosi perché inermi. Sono loro la sola forza invincibile.
Le beatitudini sono il più grande atto di speranza del cristiano. Il mondo non è e non sarà, né oggi né domani, sotto la legge del più ricco e del più forte. Il mondo appartiene a chi lo rende migliore.

Per capire qualcosa in più del significato della parola beati osservo anche come essa ricorra già nel primo dei 150 salmi, quello delle due vie, anzi sia la parola che apre l’intero salterio: «Beato l’uomo che non resta nella via dei peccatori, che cammina sulla via giusta». E ancora nel salmo dei pellegrinaggi: «Beato l’uomo che ha la strada nel cuore» (Sl 84,6).

Dire beati è come dire: «In piedi voi che piangete; avanti, in cammino, Dio cammina con voi, asciuga lacrime, fascia il cuore, apre sentieri». Dio conosce solo uomini in cammino.
Beati: non arrendetevi, voi i poveri, i vostri diritti non sono diritti poveri. Il mondo non sarà reso migliore da coloro che accumulano più denaro. I potenti sono come vasi pieni, non hanno spazio per altro. A loro basta prolungare il presente, non hanno sentieri nel cuore. Se accogli le Beatitudini la loro logica ti cambia il cuore, sulla misura di quello di Dio; te lo guariscono perché tu possa così prenderti cura bene del mondo.

(Letture: Sofonía 2,3; 3,12-13; Salmo 145; 1 Corinzi 1,26-31; Matteo 5,1-12)

https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/le-beatitudini-il-piu-grande-atto-di-speranza-cristiano

Beati voi.
Dio si allea con la gioia degli uomini, se ne prende cura.
Il Vangelo mi assicura che il senso della vita è,
nel suo intimo, nel suo nucleo profondo, ricerca di felicità.

Beati voi.
Una proposta che, come al solito,
è inattesa, controcorrente,
che srotola nove sentieri che lasciano senza fiato:
felici i poveri,
gli ostinati a proporsi giustizia,
i costruttori di pace,
quelli che hanno il cuore dolce e occhi bambini,
i non violenti,
quelli che sono coraggiosi perché inermi.
Sono loro la sola forza invincibile.

(Ermes Ronchi)

 

 

II DOMENICA – Anno A Giornata mondiale del migrante e del rifugiato

Gv 1,29-34

 

Benvenuti a questo momento di grazia e di forza, come un mettere la bocca sotto la fontana e dissetarci. Con la serena fiducia che la Parola di Dio realizzerà in noi ciò che promette: e sarà più vita, più umanità.

Accogliamola con la sua forza che dilata il cuore.

 

Vieni, Signore, come una carezza di luce sugli occhi

affinché penetrino l’orizzonte e ti vedano venire.

– vieni Signore e illumina le nostre scelte

Vieni, Signore, come un bacio sulla fronte

che scuota i miei pensieri, dal profondo.

– vieni e illumina le nostre scelte

Vieni Signore, come fuoco leggero

che consumi tutto quello che non è amore.

 

 

OMELIA

Ecco l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo!

Ecco, e vuol dire: guarda, fissa lo sguardo, contempla, non mollare quell’immagine.

Ecco l’agnello: che ha ancora bisogno della madre e si affida al pastore; ecco un Dio che non si impone, si propone, che non può, non vuole far paura a nessuno.

Ecco l’agnello, il piccolo animale dei sacrifici nel tempio.

Ma di che cosa sarà vittima Gesù? Della giustizia di Dio che esige che il peccato sia espiato fino in fondo? E lo fa pagare al figlio?

Tristissima idea di Dio. È la vecchia religione dei sacerdoti e leviti, dei funzionari del sacro che pensavano la salvezza dell’umanità come il pagamento di un debito: l’uomo ha un debito con il Padre, è insolvente, e allora lo paga al Padre, al posto nostro, il Figlio. Ma questo farebbe mercato della misericordia di Dio.

Già papa Benedetto ha mandato al macero la dottrina dell’espiazione del peccato e di quella sacrificale, perché è incompatibile con la dottrina della Trinità, unione d’amore, l’idea che Gesù, il Figlio, versi il sangue per placare la sete di giustizia del Padre. Un Padre che qualcuno immagina come una sorta di grande sanguisuga celeste. Che succhia energie e preghiere. Cui non bastano mai i sacrifici degli uomini.

C’è molto di più nella nostra fede: Gesù non è venuto a portare il perdono dei peccati (anche un uomo sa perdonare, non occorreva l’incarnazione, non occorreva la croce…); è venuto a portare molto di più del semplice perdono: è venuto a portare se stesso, la sua vita dentro la vita dell’uomo, il cuore dentro il cuore, fiato dentro il fiato, per sempre.

Dio non toglie vita a nessuno dei suoi figli, dà la sua vita anche a coloro che gliela tolgono. Non spezza nessuno spezza se stesso, non versa il sangue di nessuno, versa il suo sangue.

Dio ha guardato l’umanità e l’ha trovata smarrita, malata, sperduta. E non l’ha più sopportato. Ma invece di portare un giudizio di rifiuto e condanna, è venuto a portare comunione.

Quando Giovanni dice: ecco l’agnello che toglie il peccato, non parla di espiazione. Lui vede venire un agnello: il santo tra i peccatori, il puro tra gli impuri, il medico tra i malati, il primo fra gli ultimi della fila, il cielo mescolato alla terra.

Ecco l’agnello, ecco l’amore di Dio che toglie il peccato del mondo. Il peccato, al singolare, non i mille gesti sbagliati con cui continuamente laceriamo il tessuto di comunione del mondo, ne sfilacciamo la bellezza. Ma il peccato profondo, la radice malata che inquina tutto. In una parola: il disamore.

Che è indifferenza, violenza, menzogna, chiusure, fratture, vite spente…

Gesù viene come il guaritore del disamore (cfr W. Fasser). E lo fa non con minacce e castighi, non da una posizione di forza con ingiunzioni e comandi, ma da agnello, con quella che Francesco chiama “la rivoluzione della tenerezza”.

Ecco l’agnello, inerme e più forte di tutti gli Erodi della terra. Una sfida a viso aperto alla violenza, alla sua logica, al disamore che papa Francesco ha evidenziato con una bella formula: la globalizzazione dell’indifferenza. Il contrario dell’amore non è l’odio è l’indifferenza, quando l’altro non conta, non mi interessa, non c’è, non vive. Questa è la matrice del male del mondo.

E Gesù a vivere la globalizzazione dell’attenzione, della cura, del rispetto verso ogni più piccolo figlio della terra.

Il mondo non riesce, la terra non ce la fa a fiorire secondo il sogno di Dio, gli uomini non ce la fanno a raggiungere la vita buona, bella e beata. Allora Gesù viene come agnello: l’agnello è un ‘no!’ gridato al ‘così stanno le cose’; un ‘no!’ gridato forte in faccia al nostro ‘ così va il mondo‘.

Viene e la bella notizia, il suo vangelo è questo: è possibile vivere meglio, per tutti. E chi ne possiede il segreto, le chiavi, è Lui.

Giovanni usa il verbo al tempo presente: che toglie il peccato, non un verbo al futuro nella speranza che un giorno accada, non un verbo al passato come per una impresa finita, ma al presente: Ecco Colui che instancabilmente, infallibilmente, ogni giorno, continua a togliere, a raschiare via, adesso ancora il male dell’uomo.

Cristo è all’opera, lavora adesso in me, dentro i miei sbagli, dentro le mie cadute. E in che modo? Nello stesso modo in cui opera nella creazione. Per vincere il buio della notte Dio incomincia a soffiare la luce del giorno; per vincere il gelo accende il suo fuoco, per vincere la steppa sterile semina milioni di semi; per vincere la zizzania del campo si prende cura del buon grano; per demolire la menzogna Lui passa libero, disarmato, amorevole fra le creature.

E ci chiede di passare liberi, disarmati, amorevoli fra le persone.

Come lui, noi siamo inviati al mondo come breccia, fessura, feritoia di un amore che toglie il male; braccia aperte donate alla storia.

Giovanni vedendo Gesù venire verso di Lui: ecco, avere gli occhi di Giovanni, occhi che sanno vedere Gesù che viene verso di noi, riuscire a scorgere Dio in cerca di me, sparpagliato per tutta la terra, in cammino su tutte le strade.

Possiamo vedere Gesù nel volto del povero a cui abbiamo dato aiuto, con cui ci siamo fermati a parlare; abbiamo incontrato il suo volto nel volto dello straniero che suonava alla nostra porta e che abbiamo fatto entrare per riposarsi e ristorarsi; l’abbiamo incontrato nel volto dell’anziano che ci abita vicino e a cui abbiamo dedicato un po’ del nostro tempo

Giovanni dice: “Ecco l’Agnello!” Vorrei anch’io essere per quanti mi incontrano niente altro che questo: dito che indica il Signore e occhi lucenti che lo vedono venire.

Mi sento inadeguato, conosco i miei limiti, vorrei sottrarmi al compito, invece no! Non posso e non devo sottrarmi perché io non propongo la mia vita contraddittoria, ma propongo Lui, come mio progetto, e la sua bella notizia: è possibile per tutti vivere meglio. Il vangelo sa come.

Il nostro compito è provarci. Il resto non ci compete.

Provarci, con tante cadute e infinite riprese.

Mi basterebbe riuscire a indicare, di tanto in tanto, una direzione, un pertugio da cui traspaia un barlume della bellezza di Dio.

 

Preghiera alla Comunione

 

Vieni, Signore,

come una carezza di luce sugli occhi

affinché penetrino l’orizzonte

e ti vedano venire.

 

Vieni, come un bacio sulla fronte

che scuota i miei pensieri,

dal profondo.

 

Vieni Signore,

come fuoco leggero

che brucia e consuma

tutto quello che non è amore.

 

Vieni Signore,

come una carezza tenera

sul salice esitante,

sulla canna incrinata,

sullo stoppino fumoso

che io sono.

 

Vieni Signore,

come un bacio di luce sulle mie lacrime,

vento sui nostri sorrisi,

miele sulle mie amarezze,

fiato e coraggio alla nostra voglia di amare.

Amen

 

p. Ermes Ronchi

 

Il Vangelo – Ermes Ronchi
Un agnello inerme, ma più forte di ogni Erode

II Domenica – Tempo ordinario – Anno A

In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele».
Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».

Giovanni vedendo Gesù venirgli incontro, dice: Ecco l’agnello di Dio. Un’immagine inattesa di Dio, una rivoluzione totale: non più il Dio che chiede sacrifici, ma Colui che sacrifica se stesso.
E sarà così per tutto il Vangelo: ed ecco un agnello invece di un leone; una chioccia (Lc 13,31-34) invece di un’aquila; un bambino come modello del Regno; una piccola gemma di fico, un pizzico di lievito, i due spiccioli di una vedova. Il Dio che a Natale non solo si è fatto come noi, ma piccolo tra noi.

Ecco l’agnello, che ha ancora bisogno della madre e si affida al pastore; ecco un Dio che non si impone, si propone, che non può, non vuole far paura a nessuno.
Eppure toglie il peccato del mondo. Il peccato, al singolare, non i mille gesti sbagliati con cui continuamente laceriamo il tessuto del mondo, ne sfilacciamo la bellezza. Ma il peccato profondo, la radice malata che inquina tutto. In una parola: il disamore. Che è indifferenza, violenza, menzogna, chiusure, fratture, vite spente… Gesù viene come il guaritore del disamore. E lo fa non con minacce e castighi, non da una posizione di forza con ingiunzioni e comandi, ma con quella che Francesco chiama «la rivoluzione della tenerezza». Una sfida a viso aperto alla violenza e alla sua logica.

Agnello che toglie il peccato: con il verbo al tempo presente; non al futuro, come una speranza; non al passato, come un evento finito e concluso, ma adesso: ecco colui che continuamente, instancabilmente, ineluttabilmente toglie via, se solo lo accogli in te, tutte le ombre che invecchiano il cuore e fanno soffrire te e gli altri.

La salvezza è dilatazione della vita, il peccato è, all’opposto, atrofia del vivere, rimpicciolimento dell’esistenza. E non c’è più posto per nessuno nel cuore, né per i fratelli né per Dio, non per i poveri, non per i sogni di cieli nuovi e terra nuova.

Come guarigione, Gesù racconterà la parabola del Buon Samaritano, concludendola con parole di luce: fai questo e avrai la vita. Vuoi vivere davvero, una vita più vera e bella? Produci amore. Immettilo nel mondo, fallo scorrere… E diventerai anche tu guaritore della vita. Lo diventerai seguendo l’agnello (Ap 14,4). Seguirlo vuol dire amare ciò che lui amava, desiderare ciò che lui desiderava, rifiutare ciò che lui rifiutava, e toccare quelli che lui toccava, e come lui li toccava, con la sua delicatezza, concretezza, amorevolezza. Essere solari e fiduciosi nella vita, negli uomini e in Dio. Perché la strada dell’agnello è la strada della felicità.

Ecco vi mando come agnelli… vi mando a togliere, con mitezza, il male: braccia aperte donate da Dio al mondo, braccia di un Dio agnello, inerme eppure più forte di ogni Erode.

(Letture: Isaia 49,3.5-6; Salmo 39; 1 Corinzi 1,1-3; Giovanni 1,29-34)

https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/un-agnello-inerme-ma-piu-forte-di-ogni-erode

https://www.avvenire.it/rubriche/il-vangelo

 

Il Vangelo – Ermes Ronchi

Epifania del Signore

SOLENNITA’

Dio parla la lingua della gioia

Vangelo – Matteo 2, 1-12

Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme (…).
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo» (…).

Magi voi siete i santi più nostri, naufraghi sempre in questo infinito, eppure sempre a tentare, a chiedere, a fissare gli abissi del cielo fino a bruciarsi gli occhi del cuore (Turoldo).

Messaggi di speranza oggi: c’è un Dio dei lontani, dei cammini, dei cieli aperti, delle dune infinite, e tutti hanno la loro strada. C’è un Dio che ti fa respirare, che sta in una casa e non nel tempio, in Betlemme la piccola, non in Gerusalemme la grande. E gli Erodi possono opporsi alla verità, rallentarne la diffusione, ma mai bloccarla, essa vincerà comunque. Anche se è debole come un bambino.

Proviamo a percorrere il cammino dei Magi come se fosse una cronaca dell’anima.

Il primo passo è in Isaia: «Alza il capo e guarda». Saper uscire dagli schemi, saper correre dietro a un sogno, a una intuizione del cuore, guardando oltre.
Il secondo passo: camminare. Per incontrare il Signore occorre viaggiare, con l’intelligenza e con il cuore. Occorre cercare, di libro in libro, ma soprattutto di persona in persona. Allora siamo vivi.
Il terzo passo: cercare insieme. I Magi (non «tre» ma «alcuni» secondo il Vangelo) sono un piccolo gruppo che guarda nella stessa direzione, fissano il cielo e gli occhi delle creature, attenti alle stelle e attenti l’uno all’altro.

4. Il quarto passo: non temere gli errori. Il cammino dei Magi è pieno di sbagli: arrivano nella città sbagliata; parlano del bambino con l’uccisore di bambini; perdono la stella, cercano un re e trovano un bimbo, non in trono ma fra le braccia della madre.
Eppure non si arrendono ai loro sbagli, hanno l’infinita pazienza di ricominciare, finché al vedere la stella provarono una grandissima gioia. Dio seduce sempre perché parla la lingua della gioia.

Entrati in casa videro il Bambino e sua Madre… Non solo Dio è come noi, non solo è con noi, ma è piccolo fra noi.

Informatevi con cura del Bambino e fatemelo sapere perché venga anch’io ad adorarlo. Quel re, quell’Erode, uccisore di sogni ancora in fasce, è dentro di noi: è il cinismo, il disprezzo che distrugge i sogni del cuore.

Ma io vorrei riscattare le sue parole e ripeterle all’amico, al teologo, al poeta, allo scienziato, al lavoratore, a ciascuno: hai trovato il Bambino? Cerca ancora, accuratamente, nei libri, nell’arte, nella storia, nel cuore delle cose; cerca nel Vangelo, nella stella e nella parola, cerca nelle persone, e in fondo alla speranza; cerca con cura, fissando gli abissi del cielo e del cuore, e poi fammelo sapere perché venga anch’io ad adorarlo.

Aiutami a trovarlo e verrò, con i miei piccoli doni e con tutta la fierezza dell’amore, a far proteggere i miei sogni da tutti gli Erodi della storia e del cuore.

Letture: Isaia 60, 1-6; Salmo 71; Efesini 3,2-3a. 5-6; Matteo 2, 1-12

 

Il Vangelo  – Ermes Ronchi

Scoprire un Dio dalle grandi braccia e dal cuore di luce

1 gennaio 2017
Maria santissima Madre di Dio

«In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo».

Otto giorni dopo Natale, lo stesso racconto di quella notte: Natale non è facile da capire, è una lenta conquista. Ci disorienta: per la nascita, quella nascita, che divenne nella notte un passare di voci che raccontavano una storia incredibile. Da stropicciarsi gli occhi. È venuto il Messia ed è nel giro di poche fasce, nella ruvida paglia di una mangiatoia. Chi va a cercarlo nei sacri palazzi non lo trova.
“Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette dai pastori”. Riscoprire lo stupore della fede. Lasciarci incantare almeno da una parola del Signore, stupirci ancora della mangiatoia e della Croce, di questo mistero di un Dio che sa di stelle e di latte, di infinito e di casa.
Dimentichiamo tutta la liturgia senz’anima che presiede a questi giorni: regali, botti, auguri, sms clonati, luci, per conservare ciò che vale davvero: la capacità di sorprenderci per la speranza indomita di Dio nell’uomo e in questa nostra storia barbara e magnifica, per il suo ricominciare dagli ultimi della fila.
E impariamo da Maria, che “custodiva tutte queste cose meditandole nel suo cuore”, Da lei, che salvaguarda come in uno scrigno emozioni e domande, angeli e stalla, un bambino “caduto da una stella fra le sue braccia e che cerca l’infinito perduto e lo trova nel suo petto” (M. Marcolini); da lei che medita nel cuore fatti e parole, fino a che non si dipani il filo d’oro che tutto legherà insieme, da lei impariamo a prenderci del tempo per aver cura dei nostri sogni. “Con il cuore”, con la forma più alta di intelligenza, quella che mette insieme pensiero e amore.
E impariamo il Natale anche dai pastori, che non ce la fanno a trattenere per sé la gioia e lo stupore, come non si può trattenere il respiro, ma ritornano cantando, e contagiano di sorrisi chi li incontra, dicendo a tutti: è nato l’Amore!
In questo giorno di auguri, le prime parole che la Bibbia ci rivolge sono: Il Signore parlò a Mosè, ad Aronne, ai suoi figli e disse: Voi benedirete i vostri fratelli. Per prima cosa, che lo meritino o no, voi benedirete.
Dio ci chiede di imparare a benedire: uomini e storie, il blu del cielo e il giro degli anni, il cuore dell’uomo e il volto di Dio. Se non impara a benedire, l’uomo non potrà mai essere felice.
Benedire è invocare dal cielo una forza che faccia crescere la vita, e ripartire e risorgere; significa cercare, trovare, proclamare il bene che c’è in ogni fratello. E continua: Il Signore faccia brillare per te il suo volto. Scopri che Dio è luminoso, ritrova nell’anno che viene un Dio solare, ricco non di troni, di leggi, di dichiarazioni, ma il cui più vero tabernacolo è un volto luminoso. Scopri un Dio dalle grandi braccia e dal cuore di luce.

(Letture: Numeri 6, 22-27; Salmo 66; Galati 4,4-7; Luca 2,16-21)

https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/scoprire-un-dio-dalle-grandi-braccia-e-dal-cuore-di-luce

E impariamo da Maria,
che “custodiva tutte queste cose
meditandole nel suo cuore”.

… da lei che medita nel cuore fatti e parole,
fino a che non si dipani il filo d’oro che tutto legherà insieme,
da lei impariamo a prenderci del tempo
per aver cura dei nostri sogni.
“Con il cuore”,
con la forma più alta di intelligenza,
quella che mette insieme pensiero e amore.

 

OTTAVA DEL NATALE

Giornata mondiale della Pace – Anno 2017

Num 6,22-27; Gal ; Lc 2, 18-21

 

Per tutti noi è un dono essere qui, un altro anno qui, per vivere la nostra missione: lavorare, creare, gioire, amare. Oggi, primo giorno dell’anno, accogliamo il dono grande del tempo, accogliamo la pace, che è dono e anche conquista con “lo stile della non violenza” (Francesco).

Andiamo verso l’anno nuovo, senza pretese, ma aperti alle soprese.

Signore, ogni giorno abbiamo incontrato persone, per ogni occasione mancata, perdono, ma per ogni amicizia che è iniziata grazie

-ti ringraziamo Signore.

Ogni giorno sono nati pensieri, per quelli tristi e ostili, perdono, per quelli invece luminosi e affettuosi grazie,

Signore abbiamo detto tante parole, per quelle che hanno fato soffrire, perdono, per quelle che hanno fatto bene a qualcuno, grazie,

 

Omelia

All’inizio dell’anno, la prima parola che Dio ci rivolge è un augurio, bello come pochi: Il Signore parlò a Mosè, ad Aronne, ai suoi figli e disse: Voi benedirete i vostri fratelli.

Voi benedirete… è un ordine, è per tutti: in principio, per prima cosa tu benedirai, che lo meritino o no, buoni e meno buoni, prima di ogni altra cosa ‘tu benedirai i tuoi fratelli’. Lo farai subito, come primo gesto.

Cosa vuol dire benedire? Per capirlo dobbiamo risalire alla prima, alla madre di tutte le benedizioni: “Dio benedisse l’uomo e la donna dicendo: crescete e moltiplicatevi!” La benedizione è una energia che scende da Dio, una forza che dall’alto entra in me, e si esprime in due azioni: perché io cresca, per una crescita d’umanità, per una forza di nascite, per una moltiplicazione di vitalità.

E come si fa a benedire? Dio stesso insegna le parole, e sono quelle e non altre, e sono bellissime. Le seguiamo ad una ad una dalla prima lettura:

Ti benedica il Signore

e ti custodisca.

Ti benedica, venga in te portando energia di vita e di nascite.

Ti custodisca, sia con te in ogni passo che farai. In ogni strada che prenderai, sarai all’ombra delle sue ali. Dio per te, come canta il salmo, sarà roccia e nido. Forza e calore.

Faccia risplendere per te il suo volto

E ti faccia grazia.

Un Dio che ha il volto luminoso. Non il Dio degli effetti speciali, non il Signore che dà le leggi e ed emana sentenze, ma colui che regala luce. Luce interiore, per vedere dove andare, per non cadere; luce che da colore e fa godere la bellezza alle cose lungo la strada, luce per conoscere, per incontrare gli altri senza più paura.

Ha un volto di luce, perché ha un cuore di luce.

Il Signore ti faccia grazia. Vuol dire: si rivolgerà verso di me, si chinerà su di me, mi farà grazia di tutti gli sbagli, di tutti gli abbandoni, mi farà ripartire da ogni stanchezza. Non pretende che io non cada mai, ma mi aiuterà a rialzarmi, facendomi grazia, sempre.

Al Salmo abbiamo cantato: Il Signore ci benedica con la luce, la benedizione di Dio per l’anno che viene non è né salute, né ricchezza, né fortuna, né lunga vita, non sono i beni materiali, le tante cose, ma molto semplicemente è la luce.

Luce interiore per vedere in profondità le cose,

luce per scegliere la via da percorrere,

luce per poter gustare bellezza e incontri.

La benedizione di Dio sono accanto a noi persone dal volto e dal cuore luminosi che emanano bontà, generosità, bellezza, pace.

Che cosa accende luce nel viso di una persona? Cosa ne illumina il volto? E’ il sorriso. Una persona sorride, e si illumina.

L’augurio della Bibbia all’inizio dell’anno ci sorprende: un Dio che sorride. A me.

E quando accade che la vita si riempie di sorrisi? Quando nasce amore! Dio ti sorride perché in Lui è nato amore. Si illumina per te, perché tu gli illumini il cuore.

Terza piccola strofa della benedizione biblica:

Il Signore rivolga a te il suo volto

E ti conceda pace.

Rivolgere il volto a qualcosa è come dire: tu mi interessi, mi piaci, e ti vengo più vicino.

Cosa ci riserverà l’anno che viene? Io non lo so, ma di una cosa sono certo: il Signore si girerà verso di me, sarà ancora più vicino.

E se io e mi farò cadrò e mi farò male, Dio si piegherà ancora di più su di me.

Lui sarà il mio confine di cielo, curvo su di me come una madre, perché non gli deve sfuggire un solo sospiro, non deve andare perduta una sola lacrima. Qualunque cosa accadrà quest’anno Dio sarà chino su di me, come custode della luce.

E ti conceda pace: La pace, miracolo fragile, che abbiamo infranto anche quest’anno mille e mille volte, in ogni angolo della terra. La pace, dono e conquista. Miracolo fragile, sempre infranto, un sogno di cui non ci è concesso stancarci.

È la giornata della pace… ma è davvero impossibile vivere insieme senza ucciderci? Quale è l’alternativa? Amatevi altrimenti vi distruggerete.

Qual è l’essenziale per vivere bene? L’economia della felicità ci rivela che la felicità non dipende dall’accumulo di tanti oggetti, ma dalle relazioni umane. Non dipende dai beni materiali, ma dai beni relazionali.

Ho ricevuto da un amico un bellissimo augurio-proposito che allargo a voi tutti: non regaliamo cose, “Per quest’anno regaliamo relazioni umane!” (Adriano Sella). C’è una povertà relazionale forse ancora più grave di quella materiale. E che dice questo: Il più bel regalo per gli altri siamo noi e non le cose. E questo regalo non è in vendita nei negozi. E si fa concreto con relazioni ricche di calore umano, gratuite, vive. Regaliamo relazioni umane. Non hanno prezzo, ma esigono che tiriamo fuori il meglio di noi. Ci fanno diventare migliori.

Otto giorni dopo Natale il Vangelo ci riporta a Betlemme, perché il Natale non è facile, è una conquista lenta: Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette dai pastori.

Lo stupore della fede. Davanti a Dio nella piccolezza: che è la forza dirompente del Natale:tutti vogliono crescere nel mondo, ogni bambino vuole essere uomo. Ogni uomo vuole essere re. Ogni re vuole essere ‘dio’. Solo Dio vuole essere bambino” (L. Boff).

Maria custodiva e meditava nel suo cuore. Maestra di stupore. Custodire è il verbo che salva il passato e meditare è il verbo che salva il presente. Maria medita, vuole tenere insieme gli estremi: una stalla e sopra di essa una moltitudine di angeli, un Bambino che piange al suo seno e il Verbo che era presso Dio.

Custodiva nel suo cuore! Perché la storia di un figlio è scritta prima di tutto nel cuore di sua madre.

Custodiva la Bella Notizia. Che è questa: anche Dio conosce il desiderio umanissimo di amare e di essere amato, Dio ha un cuore di carne.

L’augurio è che possiamo tutti restituire tempo al cuore.

dire per l’anno passato ‘grazie’;

per l’anno che si apre ‘sì, come tu vorrai’.

E come oggi ricomincia da capo il grande ciclo dell’anno e il tempo ridiventa nuovo, così anche noi iniziamo da capo la nostra avventura

verso più luce e più pace, verso meno violenza, meno fango, meno sangue.

Verso più relazioni umane. Buon anno, allora, buono della bontà di Dio.

Lui ti benedica e ti custodisca,

illumini per te il suo volto,

si chini su di te e ti dia tutta la sua pace!

 

 

PREGHIERA ALLA COMUNIONE

 

Signore, in quest’anno

vesti i nostri occhi della tua luce,

la nostra carne della tua vitalità.

Rivesti il passato della tua misericordia

e il presente della tua pace.

Signore, insegnaci sguardi profondi

oltre il velo delle sconfitte,

donaci occhi di fiducia e di scoperta

che salvino lo stupore.

Donaci un cuore chiaro che veda le cose invisibili agli occhi.

Anche in quelle prove che ci sembrano senza uscita,

anche in quello che ci pare un piangere inutile,

anche quando ci sembra di camminare verso nessun luogo,

senza vedere né la strada né la meta

Signore, genera ancora il tuo futuro

come di seme che attende nel buio il richiamo della primavera.

Fa’ che gustiamo le nostre piccole e grandi gioie

non come cose da rubare agli altri, da rapire alla vita

ma come energie donate per incantare di nuovo l’esistenza,

per ringraziare Te e nutrirci tra noi.

Per accendere di luce tutti i nostri orizzonti. Amen

 

Se non impariamo a benedire non saremo mai felici.

P. Ermes Ronchi

 

Il Vangelo – Ermes Ronchi

La vertigine di Betlemme, l’Onnipotente in un neonato

Natale del Signore
Messa della notte
22 dicembre 2016

«In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio». (…)

Questo per voi il segno: troverete un bambino: «Tutti vogliono crescere nel mondo, ogni bambino vuole essere uomo. Ogni uomo vuole essere re. Ogni re vuole essere “dio”. Solo Dio vuole essere bambino» (Leonardo Boff).

Dio nella piccolezza: è questa la forza dirompente del Natale. L’uomo vuole salire, comandare, prendere. Dio invece vuole scendere, servire, dare. È il nuovo ordinamento delle cose e del cuore.
C’erano là alcuni pastori. Una nuvola di ali, di canto e di parole felici li avvolge: Non temete! Dio non deve fare paura, mai. Se fa paura non è Dio colui che bussa alla tua vita. Dio si disarma in un neonato. Natale è il corteggiamento di Dio che ci seduce con un bambino. Chi è Dio? «Dio è un bacio», caduto sulla terra a Natale (Benedetto Calati).

Vi annuncio una grande gioia: la felicità non è un miraggio, è possibile e vicina. E sarà per tutto il popolo: una gioia possibile a tutti, ma proprio tutti, anche per la persona più ferita e piena di difetti, non solo per i più bravi o i più seri. Ed ecco la chiave e la sorgente delle felicità: Oggi vi è nato un salvatore. Dio venuto a portare non tanto il perdono, ma molto di più; venuto a portare se stesso, luce nel buio, fiamma nel freddo, amore dentro il disamore. Venuto a portare il cromosoma divino nel respiro di ogni uomo e di ogni donna. La vita stessa di Dio in me. Sintesi ultima del Natale. Vertigine.

E sulla terra pace agli uomini: ci può essere pace, anzi ci sarà
di sicuro. I violenti la distruggono, ma la pace tornerà, come una primavera che non si lascia sgomentare dagli inverni della storia. Agli uomini che egli ama: tutti, così come siamo, per quello che siamo, buoni e meno buoni, amati per sempre; a uno a uno, teneramente, senza rimpianti amati (Marina Marcolini).

È così bello che Luca prenda nota di questa unica visita, un gruppo di pastori, odorosi di lana e di latte. È bello per tutti i poveri, gli ultimi, gli anonimi, i dimenticati. Dio ricomincia da loro.

Natale è anche una festa drammatica: per loro non c’era posto nell’alloggio. Dio entra nel mondo dal punto più basso, in fila con tutti gli esclusi. Come scrive padre Turoldo, Dio si è fatto uomo per imparare a piangere. Per navigare con noi in questo fiume di lacrime, fino a che la sua e nostra vita siano un fiume solo. Gesù è il pianto di Dio fatto carne. Allora prego:

Mio Dio, mio Dio bambino,
povero come l’amore,
piccolo come un piccolo d’uomo,
umile come la paglia dove sei nato,
mio piccolo Dio che impari a vivere questa nostra stessa vita.
Mio Dio incapace di aggredire e di fare del male,
che vivi soltanto se sei amato,
insegnami che non c’è altro senso per noi,
non c’è altro destino che diventare come Te.

(Letture: Isaia 9,1-6; Salmo 95; Tito 2,11-14; Luca 2,1-14).

https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/la-vertigine-di-betlemme-l-onnipotente-in-un-neonato

 

Il Vangelo – Ermes Ronchi

Il nuovo Battesimo è l’immersione nel mare di Dio

II Domenica di Avvento – Anno A – 2016

In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaìa quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!».E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico. Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente?

(…)

Giovanni il Battista predicava nel deserto della Giudea dicendo: convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino (Mt 3,2).

Gesù cominciò a predicare lo stesso annuncio: convertitevi perché il regno dei cieli è vicino (Mt 4,17). Tutti i profeti hanno gli occhi fissi nel sogno, nel regno dei cieli che è un mondo nuovo intessuto di rapporti buoni e felici. Ne percepiscono il respiro vicino: è possibile, è ormai iniziato. Su quel sogno ci chiedono di osare la vita, ed è la conversione.

Si tratta di tre annunci in uno, e tra tutte la parola più calda di speranza è l’aggettivo «vicino».

Dio è vicino, è qui, prima buona notizia: il grande Pellegrino ha camminato, ha consumato distanze, è vicinissimo a te. E se anche tu ti trovassi ai piedi di un muro o sull’orlo del baratro, allora ricorda: o quanti cercate, siate sereni / egli per noi non verrà mai meno / e Lui stesso varcherà l’abisso (David Maria Turoldo).

Dio è accanto, a fianco, si stringe a tutto ciò che vive, rete che raccoglie insieme, in armonia, il lupo e l’agnello, il leone e il bue, il bambino e il serpente (parola di Isaia), uomo e donna, arabo ed ebreo, musulmano e cristiano, bianco e nero, per una nuova architettura del mondo e dei rapporti umani.

Il regno dei cieli e la terra come Dio la sogna. Non si è ancora realizzata? Non importa, il sogno di Dio è più vero della realtà, è il nostro futuro che ci porta, la forza che fa partire.

Gesù è l’incarnazione di un Dio che si fa intimo come un pane nella bocca, una parola detta sul cuore, un respiro: infatti vi battezzerà nello Spirito Santo, vi immergerà dentro il mare di Dio, sarete avvolti, intrisi, impregnati della vita stessa di Dio, in ogni vostra fibra.

Convertitevi, ossia osate la vita, mettetela in cammino, e non per eseguire un comando, ma per una bellezza; non per una imposizione da fuori ma per una seduzione. Ciò che converte il freddo in calore non è un ordine dall’alto, ma la vicinanza del fuoco; ciò che toglie le ombre dal cuore non è un obbligo o un divieto, ma una lampada che si accende, un raggio, una stella, uno sguardo. Convertitevi: giratevi verso la luce, perché la luce è già qui.

Conversione, non comando ma opportunità: cambiate lo sguardo con cui vedete gli uomini e le cose, cambiate strada, sopra i miei sentieri il cielo è più vicino e più azzurro, il sole più caldo, il suolo più fertile, e ci sono cento fratelli, e alberi fecondi, e miele.

Conversione significa anche abbandonare tutto ciò che fa male all’uomo, scegliere sempre l’umano contro il disumano. Come fa Gesù: per lui l’unico peccato è il disamore, non la trasgressione di una o molte regole, ma il trasgredire un sogno, il sogno grande di Dio per noi.

(Letture: Isaia 11,1-10; Salmo 71; Romani 15,4-9; Matteo 3,1-12).

https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/il-nuovo-battesimo-e-l-immersione-nel-mare-di-dio

Il Vangelo – Ermes Ronchi
XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – anno C

Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo

 

La storia del re che morì amando, all’inverosimile

Luca  23,35-43
In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto».
Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male».
E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

Se sei il Cristo, salva te stesso! Sono scandalizzati gli uomini religiosi: che Dio è questo che lascia morire il suo Messia?
Si scandalizzano i soldati, gli uomini forti: se sei il re, usa la forza! Salvati. C’è forse qualcosa che vale più della vita? Ebbene sì, risponde la narrazione della Croce, qualcosa vale di più, l’amore vale più della vita. E appare un re che muore ostinatamente amando; giustiziato, ma non vinto; che noi possiamo rifiutare, ma che non ci rifiuterà mai. E la risurrezione è il sigillo che un amore così non andrà mai perduto.
Un malfattore appeso alla croce gli chiede di non essere dimenticato e lui lo prende con sé. In quel bandito raggiunge tutti noi, consacrando – in un malfattore- la dignità di ogni persona umana: nella sua decadenza, nel suo limite più basso, l’uomo è sempre amabile per Dio. Proprio di Dio è amare perfino l’inamabile. Non ha meriti da vantare il ladro. Ma Dio non guarda al peccato o al merito, il suo sguardo si posa sulla sofferenza e sul bisogno, come un padre o una madre guardano solo al dolore e alle necessità del figlio.
Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno. E Gesù non solo si ricorda, fa molto di più: lo porta con sé, se lo carica sulle spalle, come fa il pastore con la pecora perduta, lo riporta a casa: sarai con me! E mentre la logica della nostra storia sembra avanzare per esclusioni, per separazioni, per respingimenti alle frontiere, il Regno di Dio è la terra nuova che avanza per inclusioni, per abbracci, per accoglienza.
“Ricordati di me” prega il peccatore, “sarai con me” risponde l’amore. Sintesi estrema di tutte le possibili preghiere.
Ricordati di me, prega la paura, sarai con me, risponde l’amore. Non solo il ricordo, ma l’abbraccio che stringe e unisce e non lascia cadere mai: “con me, per sempre”. Le ultime parole di Cristo sula croce, sono tre parole regali, tre editti imperiali: oggi-con me-paradiso.
Oggi: adesso, subito; ecco l’amore che ha sempre fretta; ecco l’istante che si apre sull’eterno, e l’eterno che si insinua nell’istante.
Con me: mentre la nostra storia di conflitti si chiude in muri, frontiere e respingimenti, il Regno di Dio germoglia in condivisioni e accoglimenti.
Nel paradiso: quel luogo che brucia gli occhi del desiderio, quel luogo immenso e felice che “solo amore e luce ha per confine”.
E se il primo che entra in paradiso è quest’uomo dalla vita sbagliata, allora non c’è nulla e nessuno di definitivamente perduto, nessuno è senza speranza.
Le braccia del re-crocifisso resteranno spalancate per sempre, per tutti quelli che riconoscono Gesù come compagno d’amore e di pena, qualunque sia il loro passato: è questa la Buona Notizia di Gesù Cristo.

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Il Vangelo – Ermes Ronchi

 

XXXIII Domenica – Tempo ordinario – Anno C

13 novembre  2016

O Dio, principio e fine di tutte le cose,
che raduni tutta l’umanità
nel tempio vivo del tuo Figlio,
fa’ che, attraverso le vicende,
liete e tristi, di questo mondo,
teniamo fissa la speranza del tuo regno,
certi che nella nostra pazienza
possederemo la vita.

(II Colletta)

Non un capello andrà perduto

Luca 21,5-19
In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». (…)

Il Vangelo ci guida lungo il crinale della storia: da un lato il versante oscuro della violenza, il cuore di tenebra che distrugge; dall’altro il versante della tenerezza che salva: neppure un capello del vostro capo andrà perduto.

Il Vangelo non anticipa le cose ultime, svela il senso ultimo delle cose. Dopo ogni crisi annuncia un punto di rottura, un tornante che svolta verso orizzonti nuovi, che apre una breccia di speranza. Verranno guerre e attentati, rivoluzioni e disinganni brucianti, ansie e paure, ma voi alzate il capo, voi risollevatevi.

Ma voi… è bellissimo questo «ma»: una disgiunzione, una resistenza a ciò che sembra vincente oggi nel mondo. Ma voi alzate il capo: agite, non rassegnatevi, non omologatevi, non arrendetevi. Il Vangelo convoca all’impegno, al tenace, umile, quotidiano lavoro dal basso che si prende cura della terra e delle sue ferite, degli uomini e delle loro lacrime, scegliendo sempre l’umano contro il disumano (Turoldo).

È la beatitudine degli oppositori: loro sanno che il capo del filo rosso della storia è saldo nelle mani di Dio. È la beatitudine nascosta dell’opposizione: nel mondo sembrano vincere i più violenti, i più ricchi, i più crudeli, ma con Dio c’è sempre un dopo. Beati gli oppositori: i discepoli non sono né ottimisti né pessimisti, sono quelli che sanno custodire e coltivare speranza. «Mentre il creato ascende… / tutto è doglia di parto / quanto morir perché la vita nasca» (Clemente Rebora).

E quand’anche la violenza apparisse signora e padrona della storia, voi rialzatevi, risollevatevi, perché nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto; espressione straordinaria ribadita da Matteo 10,30 – i capelli del vostro capo sono tutti contati, non abbiate paura. Uomo e natura possono sprigionare tutto il loro potenziale distruttivo, eppure non possono nulla contro l’amore. Davanti alla tenerezza di Dio sono impotenti. Nel caos della storia, il suo sguardo è fisso su di me. Lui è il custode innamorato d’ogni mio più piccolo frammento. La visione apocalittica del Vangelo è la rivelazione che il mondo quale lo conosciamo, col suo ordine fondato sulla forza e sulla violenza, già comincia a essere rovesciato dalle sue stesse logiche. La violenza si autodistruggerà.
Ciò che deve restare inciso negli occhi del cuore è l’ultima riga del vangelo: risollevatevi, alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina. In piedi, a testa alta, liberi, coraggiosi: così il Vangelo vede i discepoli di Gesù. Sollevate il capo, e guardate lontano, perché la realtà non è solo questo che si vede: c’è un Liberatore, il suo Regno viene, verrà con il fiorire della vita in tutte le sue forme.

(Letture: Malachia 3,19-20; Salmo 97; 2 Tessalonicesi 3,7-12; Luca 21,5-19).

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Il Vangelo – Ermes Ronchi

XXXII Domenica – Tempo ordinario – Anno C –
6 novembre – 2016

Luca 20,27-38

In quel tempo, disse Gesù ad alcuni sadducei, i quali dicono che non c’è risurrezione: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

I sadducei si cimentano in un apologo paradossale, quello di una donna sette volte vedova e mai madre, e lo sottopongono a Gesù come caricatura della sua fede nella risurrezione.

Lo sappiamo: non è facile credere nella vita eterna. Forse perché la immaginiamo come durata indefinita, anziché come intensità e profondità, come infinita scoperta di cosa significhi amare con il cuore stesso di Dio.

L’unica piccola eternità in cui i sadducei credono è la sopravvivenza del patrimonio genetico della famiglia, così importante da giustificare il passaggio di quella donna di mano in mano, come un oggetto: «si prenda la vedova… Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette».
Il loro linguaggio non è sfiorato neppure da un’ombra di amore, ma riduce la carne dolorante e luminosa della vita a uno strumento, una cosa da adoperare per i propri fini.

Gesù non ci sta, e alla loro domanda banale (di quale dei sette fratelli sarà moglie quella donna?) contrappone un intero mondo nuovo: Quelli che risorgono non prendono né moglie né marito. Gesù non dice che finiranno gli affetti e il lavoro gioioso del cuore. Anzi, l’unica cosa che rimane per sempre, ciò che rimane quando non rimane più nulla, è l’amore (1 Cor 13,8).
I risorti non prendono moglie o marito, e tuttavia vivono la gioia, umanissima e immortale, di dare e ricevere amore: su questo si fonda la felicità di questa e di ogni vita. Perché amare è la pienezza dell’uomo e di Dio. E ciò che vince la morte non è la vita, è l’amore.
E finalmente nell’ultimo giorno, a noi che abbiamo fatto tanta fatica per imparare ad amare, sarà dato di amare con il cuore stesso di Dio.

I risorti saranno come angeli. Ma che cosa sono gli angeli? Le creature un po’ evanescenti, incorporee e asessuate del nostro immaginario romantico?
O non piuttosto, biblicamente, annunciatori di Dio (Gabriele), forza di Dio (Michele), medicina di Dio (Raffaele)? Occhi che vedono Dio faccia a faccia (Mt 18,10), presenti alla Presenza?

Il Signore è Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe. Dio non è Dio di morti, ma di vivi. In questa preposizione «di» ripetuta 5 volte è racchiuso il motivo ultimo della risurrezione, il segreto dell’eternità.
Una sillaba breve come un respiro, ma che contiene la forza di un legame, indissolubile e reciproco, e che dice: Dio appartiene a loro, loro a Dio.
Così totale è il legame, che il Signore non può pronunciare il proprio nome senza pronunciare anche quello di coloro che ama. Il Dio forte al punto di inondare di vita anche le vie della morte ha così bisogno dei suoi figli da ritenerli parte fondamentale di sé stesso. Questo Dio di uomini vive solo se io e tu vivremo, per sempre, con Lui.

(Letture: 2 Maccabei 7,1-2.9-14; Salmo 16; 2 Tessalonicesi 2,16-3,5; Luca 20,27-38).

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XXIX domenica

Luca 18,1-8

 

 

Disse una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai. E a noi pare una missione impossibile ‘sempre e mai’. Quante volte mi sono stancato!

Ma capiamo bene: pregare non è dire preghiere; pregare sempre non significa moltiplicare rosari e novene per tutto il giorno e non smettere mai.

Gesù l’ha chiarito quando ha detto: quando pregate non moltiplicate parole. Non fate come i pagani che credono di essere esauditi a forza di parole (cfr. Mt 6,7).

E anche nel vangelo le preghiere brevi sono le più comuni: Signore, abbi pietà; kyrie eleison; se vuoi, puoi guarirmi; ricordati di me; mio Signore e mio Dio… Gesù prega ripetendo talvolta una sola parola: Abbà, Padre. Così era per gli antichi Padri del deserto; così è ancora oggi la formula della «preghiera del cuore». Così suonavano le semplici giaculatorie di tanta fede popolare.

 

Io amo le preghiere brevi. Mi sono sempre sentito inadeguato di fronte alle preghiere che durano tanto. E anche un pochino colpevole. Per la stanchezza e le distrazioni che aumentano in proporzione alla lunghezza. Finché mi sono imbattuto in un padre del deserto, un grande monaco Evagrio il Pontico che dice: «Non compiacerti nel numero dei salmi che hai recitato: esso getta un velo sul tuo cuore. Vale di più una sola parola nell’intimità, che mille stando lontano».

Il numero delle preghiere è come un velo sul cuore. Ma quando una frase, una parola, un’intuizione, un’emozione sorprendono l’anima, fanno trasalire il cuore, allora lì bisogna fermarsi, sostare, agganciarsi a quella intuizione, far cessare le parole, assaporare lo Spirito che si è posato lì dentro, pronunciare anche una sola parola, ma nell’intimità.

Pregare alle volte è solo sentire una voce misteriosa che sussurra all’orecchio: io ti amo, io ti amo, io ti amo. E rispondere.

Perché pregare è come voler bene. Infatti c’è sempre tempo per voler bene: se ami qualcuno, lo ami sempre. Basta anche solo evocare il nome e il volto di una persona cui vuoi bene e da te parte qualcosa che si mette in viaggio verso quel volto. Così è con Dio: pensi a lui, con il cuore, e da te qualcosa si mette in viaggio all’indirizzo dell’eterno.

Pregare sempre allora è spiegato da Sant’Agostino così: “il desiderio prega sempre, anche se la lingua tace. Se tu desideri sempre, tu preghi sempre”.

Pregare è come voler bene. C’è sempre tempo per voler bene, qualsiasi cosa tu stia facendo.

Quando uno ha Dio dentro, non occorre che stia sempre a pensarci. La donna incinta, anche se non pensa in continuazione alla creatura che vive in lei, diventa sempre più madre ad ogni battito del cuore.

Davanti a Dio non conta la quantità, ma la verità. E mille anni sono come un giorno. L’obolo della vedova conta più delle molte offerte dei ricchi (cfr. Mc 12,41-44). Perché dentro c’è la totalità e l’intensità del suo dolore e della sua speranza.

 

Il vangelo ci porta a scuola di preghiera da una vedova, una bella figura di donna, forte e dignitosa, che non si arrende, fragile e indomita al tempo stesso. Ha subito ingiustizia e non abbassa la testa di fronte al sopruso. Lei traduce bene la parola di Gesù: senza stancarsi mai. Che vuol dire, letteralmente: senza arrendersi; certo che ci si stanca, che pregare stanca, che Dio stanca. Ma tu non cedere, non deporre le armi.

C’era un giudice corrotto. E una vedova si recava ogni giorno da lui e gli chiedeva: fammi giustizia contro il mio avversario!

Gesù lungo tutto il vangelo ha una predilezione particolare per le donne sole, perché rappresentano l’intera categoria biblica dei senza difesa, vedove orfani forestieri, i difesi da Dio.

Una donna che non si lascia schiacciare ci rivela che la preghiera è un ‘no’ gridato al ‘così vanno le cose’, è come il primo vagito di una storia nuova che nasce e che cambia.

Perché pregare? È come chiedere: perché respirare? Per vivere. La preghiera è il respiro della fede. Come un canale aperto in cui scorre l’ossigeno dell’infinito, un riattaccare continuamente la terra al cielo. Come per due che si amano, il respiro del loro amore.

Forse tutti ci siamo qualche volta stancati di pregare.

Non ho più dimenticato un dialogo di 25 anni con un monaco trappista dell’abbazia di Orval in Belgio. Gli chiesi questo: «Ma quando ci si stanca di Dio, cosa dobbiamo fare?». Pensavo, temevo che mi avrebbe demolito, dicendomi: quanto sei indietro nella fede! Come si fa a stancarsi di Dio?… Mi guardò con occhi profondi e dolci e mi racconto che san Bernardo diceva si monaci questo: « noi siamo come nel giorno dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme, siamo in quel corteo che accompagna Gesù giù dal monte degli ulivi. C’è chi canta, chi stende i mantelli, chi è in testa al corteo, chi in coda, chi ha rami di palma in mano, chi è più vicino a Gesù. Ma poi, poi c’è uno che fa più fatica di tutti, è l’asino, che porta Gesù: sente tutto il peso di quella strada ripida, di quel Dio su di sè, eppure è proprio lui il più vicino a Cristo. Così per noi» disse il monaco «quando sentiamo fatica e stanchezza, o il peso di Dio, forse siamo come l’asino del corteo, i più vicini a Cristo: stiamo portando il suo peso. L’importante è continuare, perché appena dopo c’è Gerusalemme».

Appena dopo. E Dio non farà prontamente giustizia a quelli che lo invocano? Invece noi ci siamo stancati proprio per la non prontezza di Dio. Le preghiere si alzavano in volo dal cuore come colombe dall’arca del diluvio, ma nessuna tornava indietro a portare una risposta. E mi sono chiesto, e mi hanno chiesto, tante volte: ma Dio esaudisce le nostre preghiere, si o no? La risposta di un grande credente, il martire Bonhoeffer è questa: “Dio esaudisce sempre, ma non le nostre richieste bensì le sue promesse”. E il vangelo ne è pieno: non vi lascerò orfani, sarò con voi, tutti i giorni, fino alla fine del tempo.

Non si prega per cambiare la volontà di Dio, ma il mio cuore. Non si prega per ottenere, ma per essere trasformati. Contemplando il Signore veniamo trasformati in quella stessa immagine (cfr 2 Corinzi 3,18). Contemplare, trasforma. Uno diventa ciò che contempla con gli occhi del cuore. Uno diventa ciò che prega. Uno diventa ciò che ama.

Ottenere Dio da Dio, questo è il primo miracolo della preghiera. E sentire il suo respiro intrecciato per sempre con il mio respiro.

Io amo le preghiere brevi, le formule lampeggianti, lucciole nella notte, un morso di luce sul cuore. Preghiere leggere come fili di seta che lancio oltre il muro; non possenti come una fune su cui arrampicarmi, ma così numerose da creare una trama su cui posa il piede di Dio, che viene sempre a cingere in un abbraccio i suoi figli malati di solitudine.

Il nostro compito non è interrogarci sul ritardo, ma forzare l’aurora della giustizia, come la piccola vedova. Come p. Turoldo, quando scriveva: sulla mia tomba mettete ha cercato soltanto cieli nuovi e terra nuova. Senza stancarsi mai.

 

p. Ermes Ronchi

 

Il Vangelo – Ermes Ronchi

Gesù ha «fretta» di guarire l’uomo

XXVIII Domenica – Tempo ordinario – Anno C
ottobre 2016

Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un samaritano. Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

Gesù è in cammino. E come lungo ogni cammino, la lentezza favorisce gli incontri, l’attenzione trasforma ogni incontro in evento.
Ed ecco che dieci lebbrosi, una comunità senza speranza, un nodo di dolore, all’improvviso si pone di traverso sulla strada dei dodici.

E Gesù appena li vede… notiamo: subito, senza aspettare un secondo di più, “appena li vede”, prima ancora di sentire il loro lamento. Gesù ha l’ansia di guarire, il suo amore ha fretta, è amore preveniente, amore che anticipa, pastore che sfida il deserto per una pecora che non c’è più, padre che corre incontro mentre il figlio cammina…

Davanti al dolore dell’uomo, appaiono i tre verbi dell’agire di Cristo: vedere, fermarsi, toccare, anche se solo con la carezza della parola.
Davanti al dolore scatta come un’urgenza, una fretta di bene: non devono soffrire neanche un secondo di più. E mi ricorda un verso bellissimo di Ian Twardowski: affrettiamoci ad amare, le persone se ne vanno così presto! L’amore vero ha sempre fretta. È sempre in ritardo sulla fame di abbracci o di salute.

Andate… E mentre andavano, furono purificati. Sono purificati non quando arrivano dai sacerdoti, ma mentre camminano. La guarigione comincia con il primo passo compiuto credendo alla parola di Gesù. La vita guarisce non perché raggiunge la meta, ma quando salpa, quando avvia processi e inizia percorsi.

Nove lebbrosi guariscono e non sappiamo più nulla di loro, probabilmente scompaiono dentro il vortice della loro inattesa felicità, sequestrati dagli abbracci ritrovati, ridiventati persone libere e normali.

Invece un samaritano, uno straniero, l’ultimo della fila, si vede guarito, si ferma, si gira, torna indietro, perché intuisce che la salute non viene dai sacerdoti, ma da Gesù; non dalla osservanza di regole e riti, ma dal contatto con la persona di quel rabbi. Non compie nessun gesto eclatante: torna, canta, lo stringe, dice un semplice grazie, ma contagia di gioia.

Ancora una volta il Vangelo propone un samaritano, uno straniero, un eretico come modello di fede: la tua fede ti ha salvato. La fede che salva non è una professione verbale, non si compone di formule ma di gesti pieni di cuore: il ritorno, il grido di gioia, l’abbraccio che stringe i piedi di Gesù.

Il centro della narrazione è la fede che salva. Tutti e dieci sono guariti. Tutti e dieci hanno creduto alla parola, si sono fidati e si sono messi in cammino. Ma uno solo è salvato. Altro è essere guariti, altro essere salvati. Nella guarigione si chiudono le piaghe, rinasce una pelle di primavera. Nella salvezza ritrovi la sorgente, tu entri in Dio e Dio entra in te, e fiorisce tutta intera la tua vita.

(Letture: 2 Re 5,14-17; Salmo 97; 2 Timoteo 2,8-13; Luca 17, 11-19).
http://www.avvenire.it/rubriche/Pagine/Il%20Vangelo/Gesu%20ha%20%C2%ABfretta%C2%BB%20di%20guarire%20l%20uomo_20161006.aspx?rubrica=Il%20Vangelo

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Preghiera

La tua voce ripete:
alzati e va’ la tua fede ti ha salvato.
Fra un po’ me ne andrò,
ma non so quanto salvato.
Ora però sono qui, Signore,
non per chiederti qualcosa
ma per consegnarti il mio grazie
per i miracoli quotidiani che compi
nel cuore e dove sai tu.
Vengo al tuo altare, vengo come il lebbroso di Siria,
ho portato ceste di terra e di dolore,
memoria di questo pianeta così bello e così brutale.
Sono memoria anche della mia casa,
dei miei problemi, della mia salute e tu li conosci tutti.
Ma vengo anche come il lebbroso di Samaria
non per dovere ma per seguire il cuore,
cuore libero e pieno di canti, cuore ritornato bambino e ti prego:
fammi vivo, Signore, e la tua vita sia nella mia vita;
fammi vivo perché tua gloria è l’uomo vivente,
fammi vivo della tua vita e sarò non solo guarito ma salvato.

(Ermes  Ronchi)

Servi «inutili», che cioè non cercano il proprio utile

XXVII Domenica
Tempo ordinario –  Anno C –
29/09/2016

In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

Gesù ha appena avanzato una proposta che ai discepoli pare una missione impossibile: quante volte devo perdonare? Fino a settanta volte sette. E sgorga spontanea la richiesta: accresci in noi la fede, o non ce la faremo mai. Una preghiera che Gesù non esaudisce, perché non tocca a Dio aggiungere fede, non può farlo: la fede è la libera risposta dell’uomo al corteggiamento di Dio.
E poi ne basta poca, meno di poca, per ottenere risultati impensabili: se aveste fede come un granello di senape, potrete dire a questo gelso sradicati…

Qui appare uno dei tratti tipici dei discorsi di Gesù: l’infinito rivelato dal piccolo. Gesù sceglie di parlare del mondo interiore e misterioso della fede usando le parole di tutti i giorni, rivela il volto di Dio e il venire del Regno scegliendo il registro delle briciole, del pizzico di lievito, della fogliolina di fico, del bambino in mezzo ai grandi. È la logica dell’Incarnazione che continua, quella di un Dio che da onnipotente si è fatto fragile, da eterno si è perduto dentro il fluire dei giorni.

La fede è rivelata dal più piccolo di tutti i semi e poi dalla visione grandiosa di foreste che volano verso i confini del mare. La fede è un niente che è tutto. Leggera e forte. Ha la forza di sradicare gelsi e la leggerezza di un minimo seme che si schiude nel silenzio.
Ho visto il mare riempirsi di gelsi. Ho visto imprese che sembravano impossibili: madri e padri risorgere dopo drammi atroci, disabili con occhi luminosi come stelle, un missionario discepolo del Nazzareno salvare migliaia di bambini-soldato, una piccola suora albanese rompere i tabù millenari delle caste…

Un granello: non la fede sicura e spavalda ma quella che nella sua fragilità ha ancora più bisogno di Lui, che per la propria piccolezza ha ancora più fiducia nella sua forza.

Il Vangelo termina con una piccola parabola sul rapporto tra padrone e servo, chiusa da tre parole spiazzanti: quando avete fatto tutto dite: siamo servi inutili. Capiamo bene, però: mai nel Vangelo è detto inutile il servizio, anzi è il nome nuovo della civiltà. Servi inutili non perché non servono a niente, ma, secondo la radice della parola, perché non cercano il proprio utile, non avanzano rivendicazioni o pretese. Loro gioia è servire la vita.

Servo è il nome che Gesù sceglie per sé; come lui sarò anch’io, perché questo è l’unico modo per creare una storia diversa, che umanizza, che libera, che pianta alberi di vita nel deserto e nel mare.
Inutili anche perché la forza che fa germogliare il seme non viene dalle mani del seminatore; l’energia che converte non sta nel predicatore, ma nella Parola. «Noi siamo i flauti, ma il soffio è tuo, Signore». (Rumi).

(Letture: Abacuc 1,2-3;2,2-4; Salmo 94; 2 Timoteo 1,6-8.13-14; Luca 17,5-10).
p: Ermes Ronchi

 

http://www.sancarloalcorso.it/scc/showPage.jsp?wi_number=35887&wmenuid=

http://www.avvenire.it/rubriche/Pagine/Il%20Vangelo/Servi%20%C2%ABinutili%C2%BB%20%20che%20cioe%20non%20cercano%20il%20proprio%20utile_20160929.aspx?rubrica=Il%20Vangelo

 

1 Giugno 2016

Messaggio della Madonna di Medjugorje

 

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I 10 SEGRETI DI MEDJUGORJE (di Padre Livio Fanzaga):

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VIDEO RELATIVI AI MESSAGGI DELLA MADONNA DI MEDJUGORJE

PLAYLIST RELATIVA A MEDJUGORJE (MESSAGGI E COMMENTI IN VIDEO)
https://www.youtube.com/playlist?list=PL_I8V9Z5YmOY_O1E9krjhlTo3O_k-L-6y

LE APPARIZIONI DELLA MADONNA A PORZUS – Nuova versione

6 luglio 2005

Il Catechismo della Chiesa Cattolica in mp3

IL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA IN AUDIO

5 Gennaio 2010

REPORT SUL 21° SECOLO

Attraverso un
fantascientifico viaggio nel tempo, l’autore del libro, Pier Angelo
Piai, desidera sensibilizzare il lettore a prendere coscienza del
nostro comune modo di pensare ed agire, noi del 21° secolo che ci
vantiamo di essere progrediti. In che cosa consiste, allora, la vera
evoluzione della specie umana?
Quando l’uomo potrà diventare davvero integrale?
Report
cerca di dare alcune risposte ai moltissimi interrogativi che emergono
in queste pagine scritte attraverso riflessioni e  considerazioni
sociologiche, antropologiche e filosofiche.

6 Luglio 2005

6 luglio 2005 Il Catechismo della Chiesa Cattolica in mp3

IL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA IN AUDIO
Catechesi e omelie di padre Lino Pedron