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SMARRIMENTO

Correva il tempo in cui la giovinezza, chiudendo il suo cancello alle mie spalle, non parve dover dare spazio ancora ai sospiri acerbi di quelle illusioni e mostrando ormai verso loro la sua indifferenza, dopo che fu trascurato l’attimo da vivere nell’intensità del suo calore.
Quell’attimo fuggevole or s’annegava nel rimpianto di quella stagione inebriante di promesse.
Il delirio prese allor possesso di quella primavera non vissuta; quasi sì che la morte, davanti a me, tentasse la sua mossa nei miei pensieri, lungo il sentiero oscuro del mio cammino.
Qualcuno, però, s’accinse a combatterla inviando un messaggero alla mia porta sulle ali di una pietà che egli provava per me in quel momento di grande sconforto.
Un sogno volò su questo sonno; ma che fosse tale, non lo saprei davvero dire.
Ecco apparirmi una giovane donna, ferma nel suo grave portamento. Era bellissima sì che a descriverla diventava una cosa ardua.
“ Non certo per me questa è venuta”, pensai “ Eppoi… Che mai avrei a che fare con lei?”
L’insignificanza della mia persona non mi permetteva l’ardimento di posare gli occhi su di lei.
A torto, però, del mio pensiero, mi fissò intensamente sicché crebbe forte, allora, quel turbamento; le gambe sembrarono non obbedire a nessun comando per fuggire altrove.
Non potendo fare altro, mi rifugiai facendomi piccolo in me stesso.
Ella però non demordeva dall’intento che io non conoscevo, sì che aumentò la confusione nella mente.
Questa confusione crebbe ancora più quando, nel rivolgermi la parola, mi chiese di sposarla.
“ Uno scherzo…”, pensai nel mio silenzio; ma in quello sguardo vi lessi la fermezza del suo intento e ne rimasi prigioniero.
Quegli occhi sembravano indagare su quei pensieri, quasi che nulla dovesse rimaner a lei nascosto.
Tosto, allora, una gelosia profonda venne a prendere posto come se l’anima nuda fosse stata scoperta e altre paure cominciarono a prendere posto.
Queste, mi guidarono per sentieri senza sbocco, dove la mia intimità ne rimaneva impigliata, quanto i rovi nel bosco.
Mi guardò ancora, indovinando quelle mie nuove paure: “ Le ferite del cuore sembrano non dar tregua in te “, disse “ La sensibilità che t’avvolge è troppo forte per dissolvere quel passato così travagliato di sentimenti “.
Tacque per un lungo momento; poi riprese: “ Or ti sei scelta, come compagna la solitudine lungo la tua strada, inondandola di malinconia quand’ella invece può avere disposizioni più nobili atte a creare dimensioni più alte nel tuo animo “.
Non risposi a quelle parole; ma poi non potei fare a meno di replicare a ciò che aveva detto: “ Sì, è vero, la solitudine m’è compagna di vita poiché mai potrà tradire ciò che in me alberga “.
“ Troppo veleno c’è in te, per trovare pace… Quale antidoto potrà mai vincerlo? Per questo, da te sono venuta e se di sposarmi or ora ti ho chiesto, né la paura o la gelosia abbia a prendere dimora in te, che ben altro si cela nella mia richiesta “.
Alla fine, tacque ancora; in quel lungo silenzio però lo smarrimento non m’abbandonava ancora:
“ Ma dunque, chi sei? “, chiesi con gran timore, quand’ecco mi ripresi.
Rispose: “ Io sono colei preposta a cantare in desiderio di chi vuole muovere e far ragionare il cuore e la mente per diversa via, per chi ha smarrito in sé la strada. Vengo in soccorso di colui che ha smarrito il suo stupore e, per tale, ricerco nell’uomo il re che mi sposi e re è proprio quel fanciullo che gran parte di voi ha mandato in esilio. La parola è lo strumento con cui io risveglio la grammatica dei sensi, illuminando ciò che l’uomo ha in sé, spento. Ora che sei a conoscenza del mio chiedere, t’invito, se vuoi, a toglierti quei calzari che rendono pesante il passo, cancellando l’orma leggera della mente; se poi ti è gradita la mia presenza, vorrei riprendere con te il cammino che tosto hai interrotto, non avvertendo alcuno vicino a te”.
Ancora confuso, rivolsi allora la memoria a quel cancello che il tempo aveva ormai chiuso alle spalle e subito una figura, nascosta, sbucò dall’ombra.
Era la persona, mutila di una gamba, che il fanciullo vide solo di schiena andare avanti in piena solitudine.
Mal s’accompagnava ancora a quelle stampelle, sì che ogni equilibrio era precario. Lo vidi in volto e un’amara meraviglia mi colse, quand’ecco m’avvidi chi fosse, e un pianto, da dentro, mi morse.
“ Sì, quell’uomo “, mi disse allora “ sei proprio tu”.
La meraviglia, che si frammischiava alle lacrime, era ancora tanta e le sue parole altro non erano se non un brusio: “ Mal t’accompagni nel tuo cammino, tanto che, ragione e cuore son impediti nel sostenerti “.
Duro, e alquanto lungo, fu quel momento di sorpresa, tanto che pur lei, che ignoravo, fece silenzio.
Poi che mi fui ripreso tosto, continuò con tono affabile: “ Lo so, l’immagine che tu vedi, il fanciullo l’ha serbata sin dalla notte che si bagnò d’altre lacrime. Furono, queste, più amare di quanto ancora il tuo cuore non creda; ma se tu da un simile fremito sei ancora scosso, sappi che il fanciullo in te non è morto, come tu credi, ed è mio desiderio, attraverso lui, condurti laddove ragione e cuore possano ricongiungersi in virtù di quella pace che tu brami; tal pace, però, sappi, non è senza lotta. Fa uscire, dunque, da te quel tormento che la impedisce, agitando la tua mente e impedendo al tuo spirito la luce. Tu, ancor poni il lamento della tua primavera, ma il tempo ne ha oscurato la scena ormai; ormai è lontana e dal passato nulla più torna. Dunque, nella tua solitudine ancor ti nutri di questo tuo tormento? Fai male, poiché questa è una prigione per chi la vuol sentire tale. Pur abbracciandola, a voler tuo, disprezzasti la fortuna che regalava; ma ricordati che non sei solo tu a dover viverla. Ricordati che ciascuno, in sé, vive la sua solitudine ricavando da lei pure quel sostegno dolce alla memoria “.
Le sue parole mi fecero arrossire.
Avrei voluto replicare:” Quale fortuna posso aver io ricavato da lei? “, ma tacqui.
Mal avevo speso i frutti della fortuna che la solitudine m’aveva offerto, guardando la fortuna altrui, all’altrui consenso dato.
Non dando peso a quei silenzio, dove i pensieri s’aggiravano e che pur intuiva, continuò: “ Non la solitudine o la fortuna ti sono state nemiche, ma tu nemico a te stesso sei stato. Già, perché, della fortuna l’uomo è sempre pronto a lamentarsi, e serva ad ogni suo capriccio la vuole. Lei però ti ha colto in altro modo e voglio dirti come in questo tuo cammino ti abbia sorriso; a guidare la tua mente, e non solo, si pose. Prima di te, ben altri ebbero a chiedere ragione di lei; a quali scogli, infatti, va ad urtare l’uomo, annaspando poi per causa propria quando questa se ne vola altrove? Stolto, e non altro, si dimostra non guardando quanto, sia corrotto dal vizio”.
Poi, volgendo lo sguardo nella stanza illuminata fiocamente, s’avvide come io avessi gravato la solitudine di un’immensa brama di conoscere: “ Che son questi? “, soggiunse poiché vide sul tavolo quell’ammucchiare di libri.
“ Come… Non vedi? Sono libri! “, replicai.
“ Sì, vedo che sono libri e il sapere è in funzione di ciò che ognuno chiede; ma tu che chiedi mai a te stesso? Ad ammucchiar libri sopra un tavolo, non dà pace all’animo poichè, in tal modo, ognuno insegue l’altro… Che vale a leggere tanto e male, se poi quello che hai letto s’addormenta nella mente? Ogni sapere sfugge ad ogni umana conclusione ed è gia vecchio tutto quello che oggi l’uomo scopre; oggi altro non fa, se non metter mano a quello che allora fu scoperto e mai saldi sono i suoi sentieri che, ai tanti sforzi della mente, non concede tregua e di quest’accumulo di sapere alla morte, quando giunge, assai poco importa”.
In questo fiume di parole, io fui preso come colui che cerca aiuto al suo annaspare convulso, trovando forse una illusoria salvezza alla sua disperazione.
“ Io t’ invito, se tu vuoi, a fuggire quest’errore; fuggi, dunque, che a ben altre disposizioni, desidero condurne il tuo animo, in piena libertà e leggerezza di pensiero… Esci da questo imbroglio! Fuggi pur da un simile formicaio qual è la città con il suo lucro ”.
“ Come, e dove fuggire? ”, azzardai dirle; ma lei non rispose ed io, per sfuggire all’imbarazzo del suo sguardo mi volsi verso la finestra.
Lì, sui sentieri della notte, i pensieri andavano a posare la loro orma, inseguendo con incredibile leggerezza dell’animo, lo sfavillio delle costellazioni.
“ Ascolta la notte “, m’esortò la donna “ Veglia e ascolta la sua voce, perché la notte è ben più viva di quello che tu credi! Ancor ti esorto… Fuggi da ciò che impedisce la tua serenità “, detto questo, non la udii più… Se n’era volata via? Tutto, dunque, era stata una lunga suggestione?
Mi sorprese un tuffo al cuore e sentii l’animo come da tempo non lo sentivo, e le sue parole nella mente s’aggirarono, quasi a fugare lo smarrimento.
Contemplai, fra quelle stelle, l’immenso mistero che mi sovrastava e, scoprendomi mistero a me stesso, mi lasciai sommergere da quello scorrere di fibrillazioni di istanti.
Un tutto e un nulla; fu questo il brivido che d’improvviso m’avvolse e il cielo stesso mi rapiva attraverso le sue ramificazioni, dove nel soffio di quel vento siderale, ogni stella, con la propria brillantezza, pareva raccontare la sua storia, la storia di una creazione che palpitava, che respirava, che viveva.
Oh, qual pianto segreto dell’anima m’ afferrò allora!
Era un pianto che giù giù scendeva a sommergere con le sue lacrime ogni punto arido in cui si rifugiava ogni sentimento incredulo; e come avrei potuto abbandonarmi all’indifferenza verso quello spettacolo?
Ed ecco scoprirmi come un viandante che era fuoriuscito dal nulla; un viandante che un giorno si era trovato in cammino.
Quanto avevo camminato? Quando e quanto i miei passi divennero pesanti? Quante volte questa stanchezza fu fasciata dalla luce del tramonto? Cosa potevo essere io stesso se non un punto tra infiniti punti attraversato da quel brivido?
Osservavo la notte vestita d’innocenza, mentre l’onda dei miei pensieri si riversava sul ricordo appena lasciato alle spalle di quell’ultimo tramonto; ma ecco che un pensiero attraversò fulmineo quell’incanto, quasi sorpreso: “ E’ davvero innocente la notte? “, mi chiedevo “ Certo, il sonno, che lei riversa, sembra renderla tale “, mi risposi poi, “ Esso toglie le armi e seduce ogni essere, regalando ad ognuno il suo mondo per mezzo del sogno; eppure la sovranità del silenzio fa della notte la regina delle inquietudini, a chi non vuol cedere a lei le sue armi. In lei si radunano le disposizioni che ogni animo può sentire e un brivido sembra percorrerla a squarciare quell’innocenza; nel sonno, ecco la vita e la morte vivere l’inganno nella loro sospensione. L’inganno, proprio qui, sembra vigilare attraverso l’innocenza del sonno; e nel sogno, ecco manifestarsi la malattia “.
In quell’irreale silenzio osservavo i palazzi attorno, immersi nella semioscurità delle luci artificiali che sembravano gettare su di essi una sensazione di sicurezza, forse illusoria ma pur sempre necessaria.
Lì, le finestre chiuse parevano comunicarsi, l’una all’altra, le sensazioni che custodivano; lì, in un sussurro, parevano rendere le cose senza veli, mentre ancora un brivido attraversò ancora i miei pensieri: “ Sì… “ mi dicevo “ Siamo qui, stretti come in un alveare; un brulichio di storie segrete che ronzano attorno ad un comune luogo, dove familiarità ed estraneità si fondono. Interrogativi, angosce, dolori, gioie, tutto lì, in quella sospensione…”.
Mi strinsi in me con quel mio pensiero, forse per il timore che mi stava assalendo. Oh, quanto piccolo mi sentii, allora, avvolto da quel mistero! Sentivo, in questo, il pungolo dell’esistenza; sì, la vita e la sua spina vennero a prendere coscienza in me di quel travaglio.
Fui sommerso pian piano dalla sonnolenza sì che mi ridistesi sul letto.
Quando mi risvegliai, quella donna ancora continuava a persistere fra i miei pensieri come se fosse frutto di una realtà
Quelle parole stesse, sembravano calate in una realtà; vivevano una realtà.
Ero talmente imbrigliato in quella ragnatela che non sapevo darmene ragione: “ Fuggi… “, mi aveva consigliato.
Ed ecco che quella parola ancora rintronava nella mente; ma da chi, da cosa sarei dovuto fuggire?
“ Se ti è gradita la mia presenza… “, aveva poi soggiunto; però, ormai la sua presenza si era dissolta e non potevo più udirne la voce.
Mi guardai attorno nella camera, mentre alla finestra s’affacciava la luce dell’alba.
Il velo della notte pian piano si stava alzando lasciando scendere, come rugiada, quelle parole fra i solchi dell’anima.
Da lì a poco sarebbe seguita l’irrompere dell’aurora.
Se quelle parole furono simili alla rugiada, lo scoprii gettando lo sguardo sulla scrivania, quando mi alzai.
“ Che sono questi? “, aveva chiesto vedendo quell’ammucchiar di libri.
Solo in quel momento mi resi conto della mia follia che mi aveva sostenuto nella pretestuosa vanità di immergermi nello scibile della conoscenza… La mia mente abbracciava tutto, per non stringere nulla.
Ma ecco che: “ … Io ti invito a fuggire questo errore “, aveva detto e m’accorsi quanto lei mi stava rimproverando attraverso il fanciullo.
Sì, al fanciullo ella aveva delegato il suo compito.

 

IN VIAGGIO CON L’IO

 

L’IO DAVANTI ALLO SPECCHIO

Per sua natura, l’uomo è portato a comunicare con gli altri; è un’esigenza dettata dalla necessità di rapportarsi con l’altro attraverso un dialogo dove porre, in un confronto, ciò che esistenzialmente lo coinvolge.
Egli, quindi, si trova a dover esternare quelle situazioni limite che, non riuscendo ad inglobare nella sua sfera, lo travolgono, trovandosi così a muoversi in quello che è il labirinto della sua esistenza.
Con un tale atteggiamento, egli viene così a confessare una sua realtà in cui si trova a dibattersi.
Confessare all’altro diventa allora un atto necessario per approdare a un tentativo di chiarificazione capace di orientare la sua ricerca.
Nel confessare all’altro si tende, in tal modo, ad un atto di fiducia nell’altro; a cercare nell’altro una corrispondenza di situazioni in cui entrare in una forma di comunicazione.
Quindi, nel confessare ad un altro si tende, in tal modo, ognuno esterna qualcosa di sé attraverso quel rapporto che instaura con l’altro.
Simili confessioni soffrono, però, una loro ambiguità, in quanto, pur conoscendolo, l’interlocutore che sta davanti a noi è uno sconosciuto.
Perciò, in questo confessarsi, ognuno esterna qualcosa in conformità a quel rapporto che via via si è instaurato; questa, però, può essere interrotta in un qualsiasi momento.
Ciò che l’altro viene così a sapere è in base a ciò che a lui si voleva confidare.
Per tanto, pur comunicando con il mondo più prossimo di ciascuno, paradossalmente si comunica, come detto, con un conosciuto – sconosciuto, dove vi potrà entrare l’empatia verso l’altro ma non necessariamente la simpatia in quanto, quest’ultima, viene a sposarsi in modo istintivo per attrazione di sentimenti.
La confessione, a questo punto,, potrà essere ascetica, ovvero priva di pathos; in tal modo, chi si confessa non intende andare oltre quel limite prefissato e la sua diventa una semplice esternazione di cui se ne perderà le tracce attraverso l’indifferenza propria e altrui.
A questo punto, se confessare agli altri diventa qualcosa di aleatorio, confessare a se stessi cosa può produrre?
Si può mentire agli altri, ma non a se stessi.
Ognuno, in questo caso, è nudo a se stesso… Brancola nel buio che è in lui.
Di fronte a se stesso “ l’io “ si irrigidisce… il suo specchio è la coscienza e, per tale, confessarsi ad un simile specchio comporta uno spogliamento totale per ciò che sono quelle sovrastrutture che riguardano il proprio essere.
Cosa può ognuno pensare di sé… Cosa è, cosa non è?
Già! Prima o dopo, ognuno si trova a dover farsi queste domande nel tentativo di chiarirsi fra limiti e condizionamenti..
In natura, è l’unico ad essere consapevole di questo suo stato precario.
Si può dire che egli si scopre un granellino cosmico in seno all’universo… Un granellino che ha proprio quella coscienza che lo espone ad esplorare il suo abisso.
Come il mare cela fra i suoi abissi ciò che è di più nascosto e di inconoscibile, così l’uomo.
Egli è un inconoscibile a se stesso che si può equiparare a quel mondo ignoto che si protrae al di là di quello che, una volta, la mitologia definiva come colonne d’Ercole.
Queste colonne, che si ergono in ciascuno, si chiamano dubbi.
Da queste colonne, ognuno si protrae nel tentativo di gettare il suo sguardo al di là di quell’orizzonte che cela mondi ancor non identificabili.
L’uomo, dunque, è un immenso abisso con cui il suo “ io “ viene rapportandosi nel suo breve transitare.
Egli tenta di indagare, di conoscere, di esorcizzare l’ignoto e di trovare, come non mai in questa epoca, risposte alle sue ansie, alle sue paure.
Nessuna conoscenza potrà, però, scardinare queste paure; queste potranno essere fasciate da una fede o da una speranza in una sua risoluzione.
Ma ecco disegnarsi la difficoltà di trovare un approdo a quel mondo nascosto in sé; nessuno, pur osservandosi, non sarà mai in grado di eliminare le storture che si sono attecchite in lui in un aggregato di sfere che orbitano a definire una sua individualità.
Quali sono queste sfere… in che modo agiscono?
Bisogna dire indubbiamente che ognuno è avvolto da una serie di influssi che immancabilmente vanno a marcare questa sua personalità.
Innanzi tutto l’influsso della natura o cosmo che di si voglia.
Nel suo osservarsi biologicamente, ognuno par doversi chiedere se la sua anima non sia legata a quella del cosmo, ai suoi umori… a considerare che anche il cosmo abbia una sua anima.
Non è forse ogni uomo un aggregato di materia, di atomi che leggi ed energia cosmica regolano nella loro dinamica?
Poi ecco l’influsso dell’ambiente ( la natura ), l’influsso genetico… e ancora, l’influsso sociale, culturale
In relazioni a questi influssi si può dire che ogni personalità vive uno stato di tensione tra il suo essere al mondo e il suo essere nel mondo.
Mondo psicologico, mondo intellettivo e mondo spirituale, sono sfere a cui “ l’io “ approda cercando una concordanza nel suo apprendere.
A questo punto, in rapporto a questi mondi, bisogna effettivamente dire che non è facile orientarsi dovendo, ciascuno, muoversi in un mare di insidie.
Quale valore potrà mai tenere saldo, allora, nel suo modo di rapportarsi?
Bisogna dire che il rapporto tra persona e persona e tra persona e mondo è commisurato alla situazione con cui, soggettivamente, ciascuno instaura in base a quell’empatia dialogica.
Pian piano ecco allora formarsi quell’abito mentale che lo porterà a muoversi e ad agire per sé con quei mondi.
Ma nonostante questo, ecco che quell’abito mentale viene permeato da quell’ambiente che fa sì di introiettare un pensiero dominante nell’ambito di una cultura chiusa e, per tale, a impedire una visione aperta capace di armonizzare le varie tendenze soggettive.
No, non è facile armonizzarsi con quell’ambiente che è venuto ad impregnare con situazioni complesse ciò che viene a delineare una persona; un mondo dove, psicologicamente, l’individuo si ritrova prigioniero di un sistema dominante: “ Di fra le sbarre della sua individualità l’uomo contempla disperato le mura massicce delle circostanze esteriori… ( Buddenbrook )
Di questa persona, il mondo ne valuta ciò che esteriormente manifesta ma, in realtà, cosa vede di questa… cosa ne valuta?
Un giudizio sulla persona, quindi, sarà sempre fuorviante in quanto gli influssi che questa subisce, spesso vengono ad alterare la visione della persona stessa.
In che modo mai potrà allora difendersi da quell’assalto? Già; lo hanno indottrinato con pensieri non suoi.
Così egli si dibatterà nel tentativo di districarci da quell’abbraccio soffocante che gli impedisce di respirare la sua realtà e di trovare un suo modo specifico in grado di rispondere per sé.
Se, effettivamente, ognuno si trovasse ad essere prigioniero in tal senso, ecco che i rapporti sociali tenderebbero a manifestare la loro ambiguità attraverso un rapporto inautentico in cui il fare e il pensare sembrano nuotare in senso contrario.
La necessità oggettiva fa sì di escludere la necessità soggettiva.
Quest’ultima, si trova così limitata nell’esprimere la sua realtà, tanto da far scivolare la coscienza nell’abisso più profondo.
Fasciato dal suo ambiente sociale e culturale, l’individuo ignora il più… ignora il mondo.
Ora, il mondo è un variegato sistema di culture che si scontrano, volendo ciascuna affermare la propria preminenza, più che cercare la sintesi; ciò che vero per l’una, non lo è per l’altra.
Questa mancanza di sintesi è ancorata ad una radicalità di parte, l’individuo si addormenta su se stesso, ovvero sembra subire una sterilizzazione in cui “ l’io “ non è in grado di operare.
Dunque, l’irrigidimento crea una stratificazione e, a causa di questo, “ l’io “ subisce l’ambiente che gli impedisce una sua orientazione.
Mondo psicologico,, mondo intellettivo e mondo spirituale, sono mondi dove la conciliazione tra loro è alquanto problematica.
Nella necessità di rapportarmi allora a questi mondi ( o sfere ), io non posso altro che parlare, esistenzialmente, per me, confessare a me stesso la mia realtà.
Alla luce di queste considerazioni, ecco chiedermi: “ chi sono? ”.
Dietro a questa domanda la confessione par doversi dilatare in una sua deflagrazione spargendo intorno le scaglie che la domanda stessa vien provocando: “ In che modo mi pongo davanti a me stesso… mi riconosco veramente come mi vedo, come sono? “.
Da questa deflagrazione posso solo dire che “ io credo di conoscermi “, e in questo mio credere di conoscermi, forse si cela un ambiguo modo di conciliare il mio essere.
In realtà, io mi conosco meno di quello che credo e il mio pensiero pare qui arenarsi su quegli scogli che si celano dentro la mia personalità.
Mi chiedo se la mia personalità sia dipendente solo da un modo di essere o anche da quella serie di influssi che ne marchia l’essere.
Già… Mi vien fatto di chiedermi cosa appartenga a me e cosa, invece, è frutto d’altro: esteriorità e interiorità sono due mondi sovrapposti o uno è complementare dell’altro?
In questo suo specchiarsi, “ l’io “ non può fare altro che confessare la sua storia.
Gettando lo sguardo sul passato ( alla luce del presente ) penso: “ Se su questo mio cammino non ci fossero state determinate situazioni ad incidere sull’evoluzioni della mia esistenza, sarebbe stata diversa la mia storia?”.
Indubbiamente si! Il mio modo di sentire il totalmente altro, il mio modo di essere e di credere avrebbero orientato diversamente questo cammino.
Ma io sono legato solo a questa mia realtà, poiché ogni ipotesi diversa appare come una sequenza di quei “ se “ assomigliante a quella scia spumosa che un’imbarcazione lascia dietro di sé, sino a che questa si dissolve ne nulla.
Ecco allora scorrere qui, mentalmente, le immagini della mia storia, vederle srotolare in una sequenza piena di situazioni in cui mi sono trovato a pormi una miriade di conclusioni acefale.
Spesso, guardando il mondo attorno a sé e il posto occupato, sorge molto facilmente uno stato di insoddisfazione verso se stessi, trovandosi prigionieri della propria realtà.
Prima di tutto prigioniero di un mondo psicologico che si è imbevuto e impregnato di situazioni complesse che via via sono venute a formare una personalità.
Ed ecco che, esaminando fin qui psicologicamente la mia vita, il tutto parmi essere un risultato caotico di questa mia esistenza, in cosa ho mai creduto, in che maniera il mio essere ha saputo mettersi in sintonia relazionale con il totalmente altro?
Mi rendo conto di essere immerso in una complessità dove più che trovare le risposte, mi rifugio in un indefinito atteggiamento in cui l’ambiguità sembra prendere dmora.
Mi chiedo di cosa mai sia venuto ad acquisire, oggi, in questa ricerca di me stesso… ma poi, stavo ricercando cosa? Quale motivo mi ha portato a credere una cosa piuttosto che un’altra? Quale garanzia mi potrà derivare dall’una o dall’altra?
E poi… io e l’altro! Dunque, il mio “ io “ e “ l’altro “; cercavo me stesso in relazione all’altro.
Ma in un mondo di maschere ( come io ho avuto modo di scrivere altrove ), i rapporti sono solo formali; della persona se ne valuta ciò che essa può produrre, ma non ciò quella che è.
Cosa può produrre, però, ciascuno?
Ciascuno può produrre ciò che è opera del suo essere e, per giunta, nell’ambiente in cui si opera e si agisce tutto sembra subire una sterilizzazione; un atto di spersonalizzazione dove viene a porsi un doppio atteggiamento, di cui l’uno è l’ombra dell’altro.
In tal modo, veramente ognuno è solo con se stesso; ognuno abita il suo mondo di silenzio dove i suoi pensieri spesso si trasformano in oscure trame psicologiche segnate da ferite indelebili.
Come passeggeri su un treno assiepato, sembra che ciascuno prosegua la sua corsa nel segno di una mèta solitaria di cui e solo e vagamente a conoscenza.
Vien fatto di dire, allora, che l’esistenza si poggia su una scommessa a cui non ci si può sottrare.
Sentiamo lo sferragliare del treno e ne misuriamo le tappe, chiusi in quel silenzio esistenziale.
Lasciando, qui, spazio all’immaginazione, ecco trovarmi allora seduto in uno di quegli scompartimenti assieme ad altre persone.
Il mio sguardo corre sui loro volti; volti impenetrabili dietro a cui ciascuno sembra celarsi con la sua storia.

IN VIAGGIO CON L’IO

Dunque, il treno avanza; getto uno sguardo dal finestrino verso un panorama in fuga, una successione di immagini che però si presentano ristrette a causa della limitazione propria del finestrino.
Me ne sto seduto, assorto nei miei pensieri mentre le immagini continuano a sfilare; a distanza qualche campanile, con la sua chiesa, svetta qua e là su piccoli centri abitati, mentre più adiacente alla ferrovia, estensioni di campi rivelano un paesaggio monotono.
E’ una rappresentazione, questa, che altre persone, in mia compagnia dentro lo scompartimento, percepiscono anche loro.
Ma vedono, loro, quello che vedo io?
E’ una illusione che io mi fabbrico, con questo pensiero; pur guardando, ognuno coglie a modo suo quella realtà.
Il silenzio pare domini la scena; giro lo sguardo nello scompartimento, ed ecco che, per ingannare quell’inattività forzata, ognuno si distrae a proprio modo: uno sta leggendo il giornale, un altro sonnecchia, un altro ancora sta masticando una qualche caramella, mentre l’unico rumore che si sente è lo sferragliare del treno sui binari.
Nessuno sembra abbia voglia di chiacchierare e poi, come si fa a parlare fra sconosciuti?
L’estraneità crea diffidenza e per tanto la comunicazione diventa un azzardo nel tentativo di scoprire l’altro.
Ma ognuno è in compagnia dei i suoi pensieri; con un simile atteggiamento, ogni persona erge fra sé e gli altri una forma di barriera, nuotando in un suo mare in cui regolare la consistenza di ogni influsso.
La comunicazione, in tal modo, sembra dover soffrire quella chiusura al dialogo; una maschera si frappone tra loro, e questa è il silenzio.
Eppure, essendo l’uomo portato a comunicare, la voglia di chiacchierare sarebbe grande… ma che dire?
Fra estranei, è di regola l’approccio ad una conversazione frivola che meno impegna gli interlocutori e, in più dei casi, quale argomento più frivolo se non il commento del tempo, sui suoi fenomeni atmosferici?
Una conversazione frivola che non impegna più di tanto gli interlocutori, ma che alla lunga, permetterebbe di allargare quel principio di dialogo.
Ecco però che, poco dopo, quell’interlocutore deve scendere alla fermata successiva: la conversazione è finita ancora prima di cominciare… un saluto di cortesia, poi quel volto sarà riassorbito dall’oscurità.
Il dialogo è sfumato, per fortuna dell’uno o il rammarico dell’altro dei probabili interlocutori; i loro pensieri possono continuare a muoversi nel loro mare.

 

NELL’OCEANO SILENZIOSO DELL’IO

In alternanza di tempo, ai primi due compagni di viaggio, anche il terzo è sceso, dopo un affrettato saluto di cortesia…Sono rimasto solo nello scompartimento, immerso nei miei pensieri.
“ Buon giorno… “, aveva detto; un buongiorno che, come per gli altri due passeggeri, denotava una semplice formalità in quel civile rapporto di regole che ci costruiamo nella quotidianità… ma quanto lontana era la distanza di quel saluto?
L’estraneità allarga le distanze circondandole di diffidenza o indifferenza.
Ed ecco ritrovarmi in uno scenario un po’ surreale per quello che mi riguarda.
Surreale è stato l’atteggiamento per cui si è creata l’opposizione fra me e quei viaggiatori, ognuno permeato da quel silenzio.
Ogni “ io “, in questo, può paragonarsi ad un relitto che viene sballottato dalle onde tumultuose di un immenso Oceano, e seppur si muova e agisca in quel mondo in superficie, c’è una forza di gravità che tende trascinare “ l’io “ fra i suoi fondali.
Dal tumulto della superficie al silenzio dei fondali , ecco che “ l’io “ si trova a combattere le insidie che lì si annidano.
Questo Oceano che lo inquieta è il suo mondo psicologico, e per tanto l’uomo si trova ad essere un abisso nell’abisso; sì, un immenso abisso dove il suo “ io “disperatamente tenta di indagare, di conoscere, di esorcizzare l’ignoto che è in lui.
Egli arranca fra le miriadi di domande, di supposizioni e sensazioni emotive dove far convogliare la visione di una realtà in grado di chiarirlo a se stesso.
Potrà mai raggiungere un tale obiettivo?
E’ una scommessa persa in partenza, ogni incognita ne trascina un’altra; pertanto, un lavoro che rimane indefinito… soprattutto quando si tratta di indagare su se stessi.
E’ difficile confessarsi per quello che si è poiché, psicologicamente, la propria nudità interiore fa paura; ma fa paura soprattutto quel mondo che attenta a questa sfera personale… pertanto ecco la rigidità degli atteggiamenti.
Ci si discosta, quasi ad avvertire, da esso, un pericolo che viene ad invadere la sua casa interiore.
Dunque, pensando a coloro che erano i miei compagni di viaggio, sono cosciente di un fatto e che cioè, io non posso dirmi dissimile da loro stessi; anch’io mi sono lasciato fasciare dal silenzio, dalla diffidenza che viene a suscitare sentimenti guardinghi.
Ognuno, però, non può rinunciare a conoscere quel mondo in cui si trova, pur lui, a girare; senza il mondo esterno, egli stesso, infatti, non riuscirebbe a riconoscere se stesso in relazione con l’altro che è, in definitiva, l’interlocutore che da spazio al confronto.
Mentre sono immerso in queste considerazioni, il viaggio prosegue.

IL MALESSERE DELL’IO

Con il suo monotono sferragliare, il treno prosegue la sua corsa.
Lungo il percorso, lo sguardo sembra irretirsi di fronte a quell’assalto di cespugli che sfilano davanti al finestrino che, lungo la tratta, viene a nascondere la placidità del paesaggio.
l’irretirsi dello sguardo è dato dal fatto che non è in grado di focalizzare l’immagine, di mettere a fuoco, cioè, quello che è stato appena percepito; quasi un precipitarsi dell’immagine senza preavviso.
Mi vien fatto di pensare che “ l’io “ si irretisca ogni qual volta non riesca a cogliere quell’immagine allorché, presentandosi simile a un lampo, viene impedita la fonte da cui è scaturita: Cosa ho mai percepito dal mondo? Ora “ l’io “, invaso dal mondo, si trova in un certo qual modo spaesato in quanto la sua percezione viene a scontrarsi violentemente con quella realtà.
Ciò può mettere in dubbio quella realtà percepita, come se questa fosse un accidente delle sue percezioni in un rapporto estraneo e passivo… come lo era stato lo sguardo di fronte all’incalzare di quei cespugli.
In realtà quei cespugli non si sono mai mossi dal loro posto.
Allora cosa ha mai colpito il mio sguardo?
Certamente un’accelerazione di un movimento non imputabile alla volontà propria, che impedisce di stabilizzarsi in un suo spazio armonico.
Quindi è la coscienza che attiva “ l’io “, creando in tal modo la relazione necessaria alla sua realtà.
La coscienza è l’attività di un giudizio che, positivamente o negativamente, pone “ l’io “ nella situazione di dover sottostare di fronte a qualcosa che lo immette in quel circolo per cui egli è.
Egli si pone, pertanto, a stabilire una relazione in cui, giudicando, si trova ad essere giudicato; pertanto, giudichiamo perché a nostra volta ci sentiamo giudicati e questo è ciò che psicologicamente ci imbarazza.
Perciò, l’irretirsi “ dell’io “ è l’imbarazzo a cui va incontro nel giudizio; pertanto il mondo è una minaccia.
Quanto allora sono sinceri i rapporti con l’altro?
Questa domanda confessa una sua paralisi quand’ecco il rapporto sociale pretende di annullare “ l’io “ in virtù di qualcosa che è solo fittizia.
In questo rapporto fittizio, la spontaneità sembra ritirarsi in se stessa per la paura delle incomprensioni, che potrebbero nascere da equivoci fuorvianti, di quella realtà intima che chiede di essere ascoltata.
Ogni realtà è occulta a se stessa e porta al rifiuto di una vera comunicazione, poiché l’identità “ dell’io “ è data dal suo linguaggio.
Ogni comunicazione con l’altro è diversa… diversa la dinamica.
Il malessere “ dell’io “ è dato, quindi, dall’impossibilità di giustificare una realtà che è solo propria, dall’incomprensione di una identità che, alla fine viene a celarsi nei pensieri più reconditi.

 

IDENTITA’ E RELAZIONE DELL’IO

Forse non se n’accorgiamo, ma in ciascuno “ l’io “ tende a mascherarsi, mettendo fra sé e l’altro una distanza, ed ecco che questa distanza si formalizza attraverso il linguaggio.
Il linguaggio è la spia di quell’identità che viene ad esprimersi attraverso forme di individuazioni da valutare secondo lo scopo di quelli che si possono definire rapporti sociali.
Attraverso questi rapporti, “ l’io “ è portato a manifestarsi in una certa circospezione quando non trova corrispondenza relazionale.
Parentele, conoscenze, amicizie; per ognuno di questi rapporti, il linguaggio si conforma a ciò che “ l’io “ va incontro.
Ogni incontro è diverso e, per sostenere la relazione, il linguaggio assume un carattere specifico secondo il grado raggiunto “ dall’io “ nel modo di comunicare i suoi pensieri.
Quindi, sono diversi i linguaggi che corrono tra persona e persona; chiudendosi però in un loro occulto, fanno sì di creare una forma ermetica di fronte all’ingerenza di ciò che non può definire la sua struttura.
Ora, a cosa è legata la struttura “ dell’io “?
Non si può oggettivare “ l’io “, ma si può oggettivare il corpo, quindi, solo immerso in un corpo,
“ l’io “ ha una sua ragione d’essere, però come soggetto; solo come soggetto ” l’io “ può dirsi “ io ”.
Il corpo è l’espressione esterna “ dell’io “ ed è in base a questo, che “ l’io “ va incontro a quella formazione dialettica che porta al giudizio; “ l’io “ è giudicato nella sua esteriorità.
Nell’esteriorità, però, vi si nasconde l’equivoco del giudizio; già, poiché identità ed esteriorità , il giudizio li riassume in un unico aspetto.
Ma “ l’io “ cela in sé l’aspetto occulto del pensiero che, se non espresso, può indefinitamente navigare nel suo mare, senza che nessuno lo possa inglobare attraverso il giudizio.
Quindi la relazione con l’altro è solo parziale… Con il suo pensiero “ l’io “ si nasconde al mondo attraverso il silenzio.
Il pensiero, per ciò, non sarà mai oggetto di verifica, trovandosi “ l’io “ in una situazione che, di per sé può sfuggire a qualsiasi indagine.
Può sfuggire all’altro, ma non a se stesso in quanto coscienza.
Per tale, come coscienza, non può mentire a se stesso senza subire una sua alterazione.
Come questa avvenga, c’è lo rivela l’esempio della bugia che spesso viene detta ( innocente o voluta che sia ); nella bugia “ l’io “ non è più “ io “ cioè si distacca da sé, non è più la trasparenza e la spontaneità vien meno.
Il tentativo che si tenta di fare, è sviare da sé l’immagine negativa di un giudizio che, fino a quel momento, ci era stato favorevole.
Ecco, la porta dello scompartimento si apre; entra una donna di mezza età che, salutando con un sorriso di circostanza, si accomoda di fronte a me.
Rispondo al sorriso, ma senza rivolgerle la parola; riaffiora in me la diffidenza verso gli estranei.
Forse rimpiango nel non essere più solo; la figura femminile mi ha sempre coperto d’imbarazzo.
Torno a guardare fuori dal finestrino quell’assalto di cespugli, poi socchiudo gli occhi.
Con gli occhi socchiusi continuo a far scorrere i miei pensieri sulla realtà di come i rapporti con l’altro celino proprio un loro contrasto.

 

LA GELOSIA DELL’IO

C’è un aspetto che fa sì che “ l’io “ si nasconda ancor più nella sua oscurità allorché, ingabbiato in un corpo, si sente oggettivato da se stesso… si guarda, si osserva in un contesto di gelosa intimità.
E’ un atteggiamento che diventa il tentativo di occultare una realtà che, per molti versi, creerebbe una situazione insostenibile… Ognuno è geloso di se stesso.
Questa considerazione la ricavai da un sogno che io ebbi a fare; era la richiesta di sposarsi da parte di una donna da cui, alla fine, fece emergere il sentimento della gelosia.
Quando mi ritrovai a rielaborarlo, mi chiesi: “ Ero geloso di lei o di me? “.
Ecco che una simile domanda si portava appresso altre domande, ovvero mi chiedevo cosa fosse
“ l’io “ in relazione a se stesso e cosa fosse “ l’io “ in relazione all’altro.
Quello che mi dicevo era che la gelosia veniva ad esprimersi attraverso quel che “ l’io “ si vede e si sente in una situazione di verità e negatività.
E’ un gioco ambiguo; un rapporto di specchi dove, ad ogni ingerenza esterna, la gelosia fa da baluardo.
La gelosia di sé fa sì che nessuno venga ad intromettersi o ad investigare su cui che s’aggira nella propria profondità; lì, la porta è sbarrata.
E’ sbarrata perché “ l’io stesso” non riesce ad accettare la realtà di sé, dovendosi chiedere se come si vede è veramente quella realtà.
“ L’io “ vede sempre in sé una difformità.
La difformità è riscontrabile in un suo oggettivarsi.
Ciò che il sogno occultava era la fisicità, ma non “ l’io “.
Ma “ l’io “ era consapevole di quella fisicità e per tale, seppur sospesa nel sogno, “ l’io “ tendeva a nasconderla.
Sì, dobbiamo ammetterlo che per ciascuno, davanti a quello specchio, nasce quella specie di pudore con cui avvolgere la nudità.
Ognuno è nudo a se stesso; in tal modo, il tentativo di fasciare con la propria ragione una realtà scomoda della personalità, porta l’individuo ad inabissarsi nell’oscurità del suo bozzolo.
Con un simile atteggiamento si vuol impedire così l’apertura di un foro che lasci entrare la luce, abbarbicandosi a quello stato psicologico in cui altro non si vuol fare se non impossessarsi di sé. Si diventa gelosi di quell’aspetto negativo che si vuol proteggere e che se è scoperto, viene a distruggere le apparenze che sono state faticosamente create per non lasciarsi travolgere.
“ L’io” diventa, così, geloso di sé chiudendosi nella sua sfera, opponendosi all’altro; rivendica quello spazio per cui viene a sbarrare l’accesso ad ogni possibilità, nascondendosi in ciò che di più segreto che vi è nella sua personalità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dagli aforismi esistenziali di Maurizio Basso

 

È nell’esperienza dell’aver ricevuto che noi possiamo a nostra volta donare. Ma se uno non ha ricevuto amore, che può dare?

La maturità vera sta in quell’amore che nulla chiede in cambio.

Nessuno fa niente per niente e nessuno è tanto generoso senza aspettarsi un minimo di tornaconto. Non c’è nessuno che dopo aver dato non venga a bussare alla tua porta seppure chiedendo solo un favore che non sia già un vantaggio.

Quando si dona agli altri, non si fa altro che restituire quello che non ci appartiene.

L’amore umano è condizionato dalle circostanze che a malapena riesce ad illuminare la metà dell’essere, lasciando l’altra metà nell’ombra.

L’amore umano sfugge spesso i suoi obblighi, spegnendosi.

Nessun amore umano si può considerare eterno, nonostante che lo si prometta.

Tutto si può imparare dagli altri, ma non l’amore. L’amore nasce nel seno della famiglia; è un fiore che sboccia nella misura in cui l’amore si slancia verso l’altro, dimenticandosi.

L’amore non lo si teorizza, lo si vive; la ragione lo vuol condurre sui suoi sentieri quasi a voler farne un’anatomia, ma l’amore non ha parti e sezionandolo, lo si uccide.

Il vero amore: amando, io cerco di fondermi nell’altro senza alterarlo.

Nulla soddisfa l’inganno dell’amor proprio; in ogni sua parte, non è mai pago delle apparenze.

Compito dell’esistenza è vivere per amare… generare amore.

Io cerco di essere giusto, ma non so se in questa mia giustizia vi sia amore.
Io cerco di essere buono, ma io non so se in questa mia bontà vi sia amore.
Dalla giustizia, alla fine, si vuole il proprio interesse; dalla bontà il proprio tornaconto.

Solo nell’uomo – amore (Gesù) può esserci la rivelazione del Dio – amore.

La morte di Cristo ha due facce: da una parte rivela la violenza del peccato dall’altra parte rivela la potenza dell’amore .

 

Se volete essere aggiornati sui nuovi video che realizzo (quasi 5000) iscrivetevi al mio canale youtube “UNIVERSO INTERIORE piaipier”: http://www.youtube.com/user/piaipier

Chi desidera può diventare membro della confraternita “COMUNIONE DEI SANTI” (può così ricevere e dare solidarietà nella preghiera tra i membri).

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a cura di https://www.mondocrea.it

 

 

 

Testo elaboorato dallo scrittore Maurizio Basso (Quaderno intimo)

“Quanto dura la vita di un fiore? Quanto dura la vita di una farfalla? Una frazione di tempo e in questa frazione, profumo e leggerezza si assommano alla bellezza che loro riservano alla vista di chi sa contemplare meraviglie e misteri dell’esistenza.”

Sete d’infinito – Guardo la sera vestire le cose di un unico colore. Guardo il cielo stellato e il pensiero d’infiniti mondi mi lascia senza parole; stupore e meraviglia prendono possesso di me, di un animo che non sa se non contemplare fra quelle lacrime segrete che si nascondono nel fondo di esso.

Nella vita non si deve stupire gli altri per quelle che sono le proprie potenzialità, ma ci si deve stupire di se stessi, nell’umiltà, per quelle potenzialità che ci sono date; diverso è, infatti, il cammino e diverso il risultato.

Scriveva p.Albino Candido: “La creazione vive la sinfonia della diversità.”

 

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Vi propongo una serie di aforismi esistenziali scritti da un mio caro amico scrittore, Maurizio Basso di Udine.
Sono piccole perle di vita vissuta che, se meditate a fondo, potrebbero anche cambiare la nostra stessa esistenza, la quale è affascinante e misteriosa.

Quanto dura la vita di un fiore? Quanto dura la vita di una farfalla? Una frazione di tempo e in questa frazione, profumo e leggerezza si assommano alla bellezza che loro riservano alla vista di chi sa contemplare meraviglie e misteri dell’esistenza.

 

AMORE – GIUSTIZIA – AMICIZIA

La maturità vera sta in quell’amore che nulla chiede in cambio.

Non c’è vera maternità o vera paternità senza vero assenso poiché questo è il vincolo indissolubile verso il terzo.

L’amante, come vuole per sé l’amato in maniera esclusiva, così l’arte s’impossessa dello spirito nella sua pienezza.

Nessuno fa niente per niente e nessuno è tanto generoso senza aspettarsi un minimo di tornaconto. Non c’è nessuno che dopo aver dato non venga a bussare alla tua porta seppure chiedendo solo un favore che non sia già un vantaggio.

Seppure povero nel suo concetto d’amore, è nell’esperienza dell’aver ricevuto che noi possiamo a nostra volta donare. Ma se uno non ha ricevuto amore, che può dare?

Quando si dona agli altri, non si fa altro che restituire quello che non ci appartiene.

C’è una piaga in me che mi fa esclamare: “Chi non sa dare di sé, non sia causa d’altre infelicità mettendo figli al mondo”.

L’amore umano è condizionato dalle circostanze che a malapena riesce ad illuminare la metà dell’essere, lasciando l’altra metà nell’ombra.

L’amore umano sfugge spesso i suoi obblighi, spegnendosi.

Nessun amore umano si può considerare eterno, nonostante che lo si prometta.

La vita è guerra e la parola amore viene a complicare l’imbroglio.

Con beneficio d’inventario, tutto si può imparare dagli altri, ma non l’amore. L’amore nasce nel seno della famiglia; è un fiore che sboccia nella misura in cui l’amore si slancia verso l’altro, dimenticandosi.

L’amore percepisce ogni ben piccolo cenno che si comunica.

Le parole hanno bisogno del calore perché possano vivere; diversamente esse continuano a vivere il loro inverno.

La madre accetta il figlio per quello che è, e in una simile accettazione spesso passiva non s’accorge di quanto una simile passività ostacoli il figlio nel giungere ad una pienezza, in sé, dell’essere.

L’amore non lo si teorizza, lo si vive; la ragione lo vuol condurre sui suoi sentieri quasi a voler farne un’anatomia, ma l’amore non ha parti e sezionandolo, lo si uccide.

Sembra abitarci una disabilità nell’amore umano.

Collochiamo l’amore sul gradino più alto, per dopo farlo precipitare nell’abisso dell’egoismo.

Si ama ciò che più appaga il proprio narcisismo.

Il vero amore: amando, io cerco di fondermi nell’altro senza alterarlo.

Solo nell’uomo – amore (Gesù) può esserci la rivelazione del Dio – amore.

La morte di Cristo ha due facce: da una parte rivela la violenza del peccato dall’altra parte rivela la potenza dell’amore .

In uno sguardo d’amore, è l’altro che mi permette di riflettermi attraverso i suoi occhi, per capire chi, in realtà, io sia; in quello sguardo, vi circola quel frammento d’intimità che svela l’essere.

Amore volubile della natura umana: è questo a rendere immaturo ogni rapporto.

Forse è, quello dell’amore, una catena, e per tale, si è insofferenti di fronte ad esso, senza accorgersi, in una simile insofferenza, di cadere in altre catene.

Nulla soddisfa l’inganno dell’amor proprio; in ogni sua parte, non è mai pago delle apparenze.

Accade che parlare di sé annoi l’ascoltatore, come se quell’io che parla sembra voler invadere la sfera altrui e non ci s’accorge quanto sia disperato, a volte, il tentativo di rompere quel cerchio in cui l’io stesso è costretto a vivere.

Io mi amo nell’altro, ma purtroppo in amore nessuno rinuncia a se stesso.

Nel linguaggio dell’amore, non c’è grammatica che possa stare al pari del cuore.

Compito dell’esistenza è vivere per amare… generare amore.

Non si può costringere una persona ad amare se non sa amare; questa, è morta a se stessa e se per caso nascono in lei dei sentimenti, più che gustarli li divora.

Io cerco di essere giusto, ma non so se in questa mia giustizia vi sia amore.
Io cerco di essere buono, ma io non so se in questa mia bontà vi sia amore.
Dalla giustizia, alla fine, si vuole il proprio interesse; dalla bontà il proprio tornaconto.

Nulla può soddisfare l’inganno dell’amor proprio; in ogni sua parte non è mai pago della propria apparenza.

L’amore volubile della natura umana… è questo a rendere immaturo ogni rapporto. Forse l’amore vero è una catena e, per tale, si è insofferenti di fronte ad esso; facendo così, non ci si accorge di cadere in altre catene.

In uno sguardo d’amore, è l’altro che mi permette di riflettermi attraverso i suoi occhi per capire chi io sia. In quello sguardo vi circola quel fremito d’intimità che svela l’essere.

L’unico vero ruolo a cui l’uomo è chiamato, è quello di esistere e amare.

Dimenticarsi di quello che è stato dato, ricordarsi di quello che si è ricevuto.

La vera amicizia fa capo ad una responsabilità morale, ad un’etica nel cui rispetto l’uno si apre all’altro.

Non c’è maggior danno di chi, con la propria ignoranza, pretenda di fare il bene altrui.

Non esistono amici potenti poiché i potenti non amano avere amici. Possono essere bravi manipolatori, possono avere una grande dialettica, ma dietro ci sta sempre l’ombra della propria miseria. Questi potenti hanno sempre da nascondersi a qualcuno: a se stessi.

La malinconia, non mi permette di avere molti amici, già è tanto qualche sporadica conoscenza.

Fruttando nulla per se stessi, ecco che la fatica messa a servizio degli altri ottiene il suo guadagno.

CONTEMPLAZIONE

Nella vita non si deve stupire gli altri per quelle che sono le proprie potenzialità, ma ci si deve stupire di se stessi, nell’umiltà, per quelle potenzialità che ci sono date; diverso è, infatti, il cammino e diverso il risultato.

Chi non sa ascoltare il silenzio, non sa neppure ascoltare la parola.

Guardo il cielo mentre la notte estiva mi offre il suo spettacolo e lo spettacolo che mi offre è immenso. Eppure in me s’invola un pensiero quasi a voler raggiungere quelle stelle per riempire il senso di vuoto che par calarsi dentro di me. Lì il grande silenzio, il deserto a cui ognuno volge il suo sguardo affascinato. Lì, lo sguardo volge la sua avventura e la sua fantasia; ed ecco ad un tratto, per tanta arditezza, dinnanzi a quei misteriosi mondi farmisi piccolo stringendomi, così, a questo punto pur esso sospeso nell’universo. Ci si sgomita, quaggiù; ci si sta stretti…

… la parola si fa silenzio.

Quanto dura la vita di un fiore? Quanto dura la vita di una farfalla? Una frazione di tempo e in questa frazione, profumo e leggerezza si assommano alla bellezza che loro riservano alla vista di chi sa contemplare meraviglie e misteri dell’esistenza.

“ C’è più poesia al mondo, di quanto si possa credere “(Frase detta dal protagonista di “Anonimo veneziano”), ed è, forse, proprio questa, che mi ha salvato.

La poesia come catarsi. Scoprire nella poesia ciò che svincola dall’ordinarietà del mondo, pur rimanendo nella realtà del mondo.

Nulla può la ragione, da sola; ma senza la ragione, lo spirito dorme e ogni contemplazione è vuota.

173 Nel silenzio, c’è un modo di udire l’altra voce che da te si stacca; basta un suono qualsiasi a far sì che ti richiami e coinvolga in te l’emozione che batte il ritmo di un canto, inudibile all’altro.

Le piccole cose, poiché non le vediamo, non le cerchiamo.

Ognuno vede il mondo con i suoi occhi.

Il buio, lo schermo della mia fantasia

Il silenzio è qualcosa di magico e sa offrire sensazioni irripetibili; ma tacere per ascoltare, non sempre raccoglie il pieno assenso… troppi pensieri assillano le persone. Entrare in un cimitero, è forse il luogo più propizio per allenare lo spirito… Lì, il silenzio è il padrone di casa.

Scienza e poesia sono figlie dello stupore; sorelle gemelle… dove l’una però è opposta all’altra.

La creazione vive la sinfonia della diversità. (P. Albino Maria Candido)

Il giorno ci porta ad agire; la notte a contemplare.

L’arte è figlia della contemplazione; solo chi sa contemplare può scendere al cuore dell’essere.

Le cose belle non si ripetono; rimangono uniche.

Stupore e acutezza dello sguardo.

Ironia del sogno: ciò che la mente vigile non confessa, ecco che l’inconscio la denuda.

CULTURA – ARTE

Penso sia buona abitudine tenere vicini i libri che hanno dato all’intelletto modo di cercare la via di un approfondimento o di una consolazione.

A ben pochi autori ho accordato la mia gratitudine.

Essendo impossibile sapere tutto, ecco che la cultura diventa lo strumento per il buon uso di ciò che si è appreso.

Ci sono due categorie d’ignoranti. La prima è composta da persone che indagando dentro di sé scoprono l’abisso della propria ignoranza e, per tale, cercano di capire con umiltà. La seconda è composta da individui che non sanno d’essere ignoranti. Quest’ultima è molto pericolosa poiché i danni che ne crea sono enormi.

La conoscenza innalza lo spirito; ma se questo non è ben guidato… Si dice che Lucifero fosse il più bello degli angeli.

Infermità della scrittura – Il rapporto che ho con la scrittura è una forma di amore-odio; mi sono costretto, in tal modo, a cercare l’essenziale pur volendo dare ad essa ciò che è un gioiello per una donna.

Per ponderosi che possano essere i libri che l’uomo scrive, essi non saranno altro che fogli strappati al libro immenso della natura o a quello dello spirito.

L’ignoranza fa più danni della cattiveria: il cattivo sa dove fermarsi, l’ignorante non sa dove può precipitare.

Digiuno d’ogni studio, salvo quella formazione scolastica, da quale punto di partenza avrei dovuto cominciare la mia ricerca? Mi ritornò in mente la lezione di quei cerchi concentrici. La mia ricerca sarebbe dovuta cominciare proprio da me poiché, ad ogni stadio di quell’indagare, di quell’andare oltre, mi seguiva quel senso di oppressione latente e intuivo che nessuno studio potesse risolverlo.

Confessare la propria ignoranza.

Il sapere è in funzione di ciò che ognuno chiede.

Da una simile ricchezza di sapere che alla fine ognuno può portarsi dietro, alla morte ( che giunge ) assai poco importa.

L’ignoranza fa più danni della cattiveria: il cattivo sa dove fermarsi, l’ignorante non sa dove può precipitare.

La sete dei libri…Per paradosso, mi accorsi che essere in una stanza piena di libri, non mi aiutava a pensare.

Su una frase, o su una parola soltanto, si possono riversare fiumi d’inchiostro, fiumi di pensieri azzardati, ma nessuno può vantare di aver colto quel frammento con delicatezza, con timore, con umiltà.

Non può esserci che l’arte a trascendere l’ordinario, ma questa non appartiene a tutti.

Se non hai qualcuno a tuo sostegno che si incarichi di portare avanti la tua idea, certo sarà che il tuo animo rivoluzionario si spegnerà come uno dei tanti temporali di cui nessuno si ricorderà.

DIALOGO – COMUNICAZIONE

Parlare, parlare… e ancora parlare per non far capire nulla a chi ascolta. A questo, si riduce ormai il dialogo; un parlarsi addosso ubriacante.

Può il silenzio essere una forma di violenza? Dove c’è il dialogo, il silenzio respira le sue pause; ma dove il dialogo manca, esso diventa violenza.

Le parole, come le emozioni, hanno bisogno del calore perché possano vivere; diversamente, esse continuano a vivere il loro inverno.

L’approccio comunicativo è tanto naturale, quanto complesso.

La comunicazione virtuale. Ci si sta velocemente inabissando verso la virtualità, pur non avendo capito quasi niente della realtà.

Le emozioni pur producendo il medesimo effetto su ognuno, attivano un linguaggio diverso.

La novità di una persona che proviene dal mondo esterno, giunge a sovvertire la quiete di un mondo chiuso, viene a scombinare l’ordine costituito, l’abitudine alle regole; è un corpo estraneo che scompiglia. Ma una volta appagata ogni curiosità, tutto ritorna nell’alveo di quella vita ordinaria e quella presenza, ormai priva di ogni novità, viene assorbita dagli ingranaggi di quell’universo chiuso.

Si dice che non ci si conosce mai bene se non dopo il matrimonio; lì, le maschere cadono.

Spesso, nel confessarsi, il pudore fa sì che si ometta più di quello che si voglia dire.

Qual è la visione della vita in una donna… qual è la visione della vita in un uomo? Pur avendo la stessa radice, la visione è differente

Senza rispetto, nulla può condurre all’armonia.

Comunicare significa porre le premesse di un dialogo.

Parlando degli altri, si evita di parlare di se stessi.

Su questa terra la natura ci fa uguali; i confini ci dividono.

E’ più facile ridere che saper sorridere.

DOLORE – SOFFERENZA

Ognuno vive in sé il suo dolore.

La sofferenza che agita il mio spirito, mi permette di vedere solo le luci lontane della notte, la luce del giorno mi ferisce gli occhi.

Il dolore è una medicina amara, ma salutare.

Ebbi a sentire un pensiero detto da altri, che mi fece riflettere sul senso della vita: la sofferenza è la camera oscura dell’essere.

Uno psicologo sa di partenza che non potrà mai entrare appieno nella mente di chi gli viene ad esporre i suoi problemi, anzi; non vi potrà mai entrare. Il retroterra d’ognuno è un sentiero irto di situazioni che impediscono spesso il risanamento delle fratture, in quanto le ferite sono troppo profonde.

Si papà, quel fanciullo, con la poesia, ha voluto scrivere dentro di me il suo testamento.

Le lacrime lavano le impurità del cuore.

La violenza è una forma di morte che s’infligge all’altro, e con la violenza lo si denuda del suo essere; accade, perciò che la vittima, in tal modo, si isola e più che ad agire pensa a difendersi con l’ostilità verso il mondo.

La scoperta di Dio – Se io soffro, Dio esiste. Nel formulare questo, non v’era nessun suggerimento esterno che me lo indicasse, anzi; tutto indicava il contrario e tutto sembrava doversi esaurire nell’assurdo. Ma nella piena coscienza la ragione ne mostrava la sua opposizione: “Perché soffrire…”, mi chiedevo “ in uno spazio di tempo alquanto breve, per poi essere risucchiato dal nulla?”.

La sofferenza rischia di accecare l’animo e le lacrime rendono nebuloso lo sguardo.

La sofferenza è un continuo partorire della coscienza.

La nostalgia vede attraverso gli occhi dell’anima.

Il dolore è la chiave con cui ognuno di noi può aprire o lasciare chiusa la porta della sua esistenza; attraverso questo, noi possiamo aprirsi all’umiltà o chiudersi nell’egoismo superbo, scoprirsi nell’essere o sprofondare nel nulla, accettare l’incontro o abbandonarsi alla disperazione nella solitudine.

La violenza è una forma di morte che si infligge all’altro… con la violenza, lo denudiamo del suo essere; la vittima, in tal modo, evita ogni contatto isolandosi.

Le armi della violenza si esprimono in vari modi, dalla più rozza alla più raffinata.

L’uomo, oggi, sta stuprando la natura, come se fosse a stuprare la madre.

La guerra della vita che si consuma, è dentro di noi; proprio lì, i conflitti entrano ed escono continuamente.

Ad ognuno è dato quel dolore che lo accompagni lungo il proprio tragitto affinché possa la sua coscienza partorire il suo spirito.

Essendo la donna, per sua natura, più predisposta a sopportare il dolore, ha in questo la sua forza e il suo rifugio.

I mostri tacciono in noi la loro presenza.

Anche il dolore, paradossalmente, può essere egoista.

Voler bene, non è ancora amare.

Attraverso il suo ventre, la donna si è già armonizzata con la natura; la natura ha insegnato a lei a sopportare la fatica, a sopportare il dolore.

Il dolore non conosce domatori che lo possano tenere a freno..

Chiunque vorrebbe essere scevro da ogni dolore.

C’è quella sofferenza che agisce in noi, che si attacca al fisico attraverso la malattia, ma c’è anche quella sofferenza intima, nascosta ad ogni sguardo che si dilata nell’anima.

EDUCAZIONE – CONSAPEVOLEZZA

Prima di educare un altro, ogni uomo dovrebbe saper educare se stesso.

Il più delle volte noi cerchiamo di realizzare ciò che è meno faticoso, ciò che può conciliarsi con la nostra pigrizia mentale.

E’ più facile curare il corpo che non l’anima.

Si vive un mondo caotico di immagini e informazioni, di emozioni violente e di assuefazioni, ci si sente prigionieri, schiavizzati da un condizionamento che vuole sfruttare tutto ciò che è possibile sfruttare dell’uomo, spogliandolo della sua umanità.

Paternità – C’è chi non ha conosciuto un padre ed è diventato padre. C’è chi ha conosciuto un padre e da questo ignorato. C’è chi ha avuto un padre che, per nascondere la propria incapacità, si è irrigidito nella sua ignoranza. Infine, c’è chi desiderava diventare padre e non ha potuto

Ognuno è per quello che è in base alla famiglia, all’educazione, ai sentimenti, ai rapporti, alla cultura. Tutto questo è il risultato di un frutto che può essere gustato dagli altri. Ma si può anche essere lasciati in disparte se questo frutto è acerbo. L’acerbità è un sapore gradito a pochi.

Si vive oggi un mondo di valori virtuali e di violenze reali.

La maleducazione è una cosa così congenita tanto da diventare una normalità; normalità per chi la compie e non per chi la subisce… ma essendo ognuno in balìa fra l’uno e l’altro stato, si può dire che l’anormalità della maleducazione è normalità.

Parabola e vita – Il cattivo lavoro del giardiniere fa sì che il terreno incolto soffochi quel seme caduto fra i rovi.

Quanto con le parole si è bravi medici per gli altri, ma mai, con l’opera, per se stessi.

La severità non è mai ben accetta perché ci lega ai propri obblighi morali.

L’età setaccia nell’uomo il grezzo che sta nel fanciullo, ne raffina la concezione del mondo; ma nel fare questo, con il grezzo a volte rischia di buttare via quel rapporto di spontaneità che sta alla base della conoscenza e il conoscere dell’uomo si tramuta in freddo calcolo.

Un albero non può dare un frutto diverso dal suo seme.

Nessuno ti insegna ad essere padre e questo è vero; ma ognuno è stato figlio, quel figlio che il fanciullo incamminò verso la maturità, poiché non c’è maturità senza fanciullezza.

La maturità la si può trovare solo nella pienezza dell’essere.

Educazione rigida, educazione morbida, educazione saltuaria, educazione assente…

Nell’imitare gli altri, spesso ne imitiamo il peggio.

Più ci si allontana e più si perde il riferimento, e più ancora si perde il rapporto con il centro.

Quando una persona può ritenersi matura? Cos’è la maturità? La maturità è la consapevolezza di non essere mai maturo.

Il dissolvimento della maturità nella morte.

Entrare nella maggiore età non significa maturità, ma intraprendere il sentiero della maturità; la maturità, ognuno la conquista per sé, nel rapporto che ha saputo costruire.

La maturità, la si contempla nel distacco; quindi al di sopra delle nebbie e non al di sotto di esse, è nel suo dissolversi e nella purezza dello sguardo che si coglie la maturità come ultimo atto. (Riflessione in merito ad un dipinto).

Sono cambiato, nel tempo, nel mio modo d’essere maturo, o è solo, questo, un’acquisizione di circostanze? Forse è la fatica del cammino che fa sentire il peso e ne muta i segni.

… oppure, più semplicemente, siamo destinati al naufragio?

Si dimentica che anche i figli possono dare delle grandi lezioni; dimentichiamo che, vedendo con i loro occhi, spesso vedono quello che sfugge all’adulto.

E’ da come vediamo le cose, che queste prendono luce.

Ognuno apprende secondo la capacità che la natura gli permette d’apprendere.

Ogni cosa che io posso pensare, è sempre e solo una proiezione di me stesso.

Quello che ho imparato è stato solo quello che mi è stato proposto e non imposto, e quello che la mia curiosità mi ha spinto ad indagare; il resto, è stata tutta fatica inutile.

La maturità è un insieme di situazioni, le quali concorrono alla formazione dell’individuo in un processo continuo.

La consapevolezza è l’indice della maturità, ma non ne è la pienezza.

La maturità è la discesa al cuore dell’essere.

Crediamo di conoscersi; ma ci si conosce davvero?

Ognuno apprende secondo la capacità che la natura gli permette di apprendere.

Compito del pedagogo è quello di far sì che il fanciullo sappia riempire il suo bagaglio; non è lui che lo riempie, ma fa sì che il fanciullo sia in grado di armarsi per la vita.

Maturità – viaggio al centro dell’uomo.

Dall’alto di questa età acquisita, volgendo lo sguardo al passato, diventa un’impresa ardua catturare istante per istante le situazioni che hanno dato addito ad una formazione intima e critica allo stesso modo.

Compito dei genitori è spiritualizzare la vita.

Le fratture si presentano al un punto determinato del tempo che non si può più conoscere di prima mano come esistenza, ma come passaggio storico. Il passaggio da una generazione all’altra, indebolisce sempre più il rapporto con il passato, creando in tal modo la frattura. La frattura è il carico non più sopportabile.

Dove sta il pedagogo… il medico… il sacerdote? Ogni uomo, prima di educare gli altri, deve saper educare se stesso.

EGOISMO

Su cui si giurerà, sarà sempre il denaro e mai la causa; il denaro dà tutte le possibilità che l’uomo chiede. E’ al centro di una certa padronanza a cui non ci si può sottrarre. Non darà certo la felicità, ma tiene in costante pressione di essere posseduto.

Quale bisturi potrà mai eliminare l’egoismo?

Non la fortuna, ma tu sei nemico a te stesso.

Non per merito proprio, l’individuo si trova a possedere le doti che ha.

Esplorato un mondo, ecco che l’uomo lo saccheggia d’ogni ricchezza… avido e mai sazio.

Chi ricatta, moralmente rimane prigioniero di se stesso.

Ognuno vive dentro il guscio della propria storia; quasi geloso di sé, non vuol far trapelare più di quello che la necessità richiede.

Sì, è proprio vero che la strada dell’inferno appare lastricata da buone intenzioni; tante ne ho avute di queste buone intenzioni ma tra le averle e realizzarle, una voragine si è aperta in questi giorni.

Diceva qualcuno che il denaro non dà la felicità, ma calma molto i nervi.

Il denaro, arbitro di ogni causa processuale.

ESISTENZA – VITA – SCOPO

Ciò che è rotto rimane rotto anche se il tentativo di aggiustare le cose sia lodevole, ma i segni di una cosa rotta non si possono cancellare.

Al cammino chiassoso che noi facciamo, ce n’é un altro che ci affianca silenzioso, che ci conduce fra luci ed ombre ad una méta che solo la fede fa intravedere.

Ad un destino comune, ce n’é uno individuale come ogni stella che in cielo brilla.

Noi ci muoviamo nella luce, ma non possiamo fissarne la fonte senza rischiare la cecità.

L’uomo è in sé la casa dove l’essere prende dimora. Eppure, egli avendo le chiavi d’accesso per abitarla, si trova a smarrirsi e con ciò a confondersi con l’intero mazzo di chiavi esteriori.

Ogni nascita è lo strappo al nulla nella luce abbagliante dell’essere.

Sete d’infinito – Guardo la sera vestire le cose di un unico colore. Guardo il cielo stellato e il pensiero d’infiniti mondi mi lascia senza parole; stupore e meraviglia prendono possesso di me, di un animo che non sa se non contemplare fra quelle lacrime segrete che si nascondono nel fondo di esso.

Con la preghiera del “Padre nostro”, Gesù ci ha reintrodotti nella sfera dell’essere, da cui uscimmo.

La vita è quell’attività che si svolge su un immenso palcoscenico dove ognuno va recitando la sua parte. Ma solo fra le quinte, lontano dagli sguardi indiscreti, le lacrime mostrano la loro essenza. Lontano dagli sguardi, infatti, il dramma è spoglio di ogni sublimazione; esso rimane nella sua nudità. Impossibile rivestirlo. Le parole mostrano le sfilacciature per cui nulla potrà mai ricoprire l’essere. Al di là del ruolo rimane l’uomo (e la donna). Solo la morte mette fine al dramma.

Nel proprio contesto ognuno è autore della propria storia; storia che si intreccia, storia che confluisce in un quadro più grande, ma che tuttavia rimane per sé unica. E proprio per la sua unicità, rimane isolata.

Anche fra le menti più eccelse non c’è uomo che non abbia in sé il suo abisso, anzi. Forse più in loro che in altri.

Il senso della vita – Ci si affianca, si percorre un tratto di strada insieme, poi… Poi ci si ritrova di nuovo soli e in questa solitudine ecco la memoria aprirsi ad una serie di fotogrammi, a ricordi che ci aiutano a superare gli ostacoli. Quanti volti, quanti nomi, quanti cuori abbiamo conosciuto? Ma conoscendoli, abbiamo poi riconosciuto in noi il nostro cuore? Quanti perché ci hanno posto il loro incontro? E quanti simili perché ci hanno fatto scendere alla radice, al fondo di esso?

Il grande peccato nei confronti della vita è quello di far addormentare la mente, indurendo in tal modo il cuore

Non quanto, ma in che modo si vive; questo è il segreto della vita.

E’ nella sua intensità, non nella sua estensione, che la vita svela la sua essenza.

Da qui, il sogno scaturì con la sua ambiguità.

La vita è un susseguirsi di separazioni e ogni separazione ha in sé il suo trauma.

La separazione è già una forma di morte.

Il segreto della vita si risolve nella formula: “Vivi e ama”, poiché amando si scopre, e se una cosa ti reca dolore, un’altra ti viene a consolare.

Esistenzialmente inabissati in un corpo, la parola “essere” cerca d’inseguire quel vuoto di coscienza, cercando di recuperarla in qualsiasi modo.

Chi sono? Questa domanda può apparire oziosa per la superficialità che spesso poniamo alla propria persona credendo di conoscersi; ma ci si conosce davvero?

In una frazione di tempo, come un lampo, s’accende la coscienza; in questo spazio, l’ironia della morte.

Per quale motivo io dovrei esistere in questo modo, per dopo dover morire senza aver avuto la possibilità di godere la vita? Ma ecco che subito un’altra domanda sembra voler ingaggiare una lotta con la prima: “Cosa significa godere la vita?”.

Non quanto, ma come si vive; questo, alla fine, il segreto della vita.

Se la vita da me non potevo darmela, qualcuno mi ci doveva pur aver posto in questo contesto.

Sì, io ho avuto la vita attraverso i genitori, ma loro mi avevano generato non creato; loro, altro, non sono stati che il tramite.

La vita è quella luce che s’accende e si spegne sullo scenario del nostro cammino.

Il segreto della vita non sta tanto in un lungo periodo di essa, quanto di come essa è vissuta.

Apparenza e conformità

La guerra che ognuno si trova a dover combattere, è quella che ogni giorno lo conduce a quei rapporti civili delle convenienze e, per quella convenienza offerta, ognuno si pensa in diritto di raggiungere il suo scopo; come poi questo diritto sia invocato, è per ognuno la via oscura della sua coscienza.

La vita ha scopo solo se si vive per qualcuno; per sé, si è solo morti.

Anche una vita mediocre può avere in sé il suo fascino, in virtù di quell’impronta dell’eterno, impressa attraverso quel fanciullo universale che dimora in ognuno.

Il male d’esistere, crea in sé la forma di un’implosione, in quanto l’individuo si mostra nemico a se stesso. E’ un germe in sé, nel non accettare se stesso, ma questa mancata accettazione ha all’esterno i fattori scatenanti.

Se Dio non ci fosse, tutto questo non avrebbe senso; la vita sarebbe una grande assurdità.

Ognuno è parte di quel prisma in cui, come singolo, viene aggregandosi a quella moltitudine catturata dalla luce dello spirito affinché nell’unità venga riflettendosi.

Ascoltare la vita, significa ascoltare se stessi.

Gesti comuni: uscendo da casa, è l’ultimo pensiero intimo che ci saluta alla porta; entrando, è l’ultimo pensiero del mondo che ci accompagna sulla soglia.

Il rinascere dell’uomo (v. episodio di Nicodemo con Gesù Gv 3 )

E’ detto che la storia più bella è quella che non è stata ancora scritta; ciò che si scrive è già incarcerato dalla realtà che si incarica di diffondere e di analizzare ogni suo aspetto definitivo, incurante anche del danno che può uscire da un giudizio. Ciò che è scritto e fatto sapere, non è più modificabile.

Ordinarietà e mediocrità dell’esistenza.

Nessuno è sterile se non nella misura in cui non si riconosce.

Non di quanto si possa sapere, ma cercare il significato della vita, apporta sapore all’esistenza.

La vita ha scopo se si vive per qualcuno; per sé si è morti.

Pur predicandola, la vita non può avere pace… è un’illusione.

Una domanda fondamentale dell’esistenza è: “ In cosa credo?”.

Il destino di un uomo si lega al destino di una nazione.

Dire: “ Penso, quindi sono “, non risolve il problema dell’essere pensante, poiché il discorso si allarga alla domanda “ A cosa penso… cosa mi fa pensare? “.

Ogni storia attraversa il suo fiume, come chilometri che possono essere gli anni della propria vita.

Il senso della vita lo si scopre nella misura in cui ognuno accetta di essere quello che è, ma è difficile accettarsi per quello che siamo senza scendere a compromessi con se stessi..

Gli eventi che succedono in noi, avvengono senza riflessione; ci vengono incontro all’improvviso mentre pensiamo ad altro.

La vita, per tutti, è un romanzo, ben o mal riuscito che sia, su cui il destino ( o dir si voglia ) si è sbizzarito o addormentato secondo le situazioni in cui si è imbattuto.

Nella realtà delle cose, ognuno viene inglobato nell’innaturalità del ruolo.

Si può affermare che ognuno vive la sua gabbia; un esempio? La casa! Ogni stanza è una gabbia; anche se abbellita, per le proprie esigenze, rimarrà sempre una gabbia.

Ognuno è al centro di se stesso, ma non dell’universo.

FALLIMENTO – DEPRESSIONE

Fra tante cose che mi spingono a riflettere sulle cause che portano al fallimento, ce n’é una in particolare che attira la mia attenzione e cioè che il fallimento più grande si verifica allorché in noi il cuore tace.

Nella propria meschinità si tende a dimenticare i torti fatti agli altri, non avremmo, infatti, abbastanza spazio per ricordare quegli subiti.

Non la natura o altro deve essere chiamato in causa al nostro male, ma è il cuore dell’uomo che è chiamato a rispondere.

Vi è in ognuno una forma di miseria dello spirito da cui è difficile venirne fuori senza che vi sia volontà di farlo, in quanto ci appaiono più cari i nostri vizi che non le virtù; più inclini a perdonarci in questi, piuttosto che crescere nella severità delle altre.

Il rimorso è come quella malattia di cui si conosce la diagnosi, ma non esistono medicine che la possano curare.

Chi fugge ha sempre torto.

Non c’è vera guarigione se non vi è intenzione a guarire.

Anche l’uomo più disperato s’aggrappa a qualsiasi relitto trovi, qualsiasi sia il suo nome; vizio o virtù che esso sia.

Non ci si accetta, perché è difficile accettare la parte negativa che ci ferisce.

Riflessione: che vale conquistare il mondo, se poi perdi la tua anima?

Spesso il corpo si ammala perché si ammala la mente; ma cos’è che fa ammalare la mente?

FEDE – FIDUCIA

Il labirinto confonde i passi di chi vi entra, facendolo andare avanti e indietro; lo illude e lo inganna se in lui la fede di uscirne non lo sorregga.

Religione e laicità – Il laicismo opera la tolleranza nel nome di un’equità di rapporti; ma in nome di questa tolleranza, non s’accorge spesso di cadere nell’intolleranza, creando una forma di equivocità.

Ironia di un chirurgo: “ In tutto questo tempo che ho trascorso ad operare, io non ho mai visto un’anima.

La fiducia è paragonabile a un castello di carte; tolta una, crolla tutto

L’uomo ha dequalificato se stesso in nome del meccanicismo.

E’ difficile credere e nel contempo avere fede se non per assurdo. Ci nutriamo di assurdo; l’assurdo ci accompagna nella realtà quotidiana.

Tanti sanno pregare con le labbra, ma quanti con il cuore? Dicendo questo, penso a me.

Nella preghiera del Padre Nostro, Gesù ci ha insegnato a perdonare se vogliamo essere perdonati: “ Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori. Ce l’hanno insegnato, ma quanto è stato interiorizzato?

La vera maestà dello spirito non mette soggezione, respira in noi, fa respirare le cose.

FRAGILITÀ – VULNERABILITÀ

La malizia penetra nella vulnerabilità dell’essere che noi siamo in maniera tale da scatenare la tempesta delle insinuazioni, tanto che alla fine ci perdiamo, a causa di questa, in un inferno da cui non sappiamo tirarci fuori.

Che sia lodevole o meno che l’uomo voglia rivestire gli animali della sua umanità, non lo so. Ma so di certo che gli animali rivelano a lui la sua bestialità.

Cosa si può trovare di sicuro in questa vita? Nulla è sicuro, nonostante ci s’affatichi a dare alla vita stessa un minimo di sicurezza.

L’uomo è una nuvola…un girovago.

Di una cosa io sono fermamente convinto e cioè che chi non confesserà le sue paure non sarà credibile, non per le sue paure ma perché nascondendole pensa poi, dettar regole per gli altri.

Pregi e difetti ci sono dati in egual misura, affinché gli uni non prevarichino sugli altri.

INNOCENZA

Lo stadio dell’innocenza si esaurisce assai presto ed eccoci ad un tratto fuori da quel luogo che più d’altro ci era stato promesso. Ecco chiudersi il cancello alle nostre spalle.

Eppure c’è un’isola in cui sembra risuonare incessantemente un sentimento. Qualcuno la definirebbe l’isola che non c’è; ma quell’isola è dentro di noi, è il posto del fanciullo eterno la cui voce sembra risuonare al di là del tempo.

Nessuno può dirsi innocente, senza che una piccola macchia venga ad evidenziare la presunzione d’essere tale.

Le ferite dell’anima non sono date dall’adolescenza o dall’età adulta, ma sono legate all’infanzia.

Ognuno è prigioniero della propria infanzia. Le domande dell’adulto hanno lì le sue radici. Il fanciullo annota in sé rapporti e differenze, ma è impossibilitato ad esprimerle trovandosi, in tal modo, a dover subire le azioni degli adulti.

Alla sera, è sospesa la mano che sostiene la penna, quasi a non voler rubare la scena al fanciullo; ogni segno tracciato, ogni parola che la penna vuole imprimere sul foglio, sembra violare un segreto.

E’, dunque, l’infanzia solo una stupenda menzogna?

E’ lui (il fanciullo) che rinfocola in me la nostalgia, rannicchiato in quell’angolo di mondo, ed ecco che la sua voce si scioglie sulle note di quell’idillio che con i frammenti a sua disposizione, viene a ricomporre quella favola incompiuta.

Ciò che l’adulto esprime è in virtù del fanciullo non dell’adolescente, anche se lui lo crede.

L’innocenza violata, ossia l’infanzia infetta.

In quella camera oscura, il fanciullo vuol regalare all’adolescente la sua nostalgia, che conobbe nel suo intimo esilio, affinché la possa cantare nella sua solitudine.

La purezza è come l’acqua limpida, che viene a perdere la sua limpidezza solamente sfiorandola con la mano.

Per essere raccontata, la favola ha bisogno di un cuore vergine; ma anche le favole possono essere sporche di sangue.

Il fanciullo in noi è l’alter ego; è il fanciullo universale che lungo il tragitto della vita è andato via via però sbiadendo nella sua immagine (ma non cancellata) dal momento in cui mosse i suoi primi passi.

I fanciulli di oggi finiscono di stupirsi ancor prima di cominciare, diventando spesso nemici fra loro per mezzo di quella violenza che la società ha appiccicato alla loro mente, favorendo fra loro una violenza gratuita. Qui il fanciullo universale tace e piange nell’antro più oscuro, quasi impotente di fronte a ciò che vede.

IPOCRISIA – GIUDIZIO

Mai giudicare gli altri che già tu non venga a dover rispondere del tuo giudizio.

Scavare in sé per partorire una verità, significa prendere il bisturi e incidere laddove il male impedisce di vedere in essa la luce. La verità quanto la sincerità, ci pone in un continuo travaglio.

Oh, come l’ambiguità dei rapporti fa sì che ognuno occulti la sua coscienza!

Se proprio non puoi fare a meno del giudizio, non giudicare da quello che viene detto; sospendi il fatto e giudica la tua coscienza.

Noi ci creiamo uno schema mentale della persona che ci sta di fronte, giudicando secondo le impressioni che ne ricaviamo. E’ questo il cosiddetto gioco degli specchi in cui sostituiamo la realtà con l’ipotetico immaginato che noi attribuiamo all’altro. Ma quello che dell’altro vogliamo accogliere o respingere è, in realtà, la visione fittizia del nostro essere.

Spesso ciò che si pensa non è conforme a quello che si dice.

Nessuno vorrebbe sentirsi dire cattivo, ne andrebbe della propria reputazione. Ci si limita a generalizzare la cattiveria in quanto è più facile nascondersi.

Se avessi avuto un figlio e avessi dovuto lasciare a lui un’eredità, gli avrei consegnato la malinconia di un clown dicendogli di far buon uso della maschera.

Spesso, l’esteriorità soffoca l’interiorità; questo problema viene, così, a creare nella persona una doppia violenza, la prima dall’esterno, la seconda dall’interno: è difficile trovare l’equilibrio, in quanto, voler essere non significa essere.

Una frase che io ho avuto modo di sentire qualche tempo fa, mi ha sempre messo nella situazione in cui meno, degli altri devo giudicare: “Ognuno sa di sé e Dio di tutti”.

Spesso, l’esteriorità soffoca l’interiorità; quest’ultima, viene così a subire una doppia violenza in quanto l’apparenza sembra rubare all’interiorità quel ruolo per cui essa
custodisce l’essere.

La vanità è una forma d’imbecillità, in cui altro non si trova se non il vuoto.

La disabilità smaschera le apparenze, rendendo l’uomo nudo.

Spesso l’esteriorità soffoca l’interiorità; è difficile trovare l’equilibrio in quanto voler essere non significa essere.

Le proprie giustificazioni sembrano trasformarsi nei peccati dell’altro.

Lo sbaglio che spesso si fa, è quello di voler assomigliare all’altro, imitarlo, invadendo un mondo che non si conosce, rendendo in tal modo inabitabile il proprio.

La disabilità smaschera le apparenze, rendendoti nudo.

Spesso, giudichiamo negli altri i difetti che si nascondono in noi.

Qual è il vero o falso io…quello che si rivela o quello che si nasconde?

Per non offendere, ci si rifugia nel vago di una bugia, senza curarsi che la bugia è già un’offesa.

Chi pensa di mentire agli altri, mente a se stesso.

LIBERTÀ

E’ detto: “Non c’è pane senza libertà e non c’è libertà senza pane”.

Anche il nido più brutto che possa esserci è sempre il luogo di una libertà.

La nostra libertà sembra ristretta alla facoltà di come farci del male.

Nella libertà, non si può occupare una coscienza che non sia la propria.

Per trovare la libertà, ho dovuto violentare me stesso.

Nella libertà, non si può occupare una coscienza che non sia la propria

Nel silenzio tu sei libero, poiché nel silenzio c’è un modo di udire l’altra voce che da te si distacca.

Ognuno si trova prigioniero del suo carattere.

Nel silenzio tu sei libero, poiché nel silenzio c’è un modo di udire l’altra voce e il suo contrario che da te si distacca.

Dio può solo aiutare a superare il male, non ad impedirlo; se lo impedisse non sarebbe Dio.

Secondo come in noi scorre il sangue, possiamo dirci liberi o schiavi… liberi dalle passioni, o schiavi.

MORTE

Dice in proposito uno scrittore (e come non dare a lui ragione?) che chi muore, in realtà, entra nel mondo dell’essere e che a morire è piuttosto l’altro che rimane, in quanto la persona morta continuerebbe ad essere come angoscia dentro di lui. Ed è appunto quest’angoscia di te che oggi mi impedisce di fugare le ombre e che mi procura una specie d’infermità stazionante nei miei pensieri; una paralisi propria dell’anima.

La morte fa paura perché noi conosciamo solo questa realtà; gli estremi della vita ci sono ignoti.

Ognuno muore per com’è vissuto, lasciando di sé il ricordo che lascia e quello che egli lascia può riservare molte sorprese in quanto per una persona a cui si è fatto del bene, c’è sempre da qualche parte un’altra a cui si è fatto del male.

Si onorano i morti quando il cadavere è ancora tiepido, poi la terra raffredda la memoria.

Sembra che la morte abbia voluto giocare con me attraverso la sua ironia.

Vidi, in tutto ciò, l’ironia della vita e della morte abbracciarsi nei miei pensieri.

La morte è quel neo nel seno della vita; nulla più di quell’oscuro punto, spaventa l’uomo.

La morte è quel neo nel seno della vita; nulla più di quell’oscuro punto, spaventa l’uomo.

PROSSIMO

Noi siamo debitori verso gli altri più di quanto vogliamo arrogarci il credito.

Offendendo una persona, si offende di riflesso anche colui a cui questa persona è legata, (e a cui a nostra volta siamo legati, in virtù di quello stesso intimo legame), poiché con il disprezzo verso l’una disprezziamo anche i sentimenti dell’altra.

Il problema non è di quanto tu sappia dare d’altro, quanto di te; quello che è d’altro è solo un riflesso di te, ma non sei tu.

Capire gli uomini? Una follia! Più si cercherà di capirli e meno si starà in pace con se stessi.

Il tempo cancella i torti per chi li fa, ma non per chi li riceve.

103 Meglio essere nemico a qualcuno piuttosto che essere nemico di se stesso.

176 Spesso il silenzio può assumere la forma di un tradimento in quanto, proprio dal silenzio, può scaturire una catena di equivoci. Tra il dire e il non dire, infatti, il silenzio s’intrufola nella coscienza dove ai segreti è offerta l’opportunità di gettare via le chiavi per non essere scovati; ma c’è sempre in un simile gesto, di correre il pericolo che qualcuno ritrovi quelle chiavi.

La donna non può conformarsi nell’uomo, come l’uomo non può conformarsi nella donna; quel sottile confine esiste.

Forse è solo una mia sensazione, ma nella donna sembra coabitare un’infinità di anime; per l’uomo v’è ne una sola, con la condanna all’inferno o eletta al paradiso, in virtù della donna che lo ha scelto.

TEMPO – PROVVISORIETÀ

Cosa si può trovare di sicuro in questa vita? Nulla è sicuro, nonostante ci s’affatichi a dare alla vita stessa un minimo di sicurezza.

Molto facilmente si rischia di perdere ciò che con fatica si pensa di aver guadagnato.

Ed ecco succedere che quel posto in cui ci si sentiva sicuri, non esista più poiché, nel frattempo, tutto è cambiato. Non si sa più orientarsi nemmeno lì. Si va alla ricerca senza sapere bene cosa e dove cercare. Sì, la scena della vita è mutevole, nulla mai può rimanere se non il frutto di un’illusione, consumata nella lontananza e nella solitudine.

Molto facilmente si rischia di perdere ciò che con fatica si pensa di aver guadagnato.

Non sappiamo a quale stazione il destino ci farà scendere.

Spogliarsi del presente per visitare il passato.

RICORDI – CONSAPEVOLEZZA

Se proprio non puoi fare a meno del giudizio, non giudicare da quello che viene detto; sospendi il fatto e giudica la tua coscienza.

Tu fai del mio passato l’humus del mio presente e su questo terreno ogni ricordo e ogni pensiero rivela, Signore, la tua presenza.

La giovinezza sembra volersi impadronire del mondo.

Se i ricordi più teneri appartengono alla fanciullezza, i ricordi più forti appartengono alla giovinezza; la giovinezza è un fuoco che arde e che brucia per le passioni.

La nostalgia è il soliloquio dell’anima che tende a trasformare i ricordi attraverso una luce che accarezza il cuore… anche quello più ferito

Il ricordo è l’alimento che nutre la mente sulla strada della solitudine.

I luoghi che non sono impregnati della nostra presenza ci sono ignoti.

L’infanzia e la giovinezza, sono le radici e il tronco di quell’albero che espone i suoi rami al sole della maturità; fra quei rami vi passano brezze e tempeste, sussurri e silenzi, dove ognuno alfine si conforta nel ricordo.

Il ricordo viene ad interrompere il circuito delle abitudini, risvegliando la coscienza.

Il ricordo è leggere una pagina della propria vita.

Spesso i sogni sono rivelatori non indifferenti per una coscienza che naviga nell’oscurità della sua odissea.

La consapevolezza è l’indice di una certa maturità, ma non è la pienezza.

La nostalgia è una rivisitazione della propria storia, di situazioni che si sono sedimentate nella persona

Non tutto riusciamo a ricordare di ciò che ci è accaduto lungo la strada dell’esistenza e i ricordi stessi sono brandelli di tempo su cui i pensieri s’attardano come le foglie che in autunno rimangono aggrappate ai rami sfidando ogni clima.

Anche il non pensare è una forma di pensare (già il dire non devo pensare è una forma di pensiero).

SINCERITÀ

E’ difficile confessarsi per quello che si è.

Si reclama giustizia, ma spesso avendola avuta non vi s’include il perdono.

E’ sempre difficile confessarsi per quello che si è. Noi vediamo il nemico al di fuori di noi quando invece è dentro di noi.

Nella propria insopportabilità, tutti fingiamo il nostro male.

La nostra difficoltà maggiore sta nel mettersi davanti ad uno specchio e domandarsi “ Quello sono io? ”. Lo specchio diventa così il complice delle nostre apparenze e gli stessi pensieri si rifugiano lì rimanendo nascosti a qualsiasi intenzione di conoscersi.

Il miele e il pungiglione ( metafora della menzogna )

La grandezza di una persona la si scopre nel fondo della sua umiltà

SOLITUDINE

Fa paura il silenzio nella solitudine di una stanza; scambieremmo molto volentieri il valore del suo metallo con uno meno nobile. La parola ci consola, ci illude di farci sentire meno soli, ma ci distrae dalla nostra interiorità.

Insorge una forma di pudore a confessarsi malati e la solitudine, mai come in questi casi, rimane l’unica depositaria dei propri disagi. Ognuno, infatti, si rifugia fra le sue braccia cercando un silenzioso conforto. Non ci si vergogna di mostrare a lei le lacrime in quanto ella solamente è in grado di lenire e medicare quelle ferite che dentro bruciano.

Cosa c’è di peggio se non la solitudine dell’anima? Neppure un raggio di sole ha tanto potere di rischiarare questa prigione oscura.

Separazione, significa allenarsi alla solitudine, allenarsi a quel distacco che, alla fine, diventa distacco da sé nella morte.

Separazione significa allenarsi alla solitudine, allenarsi a quel distacco che alla fine diventa distacco da sé nella morte.

A volte si pensa di essere soli, ma ecco che uno sguardo, seguendo la scena, ci osserva.

La solitudine del genio e la solitudine dell’ignorante.

Preferibile la solitudine alla mistificazione del mondo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

FRA I SERVI DI MARIA (racconto)

“ Bene, ci vediamo domani! “.

“ A che ora parti? “.

“ Il treno per Roma, passa qui alle cinque “

“ Allora, sarai a Firenze per le dieci; ti aspetto! Ah! Una raccomandazione, non dimenticare di mettere in valigia qualche maglia pesante, perché quassù fa ancora freddo “.

“ D’accordo “.

Mauro riattaccò il telefono pensando ancora all’amico.

La loro conoscenza risaliva agli anni del collegio; questa, avvenne in una situazione alquanto strana per il modo con cui si verificò; Mauro ancora ricordava quel momento che bonariamente lo faceva sorridere.

Quando, poi, usciti che furono da quell’ambiente, si persero di vista per alcuni anni; ma il destino provvide  sì a farli riunire.

Da quel momento, si può dire, che la loro frequenza fu alquanto stabile, salvo alcune assenze da parte di Piero per motivi personali

L’ultima volta che Mauro lo vide, fu quando gli dette  la notizia che avrebbe cominciato il noviziato a Monte Senario.

Egli conosceva già da tempo quella sua propensione ad abbracciare la vita monastica, tanto che sin dall’inizio: “ Se quella  è la tua strada, seguila “, aveva detto quel giorno che gli riferì quel desiderio.

La sua prima destinazione, su suggerimento di un frate, lo condusse ad Isola Vicentina, in terra veneta, dove per due anni seguì una vita da postulante.

Dunque, due anni erano passati e fu in quel periodo che Mauro, grazie a lui, ebbe modo di conoscere una realtà fino a quel momento solo immaginata.

Vero era che sì, nella sua prima giovinezza, aveva sentito parlare di monasteri e conventi, ma mai avrebbe creduto, più tardi, di fare esperienze seppur fuggevoli, di qualche giorno,  fra quelle mura.

Durante l’adolescenza si era sentito tormentato dal dubbio che sentiva oscillare nel suo intimo, tanto che per un periodo aveva disertato quelle pratiche religiose; eppure, sentiva latenti desideri di aspirare ad una simile vita da quando, con l’amico, cominciò a addentrasi su temi di natura dapprima filosofica e poi teologica.

Le circostanze, però, si dimostravano avverse per una serie di situazioni che frenavano qualsiasi intenzione in tal senso.

No, quella chiamata non venne mai seppure da ragazzino un cappellano della parrocchia, da lui frequentata, addetto appunto alla guida dei giovani, gli parlasse della vita sacerdotale durante un colloquio informale ( ciò che lo  stupì, tempo dopo, fu che quel prete aveva abbandonato la tonaca per sposarsi ).

Forse, con quella risposta di allora, data all’amico,  Mauro pareva identificarsi in lui, seppure avvertisse quella  sensazione che, con quella scelta fatta da Piero, probabilmente le loro strade si sarebbero divise e che la loro amicizia alla fine si sarebbe evaporata nei ricordi.

Per sua fortuna non fu però così. Sin da postulante, infatti, i contatti epistolari la facevano rinsaldare, anzi: “ Ti scriverò al più presto possibile “, gli aveva detto  “… tanto che abbia il modo di familiarizzare con l’ambiente e prendere dimestichezza con quella nuova dimensione; quindi ci vorrà un po’ di tempo “.

L’attesa però non fu lunga; neppure passato un mese dalla sua partenza, ecco ricevere la sua prima lettera.

Dovendo, però, una volta, disbrigare alcune vecchie faccende in loco, ecco fargli un’improvvisata; e  fu proprio in quell’occasione  che gli propose di passare un fine settimana in quel convento.

Il tempo era favorevole per accettare l’invito e staccarsi, così, dall’ordinario.

Fu un’esperienza che lasciò in lui una sensazione particolare, sin dal momento che vide quel convento arroccato, da una parte, su una parete rocciosa che digradava giù verso un torrente; stagliato nell’oscurità della sera ormai avanzata, gli pareva  che esso si ergesse in una sua severa solennità, tanto che provò un sentimento di timore.

Quel sentimento lo tenne per sé, non dicendo nulla all’amico fino a che quel timore cominciò a stemperarsi man mano che il suo sguardo prendeva confidenza con il luogo, nonostante l’oscurità.

Quel timore però non scomparve del tutto, quand’ecco Piero prese a farlo conoscere alla comunità; la timidezza l’assalì sì che si rese quasi  muto quando poi egli lo presentò a colui di cui aveva grande ammirazione per via di quella profondità dei suoi studi.

Ciò che lo bloccò fu quel tono con cui l’accolse; mentre i confratelli gli avevano rivolto un cenno di cordialità, egli sembrò assalirlo quasi con un tono impetuoso tanto che alla fine: “ Ma sa parlare? “, chiese rivolgendosi all’amico.

Quella provocazione sciolse l’imbarazzo e per la prima volta comprese quanto l’insormontabile si potesse eliminare con una battuta, tanto che l’amico si mise a ridere.

Fu quel clima di familiarità che gli permise, ritornando a casa, di ringraziare la comunità attraverso una lettera indirizzata a Piero stesso.

A quella prima, capitò altre occasioni di respirare quell’atmosfera, e in una di queste fece conoscenza con altri due postulanti, di cui uno lo avrebbe rivisto proprio a Monte Senario, come apprese al momento della comunicazione.

L’indomani, dunque, gli avrebbe rivisti entrambi dopo  un anno, da quell’annuncio.

                                                                          – – – – –           

Si sarebbe dovuto alzare presto; perciò andò a letto quasi subito, dopo la telefonata.

Ma non riuscì a addormentarsi; la paura di non svegliarsi in tempo lo teneva sulle spine ed ecco allora i suoi pensieri aggirarsi nella mente.

Ripensò a quel suo ultimo mese in cui si era dovuto sobbarcare quasi solo  l’onere dell’attività,  che gestiva con la madre.

Per via dell’influenza che l’aveva colpita, si era perciò trovato sotto pressione per l’intero periodo della malattia.

Vedendolo, perciò, così stressato ella andò incontro a quel desiderio che il figlio nutriva di raggiungere l’amico almeno per una settimana, quasi poi rimangiarsi la promessa quando si sentì in forze; ma quella determinazione ad attuare quel desiderio, la fece desistere.

Era un modo anche di rendersi autonomo da lei nei suoi movimenti, anzi; sarebbe stata proprio lei a doverlo accompagnare, di buon mattino, alla stazione.

Il biglietto, preacquistato il giorno prima,  era già pronto in tasca.

Quando fu lì, non dovette aspettare a lungo l’arrivo del treno; ed ecco ritrovarsi  solo nello scompartimento.

Seduto accanto al finestrino, Mauro osservava  scorrere le luci dei lampioni che a poco a poco venivano diradandosi; stava uscendo dalla città.

Si lasciò  cullate da quello sferragliare che sentiva sotto di sé mentre il cielo man mano cominciava a far sgocciolare le ombre della notte ridando forma a quelle sagome che facevano tutt’uno con il buio ed ecco vedere i paesi, le case, le chiese con i loro campanili nei loro contorni.

Era immerso nelle sue riflessioni quand’ecco lo scompartimento si aprì ed entrò il controllore a verificare il biglietto, Mauro glielo presentò e, dopo un cenno di cortesia, l’uomo rinchiuse la porta dello scompartimento.

Ma la porta si riaprì cinque minuti dopo, lasciando entrare un passeggero di media età che si accomodò d’altra parte, vicino ad essa; non ci fu nessun cenno di saluto.

Mauro non ci fece caso; era ben consapevole che l’approccio con uno sconosciuto non poteva sortire chissà che se non una forma di indifferenza, e quindi se ne stava tranquillo, continuando a seguire i suoi pensieri, continuando ad immaginare come sarebbe stato  il suo incontro con Piero fra  qualche ora

L’amicizia con lui si era ben cementata nel corso del tempo e, soprattutto, i suoi ricordi ritornarono all’ultimo periodo che gli fece assaporare la diversità di un mondo immerso in una novità che mai avrebbe pensato.

Riandò con la memoria proprio ai giorni della prima visita ad Isola Vicentina.

Dopo l’impatto di quella sera, quei due giorni che ne seguirono furono avvolti dalle novità che l’amico gli faceva vivere.

Ricordava soprattutto la visita che egli gli fece fare ad una anziana maestra in ospedale e che nei discorsi scoperse che era innamorata  della poesia e soprattutto del Pascoli.

Fu una novità che gli fece molto piacere, perché la poesia si era ben radicata in lui proprio attraverso il Pascoli.

Come egli si fosse indirizzato alla poesia, fu forse dettato dall’inconsapevolezza della madre stessa che raccontando, a lui, l’esperienza dei suoi esami scolastici, con enfasi aveva recitato proprio una  poesia del poeta.

Anche lui, guidato da quell’entusiasmo, avrebbe portato, tempo dopo, all’esame una sua poesia; il Pascoli aveva invaso il suo mondo fantastico.

Inconsciamente sorrise a quei ricordi.

I suoi occhi seguirono la monotonia della campagna che, ormai, l’aurora illuminava; il suo sguardo teneva a mente le località in cui il treno si fermava… Era arrivato a Mestre.

Dunque, il viaggio aveva ancora da macinare i suoi chilometri; si rilassò continuando a seguire il filo dei suoi pensieri.

Tranne sporadici episodi, era la prima volta che affrontava da solo un viaggio, per lui, abbastanza lungo; si era buttato allo sbaraglio in quella che si mostrava un’inusuale avventura, avendo una fobia di viaggiare senza qualche conoscente a fianco.

Sapendo, però, che l’amico era pronto ad accoglierlo all’arrivo, non si dette pena di trovarsi in una situazione così singolare essendo, per natura, ansioso.

Non era la prima volta che si apprestava a vedere Firenze; la prima delle occasioni di vederla si presentò allorché al ritorno dal Giubileo a Roma, i pellegrini avevano strappato all’autista del pullman la promessa di una deviazione, non essendo la città inserita nel programma.

Fu una visita mordi e fuggi; ma da piazzale Michelangelo, egli si era goduto un panorama che lo aveva veramente estasiato.

L’anno dopo, proprio con Piero, era ritornato, rifacendo quasi lo stesso itinerario della prima volta, ma in automobile.

Ed ecco, per la terza volta, rivedere Firenze.

In quel momento, puntualmente alle dieci, si trovò a scendere alla stazione di Santa Maria Novella; scendendo al binario stabilito, non trovò però l’amico ad aspettarlo… Che fare?

Si trovò come un pesce fuori d’acqua; la banchina era deserta.

S’avviò verso l’uscita nella speranza di incontrarlo lungo il percorso.

Si decise, perciò, a fare un giro nelle vicinanze della stazione, spiandone i volti fra la gente; ma di Piero, nessuna ombra: “ Che fare? “, si domandò di nuovo.

Si risolse a prendere un taxi: “ Dovrei andare a Bivigliano… “.

“ Bene… Salga pure “, rispose il taxista dopo aver sistemato la valigia.

Durante il tragitto, però, a Mauro venne un sospetto che lo disorientò; perché aveva detto Bivigliano?

La spiegazione la trovò nella telefonata della sera innanzi: “ Bene… “, aveva detto Piero “ Io scendo a Firenze con la corriera, poi al ritorno, sempre in corriera, ci fermiamo a Bivigliano dove un confratello ci aspetta con l’auto per salire a Monte Senario “.

Si rivolse al taxista: “ Senta; io dovrei andare, precisamente, a Monte Senario “.

“ Non c’è problema; siamo sulla strada “.

Mauro diede un sospiro di sollievo.

                                                                            ……

Il convento lo accolse con la solennità di quel silenzio che la natura poteva offrire; il posto era veramente un luogo di meditazione.

Il complesso della struttura si ergeva compatto; una scalinata conduceva alla portineria  e lì Mauro suonò la campanella, ma lo fece piano quasi pensando che la sua venuta fosse di disturbo e l’assalì quella timidezza che già la prima volta provò a Isola Vicentina.

Pensò di suonare nuovamente credendo non avessero sentito, ma il frate portinaio era pronto ad accoglierlo.

“ Sono l’amico di Piero “, disse.

Il frate sorrise e lo fece entrare: “ Sapevo che doveva scendere a Firenze a prendere un amico…”.

Mauro sorrise a sua volta: “… Sì, sono io quello; pensavo di trovarlo alla stazione, ma lui non c’era e così ho preso un taxi “.

“ Sarà costato caro “, continuò il frate “, facendolo accomodare.

“ A dire il vero mi ha fatto lo sconto, perché buona parte del denaro lo avevo in valigia e per non farmela aprire, ha lasciato correre “.

Il frate lo lasciò tranquillo, dovendo sbrigare altre mansioni; ogni tanto, però, veniva controllare la situazione ed ecco arrivare una telefonata.

“ Sì, è qui… “, rispose il frate.

Passò così quasi più di mezzora quando s’incontrarono; come Mauro durante il tragitto aveva dato un sospiro di sollievo nel dare al taxista la direzione giusta, così Piero diede un sospiro di sollievo, vedendolo lì.

“ Cosa è successo? “, chiese Mauro.

“ Un disguido mi ha fatto arrivare tardi, ma pensavo di trovarti per tempo; quando però sono arrivato, non ho trovato nessuno. Preoccupato, ho telefonato anche a tua madre e  mi ha detto che ti aveva accompagnato lei stessa alla stazione “.

Risero tutti e due di fronte a quel qui pro quo; poi Piero prese in consegna Mauro.

Quaderno intimo     ( appunti e riflessioni di Maurizio Basso di Udine )

 

1 ( Introduzione) “ Al fuoco! Al fuoco!”, gridava disperatamente il pagliaccio mentre attorno a lui tutti ridevano credendo fosse, la sua, solo una battuta.

Kierkegaard

 

2 ( Sogno )

Quella notte il fanciullo sognò un uomo, mutilo di una gamba, che si avventurava lungo una strada deserta.

Si aiutava con un paio di stampelle, ma pur avendo un simile supporto non riusciva a coordinare i movimenti e sembrava vacillare ad ogni momento.

Chi fosse, lo ignorava.

 

3 Fa paura il silenzio nella solitudine di una stanza; scambieremmo molto volentieri il valore del suo metallo con uno meno nobile. La parola ci consola, ci illude di farci sentire meno soli, ma ci distrae dalla nostra interiorità.

 

4 Insorge una forma di pudore a confessarsi malati e la solitudine, mai come in questi casi, rimane l’unica depositaria dei propri disagi. Ognuno, infatti, si rifugia fra le sue braccia cercando un silenzioso conforto. Non ci si vergogna di mostrare a lei le lacrime in quanto ella solamente è in grado di lenire e medicare quelle ferite che dentro bruciano.

 

5 Ciò che è rotto rimane rotto anche se il tentativo di aggiustare le cose sia lodevole, ma i segni di una cosa rotta non si possono cancellare.

 

6 Al cammino chiassoso che noi facciamo, c’è né un altro che ci affianca silenzioso, che ci conduce fra luci ed ombre ad una méta che solo la fede fa intravedere.

 

7 Ad un destino comune, c’è né uno individuale come ogni stella che in cielo brilla.

 

8 Perché ricordarti ancora? Ben pochi sono i ricordi che a te mi legano. Eppure, direi che bastino per far agitare in me, ancora oggi, quei sentimenti oscuri che si aggirano tormentosi fra i miei pensieri.

 

9 Dice in proposito uno scrittore ( e come non dare a lui ragione?) che chi muore in realtà entra nel mondo dell’essere e che a morire è piuttosto l’altro che rimane in quanto la persona morta continuerebbe ad essere come angoscia dentro di lui. Ed è appunto quest’angoscia di te che mi impedisce di fugare le ombre e che mi procura una specie d’infermità che staziona nei miei pensieri; una paralisi dell’anima.

 

10 Fra tante cose che mi spingono a riflettere sulle cause che portano al fallimento, c’è né una in particolare che attira la mia attenzione e cioè che il fallimento più grande si verifica allorchè in noi il cuore tace.

 

11 Noi siamo debitori verso gli altri più di quanto vogliamo arrogarci il credito.

 

12 Offendendo una persona, si offende di riflesso anche colui a cui questa persona è legata, (e a cui a nostra volta siamo legati, in virtù di quello stesso intimo legame), poiché con il disprezzo verso l’una disprezziamo anche i sentimenti dell’altra.

 

13 Il problema non è di quanto tu sappia dare d’altro, quanto di te; quello che è d’altro è solo un riflesso di te, ma non sei tu.

 

14 Lo stadio dell’innocenza si esaurisce assai presto ed eccoci ad un tratto fuori da quel luogo che più d’altro ci era stato promesso. Ecco chiudersi il cancello alle nostre spalle.

 

15 Eppure c’è un’isola in cui sembra risuonare incessantemente un sentimento. Qualcuno la definirebbe l’isola che non c’è; ma   quell’isola è dentro di noi, è il posto del fanciullo eterno la cui voce sembra risuonare al di là del tempo.

 

16 “ Per il modo che ho avuto di conoscerlo durante la settimana, mi è sembrato un silenzioso invadente”.

Per un momento ne rimasi sconcertato; l’anima del fanciullo parve scoperta e non potei, nell’udire quelle parole, fare a meno di lasciar volare la memoria a quell’angusto cortile dove s’aggirava la sua anima zingaresca, fra quelle case che parevano stringersi l’una all’altra quasi fosse un atto di protezione.

Ma con quell’atto esse ne venivano a restringere il cielo; una porzione di cielo su un cortile che ne voleva intrappolare la sua infinità e ben poco poteva il sole per scaldare quelle case assetate di calore.

Lì, l’anima del fanciullo pareva dare spazio alla sua fantasia, volando con essa più in alto possibile a catturare qualche raggio.

E quando ciò non bastava, eccolo intruffolarsi in nidi altrui a rubare qualcosa di luccicante, qualche sorriso di benevolenza che riscaldasse la sua solitudine fino al momento in cui, nel buio della sera, una voce non lo riconduceva al suo nido dove un fuoco, acceso in fretta e furia, cercava di recuperare quel tepore che era mancato per l’intera giornata.

 

17 La vera amicizia fa capo ad una responsabilità morale, ad un’etica nel cui rispetto l’uno si apre all’altro.

 

18 Non c’è maggior danno di chi, con la propria ignoranza, pretenda di fare il bene altrui.

 

19 ( Sogno )

Sognai due persone in divisa che vennero ad arrestare mio padre, essendo lui accusato di aver ucciso qualcuno.

Io, intervenendo ad impedire il suo arresto perché sicuro della sua innocenza, rivelo che non lui, ma mia madre è colpevole.

Su questa precisa dichiarazione lo rilasciarono mentre arrestarono lei al suo posto.

Ma prima che ella esca di scena, si avvenuta su di me inveendomi con una sequela di maledizioni. A questo punto la scena cambiò, ritrovandomi con mio padre in una delle tante e indefinibili bettole che era d’’uso a frequentare: “ Cosa vuoi bere?”, mi chiese e io risposi che avrei bevuto volentieri un’aranciata.

Apparivo ancora scosso per l’episodio accaduto, ma egli era subito pronto a rincuorarmi dicendo che non potevo tacere e invitandomi altresì a non nascondermi soggiunse: “Cerca d’essere quello che sei “.

Mentre m’esortava in tal senso, volgendo lo sguardo nell’ambiente riconobbi fra le persone una in particolare che aveva la peculiarità di chiamarsi Fides.

 

20 Nessuno può dirsi innocente, senza che una piccola macchia venga ad evidenziare la presunzione d’essere tali.

 

21 Le ferite dell’anima non sono date dall’adolescenza o dall’età adulta, ma sono legate all’infanzia.

 

22 Noi ci muoviamo nella luce, ma non possiamo fissarne la fonte senza rischiare la cecità.

 

23 La maturità vera sta in quell’amore che nulla chiede in cambio.

 

24 Non c’è vera maternità o vera paternità senza vero assenso poiché questo è il vincolo indissolubile verso il terzo.

 

25 Nella propria meschinità si tende a dimenticare i torti fatti agli altri, non avremmo, infatti, abbastanza spazio per ricordare quegli subiti.

 

26 L’uomo è in sé la casa dove l’essere prende dimora. Eppure, egli avendo le chiavi d’accesso per abitarla, si trova a smarrirsi e con ciò a confondersi con l’intero mazzo di chiavi esteriori.

 

27 L’amante, come vuole per sé l’amato in maniera esclusiva, così l’arte s’impossessa dello spirito nella sua pienezza.

 

28 Ogni nascita è lo strappo al nulla nella luce abbagliante dell’essere.

 

29 La malizia penetra nella vulnerabilità dell’essere che noi siamo in maniera tale da scatenare la tempesta delle insinuazioni, tanto che alla fine ci perdiamo, a causa di questa, in un inferno da cui non sappiamo tirarci fuori.

 

30 Reclamiamo giustizia per i torti subiti, ma siamo giusti noi? Non nascondiamo forse a noi stessi i nostri torti?

 

31 Nessuno fa niente per niente e nessuno è tanto generoso senza aspettarsi un minimo di tornaconto. Non c’è nessuno che dopo aver dato non venga a bussare alla tua porta seppure chiedendo solo un favore che non sia già un vantaggio.

 

32 Mai giudicare gli altri che già tu non venga a dover rispondere del tuo giudizio.

 

33 Non la natura o altro deve essere chiamato in causa al nostro male, ma è il cuore dell’uomo che è chiamato a rispondere.

 

34 Vi è in ognuno una forma di miseria dello spirito da cui è difficile venirne fuori senza che vi sia   volontà di farlo, in quanto ci appaiono più cari i nostri vizi che non le virtù; più inclini a perdonarci in questi, piuttosto che crescere nella severità delle altre.

 

35 Scavare in sé per partorire una verità, significa prendere il bisturi e incidere laddove il male impedisce di vedere in essa la luce. La verità quanto la sincerità, ci pone in un continuo travaglio.

 

36 Prima di educare un altro, ogni uomo dovrebbe saper educare se stesso. Dovrebbe guardare i suoi errori senza però vergognarsi d’averli fatti, ma prendere lo spunto per correggersi.

 

37 Il più delle volte noi cerchiamo di realizzare ciò che è meno faticoso, ciò che può conciliarsi con la nostra pigrizia mentale.

 

38 E’ più facile curare il corpo che non l’anima.

 

39 Seppure povero nel suo concetto d’amore, è nell’esperienza dell’aver ricevuto che noi possiamo a nostra volta donare. Ma se uno non ha ricevuto amore, che può dare?

 

40 Che sia lodevole o meno che l’uomo voglia rivestire gli animali della sua umanità, non lo so. Ma so di certo che gli animali rivelano a lui la sua bestialità.

 

41 La morte fa paura perché noi conosciamo solo questa realtà; gli estremi della vita ci sono ignoti.

 

42 Ognuno muore per com’è vissuto, lasciando di sé il ricordo che lascia e quello che egli lascia può riservare molte sorprese in quanto per una persona a cui si è fatto del bene, c’è sempre da qualche parte un’altra a cui si è fatto del male.

 

43 La vera maestà dello spirito non mette soggezione, respira in noi, fa respirare le cose.

 

44 Si vive un mondo caotico di immagini e informazioni, di emozioni violente e di assuefazioni, ci si sente   prigionieri, schiavizzati da un condizionamento che vuole sfruttare tutto ciò che è possibile sfruttare dell’uomo, spogliandolo della sua umanità.

 

45 Sete d’infinito – Guardo la sera vestire le cose di un unico colore. Guardo il cielo stellato e il pensiero d’infiniti mondi mi lascia senza parole; stupore e meraviglia prendono possesso di me, di un animo che non sa se non contemplare fra quelle lacrime segrete che si nascondono nel fondo di esso.

 

46 Con la preghiera del “Padre nostro”, Gesù ci reintrodotti nella sfera dell’essere, da cui uscimmo.

 

47 Paternità – C’è chi non ha conosciuto un padre ed è diventato padre. C’è chi ha conosciuto un padre e da questo ignorato. C’è chi ha avuto un padre che, per nascondere la propria incapacità, si è irrigidito nella sua ignoranza. Infine, c’è chi desiderava diventare padre e non ha potuto

 

48 Ognuno vive in sé il suo dolore.

 

49 La sofferenza che agita il mio spirito, mi permette di vedere solo le luci lontane della notte, la luce del giorno mi ferisce gli occhi.

 

50 Il rimorso è come quella malattia di cui si conosce la diagnosi, ma non esistono medicine che la possano curare.

 

51 Ognuno è per quello che è in base alla famiglia, all’educazione, ai sentimenti, ai rapporti, alla cultura. Tutto questo è il risultato di un frutto che può essere gustato dagli altri. Ma si può anche essere lasciati in disparte se questo frutto è acerbo. L’acerbità è un sapore gradito a pochi.

 

52 Si vive oggi un mondo di valori virtuali e di violenze reali.

 

53 La maleducazione è una cosa così congenita tanto da diventare una normalità; normalità per chi la compie e non per chi la subisce… ma essendo ognuno in balia fra l’uno e l’altro stato, si può dire che l’anormalità della maleducazione è normalità.

 

54 Parabola e vita – Il cattivo lavoro del giardiniere fa sì che il terreno incolto soffochi quel seme caduto fra i rovi.

 

55 Letture 1 – Penso sia buona abitudine tenere vicini i libri che hanno dato all’intelletto modo di cercare la via di un approfondimento o di una consolazione.

 

56 Letture 2 – A ben pochi autori ho accordato la mia gratitudine.

 

57 Famiglia – Se nella famiglia viene a mancare l’unione, l’assenza dell’uno procura l’assenza dell’altro verso chi gli cerca.

 

58 Oh, come l’ambiguità dei rapporti fa sì che ognuno occulti la sua coscienza.

 

59 Quanto con le parole si è bravi medici per gli altri, ma mai, con l’opera, per se stessi.

 

60 La severità non è mai ben accetta perché ci lega ai propri obblighi morali.

 

61 Quando si dona agli altri, non si fa altro che restituire quello che non ci appartiene.

 

62 Cosa c’è di peggio se non la solitudine dell’anima? Neppure un raggio di sole ha tanto potere di rischiarare questa prigione oscura.

 

63 Se proprio non puoi fare a meno del giudizio, non giudicare da quello che viene detto; sospendi il fatto e giudica la tua coscienza.

 

64 Luoghi – Il tempo distrugge i vecchi nidi e a questi, altri nuovi se ne costruiscono altrove, ma in ogni caso essi si portano dietro i segni della precarietà: infanzia, adolescenza, maturità, senescenza, nidi mai uguali a loro; i mobili di una casa non vanno mai bene per l’altra. Eppure, non si può fare a meno di inserirli nella nuova casa, magari stringendoli un poco fra loro. Ecco, i propri ricordi sono proprio come questi mobili, quelli che non possono starci, sono relegati nella soffitta dell’oblio.

 

65 Il labirinto confonde i passi di chi vi entra, facendolo andare avanti e indietro; lo illude e lo inganna se in lui la fede di uscirne non lo sorregga.

 

66 Nella vita non si deve stupire gli altri per quelle che sono le proprie potenzialità, ma ci si deve stupire di se stessi, nell’umiltà, per quelle potenzialità che ci sono date; diverso è, infatti, il cammino e diverso il risultato.

 

67 E’ detto: “Non c’è pane senza libertà e non c’è libertà senza pane.

 

68 Si onorano i morti quando il cadavere è ancora caldo, poi la terra raffredda la memoria.

 

69 Il dolore è una medicina amara, ma salutare.

 

70 E’ difficile confessarsi per quello che si è.

 

71 Essendo impossibile sapere tutto, ecco che la cultura diventa lo strumento per il buon uso di ciò che si è appreso.

 

72 Tu fai del mio passato l’humus del mio presente e su questo terreno ogni ricordo e ogni pensiero rivela, Signore, la tua presenza.

 

73 Non esistono amici potenti poiché i potenti non amano avere amici. Possono essere bravi manipolatori, possono avere una grande dialettica, ma dietro ci sta sempre l’ombra della propria miseria. Questi potenti hanno sempre da nascondersi a qualcuno: a se stessi.

 

74 Capire gli uomini? Una follia! Più si cercherà di capirli e meno si starà in pace con se stessi.

 

75 La vita è quell’attività che si svolge su un immenso palcoscenico dove ognuno va recitando la sua parte. Ma solo fra le quinte, lontano dagli sguardi indiscreti, le lacrime mostrano la loro essenza. Lontano dagli sguardi, infatti, il dramma è spoglio di ogni sublimazione; esso rimane nella sua nudità. Impossibile rivestirlo. Le parole mostrano le sfilacciature per cui nulla potrà mai ricoprire l’essere. Al di là del ruolo rimane l’uomo ( e la donna). Solo la morte mette fine al dramma.

 

76 Io credo che quando un poeta filosofa diventi il poeta dell’essere, intuisce qualcosa, ma non vuole scalfire il pensiero. Se poi è teologo, il suo cuore si confessa in ogni sua speranza. Se infine si getta nella lotta politica, abbraccia la giustizia come suo vessillo. Oh, diventa pericoloso il poeta quando denuncia, tanto che, spesso, questo suo coraggioso esporsi gli procura la via dell’esilio.

 

77 C’è una piaga in me che mi fa esclamare: “ Chi non sa dare di sé, non sia causa d’altre infelicità mettendo figli al mondo”.

 

78 Ci sono due categorie d’ignoranti. La prima è composta da persone che indagando dentro di sé scoprono l’abisso della propria ignoranza e, per tale, cercano di capire con umiltà. La seconda è composta da individui che non sanno d’essere ignoranti. Quest’ultima è molto pericolosa poiché i danni che ne crea sono enormi.

 

79 Si reclama giustizia, ma spesso avendola avuta non vi s’include il perdono.

 

80 Ebbi a sentire un pensiero detto da altri, che mi fece riflettere sul senso della vita: La sofferenza è la camera oscura dell’essere.

 

81 Anche il nido più brutto che possa esserci è sempre il luogo di una libertà; lì, mai nessuno potrà oscurare la luce degli affetti.

 

82 Chi fugge ha sempre torto.

 

83 Nel proprio contesto ognuno è autore della propria storia; storia che si intreccia, storia che confluisce in un quadro più grande, ma che tuttavia rimane per sé unica. E proprio per la sua unicità, rimane isolata.

 

84 E’ sempre difficile confessarsi per quello che si è. Noi vediamo il nemico al di fuori di noi quando invece è dentro di noi.

 

85 Nella propria insopportabilità, tutti fingiamo il nostro male.

 

86 Chi non sa ascoltare il silenzio, non sa neppure ascoltare la parola.

 

87 Non c’è vera guarigione se non vi è intenzione a guarire.

 

88 L’età setaccia nell’uomo il grezzo che sta nel fanciullo, ne raffina la concezione del mondo; ma nel fare questo, con il grezzo a volte rischia di buttare via quel rapporto di spontaneità che sta alla base della conoscenza e il conoscere dell’uomo si tramuta in freddo calcolo.

 

89 Noi ci creiamo uno schema mentale della persona che ci sta di fronte, giudicando secondo le impressioni che ne ricaviamo. E’ questo il cosiddetto gioco degli specchi in cui sostituiamo con l’ipotetico immaginario la realtà che è in noi, attribuendo all’altro quello che di noi vogliamo accogliere o respingere. Ponendo in noi questo sistema, esuliamo dal fatto di dover scrutare il fondo della propria coscienza.

 

90 Un albero non può dare un frutto diverso dal suo seme.

 

91 La conoscenza innalza lo spirito; ma se questo non è ben guidato… Si dice che Lucifero fosse il più bello degli angeli.

 

92 Il dolore e la maschera. – Ridi finché puoi ridere, ma non rivelare mai il dolore. Il riso sia la spia, la macchina fotografica che, mentre ridi, scruta il volto degli altri. Fatti passare pure per stupido, ma la tua stupidità ha acquisito molto più dagli altri che non quello che gli altri abbiano capito di te. Fatto questo, ritirati nella camera oscura e pensa, poi diffida quando dicono di conoscerti.

 

93 Ognuno è prigioniero della propria infanzia. Le domande dell’adulto hanno lì le sue radici. Il fanciullo annota in sé rapporti e differenze, ma è impossibilitato ad esprimerle trovandosi, in tal modo, a dover subire le azioni degli adulti.

 

94 Spesso ciò che si pensa non è conforme a quello che si dice.

 

95 Ancora sulla paternità – Il mistero è uscito da te per andare a fecondare il mistero della maternità, a rendere visibile l’invisibile.

 

96 La malinconia, non mi permette di avere molti amici, già è tanto qualche sporadica conoscenza.

 

97 Nessuno ti insegna ad essere padre e questo è vero; ma ognuno è stato figlio, quel figlio che il fanciullo incamminò verso la maturità, poiché non c’è maturità senza fanciullezza.

 

98 Infermità della scrittura – Il rapporto che ho con la scrittura è una forma di amore-odio poiché i pensieri vengono impediti di modellarsi per rendere al concetto duttilità d’espressione. Ecco che già uno è in transito e subito un altro lo incalza, lo spinge oltre. Mi sono costretto, in tal modo, a cercare l’essenziale pur volendo dare ad esso ciò che è un gioiello per una donna.

 

99 Anche fra le menti più eccelse non c’è uomo che non abbia in sé il suo abisso, anzi. Forse più in loro che in altri.

 

100 La nostra difficoltà maggiore sta nel mettersi davanti ad uno specchio e dire: “ Quello sono io”. Lo specchio diventa così il complice delle nostre apparenze e gli stessi pensieri si rifugiano lì rimanendo nascosti a qualsiasi intenzione di conoscersi.

 

101 Il senso della vita – Ci si affianca, si percorre un tratto di strada insieme, poi… Poi ci si ritrova di nuovo soli e in questa solitudine ecco la memoria aprirsi ad una serie di fotogrammi, a ricordi che ci aiutano a superare gli ostacoli. Quanti volti, quanti nomi, quanti cuori abbiamo conosciuto? Ma conoscendoli, abbiamo poi riconosciuto in noi il nostro cuore? Quanti perché ci hanno posto il loro incontro? E quanti simili perché ci hanno fatto scendere alla radice, al fondo di esso?

 

102 Guardo il cielo mentre la notte estiva mi offre il suo spettacolo e lo spettacolo che mi offre è immenso. Eppure in me s’invola un pensiero quasi a voler raggiungere quelle stelle per riempire il senso di vuoto che par calarsi dentro di me. Lì il grande silenzio, il deserto a cui ognuno volge il suo sguardo affascinato. Lì, lo sguardo volge la sua avventura e la sua fantasia; ed ecco ad un tratto, per tanta arditezza, dinnanzi a quei misteriosi mondi farmisi piccolo stringendomi, così, a questo punto pur esso sospeso nell’universo. Ci si sgomita, quaggiù; ci si sta stretti…

 

103 Paternità?

Mentre sto riflettendo sull’impegnativo ruolo della paternità, ancora mi rimbombano nella mente le parole di delusione di quel padre che disse al figlio: “ Non ti capisco e non ti voglio capire”.

Parole che fanno il vuoto attorno; che uccidono.

Egli vuole affermare le sue verità che, in realtà, altro non sono che mezze giustificazioni per ribadire di non aver sbagliato: “ Ti ho dato tutto quello che potevo darti”.

Questa affermazione ha un che di ricatto: “ Mi sono sacrificato affinché non ti mancasse nulla. Mi sono ammazzato di lavoro per darti il superfluo”.

Ecco il punto di distacco… Lavorare oltre la necessità per il superfluo; significa delegare il senso della vita, farsi perdonare qualcosa che non si sa dare.

Ma il superfluo distoglie senza appagare, riempie l’apparenza ma non il vuoto e alla fine non ci s’accorge che dopo aver negato il proprio cuore all’altro, ne facciamo del suo un luogo di terra bruciata.

Si pensa di essere nel giusto quando si rivendicano i propri sforzi, ma in realtà ognuno è debitore verso l’altro più di quanto voglia arrogarsi il credito.

E’ un debito che si spinge al di là delle considerazioni di dare e avere, del diritto di porsi automaticamente su un piano superiore, senza però saper equilibrare quelle dissonanze che vengono a procurare il divario.

Spesso, nella cecità dei ruolo, si vuol prendere le verità quali testimoni delle intenzioni che lì si riversano; ma il più delle volte si testimonia il falso che è dato dall’abitudine, dell’ovvietà del modo di vivere.

Tutto è scontato; così è e così deve andare. I gesti e le parole declinano nell’usura delle abitudini, addormentando la mente.

Ma il figlio ha bisogno di quei gesti, di quelle parole e quindi per comprendere cosa sia la paternità bisognerebbe riproporsi in quello che il padre, allora, fu come figlio.

Per fare questo, però, bisognerebbe avere l’arditezza di porre la mano fra i rovi, affrontare le spine per salvare dall’asfissia quel fiore seminato a suo tempo.

Sì, la sofferenza dovrebbe, secondo una logica d’amore, far nascere qualcosa di nuovo.

Ma purtroppo ci si porta dietro quella che è l’anima malata del fanciullo e lì ci si perde poiché la sorda rabbia dei risentimenti mette scompiglio nel rivelarsi a se stessi e capire dove sta l’errore.

Si rimane soli, orfani di qualcosa che fa tirar su il ponte levatoio di quel castello adornato a suo tempo, riducendolo ad un rudere, isolandosi con le proprie paure, con le proprie sofferenze, nell’assurda pretesa di vedere un tradimento che sta a valle, quando invece lo è a monte.

 

104 Il tempo cancella i torti per chi gli fa, ma non per chi gli riceve.

 

105 La nostra libertà sembra ristretta alla facoltà di come farci del male.

 

106 Nessuno vorrebbe sentirsi dire cattivo, ne andrebbe della propria reputazione. Ci si limita a generalizzare la cattiveria in quanto è più facile nascondersi.

 

107 La maturità la si può trovare solo nella pienezza dell’essere.

 

108 Se avessi avuto un figlio e avessi dovuto lasciare a lui un’eredità, gli avrei consegnato la malinconia di un clown dicendogli di far buon uso della maschera.

 

109 L’amore umano è condizionato dalle circostanze che a malapena riesce ad illuminare la metà dell’essere, lasciando l’altra metà nell’ombra.

 

110 Educazione rigida, educazione morbida, educazione saltuaria, educazione assente…

 

111 Meglio essere nemico a qualcuno piuttosto che essere nemico di se stesso.

 

112 … la parola si fa silenzio.

 

113 Ed ecco succedere che quel posto in cui ci si sentiva sicuri, non esista più poiché, nel frattempo, tutto è cambiato. Non si sa più orientarsi nemmeno lì. Si va alla ricerca senza sapere bene cosa e dove cercare. Sì, la scena della vita è mutevole, nulla mai può rimanere se non il frutto di un’illusione, consumata nella lontananza e nella solitudine.

 

114 Uno psicologo sa di partenza che non potrà mai entrare appieno nella mente di chi gli viene ad esporre i suoi problemi, anzi; non vi potrà mai entrare. Il retroterra d’ognuno è un sentiero irto di situazioni che impediscono spesso il risanamento delle fratture, in quanto le ferite sono troppo profonde.

 

115 Il grande peccato nei confronti della vita è quello di far addormentare la mente, indurendo in tal modo il cuore

 

116 Non quanto, ma in che modo si vive; questo è il segreto della vita.

 

117 E’ nella sua intensità, non nella sua estensione, che la vita svela la sua essenza.

 

118 Quanto dura la vita di un fiore? Quanto dura la vita di una farfalla? Una frazione di tempo e in questa frazione, profumo e leggerezza si assommano alla bellezza che loro riservano alla vista di chi sa contemplare meraviglie e misteri dell’esistenza.

 

119 Alle radici del dolore

 

120 Su cui si giurerà, sarà sempre il denaro e mai la causa; il denaro dà tutte le possibilità che l’uomo chiede. E’ al centro di una certa padronanza a cui non ci si può sottrarre. Non darà certo la felicità, ma tiene in costante pressione di essere posseduto.

 

121 Per ponderosi che possano essere i libri che l’uomo scrive, essi non saranno altro che fogli strappati al libro immenso della natura o a quello dello spirito.

 

122 Parlare, parlare… e ancora parlare per non far capire nulla a chi ascolta. A questo, si riduce ormai il dialogo; un parlarsi addosso ubriacante.

 

123 Nell’imitare gli altri, spesso ne imitiamo il peggio.

 

124 La giovinezza sembra volersi impadronire del mondo.

 

125 Se i ricordi più teneri appartengono alla fanciullezza, i ricordi più forti appartengono alla giovinezza; la giovinezza è un fuoco che arde e che brucia per le passioni.

 

 

126 Sembra che la morte abbia voluto giocare con me attraverso la sua ironia.

 

127 “ C’è più poesia al mondo, di quanto si possa credere “( Frase detta dal protagonista di “Anonimo veneziano”), ed è, forse, proprio questa, che mi ha salvato.

 

128 La poesia come catarsi. Scoprire nella poesia ciò che svincola dall’ordinarietà del mondo, pur rimanendo nella realtà del mondo.

 

 

129 Si papà, quel fanciullo, con la poesia, ha voluto scrivere dentro di me il suo testamento.

 

 

130 Da qui, il sogno scaturì con la sua ambiguità.

 

 

131 Più ci si allontana e più si perde il riferimento, e più ancora si perde il rapporto con il centro.

 

132 Quando una persona può ritenersi matura? Cos’è la maturità? La maturità è la consapevolezza di non essere mai maturo.

 

 

133 Il dissolvimento della maturità nella morte.

 

 

134 L’amore umano sfugge spesso i suoi obblighi, spegnendosi.

 

 

135 Nessun amore umano si può considerare eterno, nonostante che lo si prometta.

 

136 La paura di scavare in se stessi, è dovuta, forse, alla paura di trovare il nulla. Scavare, in questo senso, significa partorire; la donna, oggettivamente in quanto la natura l’ha preposta, insegna cosa significhi partorire e con la maternità, gestisce la sua oggettività, più di quanto l’uomo sappia gestire la sua essenza. L’uomo non può provare il dolore del parto e, di conseguenza, ignora oggettivamente; ma nella sua essenza, soffre la sua non possibilità, può essere vicino alla donna, ma mai in grado di afferrare quell’esperienza e, in questo, la natura ha reso la donna superiore.

 

137 Nulla può la ragione, da sola; ma senza la ragione, lo spirito dorme e ogni contemplazione è vuota.

 

138 Entrare nella maggiore età non significa maturità, ma intraprendere il sentiero della maturità; la maturità, ognuno la conquista per sé, nel rapporto che ha saputo costruire.

 

 

139 Separazione > distacco.

 

 

140 La vita è un susseguirsi di separazioni e ogni separazione ha in sé il suo trauma.

 

 

141 La separazione è già una forma di morte.

 

142 Alla sera, è sospesa la mano che sostiene la penna, quasi a non voler rubare la scena al fanciullo; ogni segno tracciato, ogni parola che la penna vuole imprimere sul foglio, sembra violare un segreto.

 

143 Il segreto della vita si risolve nella formula: “Vivi e ama”, poiché amando si scopre, e se una cosa ti reca dolore, un’altra ti viene a consolare.

 

 

144 Le lacrime lavano le impurità del cuore.

 

145 La maturità, la si contempla nel distacco; quindi al di sopra delle nebbie e non al di sotto di essa, è nel suo dissolversi e nella purezza dello sguardo che si coglie la maturità come ultimo atto. (Riflessione in merito ad un dipinto).

 

146 Può il silenzio essere una forma di violenza? Dove c’è il dialogo, il silenzio respira le sue pause; ma dove il dialogo manca, esso diventa violenza.

 

147 La violenza è una forma di morte che s’infligge all’altro, e con la violenza lo si denuda del suo essere; accade, perciò che la vittima, in tal modo, si isola e più che ad agire pensa a difendersi con l’ostilità verso il mondo.

 

148 Esistenzialmente inabissati in un corpo, la parola “ essere ” cerca d’inseguire quel vuoto di coscienza, cercando di recuperarla in qualsiasi modo.

 

149 Chi sono? Questa domanda può apparire oziosa per la superficialità che spesso poniamo alla propria persona credendo di conoscersi; ma ci si conosce davvero?

 

150 In una frazione di tempo, come un lampo, s’accende la coscienza; in questo spazio, l’ironia della morte.

 

151 La scoperta di Dio – Se io soffro, Dio esiste. Nel formulare questo, non v’era nessun suggerimento esterno che me lo indicasse, anzi; tutto indicava il contrario e tutto sembrava doversi esaurire nell’assurdo. Ma   nella piena coscienza, la ragione, ne mostrava la sua opposizione: “Perché soffrire…”, mi chiedevo “ in uno spazio di tempo alquanto breve, per poi essere risucchiato dal nulla?”.

 

152 Per quale motivo io dovrei esistere in questo modo, per dopo dover morire senza aver avuto la possibilità di godere la vita? Ma ecco che subito un’altra domanda sembra voler ingaggiare una lotta con la prima: “Cosa significa   godere la vita?”.

 

153 Anche l’uomo più disperato s’aggrappa a qualsiasi relitto trovi, qualsiasi sia il suo nome; vizio o virtù che esso sia.

 

 

154 Non ci si accetta, perché è difficile accettare la parte negativa che ci ferisce.

 

156 Sono cambiato, nel tempo, nel mio modo d’essere maturo, o è solo, questo, un’acquisizione di circostanze? Forse è la fatica del cammino che fa sentire il peso e ne muta i segni.

 

157 … oppure, più semplicemente, siamo destinati al naufragio?

 

158 Un ricordo del fanciullo – Non era facile entrare nelle simpatie dei grandi; lì, al fanciullo, non era riuscito. La nostalgia di quel suo mondo perduto, non glielo permetteva e lì, ogni rapporto respirava, forse, un’incosciente ostilità. Solo quando si trovava in quell’aula, la sua nostalgia sembrava distendersi lungo quelle pareti, dove la curiosità si dilungava su quei cartelloni appesi quasi a fargli rivivere quel mondo esterno, dove il tempo e la natura si alternavano a suscitare quel rimpianto della sua libertà perduta. Quei cartelloni sembravano vivificarsi sotto il suo sguardo, quasi che una segreta magia fosse giunta apposta affinché potesse continuare a dialogare con quei posti che si era portato dietro nei ricordi. Sui cartelloni appesi alle pareti, egli faceva rivivere tutto ciò che il mondo esterno continuava a scandire; il giorno, le stagioni, i mesi, tutto concorreva a far si che la nostalgia si dissetasse attraverso loro.

 

159 Sulla poesia   – Negli anni ho cercato, infatti, infinite volte di disancorarmi dalla poesia, ritenendola semplice frutto di una stagione della mia vita. Invece ha sempre continuato e continua ad abitare le infinite strade delle mie emozioni. Ma da essa un problema sorge ed ecco qui a chiedermi: “Cosa volevo, allora, da lei? Cosa voglio oggi?” Credevo d’aver liquidato la questione ponendo la poesia come limite irrevocabile di un passaggio che si esauriva in se stessa; ma non si può essere poeti per un giorno o per un anno, si è poeti per una vita. Certo, il poeta è un eletto del destino che, nel suo mondo, si confessa in uno stato di grazia, involandosi al di sopra di quell’ordinario comune, trasportandolo e trasfigurandolo in una sfera superiore che lo mette in contatto con la trascendenza. La mia poesia, in questione, era nata per uno scopo che aveva le sue radici nella nostalgia che afferrò il fanciullo dentro di me e dalle emozioni che proprio il fanciullo ha saputo trasmettere all’adulto.

 

160 Sull’eutanasia > Rigidità della religione e tolleranza civile: è giusto che la religione, portata agli estremi, impedisca ad un malato terminale una morte serena sospendendo ogni accanimento terapeutico?

 

161 Religione e laicità – Il laicismo opera la tolleranza nel nome di un’equità di rapporti; ma in nome di questa tolleranza, non s’accorge spesso di cadere nell’intolleranza, creando una forma di equivocità.

 

162 Un ricordo dell’adulto

Da quanto tempo se ne era andato via da lì? Ne erano passati di anni da quando diede un ultimo sguardo a quel posto.

Ora, quel tuffo nel passato, lo stava riempiendo di emozioni; lì, aveva vissuto la seconda parte della fanciullezza, dove più erano evidenti i segni che la vita aveva lasciato sugli ospiti.

Proprio da quella scalinata da cui adolescente, aveva, per l’ultima volta, scrutato l’orizzonte, provò una sensazione di dolce malinconia come un velo sui sentimenti di allora.

Già, come si soleva dire, tanta acqua era passata sotto i ponti; il tempo era trascorso, ma lì, sembrava che proprio il tempo stesse sfogliando, con la voce del vento, quell’album di ricordi che nessuno poteva portare via per sé.

Per sfogliare quelle pagine, infatti, ci si deve presentare di persona e scuotere da esse la polvere dell’oblio, per assaporare quel gusto antico che la memoria rincorre quasi a giocare con i ricordi; ed ecco il ricordo prolungarsi su quel luogo sottostante, quasi portandosi dietro quel vociare di allora.

Scendendo poi quei gradini, ecco che l’immagine di quella Madonna raffigurata nella nicchia sotto la scalinata, aveva catturato di nuovo il suo sguardo; accanto a lei, con il Gesù seduto sulle sue ginocchia, un bambino mutilo di una gamba apriva loro le braccia. In verità, lui non aveva mai fatto caso a quel piccolo particolare della mutilazione, poiché era ben mimetizzato (o così gli appariva) con il resto del mosaico; ma dopo tutti quegli anni, nel rivederlo, aguzzando meglio la vista, non poteva non accorgersi di questo.

Rivisitando quel luogo, comprendeva quanto sfuggano i particolari nella noncuranza di quella frenesia che vola al di sopra di tutto e solo nella quiete del tempo, la memoria si concentra   su quei particolari trascurati allora, cogliendo, in questi, la velatura di quei simboli che ne indicano la ragione del loro essere, e solo in quel momento si era accorto   quanto l’immagine si era adattata allo scopo.

Il suo pensiero si era fermato lì, quasi ipnotizzato da quell’immagine, come se quel bambino che tendeva le braccia fosse lui.

 

163 E’, dunque, l’infanzia solo una stupenda menzogna?

 

164 La vita è guerra e la parola amore viene a complicare l’imbroglio.

 

165 Con beneficio d’inventario, tutto si può imparare dagli altri, ma non l’amore. L’amore nasce nel seno della famiglia; è un fiore che sboccia nella misura in cui l’amore si slancia verso l’altro, dimenticandosi.

 

166 Si dimentica che anche i figli possono dare delle grandi lezioni; dimentichiamo che, vedendo con i loro occhi, spesso vedono quello che sfugge all’adulto.

 

167 L’amore percepisce ogni ben piccolo cenno che si comunica.

 

168 Le parole hanno bisogno del calore perché possano vivere; diversamente esse continuano a vivere il loro inverno.

 

169 Separazione, significa allenarsi alla solitudine, allenarsi a quel distacco che, alla fine, diventa distacco da sé nella morte.

 

170 La madre accetta il figlio per quello che è, e in una simile accettazione spesso passiva non s’accorge di quanto una simile passività ostacoli il figlio nel giungere ad una pienezza, in sé, dell’essere.

 

171 L’ignoranza fa più danni della cattiveria: il cattivo sa dove fermarsi, l’ignorante non sa dove può precipitare.

 

172 Spesso, l’esteriorità soffoca l’interiorità; questo problema viene, così, a creare nella persona una doppia violenza, la prima dall’esterno, la seconda dall’interno: è difficile trovare l’equilibrio, in quanto, voler essere non significa essere.

 

173 Non quanto, ma come si vive; questo, alla fine, il segreto della vita.

 

174 La sofferenza rischia di accecare l’animo e le lacrime rendono nebuloso lo sguardo.

 

175 La sofferenza è un continuo partorire della coscienza.

 

176 La nostalgia vede attraverso gli occhi dell’anima.

 

177 Digiuno d’ogni studio, salvo quella formazione scolastica, da quale punto di partenza avrei dovuto cominciare la mia ricerca? Mi ritornò in mente la lezione di quei cerchi concentrici. La mia ricerca sarebbe dovuta cominciare proprio da me poiché, ad ogni stadio di quell’indagare di quell’andare oltre mi seguiva quel senso di oppressione latente e intuivo che nessuno studio potesse risolvere.

 

178 Se la vita, da me non potevo darmela, qualcuno mi ci doveva pur aver posto in questo contesto.

 

179 Sì, io ho avuto la vita attraverso i genitori, ma loro mi avevano generato non creato; loro, altro, non sono stati che il tramite.

 

180 E’ lui (il fanciullo) che rinfocola in me la nostalgia, rannicchiato in quell’angolo di mondo, ed ecco che la sua voce si scioglie sulle   note di quell’idillio che con i frammenti a sua disposizione, viene a ricomporre quella favola incompiuta.

 

181 Una frase che io ho avuto modo di sentire qualche tempo fa, mi ha sempre messo nella situazione in cui, meno, degli altri, devo giudicare: “Ognuno sa di sé e Dio di tutti.

 

182 Al pari del bambino, anche l’adolescente vide quelle lacrime, ma a differenza del bambino, non ti abbracciò, non poté farlo.

 

183 La vita è quella luce che s’accende e si spegne sullo scenario del nostro cammino.

 

184 Il dolore è la chiave con cui ognuno di noi può aprire o lasciare chiusa la porta della sua esistenza; attraverso questo, noi possiamo aprirsi all’umiltà o chiudersi nell’egoismo superbo, scoprirsi nell’essere o sprofondare nel nulla, accettare l’incontro o abbandonarsi alla disperazione nella solitudine.

 

185 Nell’imitare gli altri, spesso ne imitiamo il peggio.

 

186 Confessare la propria ignoranza.

 

187 Nella libertà, non si può occupare una coscienza che non sia la propria.

 

188 Spesso, l’esteriorità soffoca l’interiorità; quest’ultima, viene così a subire una doppia violenza in quanto l’apparenza sembra rubare all’interiorità quel ruolo per cui essa custodisce l’essere.

 

189 Il segreto della vita non sta tanto in un lungo periodo di essa, quanto di come essa è vissuta.

 

190 Apparenza e conformità

 

191 Nel silenzio, c’è un modo di udire l’altra voce che da te si stacca; basta un suono qualsiasi a far sì che ti richiami e coinvolga in te l’emozione che batte il ritmo di un canto, inudibile alll’altro.

 

192 Al fanciullo fu estraneo ogni tuo pensiero; non conosceva i tuoi entusiasmi, non sapeva in cosa tu credevi. Posso azzardarmi a dire che il rapporto che hai avuto con lui è stato come un rapporto con uno straniero; un estraneo. Sì, con amarezza, posso solo dire che tu mi hai trattato come straniero.

 

193 La guerra che ognuno si trova a dover combattere, è quella che ogni giorno lo conduce a quei rapporti civili delle convenienze e, per quella convenienza offerta, ognuno si pensa in diritto di raggiungere il suo scopo; come poi questo diritto sia invocato, è per ognuno la via oscura della sua coscienza.

 

194 L’amore non lo si teorizza, lo si vive; la ragione lo vuol condurre sui suoi sentieri quasi a voler farne un’anatomia, ma l’amore non ha parti e sezionandolo, lo si uccide.

 

195 Spesso il silenzio può assumere la forma di un tradimento in quanto, proprio dal silenzio, può scaturire una catena di equivoci. Tra il dire e il non dire, infatti, il silenzio s’intrufola nella coscienza dove ai segreti è offerta l’opportunità di gettare via le chiavi per non essere scovati; ma c’è sempre in un simile gesto, di correre il pericolo che qualcuno ritrovi quelle chiavi.

 

196 E’ da come vediamo le cose, che queste prendono luce.

 

197 Ognuno apprende secondo la capacità che la natura gli permette d’apprendere.

 

198 Ogni cosa che io posso pensare, è sempre e solo una proiezione di me stesso.

 

199 La vita ha scopo solo se si vive per qualcuno; per sé, si è solo morti.

 

200 La vanità è una forma d’imbecillità, in cui altro non si trova se non il vuoto.

 

201 Quale bisturi potrà mai eliminare l’egoismo?

 

202 Quello che ho imparato è stato solo quello che mi è stato proposto e non imposto, e quello che la mia curiosità mi ha spinto ad indagare; il resto, è stata tutta fatica inutile.

 

203 Cosa si può trovare di sicuro in questa vita? Nulla è sicuro, nonostante ci s’affatichi a dare alla vita stessa un minimo di sicurezza.

 

204 Molto facilmente si rischia di perdere ciò che con fatica si pensa di aver guadagnato.

 

205 La maturità è un insieme di situazioni, le quali concorrono alla formazione dell’individuo in un processo continuo.

 

206 La consapevolezza è l’indice della maturità, ma non ne è la pienezza.

 

207 La maturità è la discesa al cuore dell’essere.

 

208 Esistenza

Una goccia d’esistenza

è questo mio fuggevole apparire,

che già il suolo arido

se ne vien rubando.

 

209 La violenza è una forma di morte che si infligge all’altro… con la violenza, lo denudiamo del suo essere; la vittima, in tal modo, evita ogni contatto isolandosi.

 

210 Le armi della violenza si esprimono in vari modi, dalla più rozza alla più raffinata.

 

211 Crediamo di conoscersi; ma ci si conosce davvero?

 

212 Le parole, come le emozioni, hanno bisogno del calore perché possano vivere; diversamente, esse continuano a vivere il loro inverno.

 

213 L’uomo, oggi, sta stuprando la natura, come se fosse a stuprare la madre.

 

214 Non la fortuna, ma tu sei nemico a te stesso.

 

215 Le piccole cose, poiché non le vediamo, non le cerchiamo.

 

216 Il sapere è in funzione di ciò che ognuno chiede.

 

217 Da una simile ricchezza di sapere che alla fine ognuno può portarsi dietro, alla morte ( che giunge ) assai poco importa.

 

218 Eloquio della mediocrità > non per merito proprio, l’individuo si trova a possedere le doti che ha.

 

219 Anche una vita mediocre può avere in sé il suo fascino, in virtù di quell’impronta dell’eterno, impressa attraverso quel fanciullo universale che dimora in ognuno.

 

220 Riflessione: che vale conquistare il mondo, se poi perdi la tua anima?

 

221 Ho avuto modo, come non mai era riuscito all’adolescente, di muovermi, di prendere per mano il mio destino.

 

222 Per trovare la libertà, ho dovuto violentare me stesso.

 

223 L’adulto, si era liberato da una sudditanza psicologica, cominciando a dire di no alla madre; lei, aveva ascoltato troppo la voce degli altri, troppo insicura per sentire la sua.

Già, perché spesso, prigionieri della paura e dell’ignoranza, ci si affida agli altri, senza riflettere per sé.

Quel figlio, gli altri lo avevano visto e giudicato per un momento, mentre lei lo aveva vicino da sempre; questa era la colpa che l’adulto le rimproverava, negandole, da allora, quell’intimità del nome che la natura lega nella maternità e chiamandola semplicemente con il nome di battesimo.

 

224 Vidi, in tutto ciò, l’ironia della vita e della morte abbracciarsi nei miei pensieri.

 

225 La madre, accetta il figlio per quello che crede sia, e in questa accettazione passiva non s’accorge degli ostacoli che egli cerca di superare nel modo in cui la propria disposizione gli consente di andare oltre, magari anche cadendo.

 

226 L’approccio comunicativo è tanto naturale, quanto complesso.

 

227 Ciò che l’adulto esprime è in virtù del fanciullo, non dell’adolescente, anche se lui lo crede.

 

228 La comunicazione virtuale

 

229 L’innocenza violata, ossia l’infanzia infetta.

 

230 Il male d’esistere, crea in sé la forma di un’implosione, in quanto l’individuo si mostra nemico a se stesso. E’ un germe in sé, nel non accettare se stesso, ma questa mancata accettazione ha all’esterno i fattori scatenanti.

 

231 Ognuno vede il mondo con i suoi occhi.

 

232 Sembra abitarci una disabilità nell’amore umano.

 

233 Collochiamo l’amore sul gradino più alto, per dopo farlo precipitare nell’abisso dell’egoismo.

 

234 Si ama ciò che più appaga il proprio narcisismo.

 

235 Il vero amore > amando, io cerco di fondermi nell’altro senza alterarlo.

 

236 Solo nell’uomo – amore (Gesù) può esserci la rivelazione del Dio – amore.

 

237 La morte di Cristo ha due facce: da una parte rivela la violenza del peccato dall’altra parte rivela la potenza dell’amore

 

238 La disabilità smaschera le apparenze, rendendo l’uomo nudo.

 

239 In uno sguardo d’amore, è l’altro che mi permette di riflettermi attraverso i suoi occhi, per capire chi, in realtà, io sia; in quello sguardo, vi circola quel frammento d’intimità che svela l’essere.

 

240 Amore volubile della natura umana: è questo a rendere immaturo ogni rapporto.

 

241 Forse è, quello dell’amore, una catena, e per tale, si è insofferenti di fronte ad esso, senza accorgersi, in una simile insofferenza, di cadere in altre catene.

 

242 Nulla soddisfa l’inganno dell’amor proprio; in ogni sua parte, non è mai pago delle apparenze.

 

243 Se Dio non ci fosse, tutto questo non avrebbe senso; la vita sarebbe una grande assurdità.

 

244 Accade che parlare di sé annoi l’ascoltatore, come se quell’io che parla sembra voler invadere la sfera altrui e non ci s’accorge quanto sia disperato, a volte, il tentativo di rompere quel cerchio in cui l’io stesso è costretto a vivere.

 

245 Esplorato un mondo, ecco che l’uomo lo saccheggia d’ogni ricchezza… avido e mai sazio.

 

246 La morte è quel neo nel seno della vita; nulla più di quell’oscuro punto, spaventa l’uomo.

 

247 La guerra della vita che si consuma, è dentro di noi; proprio lì, i conflitti entrano ed escono continuamente.

 

248 Nella libertà, non si può occupare una coscienza che non sia la propria

 

249 Ognuno apprende secondo la capacità che la natura gli permette di apprendere.

 

250 Ognuno è parte di quel prisma in cui, come singolo, viene aggregandosi a quella moltitudine catturata dalla luce dello spirito affinché nell’unità venga riflettendosi

 

251 Spesso l’esteriorità soffoca l’interiorità; è difficile trovare l’equilibrio in quanto voler essere non significa essere.

 

252 Ad ognuno è dato quel dolore che lo accompagni lungo il proprio tragitto affinché possa la sua coscienza partorire il suo spirito.

 

253 L’ignoranza fa più danni della cattiveria: il cattivo sa dove fermarsi, l’ignorante non sa dove può precipitare.

 

254 Nel silenzio tu sei libero, poiché nel silenzio c’è un modo di udire l’altra voce che da te si distacca.

 

255 La nostalgia è il soliloquio dell’anima che tende a trasformare i ricordi attraverso una luce che accarezza il cuore… anche quello più ferito.

 

256 Essendo la donna, per sua natura, più predisposta a sopportare il dolore, ha in questo la sua forza e il suo rifugio.

 

257 Lo sbaglio che spesso si fa, è quello di voler assomigliare all’altro, imitarlo, invadendo un mondo che non si conosce, rendendo in tal modo inabitabile il proprio.

 

258 Ognuno si trova prigioniero del suo carattere.

 

259 Il ricordo è l’alimento che nutre la mente sulla strada della solitudine.

 

260 I luoghi che non sono impregnati della nostra presenza ci sono ignoti.

 

261 Io mi amo nell’altro, ma purtroppo in amore nessuno rinuncia a se stesso.

 

262 In quella camera oscura, il fanciullo vuol regalare all’adolescente la sua nostalgia, che conobbe nel suo intimo esilio, affinché la possa cantare nella sua solitudine.

 

263 Il dolore e la memoria

Viaggiare è il desiderio di conoscere e scoprire le fonti da cui si è appreso per bocca altrui, scoprire l’orizzonte, verificare, confrontare il presente con il passato.

Spesso significa porre in discussione la propria presenza con quella degli altri; vivere il proprio tempo, essere parte della storia, esistere in virtù di un progetto.

Viaggiare, però, può assumere anche un altro aspetto, forse più nascosto per l’intenzione, ma pur sempre un atto da cui si vuol ricevere una risposta; questo modo di viaggiare vuol condurre la persona alla fonte dei suoi perché, alla memoria, alla speranza.

E’ l’impressione che io ebbi allorché mi ritrovai a fare due viaggi singolari per il loro aspetto; erano due, al di là di un cancello, che si ponevano altresì al di là del tempo e dello spazio: un viaggio dentro la coscienza…. Dachau e Lourdes

Le immagini dei due cancelli prestano il fianco ad una provocazione: Quanto può essere lungo il viaggio di una coscienza?

La provocazione assume, qui, tutto il suo peso in quanto ogni uomo è per se stesso un problema che la ragione da sola non è in grado di risolvere.

E’ in questi casi nel silenzio della ragione, che ogni individuo si trova a dover compiere un viaggio nel viaggio, ossia un viaggio dentro di sé, in cui coscienza e ragione si trovano coinvolte.

La storia subisce l’oblio del tempo e la storia di una generazione diventa incomprensibile per la generazione che la segue; la memoria affidata ai libri diventa tiepida, sino ad allontanarsi.

Un immenso fossato divide l’uomo d’oggi da quello di ieri.

La storia, come un fiume limaccioso, travolge l’uomo con la sua irruenza, per ritornare poi nella tranquillità del suo corso, quasi estranea delle conseguenze di cui diventa testimone silenziosa.

A questo punto, la domanda che ci si pone è: Cosa può unire l’uomo d’oggi a quello di ieri?

La risposta che il tempo lascia fuoriuscire da sé è un’eco che mai si spegne; è l’eco della sofferenza.

Fu proprio dietro ad uno di quei due cancelli che la risposta mi si presentò con tutto il suo dramma.

Lì, sembrava ruotare un universo di sofferenza; ma cosa ancora più singolare, era vedere quel dramma assumere una tonalità diversa che prendeva il colore della speranza, speranza di qualcosa che sapesse lenire il subbuglio interiore, contrapponendosi così alla realtà di ogni male.

Il dolore, questa eredità che l’uomo non può debellare da sé, è il punto traumatico che induce ad un isolamento e in questo isolamento ogni individuo sembra restringere il suo universo con la veemenza di una ribellione, con il suo “ perché ” muto.

In questo tremendo silenzio che la sofferenza crea, l’uomo è immerso nella sua solitudine; una solitudine in cui troverà il vuoto o una solitudine in cui troverà una presenza.

Sotto queste due visioni, l’uomo si chiude o si apre alla rivelazione che la sofferenza fa di se stessa, abitando quell’universo inesplorato in lui e sempre in ombra.

La rivelazione, in ciò, è una porta da attraversare per poter coglierne il significato.

Il dolore però può indurire la ragione, lasciando attorno a sé proprio quel vuoto contrapponendo la negazione alla speranza.

Nell’animo umano, queste due alternative si combattono fra loro, mettendo in crisi ogni pensiero che viene a prendere possesso della ragione.

Illusione… realtà. Ogni uomo vive e agisce secondo la visione propria dell’esistenza, assimilando attraverso la ragione le situazioni che lo conducono ad esprimere la propria scelta… la fede o l’incredulità?

Il viaggio della coscienza sembra qui non conoscere sosta in quanto ogni piccola frattura, che si compie dentro di questa, conduce l’uomo ad un distacco da sé, com’è nel caso dell’incredulità, ma anche di un fideismo estremo.

Solo il dolore è la misura dell’uomo; interrogandosi su se stesso, egli può trovare una conciliazione, ma dove manca la conciliazione vi è solo follia.

 

264 All’ombra dei campanili

Uno sguardo d’insieme dalla sommità del castello; ed ecco il panorama della città estendersi sotto lo sguardo dello spettatore.

L’insieme, che l’occhio qui abbraccia, ha in sé una suggestione che coglie lo stupore.

Qui può vedere quello che dal piano non è possibile vedere nella totalità, ma solo frammenti.

Frammenti di vite, frammenti di storie qui riunite in un unico libro che il castello sembra voler raccontare.

Lo sguardo si dilunga sull’insieme dei tetti che nascondono vicoli sotto di loro.

Strade che sembrano cunicoli in cui battono i cuori… I campanili, eccoli là!

Paiono i segnalibri d’ogni storia raccontata alla loro ombra.

I segreti dei campanili, custoditi con gelosia, percorrono il tempo e le memorie di chi allora ci fu, di chi oggi vi ci vive.

Per lo spettatore che viene da fuori, la curiosità si volge al cuore della città; ne vuol conoscere la storia e tutto ciò che esprime le caratteristiche dei suoi monumenti.

Lo spettatore, invece, che in quell’ambito ci vive è colto da una sensazione d’intimità… non il passato scorre davanti ai suoi occhi, ma il presente.

Nel suo presente l’anima respira una quotidianità in cui si riversa il rapporto e il legame che egli ha con gli altri.

Paradossalmente, però, lo spettatore locale spesso ignora la storia che parla attraverso le pietre, attraverso i monumenti appunto.

Girando per le strade egli si è assuefatto ad essi e la sua attenzione è catturata dai problemi che l’accompagnano.

Egli è, così, impegnato a scrivere in tal modo la sua storia anonima.

Ma i campanili sono i testimoni silenziosi di queste storie; hanno suonato le campane per annunciare riti comuni e particolari… per un battesimo, per un matrimonio o per una morte.

In uno stravolgimento del vivere quotidiano, in una rivoluzione di abitudini e di preconcetti personali, le campane oggi, a parte i ritmi della giornata, suonano l’ultimo dei riti che è rimasto; l’ultima pietà sono loro a suonarla.

Sono loro a chiudere il capitolo di una storia in cui è palpitato ogni sorta di sentimento; gioie, dolori e tutto ciò che ha accompagnato ogni singola esistenza.

Accade che i campanili assistano a delle partenze non annunciate, a mutamenti di destinazione di chi è nato e cresciuto alla loro ombra… partenze che la necessità impone.

A queste però, ecco susseguirsi nuovi arrivi, e mentre ai primi regalano la nostalgia, a questi offrono la loro familiarità.

Ebbene, nel corso della mia esistenza, ebbi a provare l’uno e l’altro sentimento; il distacco e il ritorno sembrano abbracciarsi qui.

Ecco là il campanile che in una buia mattina salutò la mia partenza e, dall’altra parte ecco la cupola dell’Ossario che salutò, in una sera estiva, il mio ritorno.

Fra l’uno e l’altro momento, si consumò lontano una fase della mia fanciullezza.

Il mio pensiero par volare sopra i tetti per planare là, in quella via dove un bambino s’aggirava… Via Anton Lazzaro Moro, numero civico 52.

Ogni volta, passando davanti a quel portone,, la nostalgia fa sì di immergermi nel passato; un tuffo nel tempo, dove il silenzio di oggi fa riemergere le voci di ieri.

Lì, dolori e gioie hanno scandito i ritmi dell’infanzia e della prima fanciullezza; lì, hanno palpitato cuori che si trasmettevano la solidarietà… sprazzi di un tempo che oggi si dissolvono nell’isolamento di una solitudine piena di rimpianti.

Lo sguardo fuggitivo s’addentra fra le mura di quell’angusto cortile quasi a voler rintracciare quell’anima gitana che sembra ormai essere un’evanescenza del tempo.

Il mio rifugio era ovunque potessi intrufolarmi… Spesso, il mio rifugio era lassù sul ballatoio a scrutare il mondo dall’alto in una sensazione di leggerezza, dove il fascino dei tetti veniva a catturarmi.

Nella mente ecco riaffacciarsi ancora quei volti che il tempo venne allora a rafforzare la memoria in quel forzato esilio, volti che, già dalla partenza di quella buia mattina, rimasero immortalati nell’istante dell’ultima sera…. Quanti di questi, avrei rivisto?

Al mio ritorno tutto era cambiato.

Quel mondo di intimità che io avevo respirato non esisteva più, seppure già prima di partire, potevo avvertire un mutamento in corso.

Quanto è diverso, però, assistere ad un mutamento sotto i propri occhi dal mutamento compiuto nella lontananza.

Al ritorno, non m’accorsi che anch’io ero cambiato; ritornando, infatti, un sentimento di distacco si era ormai compiuto.

Sradicato ormai dal vecchio nido, non riuscivo più ad orientarmi…. Ero partito da cittadino; ritornavo da straniero.

Ognuno con le proprie esigenze, si era trasferito altrove… Qualcuno più lontano, altri più vicino, sì che all’apparenza, sembrava possibile riallacciare i vecchi rapporti, ma in realtà non esisteva più quel centro in cui quei rapporti erano fioriti.

Nulla può rimanere come prima, il tempo è fuggevole e ciò che lascia alle spalle sembra la scia di un sogno… un sogno che ognuno vive alla sua maniera.

Oggi, quel mondo che appariva immenso agli occhi del bambino, sembra ridimensionarsi alterando il suo volto.

Sì, le benne stanno testimoniando dovunque la continua avanzata della modernità.

La memoria, di chi aveva respirato qui la propria intimità, sembra sepolta dal cemento e dall’asfalto.

Solo l’ufficialità della storia salva i luoghi, tutto il resto è destinato ad alterarsi, quando non è destinato a scomparire… la modernità ha cancellato, infatti, molte caratteristiche, conservate solo dalle fotografie quali fonti del passato.

Le fotografie, però, non dicono tutto; non dicono quanto anche le pietre respirino, quanto siano testimoni anche di eventi nascosti… vite private, anime che hanno abitato ogni angolo nutrendole con le loro voci… esistenze che si sono incontrate, esistenze che si sono separate.

Ma il tempo sembra voler dire che i mutamenti sono nella regola della vita; nulla rimane stabile, poiché tutto soccombe alle necessità e le necessità di oggi, non paiono essere quelle di allora.

La vita di una città, come (del resto) in ogni altro luogo, è data da ogni singola storia su cui si alza e cala il sipario.

La luce del tempo si accende e si spegne per chi vi ci abita e ogni angolo è un piccolo palcoscenico dove nessuno può rimanere semplice spettatore.

 

265 L’infanzia e la giovinezza, sono le radici e il tronco di quell’albero che espone i suoi rami al sole della maturità; fra quei rami vi passano brezze e tempeste, sussurri e silenzi, dove ognuno alfine si conforta nel ricordo.

 

266 Solo chi scopre se stesso ha ragione di provare interesse per il proprio essere.

( Lotze )

 

267 L’uomo è responsabile anche delle conseguenze che derivano da ciò che tratta come insignificanti o indifferenti.

( Jaspers )

 

268 Il ricordo viene ad interrompere il circuito delle abitudini, risvegliando la coscienza.

 

269 Compito del pedagogo è quello di far sì che il fanciullo sappia riempire il suo bagaglio; non è lui che lo riempie, ma fa sì che il fanciullo sia in grado di armarsi per la vita.

 

270 Ascoltare la vita, significa ascoltare se stessi.

 

271 I mostri tacciono in noi la loro presenza.

 

272 Maturità – viaggio al centro dell’uomo.

 

273 Gesti comuni: Uscendo da casa, è l’ultimo pensiero intimo che ci saluta alla porta; entrando, è l’ultimo pensiero del mondo che ci accompagna sulla soglia.

 

274 Le emozioni pur producendo il medesimo effetto su ognuno, attivano un linguaggio diverso.

 

275 La difficoltà di essere uomo. ( A tu per tu con il padre )

Forse non tutto è stato detto nel congedarmi da te; un commiato frettoloso, dunque, mi vien fatto di dire.

Eppure, non avevo forse detto che ormai tu riposavi in pace nella mia memoria?

Quel susseguirsi di forse pare qui, in questo momento, stravolgere le intenzioni addotte.

Come mai? La causa di questa tempestività potrei accreditarla a due fattori che mi spinsero, in proposito, a concludere frettolosamente considerazioni e riflessioni che lì via via emergevano.

Non che tutto quello che ero venuto esponendo non fosse realmente il sentimento di un cuore che si confessava, ma questa confessione pareva rimanere a metà; aleggiava qualcosa che mi impediva di andare oltre.

Il primo fattore si adduceva al fatto emergente dal sogno che mi poneva in conflittualità; una conflittualità che veniva coinvolgere la realtà nascosta di due persone di cui a stento ne conoscevo la storia.

Infatti, mentre di mia madre ne conoscevo una parte, della tua non ne conoscevo nulla; tu non mi confessasti nulla di te e di tutto ciò che ne animava la realtà, la tua intimità… il tuo essere.

Mi sono sempre chiesto il perché di questo tuo silenzio nei miei confronti… forse per vergogna?

Mi vien fatto di pensare, però, che se anche la vita di ciascuno fosse povera di storia ma ricca di fascino da trasmettere, la sua impronta rimarrebbe indelebile in chi lo ha incontrato.

Tutto ciò che di te venni a conoscere, non furono altro che estemporanee situazioni i cui giudizi su di te non si riflettevano in modo favorevole.

Quindi, rientrare nel mondo del silenzio era più che auspicabile, ma ecco che la tua esortazione a non tacere, mise in moto quel secondo fattore che, complice l’amico del cuore, mi spinse a divulgare queste confessioni in modo più esplicito sotto forma di libro; un libro che, in seguito, fu presentato ad un pubblico con tanto di relatore che lo commentò con giudizio favorevole, evidenziando però le mancanze ( in verità, sotto la pressione dell’amico e dell’editore non fui in grado di correggerlo a dovere, in quanto i ripensamenti mi avrebbero bloccato sino a cancellare tutto e in questo, sono stato sempre autolesionista, verso tutto ciò che esprimevo attraverso la scrittura… e qui il contratto con l’editore era ormai cosa fatta, avendo tra l’altro, anche versato del denaro per l’acquisto di una parte del libro ).

Come detto, a distanza di tempo, sembra che non tutto sia stato detto o svicerato.

 

 

276 La morte è quel neo nel seno della vita; nulla più di quell’oscuro punto, spaventa l’uomo.

 

277 Il ricordo è leggere una pagina della propria vita.

 

278 La novità di una persona che proviene dal mondo esterno, giunge a sovvertire la quiete di un mondo chiuso, viene a scombinare l’ordine costituito, l’abitudine alle regole; è un corpo estraneo che scompiglia. Ma una volta appagata ogni curiosità, tutto ritorna nell’alveo di quella vita ordinaria e quella presenza, ormai priva di ogni novità, viene assorbita dagli ingranaggi di quell’universo chiuso.

 

279 Così, spesso avviene che da cose piccole e umili, si conoscono le cose grandi; meglio di quanto dalle grandi si conoscano le piccole.

Bacone: Sapere divino e umano

 

280 La voce del cuore e il silenzio della ragione

Dalla parte vuota dell’album sembra sbucare una storia.

Questa, io l’ho riconosciuta dentro di me attraverso quella voce che corre sul filo delle tue assenze.

E’ la voce che venne ad abitare allora la mia solitudine e che ancor oggi sembra non volermi abbandonare accompagnandomi in ogni momento… è la malinconia.

In tal modo, essa continua ad imporsi in una convivenza attraverso la solitudine, a far sì di essere la mia compagna; una strana compagnia, la sua, che aleggia tra prigionia e libertà… già, sembra che lei debba essere il mio stesso respiro, inspirare ed espirare… due movimenti inscindibili.

Con questa sua tirannia, tanto ha fatto sì da appiccicarmisi addosso sin dal momento di quella partenza… sì, quella partenza fu diversa da tutte quelle che io avevo effettuato fino a quel momento, portandomi per due lunghi anni sotto un altro cielo

Lontano da tutto ciò che era il mio mondo, le note di quel cortile si addormentarono nella mia coscienza, mentre il dramma già si consumava dentro di me; lì, in quel nuovo posto, avevo perso la mia libertà.

“ Perché mia madre mi aveva portato lì?”, mi chiesi quando vidi quel posto; no, quel posto non mi piaceva eppure, non potevo farci nulla.

Mi ci aveva portato perchè, indirizzata da altri, dovevo guarire… ovvero, secondo questi, dovevo riacquistare l’uso del braccio e della mano attraverso una ginnastica rieducativa; ma tra guarire e rieducare, la differenza faceva sentire il suo peso.

Guarire voleva dire, per me, estirpare, mentre rieducare significava, seppure diversamente, convivere.

Quindi già quel primo impatto fu, per me, un mezzo trauma.

In realtà, anche a mia madre non piacque quel posto e lo dedussi dall’espressione che io le vidi fare, e solo lei sarebbe potuta ritornare su suoi passi e ricondurmi a casa; ma non lo fece.

Fu proprio lì che io mi scoprii malato; fino a quel momento, infatti, non avevo mai posto l’attenzione su quella menomazione fisica.

Quanto a me sembrava, mi muovevo in modo tale da integrarmi in una normalità che non faceva caso a quella diversità.

Ma ecco che, trovandomi lì, in quel posto che assomigliava ad un nido di passerotti con le ali tarpate, mi resi conto quanto la natura e il mondo mostrassero le loro assurdità.

Già… un mondo assurdo, in cui quei bambini si ritrovavano a doversi allenare ad una doppia fatica nel cammino dell’esistenza.

Mi scoprii ancor più malato quando un giorno fecero in me una devastazione psicologica; era accaduto che nel mettere in pratica un metodo di terapia senza accorgimenti in proposito, mi immobilizzarono la parte sana affinché muovessi quella malata… mi era impossibile mettere in moto quella rigidità.

Lo shock per me fu grande e mi misi a piangere… quanto durò quel pianto?

Quel momento sembrò interminabile, interminabili quei minuti tanto da non accorgermi quando mi slegarono.

Questo incise molto quando, in seguito, lasciai quel posto; non fui più lo stesso… la paura del mondo era entrata in me.

Quel bambino, a detta di qualcuno, molto vivace non esisteva più; al suo posto subentrò un altro essere se non scontroso, sicuramente preposto all’isolamento.

Ed ecco ritornare qui, a proposito, quel sogno che venne ad evocare quel posto… quel sogno che io feci nel desiderio di guarire.

Strano davvero quel sogno… cosa mai voleva suggerirmi?

E ancora più incomprensibile mi appariva che, alla fine, mi riconducesse alla morte di qualcuno.

Devo dire che già dalla morte della giovane parente, cominciai a prendere in considerazione i sogni e a metabolizzarli, proseguendo con quello che ti chiamava in causa, e continuando con la morte di una zia.

Mi ero chiesto però cosa potesse legare tutto questo con quest’ultima persona… ma ecco che la risposta non dovette attendere molto a rivelarsi.

Questa persona per tutta la vita aveva sofferto di cuore e aveva dovuto convivere con una simile malattia, eppure da lei posso dire di aver conosciuto una forma di serenità.

Ed ecco che quel sogno veniva ad innestarsi con gli altri due come una tappa ulteriore da proseguire in quel percorso e che incitava a recuperare ciò che dell’esistenza ne era il frutto; dovevo in un certo qual modo ridiscendere proprio in quell’angolo di coscienza dove la luce, con un lampo, era entrata ad illuminarlo

Era un invito a guardare me stesso in un superamento della malattia e, questo, sembrò proprio partire da quell’esortazione.

Ma ciò che mi faceva paura era proprio il dover scavare dentro di me… perché?

Spesso, la paura di scavare in se stessi, è dettata dalla paura di trovare il nulla… di temere il buio; ma in realtà, scendere alle radici dell’essere assume il significato di partorire.

La cosa singolare che legava questi tre sogni era la figura di mia madre; come mai?

Sembrava che lei dovesse per forza accompagnarmi, attraverso questi, per un sentiero arcano.

Tutto sembrava doversi rivelare come una specie di dicotomia… la morte e la vita sembravano parlarmi attraverso quel linguaggio che solo a loro apparteneva.

Mi chiesi cosa potesse significare tutto ciò, ed ecco che gli estremi si agitavano in me… la vita e la morte sembravano presentarsi come sorelle gelose a disputarsi i miei ragionamenti.

Mi chiesi poi che significato potesse assumere la presenza di quei morti e di mia madre che invece era ancora viva.

Tutte quelle persone cadevano nella sfera dell’affettività; ma in quel contrasto, l’affettività si era trovata spezzata.

Quei morti ormai rappresentavano il passato, mentre la vita si manifestava nel presente attraverso la figura di mia madre.

A differenza di quei morti, io ero ancora vivo, ma era come se fossi morto… morto dentro di me, in quanto nulla sembrava scuotermi da quel freddo abbraccio.

Ma ecco che da quel pericoloso abbraccio comunicarsi un brivido; non era possibile che mi facessi irretire a quel modo… no, assolutamente no.

Già, la figura della madre, quale fonte della vita; ma dall’adolescenza in poi, sembrò essere, il nostro, un rapporto malato.

Quindi, ecco che soprattutto il terzo sogno sembrava voler segnare, attraverso quel desiderio di guarire, una voglia di rinascere… Eppure, la realtà pareva contraddire tutto ciò.

In che modo e da cosa volevo guarire… e soprattutto, perché quel voler ritornare proprio in quel posto?

Forse era il desiderio di recuperare qualcosa; ma cosa di specifico?

Forse era il desiderio di recuperare l’immagine di quel bambino che la madre non ebbe il coraggio di riportare a casa subito.

Quel luogo, io non l’ho più rivisto e credo di non doverlo vedere più; eppure, molte erano le cose che, allora, mi inducevano a dover riscoprire quel luogo… ma questo lo potevo fare solo scandagliando la memoria, immergendomi in quei fondali poiché la frattura tra me e il mondo si annidava proprio lì in quell’episodio appena accennato dove, in tutto, si celava l’ostilità.

 

 

281 CREDO – SPERO – AMO – ADORO

 

282 L’uomo è responsabile anche delle conseguenze che derivano da ciò che tratta come insignificanti o indifferenti.

Jaspers

 

283 Fatto di cronaca – Il suicidio di un bambino tolto alle suore.

 

284 Maturità: viaggio al centro dell’uomo.

 

285 Si dice che non ci si conosce mai bene se non dopo il matrimonio; lì, le maschere cadono.

 

286 La scelta ( racconto breve )

“ Sei consapevole del passo che intendi fare?”, gli aveva chiesto il priore prima di congedarlo e lasciandogli il tempo di riflettere nella sua cella.

Il priore lo aveva accolto sorridendo per quel suo ritorno, ma sotto quella benevolenza si celava anche una preoccupazione e ne aveva ben ragione di averla, visto che sei mesi prima se ne era voluto tornare a quel mondo da cui era fuggito.

Lo avevano lasciato andare affinché valutasse cosa realmente desiderasse fare.

Nel vederlo dinnanzi a sé, l’anziano frate fu intimamente contento, avendo nei suoi riguardi una simpatia.

Gherardo si era spesso confidato con lui al di fuori di quello che era il canale della confessione, ma proprio per questo la sua preoccupazione veniva dettata dal fatto di vedere se egli fosse veramente in grado di sopportare e adeguarsi alle circostanze: “ Chi, lasciando l’aratro, si volge indietro non è degno di me “, aveva concluso citando le parole del vangelo.

Ora Gherardo stava riflettendo su quelle parole nel silenzio della celletta.

Il priore lo aveva ripreso, ma con la condizione della prova; non voleva, infatti, che si ripetesse lo stesso sbaglio.

Certo, non era e non sarebbe stato ne il primo e ne l’ultimo ad aver abbandonato quella strada; altri, prima di lui, se ne erano andati forse spaventati da quella prova, ma nessuno, come lui era ritornato sui suoi passi.

Si chiese quale era stato, in realtà, il motivo che lo aveva spinto a ritornare.

Colto da quei pensieri, lasciò vagare il suo sguardo assente fuori dalla finestra.

Una leggera foschia era venuta ad avvolgere il panorama che da lì si poteva osservare.

In realtà, da quell’angolazione si poteva vedere assai poco, ma il luogo era più che familiare ai suoi occhi.

Sotto quella finestra, il cortile, fino a poco tempo incolto, gli offriva una geometria di aiuole che si spingevano quasi al limite di una leggera salita collinosa dove, riparata da una specie di grotta artificiale, la statua di una Madonnina sembrava volgere il suo sguardo protettivo.

Poi un piccolo sentiero si addentrava nella boscaglia su su, per arrivare all’eremo.

Quante volte lo aveva percorso? Tante.

La collina andava poi digradandosi giù verso valle per arrivare poi al greto di un torrente quasi in secca.

Si riscosse da quell’attimo di sentimentalismo per ritornare al problema che lo assillava; dunque, cosa lo aveva indotto ad andarsene, e cosa a ritornare?

I sei mesi trascorsi lontano da quei confratelli parve a lui, in quel momento, un periodo relativamente lungo e relativamente breve.

In ogni caso, aveva cercato di impiegarlo nel migliore dei modi possibile, radunando in sé una serie di analisi che potessero far chiarezza sui dubbi che lo affliggevano.

Si rese conto che non sarebbe stato facile… poteva però sbagliare ancora?

 

287 Separazione significa allenarsi alla solitudine, allenarsi a quel distacco che alla fine diventa distacco da sé nella morte.

 

288 Nel silenzio tu sei libero, poiché nel silenzio c’è un modo di udire l’altra voce e il suo contrario che da te si distacca.

 

289 La solitudine dell’essere

Sulla scia di quei ricordi, il tentativo di conciliare quelle fratture sembra porsi in maniera contrastante e non mi è neppure possibile obliarli in quanto nel solco del tempo, quelle fratture mi lasciarono solo la voce per rispondere a quella realtà di dolori e solitudini.

Quelle immagini affiorano spesso come schegge impazzite, quasi a dire ciò che il tempo ha lasciato dentro di me… lì, le orme sono incancellabili.

Più che viverla, come ebbi modo di dire, ho subito la vita, e questo avvenne sin dal ritorno a casa da quel luogo… ero ritornato a casa, ma inconsciamente mi ero portato appresso quella gabbia psicologica in cui trovare rifugio ogni volta mi sentissi minacciato… non ero più sicuro di me e la paura cominciò ad intrufolarsi in ogni mio atteggiamento.

Quella esperienza aveva inibito ogni possibile atto che mi avrebbe condotto, in seguito, ad agire o meglio, a non agire; quell’ombra si era radicata in maniera tale sì da produrre improvvise paralisi.

Paura di agire… circospetto verso tutti; ogni mio movimento veniva macchiato da questi atteggiamenti.

La lontananza aveva sortito l‘effetto di trovare al mio ritorno una situazione di novità in cui mi sentivo sperduto… volti nuovi, forse ostili, si erano alternati a quelli vecchi, più rassicuranti dove la mia storia riposava in loro.

Devo dire di non aver avuto, da questa esperienza, nessun supporto; forse non lo seppi neppure chiedere… quel bambino tornato a casa, sembrava muoversi senza problemi.

Ma in realtà, man mano che il tempo procedeva, quella frattura cominciava ad essere sempre più gravosa, come la polvere che all’inizio è solo una lieve patina che con l’andare del tempo viene a denotare la sua consistenza se non viene rimossa, così su quell’esperienza con l’andare del tempo, si concentrò tutto quello che fu il peso psicologico e che ne rese impossibile a sanare la frattura.

Lì, il peso di quella polvere si cominciava a sentire; ad un certo punto la polvere soffoca… impedisce il respiro sino al punto di un’asfissia.

Quindi, quell’esortazione in questione, che tu mi inviasti, non poteva se non ricondursi a quelle tappe radicate nel silenzio di quel tempo.

Se la tua esortazione, come io penso, fosse indirizzatala al fanciullo, mi chiedo: A quale? A quello che ti fu offerto di conoscere e lo trascurasti… o quello che, dal ritorno in poi, si stava eclissando alla tua vista?

Eppure, ecco ancora un altro dubbio… fosti proprio tu a suggerirmi quell’esortazione?

Sono domande, queste, che io mi pongo poiché, pur che se quel fanciullo si muovesse nella luce, era come se qualcun lo trascinasse in quella oscurità dove nulla poteva ne apprendere ne comprendere… dunque, ero io questo, o piuttosto qualcuno che non aveva superato la barriera di quell’oscurità? ( Nel sogno, si aggirava l’accusa di una morte ).

Mia madre mi raccontò che, in realtà, io avrei dovuto avere un fratello ( o sorella ) che però fu vittima di un aborto spontaneo; in pratica, io sarei stato il prodotto di un secondo tentativo.

La mia nascita, tra l’altro, aveva procurato delle difficoltà per mia madre, la quale era dovuta ricorrere al taglio cesareo e in seguito non avrebbe potuto avere altri figli.

Forse fu da una simile notizia che il sogno apportò quell’accusa… per quale causa si veriificò quell’aborto?

 

290 Quella che tu chiami passione non è energia psichica, bensì attrito fra l’anima e il mondo esterno.

Chi dirige la suprema energia del desiderio verso il centro, verso il vero essere, verso la perfezione, appare più calmo dell’appassionato.

La divinità è in te, non nei concetti e nei libri.

La verità si vive non si insegna.

  1. Hesse

 

291 A volte si pensa di essere soli, ma ecco che uno sguardo, seguendo la scena, ci osserva.

 

292 La preghiera è una figlia della fede; ma la figlia deve mantenere sua madre.

Kierkegaard

 

293 La solitudine del genio e la solitudine dell’ignorante.

 

294 Il buio, lo schermo della mia fantasia

 

295 Nel linguaggio dell’amore, non c’è grammatica che possa stare al pari del cuore.

 

296 Compito dell’esistenza è vivere per amare… generare amore.

 

297 Ore 13, 45, una telefonata da parte di don Claudio per augurarmi il buon esito per la presentazione del libro:

“ Hai avuto grande coraggio “, mi ha detto.

( 14 ottobre 2010 )

 

298 Non sappiamo a quale stazione il destino ci farà scendere.

 

299 L’umiltà – Siracide 3

 

300 Lo spirito dell’infanzia – Salmo 131

 

301 Effusione dello Spirito – Isaia 32, 15 –

 

302 Il silenzio è qualcosa di magico e sa offrire sensazioni irripetibili; ma tacere per ascoltare, non sempre raccoglie il pieno assenso… troppi pensieri assillano le persone. Entrare in un cimitero, è forse il luogo più propizio per allenare lo spirito… Lì, il silenzio è il padrone di casa.

 

303 Fragilità e solitudine ( al padre )

Ci sentiamo fragili e smarriti, nonostante la prova di forza che ciascuno cerca di attuare nella propria esistenza… e qui, in proposito mi vien fatto di pensare quanto, non dissimilmente dagli altri, anche tu cercavi in un certo qual modo questa protezione.

Mai, però, sapesti darla… già.

Vien fatto, qui, di pensare di come si possa dare all’altro quella protezione che per sé non si è avuta.

Ma cos’è poi, alla fine, questa protezione se non quella di sentirsi amati?

Ecco, il tema dell’amore ritorna qui; uscito dalla porta di quelle riflessioni, rientra dalla finestra.

La pochezza che ciascuno ha su questo argomento, riduce l’argomento stesso ad una fase totalmente povera di atti.

Si ha paura di confessare la propria debolezza, nel modo che la ragione ci detta per nascondersi, proteggendosi da sé pur non riuscendoci.

Ecco allora i molteplici atteggiamenti che ci accompagnano lungo le strade dell’esistenza… i silenzi, lo sviare degli sguardi.

Comunicare agli altri, guardare gli altri togliendo, ciascuno, la propria diffidenza, è la cosa più difficile che si possa attuare.

Ognuno porta dentro di sé la sua notte… il suo buio, e in un simile buio ci si muove.

Ti descrissi, qualche pagina fa, la mia notte; no, quello non era un sogno, ma un’analisi che il sogno aveva prodotto in me… il sogno fu breve, l’analisi lunga.

In questo caso, la notte può assurgere a simbolo interiore, per ogni individuo che cerchi di muoversi nella propria oscurità.

Ciò che descrivevo della notte era una situazione in cui scopersi quanto una forma di ambiguità la percorresse… l’innocenza e la malizia l’abitano; ma l’innocenza è sempre una facile preda della malizia, e mentre quest’ultima si radica , l’altra la si perde e di questa ne avvertiamo sempre più l’assenza; la malizia è nemica dell’amore puro.

L’amore puro è, a mio modo di vedere, innocenza assoluta.

Già… innocenza assoluta; Adamo nel Paradiso terrestre ne era l’emblema.

Ma in questi tempi moderni, invasi da un’autosufficienza di sé in un disegno di grandezza alquanto miserevole, non si vuol riflettere sulla realtà di cosa l’uomo abbia perso di sé.

Si vive, in tal modo quella che si può chiamare la solitudine dell’essere; è celata dentro di noi e in tutti gli sforzi la ragione non può far altro che balbettare dentro di noi.

 

304 Il cortile ( racconto breve )

Conosceva tutti gli abitanti di quel cortile e conosceva le loro storie; ma tale conoscenza non era stata comunque diretta, anzi.

Egli tendeva ad evitare la loro presenza e tutte quelle informazioni che riceveva, pervenivano a lui attraverso quella persona preposta alle sue esigenze dopo esser stato vittima di un grave incidente automobilistico che lo aveva immobilizzato su una sedia a rotelle.

Ella era l’unico legame con il mondo da che si era fatto sempre più scontroso.

Ma quel cortile, in realtà, era poco frequentato è lì, nella più perfetta solitudine, Simone si abbandonava alle sue riflessioni, passando gran parte delle sue giornate, quando il bel tempo glielo permetteva.

A interrompere queste sue riflessioni, c’era spesso un bambino; l’unico abitante del cortile che vedeva con frequenza.

Lo scorgeva lassù sul ballatoio a fantasticare e che fantasticasse, lo deduceva dal fatto che sembrava ignorasse il mondo circostante, lasciando vagare il suo sguardo sopra i tetti quasi a rompere il loro assedio.

La sua simpatia per lui era nata istintivamente, quasi che in quella figura si riflettesse un mondo di ricordi che lo collegava alla sua infanzia.

Lo seguiva con lo sguardo per tutto il tempo in cui egli appariva lassù; quei cinque o dieci minuti sembravano bastare a riempire la sua solitudine.

Ma ecco che da un giorno all’altro, egli si sentì scippato da quella silenziosa compagnia.

Invano, in quelle ore che il sole gli permetteva di restarsene in cortile a godere il calore dei suoi raggi, inseguiva con lo sguardo quel ballatoio sperando di vederlo sbucare da un momento all’altro; ma le sue attese si riempivano sempre più di delusione, sino a quando venne a sapere della sua partenza improvvisa.

Ormai la rassegnazione a non vederlo più, aveva alimentato la sua malinconia; nei suoi occhi correva quell’immagine scolpita nel ricordo, quasi a dare al tempo l’incombenza di rivestirla con quella nostalgia che stava occupando il suo animo, quasi a immortalare quel brivido di innocenza.

Quel pomeriggio, egli se ne stava alla finestra, guardando cadere la pioggia, mentre nella stanza s’aggiravano, quasi orfane, le note di un idillio.

 

305 Ho ricevuto mercoledì scorso ( 06 / 04 / 11 ) dalle mani dei miei cugini, una lettera di mio padre indirizzata ai suoi parenti… una lettera tremenda; una lettera datata 1958, l’anno in cui mi trovavo a Rovereto.

 

306 Favola d’autunno

La mano scivolò nel buio a cercare l’interruttore e d’improvviso la fioca luce dell’abat – jour   illuminò la camera da letto, mentre lo sguardo della donna corse alla piccola sveglia sul comodino.

Era quasi ora d’alzarsi, ma indugiò ancora un momento sotto le lenzuola.

“ Buongiorno!”, una voce infantile riempì la stanza.

Il ragazzino, che dormiva nel letto accanto, stava osservando la madre.

“ Buon giorno; ti ho forse svegliato?”.

“ No, ero già sveglio da un po’”, rispose

“ Dormi che è ancora buio”, disse con dolcezza la donna.

“ Non ho più sonno”, replicò

“ Se potessi avere io la fortuna di dormire ancora come puoi fare tu…”, sospirò “ Invece a me tocca alzarmi per forza, soprattutto adesso che è cominciato a far freddo”.

Il ragazzino era eccitato; le vacanze scolastiche gli avevano permesso di stare qualche giorno vicino alla madre, prima di ritornare in collegio.

“ Posso venire un momento nel tuo letto?”, domandò.

“ Vieni!”, disse la madre, alzando un lembo delle lenzuola e il ragazzino fu lesto ad intruffolarsi accanto a lei”.

Per un lungo momento gli sembrò di respirare ancora un po’ quella atmosfera protettrice di quando bambino le dormiva a fianco.

Madre e figlio vivevano soli da quando lei era rimasta vedova.

“ Hai qualche compito da fare, oggi?”

“ Sì, devo studiare una poesia del Pascoli”.

“ Quale? “

“ La cavalla storna “

Gli occhi della madre si illuminarono per un istante; quella poesia la fece rituffare con la memoria a un ricordo.

“ Questa poesia l’ho recitata al saggio finale “, confessò al figlio.

CosÏ si chiamava allora l’esame.

“ Com’era andato? “

“ Il maestro si era mostrato contento”.

“ Ricordi ancora quei versi?

“ Sì, me li ricordo ancora…”, e subito cominciò a recitarli con enfasi “ Nella Torre il silenzio era già alto…”.

Il ragazzino già sembrava cogliere in quelle parole il filo di una favola.

Un’atmosfera di magia sembrò, in quell’istante, aleggiare per la stanza, catturando quelle parole e dando ad esse una musica particolare.

Il ragazzino ne era estasiato quasi vedendo librare nell’animo della madre l’angolo segreto della fanciulla che, fino a quel momento, aveva cercato di rivivere quella sua festa particolare.

La madre non gli aveva mai saputo raccontare una favola, forse perché non se le ricordava o forse perché non le sapeva raccontare; egli aveva sì udito, da altri, quelle storie fantastiche, ma da sua madre, no.

In quel mattino d’autunno, tutte le favole non raccontate, si erano sintetizzate lì, in quel lampo che subito colse gelosamente.

 

307 ( Sogno )

Raggiante in volto, ecco apparirmi una giovane donna, ferma nel suo portamento… era bellissima, sì che a descriverla diventava una cosa ardua.

“ Non certo per me questa è venuta”, mi dissi “ Eppoi… Che mai avrei avuto a che fare con lei?”.

Mi sentivo insignificante e insignificante la mia vita; pertanto, nessun valore mi permetteva l’ardimento di posare gli occhi su di lei.

A torto, però, del mio pensiero, lei mi fissò intensamente.

In me crebbe forte, allora, il turbamento, e le mie gambe sembrarono non obbedire a nessun comando.

Non potendo fare altro, mi rifugiai facendomi piccolo in me stesso.

Lei, però, non demordeva dall’intento che io non conoscevo, sì che aumentò la confusione nella mia mente.

Questa confusione crebbe quando, nel rivolgermi la parola, mi chiese di sposarla.

“ Uno scherzo…”, pensai.

A dispetto del mio pensiero, la giovane donna ribadì la sua richiesta e io ne rimasi prigioniero.

Ancor più a disagio, mi poneva il suo sguardo fermo che sembrava voler indagare dentro di me, quasi che a lei nulla potesse rimanere nascosto, seppure la titubanza ne venisse a frenare l’intento.

Tosto, allora, una gelosia profonda venne a prendere posto, quasi che la mia anima fosse stata scoperta nella sua nudità.

 

308 ( Sogno )

Sognai un colloquio con mia madre in cui le espressi la mia intenzione di ritornare in quel luogo laddove fui da bambino, con il desiderio di voler veramente guarire del mio male fisico; ecco però, dopo aver espresso questa mia volontà, che cominciò a serpeggiare una certa titubanza… ho paura.

Per far sì che l’intento non venga meno, mi faccio promettere da lei che verrà a trovarmi; mi dice che verrà a trovarmi dopo tre settimane.

Mi ritrovai così in quel vecchio posto che in verità stento a riconoscere.

Qualcosa è cambiato; non è più il luogo che io avevo lasciato e lì ora non curano solo i mali fisici, ma cercano di studiare anche le turbe psicologiche.

Tutto questo contribuisce al mio smarrimento, ma facendo fede alla promessa di mia madre mi accingo di buon grado a questa presunta terapia.

Sono rinchiuso in una stanza buia, dove però mi accorgo di non essere solo, o almeno così penso.

Tutto è immerso nel buio e solamente qualche sospiro mi avverte dove queste presenze si trovino, facendo io fatica a distinguere la loro posizione.

Finalmente, dopo che disperai di venire fuori da quella situazione, la porta della stanza si apre lasciando passare una luce intensa.

Una figura si staglia sulla soglia che io non riesco a distinguere al primo impatto.

Man mano però che i miei occhi cominciano ad abituarsi a quella luce, riconosco in lei la persona a cui volli veramente bene; è una parente acquisita, morta da poco tempo.

Mi sorride e io sento il cuore traboccarmi di gioia nel vederla, ma allo stesso tempo un cruccio mi accompagna ricordando la promessa di mia madre.

Dico a lei che appunto stavo aspettandola, e questo lei lo sa poiché, sempre sorridendo, mi annuncia che i trova a piano terra.

“ Perché non sale?”, chiedo allora incuriosito e con un velo di delusione.

Mi risponde che per salire, ha bisogno di un permesso speciale.

Per affrettare l’incontro, con impeto le dico che sarei sceso io da lei.

Mia zia blocca questa mia impazienza dicendo che anch’io sarei dovuto sottopormi alla regola di un permesso speciale.

Mi precipito con foga fuori dalla stanza per ottenere la possibilità di questo incontro, ritrovandomi lungo un corridoio che a me sembrava deserto fino a qualche istante prima.

M’imbatto così su un frenetico via vai di persone indaffarate; invano cerco di farmi sentire e la mia richiesta rimane lettera vuota.

 

309 CIVICO 52 – Casualmente ho avuto modo di rivedere il vecchio cortile di allora; un cortile restaurato non da tanti anni… un cortile, in cui non ho potuto riconoscere più nulla di allora. Eppure non ho potuto non sentire un tuffo al cuore, gonfio di ricordi.

Uno steccato, ha impedito per molti anni la visione del cortile.

 

310 Dall’alto di un’età acquisita, volgendo uno sguardo al passato, diventa un’impresa ardua catturare istante per istante le situazioni che hanno dato addito ad una formazione intima e critica allo stesso modo.

 

311 Fruttando nulla per se stessi, ecco che la fatica messa a servizio degli altri ottiene il suo guadagno.

 

312 Il rinascere dell’uomo ( v. episodio di Nicodemo con Gesù Gv 3 )

 

313 Un incontro ( appunti per racconto breve )

Mai si sarebbe immaginato, nella mattinata di vedersi materializzare il pensiero che lo aveva accompagnato per quasi una vita.

La ragazzina della porta accanto di quel cortile, gli stava venendo incontro da uno dei corridoi del supermercato: “ Ti ricordi di me? “.

Quanti anni erano passati? Tanti, ma quel volto era rimasto scolpito nella memoria.

Il loro ultimo incontro fu quasi per sfuggita un giorno; l’aveva vista sfrecciare in bicicletta davanti a sé lanciandogli un saluto frettoloso, poi non la vide più.

Seduto su una panchina di quel piccolo parco, Tommaso si era trovato a riflettere su quell’incontro e a quanto il tempo avesse sedimentato in lui quel sentimento: “ Non ti ho mai dimenticato”, le aveva detto, suscitando in lei una sorpresa.

“ Perché? “, si era sentito domandare; ma non era per lui facile rispondere a quell’interrogativo senza provare imbarazzo.

In quel momento, la memoria non poteva non rituffarsi nel passato, a cogliere quegli innumerevoli momenti in cui quella frequenza gli aveva procurato quei sentimenti..

Ma lei era cambiata, lui era cambiato; il tempo aveva sortito i loro destini.

Si era sposata, mentre lui si era trovato a non capire quale fosse stato il senso della sua vita…

 

314 Spesso i sogni sono rivelatori non indifferenti per una coscienza che naviga nell’oscurità della sua odissea.

 

315 Chi ricatta, moralmente rimane prigioniero di se stesso.

 

316 Nella nostra bocca risiedono due verbi: parlare e masticare.

 

317 S. Tommaso: le cinque vie

Prima via       –   Tutto ciò che è moto è mosso da altri.

Seconda via   –   Va posto un primo motore il quale non è mosso da un motore esterno.

Terza via       –     La causa efficiente esiste.

Quarta via     –     Esiste qualcosa che è sommamente ente e questo noi lo chiamiamo Dio.

Quinta via     –     Deve esserci qualcuno mediante la cui provvidenza il mondo è governato.

 

318 Le quattro notti

La notte dei sensi

La notte dello spirito

La notte di Dio

La notte di Gesù abbandonato

 

319 La guida e la notte dell’anima ( 1 )

“ Dunque, perché esiti ancora? “, mi chiese lei allorché vide che me ne stavo immobile “ Cos’è che ti impedisce di intraprendere il cammino? ”.

Sentii la mia mente invasa da una paralisi di fronte a quella figura che lo specchio rimandava, dove familiarità ed estraneità sembravano abbracciarsi in una simbiosi mortale; il fanciullo e l’adulto, lontani fra loro, si riflettevano diversi pur sapendosi tutt’uno, legati dalla stessa anima .

Replicai confuso “ Vi è un po’ di timore da parte mia, visto che ignoro dove tu voglia portarmi “.

“ Non temere, ti voglio condurre a uno sposalizio più grande di quello che io or ora ti ho proposto “.

Rimasi allora sconcertato, prolungandomi nel mio silenzio non comprendendo la sua intenzione, ma pur lei continuò: “ Affinché ciò avvenga, è necessario che tu debba riacquistare ciò che perdesti lungo il cammino e qui è proprio quel fanciullo in te che devi richiamare; senza di lui non è possibile iniziare il viaggio “.

Mi stupii: “ Per quale motivo proprio lui? “.

Sorrise: “ Lo stupore, che ora il tuo volto esprime, è lo stesso strumento del fanciullo che allora lo ammantava e più sarà motivo per il viaggio, poiché questo ti riserverà molte sorprese fra le insidie di un simile cammino allorché accidentalmente ti capiterà di allontanarti dalla via maestra e inoltrandoti per malsicuri sentieri, solo lo spirito dello stupore ti potrà recar consiglio “.

“ E’, dunque, pieno di insidie il cammino che tu mi prospetti? ”.

“ Le insidie, in verità, si nascondono ad ogni angolo in cui ti troverai a passare e questo lo scoprirai da te “.

“ Non riesco a seguirti… “, replicai.

“ Quel che voglio dirti è che dovrai scoprire te stesso, per trovarti così in similitudini e diversità con gli altri. Di fronte a queste cose, conviene però che un’autorità più alta te ne parli “.

Il tono dolce della sua voce, mi invitava a smuovere la mia ritrosia , seppure ancora cercassi di aggrapparmi alle mie deboli proteste..

Quella spina che continuava a tormentarmi sembrava non rendermi pace, ma lei imperterita ancora mi incalzava: “ E’ a cagione della tua salute che io sono stata inviata a te, a sostenerti laddove sembra venir meno il tuo impegno, in quanto raramente uno si cura, se non ha volontà di farlo “.

Tacque in me la protesta allorché mi stava ancora rimproverando: “ Sei tu, dunque, pronto? Sì, lo so, c’è una ferita ancora aperta che pare impedire ai tuoi sentimenti di raggiungere la loro sede, offrendoti ancora una visione di tenebre. Sei troppo ancorato al passato… non volgere lo sguardo all’indietro, poiché alle spalle la scena si è ormai oscurata. Tu l’hai illuminata nel tuo passaggio quando nello stupore di allora, avevi saputo cogliere ogni cosa e il suo sapore. Oggi, a quanto pare, a nulla sai più sorridere “.

Suonavano dure quelle parole, mentre dalla finestra il mio sguardo si dilungava sulla città dormiente. Osservavo la notte vestita d’innocenza, mentre l’onda dei miei pensieri si riversava su quell’immenso mare oscuro: “ E’ davvero innocente la notte? “, mi domandavo “ Il sonno che lei riversa sembra renderla tale. Esso toglie le armi e seduce ogni essere, regalando a ciascuno il suo mondo per mezzo del sogno. Eppure, la sovranità del silenzio fa della notte la regina delle inquietudini a chi a lei non vuol cedere. In lei si radunano le disposizioni che l’animo sente e un brivido sembra percorrerla, squarciando quell’innocenza. Ecco… nel sonno, la vita e la morte sono sospese attraverso l’inganno. L’inganno vigila; vigila proprio attraverso l’innocenza del sonno e nel sogno si manifesta la malattia “.

Ancora osservavo la notte; osservavo i palazzi attorno immersi nell’oscurità, dove la luce artificiale dei lampioni gettava su di essi una sensazione di sicurezza anche se illusoria, ma pur sempre necessaria.

Lì, le finestre chiuse parevano comunicarsi l’una all’altra le sensazioni che custodivano; gioie, angosce, interrogativi… lì, in un sussurro parevano rendere le cose senza veli.

Un brivido, allora, parve correre nei miei pensieri: “ Sì…”, mi trovai a dire “ Siamo qui stretti come in un alveare; un brulichio di storie segrete che ronzano attorno ad un comune luogo dove familiarità ed estraneità si fondono. L’uomo è questo… e come potrebbe essere diversamente? “.

 

320 Ironia di un chirurgo: “ In tutto questo tempo che ho trascorso ad operare, io non ho mai visto un’anima.

 

321 Spesso il corpo si ammala perché si ammala la mente; ma cos’è che fa ammalare la mente?

 

322 Compito dei genitori è spiritualizzare la vita.

 

323 Anche il dolore, paradossalmente, può essere egoista.

 

324 Voler bene, non è ancora amare.

 

325 Dio può solo aiutare a superare il male, non ad impedirlo; se lo impedisse non sarebbe Dio.

 

326 Iconografia della Vergine attraverso i dolori.

La profezia di Simeone.

La fuga in Egitto.

Lo smarrimento di Gesù nel tempio.

L’incontro di Gesù e Maria sulla via del Calvario.

La crocifissione di Gesù.

La deposizione di Gesù dalla croce.

La sepoltura di Gesù .

 

327 La purezza è come l’acqua limpida, che viene a perdere la sua limpidezza solamente sfiorandola con la mano.

 

328 E’ detto che la storia più bella è quella che non è stata ancora scritta; ciò che si scrive è già incarcerato dalla realtà che si incarica di diffondere e di analizzare ogni suo aspetto definitivo, incurante anche del danno che può uscire da un giudizio. Ciò che è scritto e fatto sapere, non è più modificabile.

 

329 Ordinarietà e mediocrità del’esistenza.

 

330 L’eloquio della mediocrità: significato e analisi

Natura e ragione: a) la ragione arrogante b) la ragione sorda c) la ragione assurda.

Pascal – Pensieri “Miseria e grandezza dell’uomo” pag. 223 e pag. 377

Libri sapienziali a) Salmo 8; 139 ( 138 ) b) Qoelet c) Sapienza

Vangelo – Mt 11, 25 – 27; 18, 26

 

331 La donna non può conformarsi nell’uomo, come l’uomo non può conformarsi nella donna; quel sottile confine esiste.

 

332 Sulla maturità – il problema

La maturità è… Con quante apparenze la pubblicità tende a manipolare la maturità?

Ogni maturità è differente per situazioni diverse.

Ciò che è facile per l’uno può essere difficile per l’altro.

La società è un prisma di individualità.

Si dice che si diventa maturi in base alle esperienze che si fanno.

 

333 Per essere raccontata, la favola ha bisogno di un cuore vergine; ma anche le favole possono essere sporche di sangue.

 

334 L’amore incompiuto affonda le sue radici nella non ottemperanza della giusta misura; il troppo fa sempre danno e la giusta misura non è quasi mai presente.

I gradi dell’amore: a) eros b) filia c) agape.

I comandamenti dell’amore: 1) Ama il Signore Dio tuo… 2) Ama il prossimo come te stesso.

 

335 Cuore papiniano

Mi sento un cuore papiniano in questa calda serata estiva, mentre il mio sguardo pare naufragare nel cielo contemplando l’avvicendarsi della notte al giorno.

Spio le prime stelle che il vento siderale fa palpitare; tremolii impercettibili che fanno sognare, brividi che l’animo saccheggia da quello scrigno pieno di meraviglie… a queste prime, ecco che altre si svelano a far sì che lo sguardo si confonda fra infinite geometrie.

Ma il brivido che più di ogni altro la notte mi impone, è quello del suo silenzio e con esso prende forma un pensiero che subito pare risucchiato da questi immensi abissi.

“ Infiniti mondi ci ignorano “, affermava Pascal.

E allora, come non provare… come non sentire il sentimento oscuro che la coscienza invano camuffa.

Infinite geometrie dell’immaginazione e profonde inquietudini della ragione paiono sfidarsi continuamente, precipitando poi per l’arditezza della sfida, al pari di un Icaro le cui ali non sorressero per il peso della temerarietà.

Poesia e scienza hanno cercato, per vie diverse, di conciliare gli opposti della ragione; sublimazione e ricerca, stupore e riflessione, sono gli strumenti con cui l’uomo cerca di innalzare lo spirito per trovare però solamente la vertigine della solitudine.

Nell’irresistibile leggerezza del pensiero, l’uomo trova nella solitudine la forza gravitazionale che lo lega alla terra; infiniti mondi ci ignorano…

Eppure, anche qui su questo pianeta, ognuno di noi pur ruotando in un unico universo, è un mondo a sé, sconosciuto agli altri e che gli altri scoprono in misura minima, in quanto le segrete leggi del cuore inducono a movimenti differenti.

 

336 Attraverso il suo ventre, la donna si è già armonizzata con la natura; la natura ha insegnato a lei a sopportare la fatica, a sopportare il dolore.

 

337 L’uomo è una nuvola… un girovago.

 

338 Ognuno vive dentro il guscio della propria storia; quasi geloso di sé, non vuol far trapelare più di quello che la necessità richiede.

 

339 Preferibile la solitudine alla mistificazione del mondo.

 

340 Forse è solo una mia sensazione, ma nella donna sembra coabitare un’infinità di anime; per l’uomo v’è ne una sola, con la condanna all’inferno o eletta al paradiso, in virtù della donna che lo ha scelto.

 

341 Spesso, nel confessarsi, il pudore fa sì che si ometta più di quello che si voglia dire.

 

342 Sulla strada della vita

Fu lungo quella strada che ti incontrai quel giorno.

Fu un caso? Non è possibile accertarlo, né noi possiamo saperlo; provvidenza e destino, paion all’istante darsi una mano, a rendere tutt’uno un disegno impossibile ad essere decifrato.

In tutto questo, solo una cosa pare a noi certa; è una via obbligata che ognuno di noi è costretto a percorrere in virtù di un progetto che però sfugge a qualsiasi interpretazione.

Per contro, quella stessa strada pare assumere una fisionomia incerta e difficile da praticare, sicché a volte il percorso si riduce in inerpicati sentieri dove a dura prova vengono sottoposti volontà e forza.

Ed ecco allora voler desistere dall’impresa perché la nostra debolezza pare fornirci scorciatoie in cui trovare l’illusione di dimezzare l’affanno.

Ti scorsi da lontano, ma proprio questa debolezza sembrava negare a me la capacità di accelerare l’andatura.

Quel giorno, in realtà, non ero solo.

Con me c’era un compagno di ventura che ebbi modo di conoscere durante il tragitto; un prezioso alleato, indubbiamente, con il quale era scattata quella tacita solidarietà che un viandante spera di trovare per sentire meno il peso dei momenti critici… e come potrebbe essere diversamente?

Siamo talmente soli che il forestiero, sulla nostra strada, ci diventa tanto familiare quando ne scopriamo l’affinità di intenti.

Già da tempo ti eri incamminato lungo quella via, solitario.

Unica compagnia ti erano i pensieri, or con la loro gravità or con la loro leggerezza, come se l’uomo e il fanciullo in te si dessero il cambio.

E quello che l’uno e l’altro in te dicessero, non era dato a nessuno sapere.

Quel tuo fanciullo forse veniva rammentando gli echi di un’alba ormai lontana, mentre tu sentivi approssimarsi gli effetti di un tramonto; una primavera piena di speranze e un autunno gravido di pene avevano reso il tuo cuore di dolceamari sentimenti.

Procedevi stanco ma, come detto, non fu facile per me raggiungerti, anzi.

Non sembrava bastare, infatti, la gagliardia della mia età e l’incitamento del compagno a far sì di tenere fronte alle avversità.

Se ti raggiunsi, fu grazie a lui il quale, per non perderti di vista, mi espresse ad un certo punto il desiderio di volermi precedere.

Non avevo nessun diritto di trattenerlo anche se la paura di ritrovarmi da solo mi induceva a porgli ostacoli: “ Vai! “, gli risposi di rimando.

Lasciarlo libero, alla fine, produsse l’effetto del desiderio e potei fare in tua compagnia un pezzo di quella strada.

Egli, mediando la tua alla mia fatica, mi permise di raggiungerti.

Quando però ti fui vicino, un forte imbarazzo parve voler dissipare il coraggio che fino a quel momento mi aveva sostenuto.

La timidezza avrebbe optato per altre soluzioni, ma per non sciupare una così favorevole occasione di poter dialogare con una persona nuova, mi feci forza e cominciai a parlare di me.

Fui invadente e con tale invadenza ero venuto a deturpare quel silenzio che sosteneva il tuo intimo dialogo.

Non so come, e di tal modo indiscreto, cominciai a darti del tu.

Sì, quel tu fu un tu rubato alla tua intimità.

Quando lo espressi, fu troppo tardi per rendermi conto di ciò che avevo deturpato con la mia irruenza.

Purtroppo mi portavo ancora appresso il vizio di sottrarre dovunque fossi e a chiunque trovassi, un qualcosa che fosse in grado di rompere il gelo che mi impediva di scaldarmi.

Tu tacevi e ascoltavi; volevi capire chi ti stava a fianco e ne venivi valutando le parole fino a che il destino, alla fine della salita, non provvide a separarci di nuovo.

Nell’accomiatarti, però, mi consegnasti la tua risposta, passandomi il testimone della tua solitudine.

 

343 Scienza e poesia sono figlie dello stupore; sorelle gemelle… dove l’una però è opposta all’altra.

 

344 Il bambino e il martello

C’è un episodio che io mi sono portato dietro, lungo il percorso dell’esistenza e che solo oggi sono riuscito ad interpretare secondo le analisi che sono venute affiorando.

Questo è l’episodio di un bambino che un giorno si ritrovò a giocare con un martello, tentando di bucare il muro di casa sua vicino allo stipite della porta.

Si accaniva con forza contro il muro, quasi a volerlo demolire.

Molte sono oggi le cose che, alla luce del tempo, possono trovare esito affiorando dall’oscurità psicologica e fra queste, ecco prendere forma quel simbolismo che risuona come un’accusa verso quel mondo che gli adulti tendono a distruggere sotto gli occhi del bambino ( e qui, quel mondo si chiama famiglia ).

Il linguaggio dei bambini non è di facile interpretazione anche se oggi lo psicologo ne segua una traccia.

Egli non parla, ma agisce secondo atti inconsulti e forse astrusi agli occhi dell’adulto che lo osserva, forse anche sorridendo per quello che può considerare solo un atto senza senso.

 

345 Non fu felice la tua esperienza in Svizzera, e su quel periodo, tu hai fatto calare il buio; ma dalle esternazioni della lettera ne fai una questione di cifre.

( In intimità con il padre revisione )

 

346 Il fanciullo in noi è l’alter ego; è il fanciullo universale che lungo il tragitto della vita è andato via via però sbiadendo nella sua immagine (ma non cancellata) dal momento in cui mosse i suoi primi passi.

 

346 Nessuno è sterile se non nella misura in cui non si riconosce.

 

347 Dialogo con l’amico

Io: A questo punto, il problema che si pone è quello di chiederci cosa sia possibile all’uomo.

Amico: Semplicemente quello che Seneca esortò a fare, vale a dire “ All’uomo sia gradito quello che è gradito a Dio”; tornando, perciò, all’origine da cui è cominciata la nostra indagine, ciò che l’uomo scopre di sé è il rapporto della sua coscienza con il tutto e di come tale coscienza tenti di trascendersi nell’apertura dinamica dell’essere… conoscere, scoprire, indagare, sono atteggiamenti che inducono necessariamente ad una riflessione e che fa fare alla coscienza un balzo qualitativo nell’evolversi dell’uomo, un’evoluzione spiralica che partendo dal nucleo, lo proietta nell’infinito.

Io: Vale a dire?

Amico: Dal suo nucleo, l’uomo si apre all’infinito in una spirale evoluiva aperta a situazioni sempre più profonde che ne esprimono l’intrinseca intimità nell’ambito di quella rivelazione che lo ha posto nel cuore della creazione. E’ in questo mistero che io mi sono sempre ritrovato; Dio, natura, uomo, sono motivi che sin dalla fanciullezza mi hanno accompagnato per mano, facendo in modo che io potessi intuire il legame, immergendomi nel fascino di quegli abissi e ricordo ad esempio, durante le vacanze estive al mare, le esperienze interiori che respiravo, lasciandomi una sensazione incomparabile.

Io: Cosa ti accadeva?

Amico: Mi accadeva, dopo aver fatto il bagno in mare e disteso su un angolo di spiaggia, che mi lasciassi accarezzare dai raggi del sole e allo stesso tempo mi sentissi coinvolgere da quello stato di ebbrezza che mi procurava quel sentir scorrere la sabbia fra le mani, come se in ogni granello riuscissi a percepire il mistero di una complessità e da qui il brivido dei miei pensieri… era come se in quel momento, una scintilla mi trasmettesse qualcosa di indefinibile.

Io: Quello che mi pare di comprendere dalle tue parole, è che il “tutto” rivela l’unità e che l’uomo è un frammento di questo “tutto”.

Amico: Dice Teilhard de Chardin che l’uomo non è spinto verso “l’uno” nella sola ragione, vi si è trascinato dall’intero suo essere.

Io: In altre parole, tu mi stai dicendo quello che Agostino riferì nelle sue confessioni “ L’uomo interiore apprese le cose con l’ausilio delle esteriori; io l’interiore le ho apprese”.

 

348 I fanciulli di oggi finiscono di stupirsi ancor prima di cominciare, diventando spesso nemici fra loro per mezzo di quella violenza che la società ha appiccicato alla loro mente, favorendo fra loro una violenza gratuita.

Qui il fanciullo universale tace e piange nell’antro più oscuro, quasi impotente di fronte a ciò che vede.

 

349 Certo noi sappiamo che la legge è buona, se uno ne usa legalmente; sono convinto che la legge non è fatta per il giusto, ma per gli iniqui e i ribelli.

  1. Paolo ( Prima lettera a Timoteo )

 

350 Non di quanto si possa sapere, ma cercare il significato della vita, apporta sapore all’esistenza.

 

351 Il miele e il pungiglione ( metafora della menzogna )

 

352 … Beato te che sei in grado di comprendere i beni che possiedi. E’ piena di ansietà, infatti la condizione dei beni umani ed essa non può toccare mai in tutta la sua interezza, ne può durare per sempre.

Boezio ( La consolazione della filosofia )

 

353 Il mistero di Cristo

  1. a) Al centro del mondo: Gesù
  2. b) Al mistero di Gesù: la sua morte
  3. c) Al centro della sua morte: l’amore

Il mistero dell’uomo abbandonato: l’amore di Gesù non è né stoico né platonico.

Amore e morte: della morte a se stesso, dallo spogliamento, dalla rinuncia, dal distacco, dalla perdita e oblio di se stesso.

Il mistero del cuore di Gesù è il mistero dell’uomo trafitto.

 

354 A proposito di libri

Per amore dei libri, ho imbrogliato spesso mia madre dicendole qualche bugia o introducendoli di soppiatto.

L’amico mi disse che visitando tante case, non aveva mai visto una biblioteca come la mia.

In effetti, i libri mi hanno salvato, se così si possa dire, da situazioni che mi avrebbero visto immerso in un mondo negativo.

Leggendo, mi si era aperto un mondo immenso dove poter spaziare in tante direzioni, guidando la mia curiosità; ma una volta, un parente di mia madre mi chiese con celata ironia: “ Gli hai letti tutti?”, sapendo che era impossibile.

“ No!”, risposi “

Onestamente, è impossibile… non basta una vita per scoprire questo tipo di universo”.

 

355 La creazione vive la sinfonia della diversità.

  1. Albino Maria Candido

 

356 Una figura

Dall’esperienza di Rovereto, ecco una figura affacciarsi alla memoria: Tommaso, l’emblema della sofferenza fisica.

Il suo corpo sembrava essere un tronco d’albero che stentatamente cercava di muoversi, mentre le sue braccia erano rigide come due rami; per di più stentava a parlare e tutto ciò mosse in me uno sguardo di pietà ogni volta che lo vedevo.

Ma questa mia pietà, sembrò apportare a lui un risentimento, poiché capiva questa mia espressione e di lui, in seguito, ebbi sempre paura.

Intuendo questo mio atteggiamento nei suoi confronti, infatti, mi osteggiò quando se ne presentava il momento.

 

357 Una spiccata voglia di piangere mi ha colto stamattina già alzandomi dal letto; mi sento inutile a me stesso, incapace per me stesso.

( 17 – 04 – 2013 )

 

358 SIRACIDE ( 30, 21 – 25 )

La gioia

Non abbandonarti alla tristezza,

non tormentarti con i tuoi pensieri.

La gioia del cuore è vita per l’uomo,

l’allegria di un uomo è lunga vita.

Distrai la tua anima, consola il tuo cuore,

tieni lontana la malinconia.

La malinconia ha rovinato molti,

da essa non si ricava nulla di buono.

Gelosia e ira accorciano i giorni,

la preoccupazione anticipa la vecchiaia.

Un cuore sereno è anche felice davanti ai cibi,

quello che mangia egli gusta.

 

( 25 – 04 – 2013 )

 

 

359 Ieri, una doppia provocazione… Michelina e Patrizia

 

( 1 – 05 – 2013 )

 

360 La sete dei libri

Per paradosso, mi accorsi che essere in una stanza piena di libri, non mi aiutava a pensare.

 

361 Un tuffo nel passato

Mi sono appena rivisto su un filmato amatoriale di trent’anni fa, o poco più, girato dall’amico.

Un sorriso ( accompagnato da un pensiero non certo lusinghiero verso la mia persona per goffaggine e altro ) mi riconduce al tempo di allora e il pensarmi oggi in un contesto diverso, non può non procurarmi una reazione di sorpresa di fronte a quell’evento in quanto la memoria ha fatto scivolare nell’oblio quell’istante… Un riscoprirmi di come ero e di come agivo.

Ora, trent’anni sono tanti; ma lungo il. sentiero dell’esistenza, il tempo rimane sempre relativo in raffronto all’istante.

Quel filmato, era venuto a chiudere, se così posso dire, il ciclo di un periodo in cui passeggiando con l’amico in quel luogo si veniva a porre l’accento di un’indagine sul senso della vita… ma la ricerca di quel senso non poteva certo dirsi esaurita; esaurita era la frequentazione di quel luogo quando, con sorpresa, lo si trovò deupaperato.

La delusione che ne scaturì, fu data dallo stravolgimento dello scenario; mai ci saremmo aspettati un possibile mutamento seppure ogni atto è sempre pronto ad essere compiuto dall’uomo.

Tutto è soggetto a mutamenti possibili, l’uomo stesso ne subisce l’influsso e quel filmato ne ribadiva la realtà.

Ma l’amico già dal primo momento che mi aveva condotto lì, non aveva fatto altro che mettere in evidenza l’accento sul fatto dei cambiamenti: “ Da ragazzo, era mia abitudine venire da queste parti in bicicletta a meditare, assaporando nel contempo il silenzio della natura… A dire il vero, la vegetazione era più folta”, si era premurato ad aggiungere allorché venne a leggere la mia perplessità, poiché il luogo non diceva nulla di particolare per destare in me seppur una piccola meraviglia..

Poi quasi a dare voce alla mia perplessità : “ Sì, in effetti molto è cambiato da allora; qui tutto era diverso si che il respiro della natura si univa al respiro dell’anima. Purtroppo, via via che l’uomo avanza per obbedire ad esigenze sempre più pressanti, la natura è sacrificata sempre più pesantemente”.

“ In effetti…”, commentai io “ lo sfruttamento smodato che l’uomo mette in atto, comporterà   un’alterazione nello stato delle cose che, prima o dopo verrà proprio a rivoltarsi contro di lui, venendo a mancare l’equilibrio del sistema”.

Quelle passeggiate erano iniziate allorché l’amico, rientrato dalle sue esperienze di ricerca spirituale, si trovò a cercare un rifugio per non perdere il contatto con quella spiritualità che aveva respirato altrove e che ancora in quel momento si stava portando dietro

Ed ecco che questo affiorava anche da quel sentimento poetico che egli sapeva cogliere dalla natura stessa, leggendo tra le righe quel simbolismo che tanto affascinava il suo pensiero.

 

362 Sentieri di silenzi

Ecco qua, fra le mie mani, quel testimone… un diario.

Lo ricevetti per via indiretta, ma subito ne assaporai il gusto delle parole che venivano ad illuminare lo scenario di un’anima.

Oggi, risfogliandolo, non posso fare a meno di ricalcare quelle orme che evidenziano l’itinerario di un uomo in piena apprensione esistenziale e spirituale.

Mi soffermo per un momento a riguardare la copertina; ecco il pellegrino, dalla canuta testa, lungo quel sentiero fatto di pensieri e silenzi, quasi avviato al tratto finale del suo percorso, immergendosi nella natura della montagna, di quei boschi che par parlino da sé.

Sostenuto da quell’immagine, vado scorrendo quelle pagine quasi fossero prati aperti al volo dei miei pensieri, similmente a quei campi di fiori dove gli insetti ronzano richiamati da quel profumo, se si può dire selvatico… una scia che cattura l’avidità degli occhi.

Avidità di uno sguardo, dunque, che sembra seguire una rotta segnata da un evidenziatore con cui mettere a fuoco l’obiettivo di quelle riflessioni… come un faro che illumini i pericoli che mi minacciano

Ed ecco un pensiero dal sapore acerbo attirarmi con una parola, sino a ricorrermi in tutte le situazioni che vedono i miei atti sconvolti… rimorso; un’ombra sembra attraversare la mia mente ogni qualvolta tenti di arginare quel suo atto devastatorio.

Leggo: “ … Rimorso per quello che sono, per quello che penso; del mio non saper accettare, del mio rifiutare, del respingere con il mio sguardo annoiato…”.

Questa parola mi raggiunge sino a chiedermi quanto la mia esteriorità sia stata in sintonia con la mia interiorità e quanto, ancora, questa interiorità sia fedele a se stessa.

Questo rimorso affiora per ogni qualvolta che mi sono lasciato travolgere da quella debolezza che mi impedisce la capacità di affrontare la prova… rimorso, per ciò, nel non fare della mia debolezza un atto di forza capace di confidare a chi ha il potere di trasfigurarla.

Sì, anch’io, come tanti altri, sono stato sottoposto alla prova da Dio nella mia debolezza; debolezza dapprima nel fisico colpito dalla malattia, e debolezza del mio essere, dopo.

Sembra, dunque, che il rimorso si voglia presentare a me sotto un duplice aspetto le cui catene pare risuonino dal passato per assordare il mio presente.

Ma se la debolezza apportata dalla malattia nel fisico non dipendeva da me, con un ben altro tema si presentava la debolezza del mio essere interiore.

Debolezze, queste, che ben presto mi condussero al rimorso ogni volta che mi lasciai trascinare in quell’ingorgo di situazioni negative, condizionamenti che mi impedirono di capire e di riflettere, di discernere la realtà delle cose.

Mi pare, a questo punto, di vedere un tratto in comune con quelle parole; forse è comune a tutti quando, guardandoci dentro, ne scopriamo l’abisso.

Rimorso, dunque, quando esteriorità e interiorità paiono prendersi a pugni in me, dove i pensieri non si accordano alle parole e ai fatti… questo rimorso mi addenta ferocemente l’anima; si ripresenta ogni qualvolta una fuorvianza mi induce a lamentarmi egoisticamente.

 

363 Paura

Leggo: “ La paura ha costruito e distrutto la mia vita “.

Dinnanzi a queste parole, il mio pensiero si sofferma sulle immagini della mia vita: PAURA; la mia esistenza è stata condita in gran parte da questo sentimento… un sentimento inoculato dagli adulti ancor quando bambino, ero assediato da altre paure.

Ma mentre quest’ultime, posso dire, si sarebbero ben presto dissolte come nuvole, ecco che quella paura inoculata comincio a stanziare in ogni situazione, devastando il mio essere e, con questo, a impedire una sua maturazione.

La paura ha condizionato per buona parte il mio modo di essere autentico tanto che mi sono ritrovato a chiedermi quando mai fossi stato autentico nei rapporti con l’altro.

Volgo lo sguardo alle tappe che fino a oggi mi hanno condotto qui, e mi ritrovo a constatare quanto l’ansia abbia giocato un ruolo deleterio nel mio modo di rapportarmi con la realtà.

L’ansia, mi accorgevo, veniva a spegnere la mente, mi impediva di riflettere e di conseguenza ecco generarsi la paura; paura di sbagliare, paura di non comprendere, paura di non arrivare, paura di dei rapporti con gli altri.

In tutto questo la paura veniva a creare uno stato di fibrillazione che, con il mio modo di essere, faceva sì di rinchiudermi nei meandri di un mondo interiore alquanto caotico.

 

364 SIRACIDE ( 2, 18 )

Gettiamoci nelle braccia del Signore

e non nelle braccia degli uomini;

poiché, quale è la sua grandezza,

tale è anche la sua misericordia.

 

365 L’età che abbiamo è quella che il cuore e lo spirito sentono di avere.

  1. Mann ( La morte a Venezia )

 

366 La consapevolezza è l’indice di una certa maturità, ma non è la pienezza.

 

367 SIRACIDE ( 3, 21 – 23 )

Non cercare le cose troppo difficili per te,

non indagare le cose per te troppo grandi.

Bada a quello che ti è stato comandato,

poiché tu non devi occuparti delle cose misteriose.

Non sforzarti in ciò che trascende le tue capacità,

poiché ti è stato mostrato più di quanto comprende un’intelligenza umana.

 

368 La vita ha scopo se si vive per qualcuno; per sé si è morti.

 

369 Le fratture si presentano al un punto determinato del tempo che non si può più conoscere di prima mano come esistenza, ma come passaggio storico. Il passaggio da una generazione all’altra, indebolisce sempre più il rapporto con il passato, creando in tal modo la frattura. La frattura è il carico non più sopportabile.

 

370 Il trauma delle generazioni nel segno del destino:

  1. a) l’impatto
  2. b) l’adeguamento

 

371 Su una frase, o su una parola soltanto, si possono riversare fiumi d’inchiostro, fiumi di pensieri azzardati, ma nessuno può vantare di aver colto quel frammento con delicatezza, con timore, con umiltà.

 

 

372 I pensieri vanno e vengono, passeggiano nelle nostre teste, ci ammaliano come delle seduttrici.

Non sappiamo da dove vengono, sappiamo che improvvisamente arrivano, ci intrattengono, e poi, infedeli, vanno via.

Nulla è più volatile di loro, ma c’è un movimento in cui la consistenza aerea prende forma, sostanza.

E’ esattamente a quel punto che i pensieri creano qualcosa che prima non c’era: “ Penso “ avrebbe sentenziato Cartesio, “ dunque sono “.

  1. Scalfari ( Per l’alto mare aperto )

 

373 Il giorno ci porta ad agire; la notte a contemplare.

 

374 Secondo come in noi scorre il sangue, possiamo dirci liberi o schiavi… liberi dalle passioni, o schiavi.

 

375 Conoscere mi basta; esprimere mi sembra talvolta profanare; far conoscere assomiglia a divulgare, e per non avvilire, lascio celato.

E’ questo precisamente l’istinto femmineo, la protezione del sentimento, il seppellimento delle speranze individuali, il silenzio sui segreti migliori.

  1. F. Amiel ( Frammenti di un diario intimo )

 

376 Ci si lascia andare alla deriva, quando non si è attesi da nessuna parte. A che intervenire? Il coraggio sta in un amore.

  1. F. Amiel ( Frammenti di un diario intimo )

 

377 Pur predicandola, la vita non può avere pace… è un’illusione.

 

378 I fiori della giovinezza appassiscono; ma l’estate, l’autunno ed anche l’inverno dell’esistenza umana hanno la loro maestosa grandezza, che il saggio riconosce e glorifica.

  1. F. Amiel ( Frammenti di un diario intimo )

 

379 Una domanda fondamentale dell’esistenza è: “ In cosa credo?”.

 

380 Riflessione ricava dalla prima domenica di quaresima ( anno A ) dove sono evidenziate delle concezioni sbagliate:

– L’uomo è in balia di cieche forze naturali o storiche; la sua presenza nel mondo è il frutto di un caso che gli ha giocato uno scherzo breve e crudele, dandogli l’illusione della felicità e abbandonandolo al potere della morte.

– L’uomo è arbitro assoluto del suo destino, padrone del bene e del male, dominatore delle forze cosmiche, protagonista unico della storia.

 

381 Il destino di un uomo è il destino di una nazione.

 

382 Non può esserci che l’arte a trascendere l’ordinario, ma questa non appartiene a tutti.

 

383 L’arte è figlia della contemplazione; solo chi sa contemplare può scendere al cuore dell’essere.

 

384 Dire: “ Penso, quindi sono “, non risolve il problema dell’essere pensante, poiché il discorso si allarga alla domanda: “ A cosa penso… cosa mi fa pensare? “.

 

385 Di una cosa io sono fermamente convinto e cioè che chi non confesserà le sue paure non sarà credibile, non per le sue paure ma perché nascondendole pensa poi, dettar regole per gli altri.

 

386 Le cose belle non si ripetono… Rimangono uniche.

 

387 Isaia (32, 15 – 20) Effusione dello Spirito.

Ma infine in noi sarà infuso uno spirito dall’alto;

allora il deserto diventerà un giardino

e il giardino sarà considerato una selva.

Nel deserto prenderà dimora il diritto e la giustizia regnerà nel giardino.

Effetto della giustizia sarà la pace,

frutto del diritto una perenne sicurezza,

il mio popolo abiterà in una dimora di pace,

in abitazioni tranquille,

in luoghi sicuri,

anche se la selva cadrà

e la città sarà sprofondata.

Beati voi! Seminerete in riva a tutti i ruscelli

e lascerete in libertà buoi e asini.

 

387 Ancora sui libri

Molti sono gli ospiti che sono venuti in visita nella mia gabbia, lasciandomi la loro visione della vita… ed ecco da questi, il loro regalo.

Con qualcuno mi sono trattenuto di più, con qualcun altro di meno licenziando la loro presenza.

 

388 Più che certezze, noi generiamo insicurezze.

 

389 Nel cuore del mistero ( meditazioni sul rosario )

1 – La solitudine del Getsemani ( la supplica al Padre )

2 – Incoronazione di spine ( ecco l’uomo )

3 – La salita al Calvario

4 – Gesù crocifisso ( le pie donne )

5 – Deposizione

6 –   Risurrezione

7 – Il cuore di Gesù

8 – Lo Spirito Santo ( colomba )

9 – Madonna con il Bambino

10 – Maria ( la speranza )

 

390 Sulla strada di Emmaus ( Lc 24, 13 – 35 )

Nelle apparizioni narrate da Luca e Giovanni, i discepoli non riconoscono il Signore a prima vista, ma solo dietro a una parola o un segno .

( Lc 24, 30 – 55; 35, 37; 39, 43 )

( Gv 20, 14 – 16; 20; 21, 4 – 6 – 7 )

Pur restando identico a se stesso il corpo del resuscitato si trova in un nuovo stato che modifica la sua forma esterna ( Mc 16, 12 ) e la libera dalle condizioni di questo mondo ( Gv 20, 19).

Sullo stato glorioso dei corpi ( cf 1 Cor. 15, 44).

Il brano offre pure un elemento prezioso nella testimonianza che gli apostoli danno alla risurrezione di Gesù fondandosi sulle apparizioni del Maestro a Pietro ( cf. vangelo B della veglia pasquale ).

( Mc 16, 1 – 8 ).

Particolarità di Marco: nessuna gioia, ma solo spavento e incomprensione. La realtà della risurrezione dovette imporsi a uomini molto critici che non si aspettavano per niente quell’avvenimento.

 

391 La vita

“ Amore, ascolto, verità, tempo, speranza… morte “; sono parole, queste, che sembrano accodarsi a quel fruscio che scorre fra i pensieri: è la vita.

Ecco… uno sguardo sul mondo circostante e subito la mente par vagare alla ricerca di qualcosa che sappia spiegare quel fruscio insistente dell’esistenza.

Fra tutto ciò che lo sguardo abbraccia, sembra che una metafora lo accompagni per mano quando, soffermandosi a guardare un albero, ne scopre un linguaggio che lo coinvolge.

Già, la vita parla attraverso il muto scorrere del tempo; nel silenzio del tempo, infatti, si può cogliere lo scandire di un’evoluzione.

Quell’albero viene a rammentare quell’evoluzione in corso di ogni uomo, la sua nascita… la sua crescita..

Ed ecco   rispecchiarsi tutto in quello che la natura rimanda… un albero, dunque, con le sue radici, con il suo tronco e i suoi rami.

Come non cogliere, attraverso esso, quelle situazioni in cui si evidenziano le fasi di una crescita?

L’albero, come metafora della vita umana, ci viene a parlare in sintonia con quelle fasi che legano la nostra stessa vita.

Fanciullezza, adolescenza, maturità, sembrano lì rappresentati; un’associazione fra le parti, ed ecco che la fanciullezza si rappresenta alle radici dell’albero, l’adolescenza al tronco e la maturità ai rami.

La vita respira le sue fasi; una trasfigurazione nel vedere… nell’ascoltare.

 

392 SIRACIDE

( L’uomo è un nulla   18, 7 – 8 )

Che è l’uomo?

Qual è il suo bene e qual è il suo male?

Quanto al numero dei giorni dell’uomo,

cento anni sono già molti.

Come una goccia d’acqua nel mare e un grano di sabbia

così questi pochi anni in un giorno dell’eternità.

 

393 ( 18, 26 )

Dal mattino alla sera il tempo cambia;

e tutto è effimero davanti al Signore.

 

394 Fra i vecchi appunti, ecco sbucare qui un sogno datato 8 settembre 2004:

Stanotte li ho sognati tutti e due…mio padre e mia madre, un sogno strano; ma è soprattutto con lui che mi sono trattenuto. Mio padre aveva una fisionomia alterata e la discussione che ebbimo, sembrava riprendere dal punto in cui ci eravamo lasciati nell’ultimo incontro prima della sua morte.

 

395 Grande lezione quella di Federico ieri sera, nel consueto ritrovo mensile dei focolarini locali, con la sua testimonianza sul dolore; dopo il suo intervento ha lasciato tutti senza parole, ponendo per ciascuno una scia di riflessioni.

( 4 – 06 – 2013 )

 

396 La fiducia è paragonabile a un castello di carte; tolta una, crolla tutto

 

397 Franca ha mantenuto la promessa di venirmi a trovare, sono pienamente contento, abbiamo passato un’ora e mezza a parlare e questo mi ha riempito il cuore, soprattutto quando sono venuto a parlare di mio padre. Penso che sia l’unica, da parte dei parenti paterni a dare di mio padre una dimensione umana scevra da giudizi negativi, seppur anche questi accompagnano il proprio cammino… GRAZIE.

( 18 – 06 – 2013 )

 

398 Non si può costringere una persona ad amare se non sa amare; questa, è morta a se stessa e se per caso nascono in lei dei sentimenti, più che gustarli li divora.

 

399 Spogliarsi del presente per visitare il passato.

 

400 L’uomo ha dequalificato se stesso in nome del meccanicismo.

 

401   Anonimo veneziano. Quel film, nel tempo, lo rividi non so quante volte, quasi a voler studiare ogni fotogramma, quasi a studiarlo nei minimi particolari tanto che alla fine ne consumai la pellicola della videocassetta.

 

402   Ogni storia attraversa il suo fiume, come chilometri che possono essere gli anni della propria vita.

 

403 Se non hai qualcuno a tuo sostegno che si incarichi di portare avanti la tua idea, certo sarà che il tuo animo rivoluzionario si spegnerà come uno dei tanti temporali di cui nessuno si ricorderà.

 

404 Il senso della vita lo si scopre nella misura in cui ognuno accetta di essere quello che è, ma è difficile accettarsi per quello che siamo senza scendere a compromessi con se stessi..

 

405 Stupore e acutezza dello sguardo.

 

406 Uomo, leone, bue, aquila… ecco presentarsi attraverso la simbologia l’acutezza dello spirito a nutrire la ragione e il cuore per mezzo del vangelo.

 

407 Ironia del sogno: ciò che la mente vigile non confessa, ecco che l’inconscio la denuda.

 

408 Cristianesimo e conversione tocca il cuore. Umanesimo e spirito tocca il cervello.

( Amiel )

 

409 Qual è la visione della vita in una donna… qual è la visione della vita in un uomo? Pur avendo la stessa radice, la visione è differente

 

410 Senza rispetto, nulla può condurre all’armonia.

 

411 Dove sta il pedagogo… il medico… il sacerdote? Ogni uomo, prima di educare gli altri, deve saper educare se stesso.

 

412 Comunicare significa porre le premesse di un dialogo.

 

413 E’ difficile credere e nel contempo avere fede se non per assurdo. Ci nutriamo di assurdo; l’assurdo ci accompagna nella realtà quotidiana.

 

 

414 Non è ogni uomo un errore, un passo falso? Non cade in una prigionia tormentosa appena nasce?

( T. Mann – I Buddenbrook )

 

415 Il dolore non conosce domatori che lo possano tenere a freno..

 

416 Io cerco di essere giusto, ma non so se in questa mia giustizia vi sia amore.

Io cerco di essere buono, ma io non so se in questa mia bontà vi sia amore.

Dalla giustizia, alla fine, si vuole il proprio interesse; dalla bontà il proprio tornaconto.

 

417 Nulla può soddisfare l’inganno dell’amor proprio; in ogni sua parte non è mai pago della propria apparenza.

 

418 L’amore volubile della natura umana… è questo a rendere immaturo ogni rapporto. Forse l’amore vero è una catena e, per tale, si è insofferenti di fronte ad esso; facendo così, non ci si accorge di cadere in altre catene.

 

419 In uno sguardo d’amore, è l’altro che mi permette di riflettermi attraverso i suoi occhi per capire chi io sia. In quello sguardo vi circola quel fremito d’intimità che svela l’essere.

 

420 La disabilità smaschera le apparenze, rendendoti nudo.

 

421 La guida e la fortuna ( 2 )

“ Perché tanta invidia ti rode? “, sentii questa voce dentro di me, tanto che cercai di nascondermi intimamente.

Mi convinsi che non esistesse uomo che, almeno una volta, non avesse rivolto alla fortuna l’occhio della cupidigia, volendone così frenare il corso: “ La fortuna che in altri invidi, non appartiene a nessuno. Nessuno può mai trattenerla per sé che già lei è lontana. E’ sciocco pensare che lei sia la motrice di ogni volere”.

Queste parole cominciarono a sgretolare le fondamenta instabili delle apparenze e volgendo su di me lo sguardo della mente, il pensiero s’aggirò scrutando quanto l’anima offuscata impedisse ogni discernimento; sentii allora quanto la verità, sopra quella follia, mi disponesse al pianto.

Non aveva lei, o la natura, concesso il suo favore?

Perché ad alcuni dava e ad altri toglieva? Non mi accorsi, fra tanta cecità, quanto tutto fosse corruttibile, quanto tutto fosse fuggevole.

La natura stessa confessava la sua corruttibilità; ne segnava la via…. Fortuna, bellezza o altro che la cupidigia possa afferrare, ben si dissolve fra le mani che la stringono.

Ed ecco che nella visione delle cose, la spina della vita avvertiva da quanta follia fosse permeato il pensiero umano.

Non la fortuna, dunque, aveva il potere di conservare, ma il potere di richiamare, poiché il suo dono non era senza pegno.

Lei era solamente la messaggera della corruttibilità delle cose e dell’immortalità dello spirito.

La fragilità della vita, rivelava così quel rapporto delicato, tanto da soffrire le doglie di un parto continuo, ma anche rivelava che ad ogni parto il sorriso dello spirito ne cancellava il dolore.

La fortuna, in questo, nulla aveva aggiunto ma neppure aveva tolto.

Non potevo ignorare che ogni esistenza nascondesse in sé il mistero di una creazione continua; ognuno era, in sé, quel fiore e quella spina.

 

422 Appunti per un racconto

In che modo si fosse introdotta in casa sua, Mirko non se lo seppe spiegare ne perdonare, ma ecco che quella ragazza in quel momento se ne stava di fronte a lui e, per tale, si sentì non poco sconcertato da quell’improvvisa presenza.

“ Ciao! “, salutò lei con naturalezza.

“ Come ha fatto entrare? “, le domandò riprendendosi dalla sorpresa che lo aveva lasciato senza parole.

“ Veramente avevo suonato il campanello “, rispose la ragazza senza scomporsi anzi, regalandogli un sorriso “… ma poi avevo notato la porta socchiusa e…”

Mirko si chiese per quale distrazione avesse lasciato la porta aperta, ma dovette ammettere che non era la prima volta; spesso, immerso nei suoi pensieri, si lasciava andare a delle distrazioni e solo ritornando alla realtà dai suoi fumiganti pensieri, faceva un giro per l’appartamento accertandosi che tutto fosse in ordine.

“ Oh… oh…! “, fece la ragazza cercando di attirare la sua attenzione, ma egli non sembrò udirla sino a che l’impazienza di lei lo riportò alla realtà: “ Non sono mica un fantasma… sono venuta ad abitare nell’appartamento accanto e per educazione volevo presentarmi “.

“ L’appartamento vuoto…”, mormorò Mirko.

“ Come? “, fece eco lei.

“ Ma si… ma si! L’appartamento vuoto. “, si ripetè.

Quell’appartamento era vuoto da qualche anno, l’ultima inquilina, la vecchia Amabile, se ne era andata un giorno, nel nome del Signore.

“ Ma ora ci sono io! ”, disse la ragazza afferrando le ultime parole “ Mi sono trasferita da poco, e mi chiamo Adelina ”.

“ Da quanto? “

“ Da due settimane”.

“ Strano… “.

“ Strano, cosa ? “

“ Sì, strano che durante queste due settimane non abbia sentito ne voci ne rumori; in genere un cambiamento comporta sempre un po’ di confusione “.

Adelina rise divertita:; “ Sì, hai ragione, ma vedi non senti confusione perché ancora l’appartamento non è arredato del tutto e quindi non puoi sentire confusione di genere quotidiano, ma per il momento l’essenziale non manca; un letto per dormire, un cucinino per far da mangiare e un tavolo possono bastare… il resto verrà secondo il gusto” .

“ Seppure, cose essenziali, devono pur essere state portate, visto che l’appartamento era del tutto vuoto “, insistette.

“ Vero, e vero è anche che quel giorno, mercoledì se non sbaglio, ero venuta per fare la tua conoscenza, ma tu non c’eri “.

Quel mercoledì, Mirko dovette ammetterlo, si trovava fuori casa da un amico che lo aveva ospitato per due giorni; ma dopo? Come mai non aveva fatto caso, seppure ad un lieve rumore?

 

423 Aforismi

 

Né il sole né la morte si possono guardare fissamente.

La Rochefoucauld

Le idee migliori non vengono dalla ragione, ma da una lucida visionaria follia.

Erasmo da Rotterdam

Perché la frase scorra, bisogna essere brevi.

Orazio

Come ci si può divertire in una festa in cui le birre sono calde e le donne sono fredde?

Groucho Marx

 

Bisogna sempre giocare onestamente quando si hanno le carte vincenti.

Oscar Wilde

 

L’uomo è nato libero, ma dovunque è in catene

  1. J. Rousseau

 

Bisogna avere in sé il caos per partorire una stella che danza.

  1. Nietzsche

 

424 Gli eventi che succedono in noi, avvengono senza riflessione; ci vengono incontro all’improvviso mentre pensiamo ad altro.

 

425 Abbozzo per un romanzo

“ Dunque d’accordo, ci vediamo domani… Ciao “

Andrea depose la cornetta del telefono; dopo quel breve dialogo con l’amico, si lasciò andare ad uno sconforto che aveva origine dallo scoprire che un male lo stava minando.

Da uno di questi esami clinici, che lo avevano indotto a fare, si era evidenziato qualcosa di serio che aveva allarmato il medico a cui si era rivolto.

Egli, a causa di questo, gli aveva proposto di fare ulteriori accertamenti per poter fugare quella prima diagnosi.

Ma egli non ne voleva sapere di altre visite, di altre ipotesi sul male; la sua cocciutaggine era più forte di ogni ragionevolezza.

Per tutta la vita, non aveva mai avuto simpatia per i medici e ora aveva detto basta a qualsiasi altro esame invasivo, non voleva più mettersi sotto le mani di gente estranea.

Vivendo oramai solo da qualche tempo, neppure i parenti erano informati del suo problema, né lui avrebbe voluto informarli.

La telefonata che or ora aveva appena fatto, nascondeva lo scopo di volersene andare via, di andarsene lontano senza dire nulla a nessuno.

L’amico a cui si era rivolto, lo aveva invitato ad andare a quel convento in cui si trovava dopo aver pronunciato i voti solenni; ma anche a lui, al telefono, non aveva detto nulla del suo stato attuale, risolvendo di dirglielo proprio all’imminente incontro che sarebbe avvenuto l’indomani, domenica.

Aveva scelto di partire in una giornata festiva, in modo da non dover destare allarmismi anzitempo che potessero frenare il suo intento, che potessero dissuaderlo.

Provò, in quel momento, un piccolo senso di rimorso; ma fu una cosa passeggera.

Dopo aver preparato e messo nella valigia ciò che gli sarebbe stato necessario, si distese un momento sul letto lasciandosi trasportare dai pensieri.

Questi, però, subito sembrarono accavallarsi in un modo caotico, trascinandolo quasi a fare un riassunto della sua esistenza.

Una ridda di immagini sfilò quasi a rendicontare una vita non certo esaltante, seppure da quelle immagini affiorasse anche qualche nostalgia, qualche rimpianto per qualcosa che avrebbe potuto se non rendergli l’illusione di una felicità, ma almeno la serenità.

Quella poca serenità che era riuscito a cogliere, fu grazie alla presenza appunto dell’amico.

 

426 Sì, è proprio vero che la strada dell’inferno appare lastricata da buone intenzioni; tante ne ho avute di queste buone intenzioni ma tra le averle e realizzarle, una voragine si è aperta in questi giorni.

( 18 / 04 / 2014 aurora )

 

427   Oggi, dunque, venerdì santo, è giornata di digiuno. Dopo che di buon mattino il pensiero si era soffermato sulla via lastricata delle buone intenzioni, ecco il proposito di osservare almeno la giornata di digiuno: “ Un proposito soltanto “, mi dico “… o vuol essere anche un atteggiamento di riflessione? “

Già altre volte mi sono trovato a porre in atto un atteggiamento verso questo rito, forse fallito a metà strada. In realtà, cosa mai cercavo da un simile atteggiamento? Mi accorgo, oggi, che nulla di più si rivelava come formalità, un adeguamento alla regola liturgica… ed ecco che sul fare della sera, i morsi della fame mettevano fine a quella formalità. Avevo compiuto quello che si può definire un atto farisaico; un atto vuoto, più che una convinzione per me.

“ Dì a questa pietra che diventi pane “, disse il diavolo nel tentare Gesù.

“ Non di solo pane vive l’uomo “, gli replicò Gesù.

L’ uomo affamato ben si lascia fuorviare dalla sua strada allorché si trova in difficoltà; la fame fa sì, che al pari di Esaù, si rinunci al tutto per un piatto di lenticchie.

“ Ma a cosa si rinuncia? “, vien fatto di chiedersi.

“ A se stesso… “, mi suggerisce una voce.

“ Come sarebbe a dire? “, mi chiedo; ma ecco che la risposta si presenta da sé: l’uomo rinuncia ad essere e a causa di ciò, altro non fa che precipitare in un’accozzaglia di situazioni esteriori in cui alla fine si trova estenuato senza però aver risolto il problema della sua realtà fatta di compromessi.

La fame del corpo, quindi, combatte contro la fame dell’anima e ne ha spesso il sopravvento; le blandizie dei sensi lo hanno invaso sotto ogni aspetto.

Sono, queste, false fami che si prolungano in una loro insoddisfazione sino a rendere flaccida ogni opposizione.

“ Lo spirito è forte, ma la carne è debole…”, aveva sentenziato Gesù trovando i suoi discepoli addormentati.

( 18 / 04 / 2014 mezzogiorno )

428 Vita e memoria ( continua da 275 )

 

Non tutto, dunque, era stato sviscerato: “ Sarei dovuto, dunque, andare avanti? “, mi chiedo.

Prendo il testo in mano e scorrendo le pagine mi accorgo che sì, molte sono le omissioni poiché il tutto era stato scritto d’impulso, sentendomi tormentato da quel sogno, più che obbedire ad una vera e propria ragione di scrivere.

Come venni a dire, a riguardo della scrittura, c’è verso essa da parte mia una forma di odio – amore che mi impedisce di proseguire con lei una simile strada.

Già il fatto stesso di stampare prima e divulgare dopo quello che avevo scritto, mi aveva coperto di dubbi.

Innanzitutto, quello di divulgare ciò che è l’intimità di una persona; c’è, infatti, per ognuno un pudore nel mettere in piazza ciò che per ciascuno è la stanza segreta della propria vita.

In quella stanza ognuno si rifugia; aprendo per sé quella porta, egli lascia fuori il mondo con l’intento di restarsene solo.

Ma ecco la sorpresa! Quel mondo è lasciato fuori solo in apparenza; egli è rientrato alle proprie spalle, in quella stanza, attraverso le emozioni, i pensieri e tutto ciò che lo ha coinvolto.

Per rimanere con se stessi, paradossalmente, non si può non essere coinvolti dal mondo, poiché si agisce nel mondo, si agisce con quel mondo, e si comunica con quello stesso mondo.

In realtà si pensa di essere soli, ma i pensieri non possono fare a meno di far risalire alla mente il mondo; senza il mondo non avremmo nulla da pensare, nulla da confrontare; non ci sarebbe la possibilità di scoprire gli altri e di conseguenza, attraverso gli altri, se stessi.

Dunque, quella stanza è più rumorosa a dispetto di quel silenzio ricercato; è il tumulto delle sensazioni che si intrecciano o si aggrovigliano attraverso questo confronto.

Questo tumulto si era riversato in me allorché la tua morte mi aveva precluso una qualsiasi chiarificazione, mentre il sogno veniva ad impormi una tua riabilitazione.

Ecco che allora la tua esternazione avvenne per bocca mia; infatti, mi ritrovai spesso con l’amico a parlare di te senza però che egli, nonostante la sua buona volontà di farlo, riuscisse a comprendere quel rapporto che corre tra padre e figlio… egli non ebbe modo ( come venni a dire ) di conoscere il padre.

Ciò che mi rimaneva, allora, era solo la scrittura; con questa, ero entrato nella mia stanza senza però che quel tumulto si acquietasse… il sogno era ciò che di più inquietante mi perseguitasse.

Scrivere, allora, doveva essere un modo di pacificazione, una catarsi in quella profondità dell’anima.

Ma l’irruenza di quella scrittura aveva prodotto proprio una forma di odio – amore; una forma per cui se da una parte mi permetteva di sciogliere l’ancora dei pensieri, dall’altra i pensieri stessi si accalcavano in modo tale da impedire l’uscita da quel porto in modo da non cozzare fra loro.

Ciononostante, attraverso questa, feci partecipe ancora l’amico ( forse con presunzione ), guidandolo alla sua introspezione quando egli stesso divenne padre.

Ecco allora, con questa lettura introspettiva, emergere quanto di insondabile vi è in ogni individuo; crediamo di conoscersi, ma in realtà molto ci sfugge, abbarbicandoci a quello stato psicologico in cui non facciamo altro che far rientrare nell’ombra quella parte ingombrante di sé .

Non ci si conosce e quindi ignoriamo noi stessi; ma ignorandoci, la comunicazione ci porta a peccare di superficialità, tanto da minimizzare se stessi e massificare negativamente il mondo.

Aprire, quindi, quella propria stanza all’altro crea non poche considerazioni nell’altro, che possono portare all’imbarazzo prima, poi all’equivoco se non al sospetto o infine, all’indifferenza in quanto non se ne sente toccato.

Con quello scritto avevo aperto la mia porta all’altro; ma non sempre l’altro, come detto, né è disposto a varcare la soglia… “ Non mi interessa! Ne ho già abbastanza delle mie, per sentire gli altri! “.

Per via diretta, e anche per via indiretta, a me è accaduto ciò.

Dovevo trovarmi pronto anche davanti alle critiche per ciò che ero venuto a scrivere:

“ Elucubrazioni mentali inutili “, così è stato definito e poi “ Potrebbe essere condiviso con altri casi simili “.

Che ciò potesse essere condiviso era il mio obiettivo in quanto, rifacendomi ad una espressione di un filosofo, la propria intimità è meno intima di quello che si crede, poiché tutti stiamo percorrendo la medesima strada, seppur intrapendiamo sentieri diversi ( quindi storie singole, storie diverse ).

Ma che il tutto si riducesse solo a elucubrazioni mentali mi fasciò di amarezza, facendomi riflettere quanto proprio la superficialità o un atto di indisposizione personale, magari anche per un vissuto non ancora superato o elaborato, induca a giudicare forse anche con rabbia.

“ Hai avuto molto coraggio “, mi fu detto invece da un sacerdote, prima che lo scritto fosse reso pubblico ( era lo stesso sacerdote che nove anni prima mi aveva dedicato una serata con le mie poesie che io accenno negli ultimi capitoli ).

In quel momento non capii appieno quella frase e cosa egli intendesse dire.

Solo oggi posso intuire, se pure solo in parte, il senso di ciò che allora voleva comunicarmi…Forse lo aveva letto?

In genere quando ci viene regalato un libro, lo accantoniamo proponendosi di leggerlo quanto prima; ma in realtà lo abbiamo già dimenticato.

Lo vediamo lì, riposto nella libreria; vi ci passiamo davanti infinite volte, e inconsciamente lo riduciamo ad essere solamente un oggetto da tappezzeria, un oggetto da esibire più che da prendere in considerazione in quanto è vero che, al giorno d’oggi,   poco si legge.

Se quel sacerdote lo aveva letto, quel libro doveva apparirgli come una confessione pubblica in cui io mi mettevo in discussione esistenziale.

Dopo questa digressione, ecco riapparire la domanda iniziale: “ Era stato detto tutto quello che dovevo dire? “… Forse lo credetti, ma in realtà non era così.

Tante altre considerazioni si stavano affacciando alla memoria e tanto più quando mi fu detto dalla cugina Franca che sua madre conservava una tua lettera e questo mi fece pensare.

A parte una cartolina in cui tu mi dicesti di volermi bene, non ci fu tra noi un rapporto epistolare, seppur vero era che tu sapevi dove indirizzare le tue lettere, al riparo dall’ingerenza di mia madre… ma io?

E poi… cosa avremmo mai dovuto dirci?

Vero era anche che, allora, ero ancora un bambino; ma su quella strada, il bambino si avviava ad essere adolescente e poi adulto… e quello che prima si taceva al bambino, veniva trasformandosi in una fonte d’imbarazzo… ma nell’aprire il proprio cuore a chi ci vuol bene, ecco che non esistono barriere che possano impedire la comprensione.

Su quel silenzio fra noi, dovettero però pesare fortemente gli eventi che incisero sul rapporto; e proprio quelle immagini vivevano forse un loro occultamento nei nostri sguardi quand’ecco, uno di fronte all’altro, l’imbarazzo impediva di sciogliere le remore per trovare un vero punto d’incontro.

Ma, in verità, un punto d’incontro ci fu seppure condito da una forte amarezza; un episodio che nello scritto è stato solo accennato.

Episodio, quello, che rimase profondamente scolpito in me, e che in seguito venne a reiterare la sua lezione ogni qualvolta mi sentissi lontano da te anche con il cuore, a ripensare quanto ognuno sia colpito nella sua vulnerabilità allorché è colto in quella che si può definire nudità dell’essere; una nudità che le lacrime non sempre riescono a coprire.

Forse fu proprio in virtù di quell’episodio, che io avrei dovuto riassumere tutte le possibili lettere non scritte, in cui la tua figura ne sarebbe purtroppo uscita sempre sconfitta.

Dunque, nessuna lettera mai fra noi, che sapesse legare la nostra intimità, confessando magari proprio quelle debolezze.

La notizia di quella lettera a tua sorella, accese in me la curiosità di sapere qualcosa, di capire le situazioni che ti spinsero a scriverla.

Ed ecco che, a pochi mesi dall’aver reso pubblico quel manoscritto, la telefonata di Franca mi avvertiva che finalmente mi avrebbe fatto recapitare quella lettera.

Questa lettera, dopo averla letta, mi portò a fare una revisione su quel testo.

 

429 Confessioni allo specchio

 

Un giorno mi trovai in cammino. Non so in che modo, ma ecco in un attimo aprirsi davanti a me un mondo.

Fui assalito da un insieme di sensazioni: era la vita.

Il suo orizzonte sembrava racchiudere tutte le domande che i miei occhi esprimevano nel dilatare lo sguardo su tutto ciò che era fonte di indagine.

Un vagito aveva squarciato il silenzio ed ecco che, nascendo, la vita già mi poneva in uno stato di tensione esistenziale.

Da uno stato di stupore ad uno stato di coscienza… un ignoto sentimento viene ancora oggi qui a sfiorare i pensieri che hanno transitato lungo questo mio sentiero.

Un’esistenza sta per eclissarsi; mi chiedo quanto possa rimanere davanti a me.

Si accorcia sempre più questo tragitto e il sole… Già; non è più alle spalle ad illuminare quel futuro di allora, proiettando l’ombra ( l’illusione ) in avanti, ma se sta quasi di fronte a ributtare indietro ulteriori aspettative.

Esamino mentalmente, lungo un simile percorso, le possibilità che mi potevano essere riservate.

La sensazione che qui mi assale è che, per ciascuno, l’esistenza si apra ad infiniti sentieri, ma la propria condizione fa sì di dover percorrere solo uno… una infinità di possibilità e una sola realtà.

Se analizzo la mia esistenza, ecco che una fiumana di dubbi m’avvolge ripensando a tutte quelle che potevano essere le possibilità e non sono state.

Una realtà, dunque, ma quante altre possibili realtà?

Se un determinato limite, da cui mi sento schiacciato in questa realtà, non fosse sorto ad ostacolare la realtà vigente, sarebbe stata la stessa realtà?

Indubbiamente no!

E’, dunque, tutto un inganno?

Sì è talmente fasciati dalla vita che è difficile discernere tra inganno e realtà.

Sì è venuti al mondo bagnati dall’oblio… ma dall’oblio ecco fiorire i dubbi ad alimentare le perplessità.

Non potendo alterarsi la realtà, ecco che questa può benissimo confondersi nell’equivoco.

Eccomi, dunque, qui ad esaminare questo cammino, domandandomi quanto i determinismi e le circostanze abbiano imposto la loro preminenza.

Oggi, guardandomi allo specchio di questa esistenza e seguendo le tracce che il tempo ha segnato sul mio volto, trovo quanto l’abisso abbia scavato in me la distanza con quel primo atto.

 

430 Pregi e difetti ci sono dati in egual misura, affinché gli uni non prevarichino sugli altri.

 

431 Le proprie giustificazioni sembrano trasformarsi nei peccati dell’altro.

 

432 Tanti sanno pregare con le labbra, ma quanti con il cuore?

 

433 Si dice che i mobili di una casa mal si adattano ad un’altra eppure, per necessità non si può fare a meno di inserirli nella nuova casa, magari stringendoli un poco fra loro.

I propri ricordi, nella casa del nostro presente, sono proprio come questi mobili; ciò che coinvolge un adeguamento del proprio agire a medio raggio, fa sì che i ricordi siano ancora impregnati della loro attualità, ma più ci si allontana da quel presente più essi perdono la loro relazione, tanto da essere confinati nella soffitta dell’oblio.

Tappa dopo tappa, le situazioni esistenziali evidenziano quanto sia forte la fatica nel sostenere l’impatto con tutto ciò che l’attualità ha cucito nella mente, quanto sia precario perciò il cammino di ciascuno, trovando sulla propria strada gli imprevisti che vengono ad alterare la sua visione.

Il passato, consegna al presente quel testimone ancora gravido di una realtà da metabolizzare, dove gli eventi hanno segnato dentro a ciascuno la loro indelebilità.

 

433 Il verme si insidia nel cuore del frutto.

( A. Gide )

 

434 Sogno

Sognai una notte di trovarmi in un villaggio attorniato da un ameno panorama, ma non c’era anima viva; tutto sembrava immerso in un’apatia, quasi se su tutto fosse calata un’insolita sonnolenza, tutto era statico.

Ma ad un tratto ecco che un suono di campane par ridestare il villaggio e con esso tutta la natura d’intorno.

Contemporaneamente, un canto dolcissimo si stava innalzando quasi a sciogliere quell’abulia; ne sono talmente estasiato che subito vado supplicando che facciano tacere le campane.

Subito dopo, una persona mi invita ad entrare in chiesa per farmi vedere un dipinto del Pontormo.

Qui il sogno finisce.

 

 

435 Fra realtà e sogno ( analisi )

Tanto si sogna, ma poco si ricorda; vien da dire che la luce dell’alba dissolva ben velocemente quei sogni, quasi a voler chiudere quel confine che solo il sonno ci ha permesso di varcare.

Ci si domanda perché si ricordino alcuni sogni più degli altri.

La risposta potrebbe essere che l‘inconscio tenda a liberare la sfera emotiva della realtà o meglio, da quell’irigidità di situazioni ingombranti.

Ecco allora chiedermi se i sogni, attraverso i suoi arcani, non vengano a rivelare una loro verità.

Io non mi ritengo uno psicanalista con la presunzione di saper spiegare i sogni, poiché i sogni sfuggono ad un’analisi che sappia spiegare collettivamente la sua dinamica.

Il sogno è qualcosa che cade sotto la sfera soggettiva, rivelando una situazione unica e pertanto non può offrire di sé se non il caso limite.

Solo il diretto interessato può interferire con una ricerca di significato in grado di soddisfare una risposta; ma anche qui, la risposta non si svela pienamente.

Vi sono delle tracce che possono sì di far intravedere un percorso, segnato però sempre da un’enigmaticità che può anche deviare un simile percorso.

Detto questo, ecco che io mi trovo qui a compiere un’analisi o meglio, un tentativo di analisi di ciò che possano essere per me un riferimento psicologico – esistenziale.

Qui, sono stati riferiti dei sogni che sprigionati dall’inconscio, vengono calati in una realtà che solo a me appartiene ( come per gli altri ).

Ecco, allora, illuminarsi delle scene concatenanti, che sembrano sorvolare sopra quella realtà che soggettivamente a me appartiene… Un indizio, una traccia?

I sogni qui trascritti sono messi alla rinfusa; ma pur non avendo una data, posso benissimo porre una cronologia che viene a rivelare un percorso non solo psicologico.

In verità, qui mancano due sogni che potevano magari, ma forse solo marginalmente, integrare questo percorso; per tale, pur ricordandoli, non gli ho trascritti.

Ed ecco qui la sequenza di quei sogni.

Il primo sogno ( 2 ) è quello dell’uomo mutilo, il secondo ( 19 ) è quello legato alla morte di mio padre, il terzo ( 308 ) si lega alla richiesta di guarigione, il quarto ( 434 ) mi propone un ambiente particolare, infine il quinto, ( 307 ) si propone con una richiesta di sposalizio.

Dietro a questa sequenza par adombrarsi un itinerario che sembra aver scandito la mia vita interiore.

 

436 Dalla lettura del diario di S. Faustina Kowalska ho ricevuto l’intuizione che scaturisce dal sogno della donna apparsami, che mi chiede di sposarla. E’ la bellezza della Divina Misericordia che mi inonda e mi chiede di lasciarmi invadere nonostante le mie titubanze.

( 21 – 06 – 2014 )

 

437 Nell’enumerare la sequenza dei sogni, il quarto ( in cui sono invitato ad ammirare un quadro del Pontormo ) è significativo per il fatto che nella Chiesa dell’Annunziata in Firenze è ospitato l’affresco del Pontormo che rappresenta “ l’Annunciazione “ e che io ebbi modo di ammirarlo.

 

438 L’uomo adagiato sui ricordi è un uomo finito… ma ben più infelice è l’uomo che ne è totalmente privo.

Sergio Maldini ( La casa a Nord – Est )

 

439 Dal salmo 84

 

Misericordia e verità s’incontreranno,

giustizia e pace si baceranno.

La verità germoglierà dalla terra

e la giustizia si affaccerà dal cielo.

 

440 Oggi si chiama mansarda, parola rispondente per indicare quella che allora si chiamava soffitta.

La mansarda pare aver acquistato uno status symbol in un contesto sociale dove dall’alto si può dominare una realtà che sta al di sotto di chi l’abita.

Ben diverso è stato nel tempo passato quel luogo… Soffitta; luogo di ripiego per chi non aveva disposizioni economiche atte a concedersi altro.

Abitare in una soffitta, allora, comportava non pochi disagi; tutto mancava ma non l’intimità attorno ad una lampada a petrolio che spandeva nella stanza un odore caratteristico, avvolgendo forse di poesia quell’anima che sapeva avventurarsi ben oltre la realtà.

Certo, la realtà rendeva difficile la vita, ma la vita si rifugiava lì, fuori dall’ultimo sguardo indiscreto.

Ma dove questa non era abitata, ecco che essa poteva trasformarsi in un luogo dove riporre cose che la quotidianità rendeva ingombranti, lasciandole addormentare sotto la polvere; cose di ogni genere, per cui non era facile ( o non si voleva ) sbarazzarsene e che magari poi venivano dimenticate.

Lì nel silenzio, quelle cose avrebbero assunto un’atmosfera magica sotto la patina del tempo, trasformandosi in ricordi… ricordi a contatto con il cielo.

 

441 Spesso, giudichiamo negli altri i difetti che si nascondono in noi.

 

442 Tre sono i punti che vengono a determinare nell’uomo il suo equilibrio: cervello ( fonte intellettiva), cuore ( fonte di ossigenazione e di irradiazione ) e stomaco ( fonte di energia ).

 

443 Felice chi, semplice, si libra sulla vita e intende

il linguaggio dei fiori e delle cose mute.

Baudelaire

 

444 La religione del fanciullo dipende dalla maniera d’essere ( e non del parlare ) di sua madre e di suo padre.

Amiel

 

445 E’ una fortuna e una condanna nell’aver evitato gli orrori di una guerra.

 

446 P. Albino – Diario 28 gennaio 1974 ( pag. 42 )

 

447   Quanto più è elevato la natura del nostro oggetto, tanto meno è conoscibile qui un semplice intendimento oggettivo.

  1. Guardini

 

448 La nostalgia è una rivisitazione della propria storia, di situazioni che si sono sedimentate nella persona

 

 

449 Non tutto riusciamo a ricordare di ciò che ci è accaduto lungo la strada dell’esistenza e i ricordi stessi sono brandelli di tempo su cui i pensieri s’attardano come le foglie che in autunno rimangono aggrappate ai rami sfidando ogni clima.

 

450 Chiunque vorrebbe essere scevro da ogni dolore.

 

451 C’è quella sofferenza che agisce in noi, che si attacca al fisico attraverso la malattia, ma c’è anche quella sofferenza intima, nascosta ad ogni sguardo che si dilata nell’anima.

 

452 Difetti invalidanti che limitano la comunicazione: non sei sordo, ma non comprendi bene ciò che viene detto, non sei cieco ma ti sfugge l’obiettivo che ti viene indicato, non sei muto ma ti sfugge la chiarezza per farti capire.

 

453 La vita, per tutti, è un romanzo, ben o mal riuscito che sia, su cui il destino ( o dir si voglia ) si è sbizzarito o addormentato secondo le situazioni in cui si è imbattuto.

 

454 L’Io non è padrone a casa sua.

  1. Freud

 

455 L’Io davanti allo specchio

Per sua natura, l’uomo è portato a comunicare con gli altri; è un’esigenza dettata dalla necessità di rapportarsi con l’altro attraverso un dialogo dove porre in un confronto ciò che esistenzialmente lo coinvolge.

Egli, quindi, si trova a dover esternare quelle situazioni limite che, non riuscendo ad inglobare nella sua sfera, lo travolgono, trovandosi così a muoversi in quello che è il labirinto della sua esistenza.

Con un tale atteggiamento egli viene così a confessare una sua realtà in cui si trova a dibattere.

Confessare all’altro diventa allora un atto necessario per approdare ad un tentativo di chiarificazione capace di orientare la sua ricerca.

Nel confessare, all’altro si tende in tal modo ad un atto di fiducia nell’altro; a cercare nell’altro una corrispondenza di situazioni in cui entrare in una forma di comunicazione.

Quindi, nel confessare ad un altro, ognuno esterna qualcosa di sé in un rapporto che ha con l’altro.

Simili confessioni soffrono, però, una loro ambiguità, in quanto, pur conoscendolo, l’interlocutore che sta davanti a noi è uno sconosciuto.

Nel confessare ad un altro, ognuno esterna qualcosa di sé in un rapporto che ha con l’altro, è una confessione che però può essere interrotta all’altro in qualsiasi momento.

Ciò che così l’altro viene a sapere è in base a ciò che a lui si vuol confessare.

Per tanto, pur comunicando con il mondo più prossimo di ciascuno, paradossalmente si comunica con un conosciuto – sconosciuto, dove vi potrà entrare l’empatia verso l’altro, ma non necessariamente la simpatia in quanto, quest’ultima, viene a sposarsi in modo istintivo per attrazione di sentimenti.

La confessione, a questo punto, potrà essere ascetica, ovvero priva di pathos.

In questo caso, chi si confessa non intende andare oltre quel limite prefissato; la sua diventa una semplice esternazione di cui se ne perderà le tracce attraverso l’indifferenza propria e altrui.

A questo punto, se confessare agli altri diventa un qualcosa di insormontabile, confessare a se stessi, cosa può produrre?

Si può mentire agli altri, ma non a se stessi.

Ognuno, in questo caso, è nudo a se stesso; ognuno brancola nel buio che è in lui.

Di fronte a se stesso “ l’io “ si irrigidisce… il suo specchio è la coscienza; per tale, confessarsi ad un simile specchio comporta uno spogliamento totale per ciò che sono quelle sovrastrutture che riguarda il proprio essere.

Cosa può ciascuno pensare di sé… cosa è, cosa non è?

Già! Ognuno, prima o dopo, si trova a dover farsi queste domande in un tentativo di fare chiarezza fra limiti e condizionamenti.

In natura, è l’unico ad essere consapevole di questo suo stato precario.

Si può dire che egli è un granellino cosmico in seno all’universo… un granellino che ha però proprio quella coscienza che lo espone ad esplorare il suo abisso.

Come il mare cela fra i suoi abissi ciò che è di più nascosto e di inconoscibile, così l’uomo.

E’ un inconoscibile che si può equiparare a quel mondo ignoto che una volta la mitologia delineava da quel punto che si definiva colonne d’Ercole.

Queste colonne, che si ergono in ciascuno, si chiamano dubbi.

Da queste colonne, ognuno si pone nel tentativo di gettare il suo sguardo al di là di quell’orizzonte che cela mondi ancor non identificabili.

L’uomo, dunque, è un immenso abisso con cui il suo “ io “ viene rapportandosi nel suo breve transitare.

Egli tenta di indagare, di conoscere, di esorcizzare l’ignoto e di trovare, come non mai in questa epoca, risposte alle sue ansie, alle sue paure.

Nessuna conoscenza potrà, però, scardinare queste paure; queste, potranno essere fasciate da una fede o da una speranza in una sua risoluzione.

Ma ecco disegnarsi la difficoltà di trovare un approdo a quel mondo nascosto in sé; ognuno, pur osservandosi, non sarà mai in grado di eliminare le storture che si sono attecchite in lui in un aggregato di sfere che orbitano a definire una sua individualità.

Quali sono queste sfere… in che modo agiscono?

Bisogna dire indubbiamente che ognuno è avvolto da una serie di influssi che immancabilmente vanno a marcare questa sua personalità.

Innanzi tutto l’influsso della natura o cosmo che dir si voglia.

Nel suo osservarsi biologicamente, ognuno par doversi chiedere se la sua anima non sia legata a quella del cosmo, ai suoi umori… a considerare che anche il cosmo abbia una sua anima.

Nulla appartiene all’uomo che non appartenga al cosmo.

Non è forse ogni uomo un aggregato di materia, di atomi che leggi ed energia cosmica regolano nella loro dinamica?

Poi ecco l’influsso della natura, l’influsso genetico… e ancora l’influsso sociale, culturale.

In relazione a questi influssi si può dire che, in ciascuno, la propria personalità vive uno stato di tensione tra il suo essere e l’ambiente.

Mondo psicologico, mondo intellettivo e mondo spirituale, sono sfere a cui “ l’io “ approda.

A questo punto, in rapporto a questi mondi, bisogna effettivamente dire che non è facile orientarsi dovendo, ciascuno, muoversi in un mare di insidie.

Quale valore potrà mai tenere saldo, allora, nel suo modo di rapportarsi?

Bisogna dire che il rapporto tra persona e persona e tra persona e ambiente è commisurato alla situazione con cui, soggettivamente, ciascuno instaura in base a quell’empatia dialogica.

Pian piano ecco formarsi, allora, quell’abito mentale che lo porterà a muoversi e ad agire per sé con quei mondi.

Ma nonostante questo, ecco che quell’abito mentale viene permeato da quell’ambiente che fa si di introiettare un pensiero dominante nell’ambito di una cultura chiusa e per tale, a impedire una visione aperta capace di armonizzare le varie tendenze soggettive.

No, non è facile armonizzarsi con quell’ambiente che è venuto ad impregnare con situazioni complesse ciò che viene a delineare una persona.

Un mondo dove, psicologicamente, l’individuo si ritrova prigioniero di un sistema dominante: “ Di fra le sbarre della sua individualità l’uomo contempla disperato le mura massicce delle circostanze esteriori… “. ( Buddenbrook )

Di questa persona, il mondo ne valuta ciò che esteriormente manifesta ma, in realtà, cosa vede di questa… cosa ne valuta?

Un giudizio sulla persona, quindi, sarà sempre fuorviante in quanto gli influssi che questa subisce spesso vengono ad alterare la visione della persona stessa.

In che modo mai potrà allora difendersi da quell’assalto? Già lo hanno indottrinato con pensieri non suoi.

Così egli si dibatterà nel tentativo di districarsi da quell’abbraccio soffocante che gli impedisce di respirare la sua realtà e di trovare un suo modo specifico in grado di rispondere per sé.

Se, effettivamente, ognuno si trovasse ad essere prigioniero in tal senso, ecco che i rapporti sociali tenderebbero a manifestare la loro ambiguità attraverso un rapporto inautentico in cui il fare e il pensare sembrano nuotare in senso contrario.

La necessità oggettiva fa sì di escludere la necessità soggettiva.

Quest’ultima, si trova così limitata nell’esprimere la sua realtà, tanto da far scivolare la coscienza nell’abisso più profondo.

Ma in cosa si traduce una simile necessità?

Fasciato dal suo ambiente sociale e culturale, l’individuo ignora il più… ignora il mondo.

Ora, il mondo è un variegato sistema di culture che si scontrano, volendo ciascuna affermare la propria preminenza, più che cercare la sintesi; ciò che è vero per l’una, non lo è per l’altra.

Questa mancanza di sintesi è ancorata ad una radicalità di parte, l’individuo si addormenta su se stesso, ovvero sembra subire una sterilizzazione in cui “ l’io “ non è in grado di operare.

Dunque, l’irrigidimento crea una stratificazione e, a causa di questo, “ l’io “ subisce l’ambiente che gli impedisce una sua orientazione.

Mondo psicologico, mondo intellettivo e mondo spirituale, sono mondi dove la conciliazione tra loro è alquanto problematica.

Nella necessità di rapportarmi allora a questi mondi ( o sfere ), io non posso altro che parlare, esistenzialmente, per me, confessare a me stesso la mia realtà.

Alla luce di queste considerazioni, ecco chiedermi:| chi sono?

Dietro a questa domanda la confessione par doversi dilatare in una sua deflagrazione spargendo intorno le scaglie che la domanda stessa vien provocando: “ In che modo mi pongo davanti a me stesso… mi riconosco veramente come mi vedo, come sono? “.

Da questa deflagrazione posso solo dire che “ io credo di conoscermi “, e in questo credere di conoscermi, forse si cela un ambiguo modo di conciliare il mio essere.

In realtà, io mi conosco meno di quello che credo e il mio pensiero pare qui arenarsi su quegli scogli che si celano dentro la mia personalità.

Mi chiedo se la mia personalità sia dipendente solo da un modo di essere o anche da quella serie di influssi che ne marca l’essere.

Già… Mi vien fatto di chiedermi cosa appartenga a me e cosa, invece, è frutto d’altro: esteriorità e interiorità sono due mondi sovrapposti o uno è complementare dell’altro?

In questo suo specchiarsi, “ l’io “ non può far altro che confessare la sua storia.

Gettando lo sguardo sul passato ( alla luce del presente ) penso: “ Se su questo mio cammino non ci fossero state determinate situazioni ad incidere sull’evoluzione della mia esistenza, sarebbe stata diversa la mia storia? “.

Indubbiamente si! Il mio modo di sentire il totalmente altro, il modo di essere e di credere avrebbero orientato diversamente questo cammino.

Ma io sono legato solo a questa mia realtà, poiché ogni ipotesi diversa appare come una sequenza di quei “ se “ assomigliante a quella scia spumosa che un’imbarcazione lascia dietro di sé, sino a che questa si dissolve nel nulla.

Ecco allora scorrere qui, mentalmente, le immagini della mia storia, vederle srotolare in una sequenza piena di situazioni in cui mi sono trovato a pormi una miriade di conclusioni acefale.

Spesso, guardando il mondo attorno a sé e il posto occupato, sorge molto facilmente uno stato di insoddisfazione verso se stessi, trovandosi prigionieri della propria realtà.

Prima di tutto prigioniero di quel mondo psicologico che si è imbevuto e impregnato di situazioni complesse che via via sono venute a formare una personalità.

Ed ecco che, esaminando fin qui psicologicamente la mia vita, il tutto parmi essere un risultato caotico di questa mia esistenza; in cosa ho mai creduto, in che maniera il mio essere ha saputo mettersi in sintonia relazionale con il totalmente altro?

Mi rendo conto di essere immerso in una complessità dove, più che trovare le risposte, mi rifugio in un indefinito atteggiamento in cui l’ambiguità sembra prendere dimora.

Mi chiedo di cosa mai sia venuto ad acquisire, oggi, in questa ricerca di me stesso… ma poi, stavo ricercando cosa? Quale motivo mi ha portato a credere una cosa piuttosto che un’altra? Quale garanzia mi potrà derivare dall’una o dall’altra?

E poi… io e l’altro! Dunque, il mio “ io “ e “ l’altro, cercavo me stesso in relazione all’altro.

Ma in un mondo di maschere ( come ho avuto modo di scrivere altrove ), i rapporti sono solo formali; della persona se ne valuta ciò che essa può produrre, ma non ciò quella che è..

Cosa può produrre, però, ciascuno?

Ciascuno può produrre ciò che opera del suo essere e, per giunta, nell’ambiente in cui si opera e si agisce tutto sembra subire una sterilizzazione; un atto di spersonalizzazione dove viene a porsi un doppio atteggiamento, di cui l’uno è l’ombra dell’altro.

In tal modo, veramente ognuno è solo con se stesso; ognuno abita il suo mondo di silenzio dove i suoi pensieri spesso si trasformano in oscure trame psicologiche segnate da ferite indelebili.

Come passeggeri su un treno assiepato, sembra che ciascuno prosegua la sua corsa nel segno di una méta di cui è solo e vagamente a conoscenza.

Vien fatto di dire, allora, che l’esistenza si poggia su una scommessa a cui non ci si può sottrarre .

Sentiamo lo sferragliare del treno e ne misuriamo le tappe, chiusi in quel silenzio.

Lasciando, qui, spazio all’immaginazione, ecco trovarmi allora seduto in uno di quegli scompartimenti assieme ad altre persone..

Il mio sguardo corre sui loro volti; volti impenetrabili dietro a cui ciascuno sembra celarsi con la sua storia.

 

456 La società ben pensante

In merito ad un problema, Papa Bergoglio si espresse con queste parole:; “ Chi sono io, per giudicare? “.

Queste parole dette da colui che è rappresentante di Cristo nella Chiesa, mi ha portato ancora una volta a riflettere sul tema del giudizio.

Ebbene, spesso l’uomo vien abusando di questo strumento della ragione; spesso egli giudica in base a fattori emotivi che suscitano sentimenti contrastanti.

Ma ancor più si tende a fare del giudizio uno strumento di spettacolo; i mass media quali giornali, televisione ecc., tendono a non considerare quel messaggio di non giudicare, togliendo alla giustizia stessa i suoi strumenti.

Le cronache quotidiane invadono la vita di ciascuno di cose negative, amplificando la portata di eventi delittuosi sino a costringere le persone a porsi, quali giudici, un atteggiamento morboso di fronte a ciò che viene raccontato.

Come un romanzo a puntate, indizi e dettagli vengono ad ipnotizzare chiunque si ponga a seguire, ogni giorno, quelle storie frammischiando pietà e rabbia.

Il colpevole ancor non condannato, è già condannato attraverso opinioni o altro; in tal modo, la società si difende o cerca di difendersi; ma ciascuno vuol ignorare quanto la società sia malata nelle sue radici… ognuno è potenzialmente pericoloso.

 

457 Parlando degli altri, si evita di parlare di se stessi.

 

458 Ma se l’uomo non è fedele. ( brano di riflessione tratto dalla quarta domenica di quaresima ANNO B )

Dio è sempre alla ricerca dell’uomo, all’inseguimento dell’uomo.

“ Tu mi dai la caccia come a un leone “, grida Giobbe dal suo tormento.

E’ come se Dio non volesse rimanere solo e avesse scelto l’uomo per aiutarlo.

“ Adamo, dove sei? “, gridava Dio al primo uomo che si nascondeva tra i grandi alberi del paradiso terrestre dopo la colpa.

Questo grido non si è più spento nella foresta della storia.

Dio rimane fedele all’uomo, lo cerca in tutte le sue fughe perché lo ama come solo Dio può amare, con la forza e la tenerezza di un Padre che è spinto da un amore infinito. Ieri, come oggi,   il problema dell’uomo è il suo nascondersi a questa ricerca di Dio

E’ l’uomo che fugge, che cerca un alibi.

E Dio non si stanca di inseguirlo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

MAURIZIO BASSO

Un vero autodidatta

https://www.mondocrea.it/itriflessioni-1955/

 

QUADERNO INTIMO

(appunti e riflessioni dell scrittore udinese Maurizio Basso)

 

1 “ Al fuoco! Al fuoco!”, gridava disperatamente il pagliaccio mentre attorno a lui tutti ridevano credendo fosse, la sua, solo una battuta.

Kierkegaard

 

2 ( Sogno )

Quella notte il fanciullo sognò un uomo, mutilo di una gamba, che si avventurava lungo una strada deserta.

Si aiutava con un paio di stampelle, ma pur avendo un simile supporto non riusciva a coordinare i movimenti e sembrava vacillare ad ogni momento.

Chi fosse, lo ignorava.

 

3 Fa paura il silenzio nella solitudine di una stanza; scambieremmo molto volentieri il valore del suo metallo con uno meno nobile. La parola ci consola, ci illude di farci sentire meno soli, ma ci distrae dalla nostra interiorità.

 

4 Insorge una forma di pudore a confessarsi malati e la solitudine, mai come in questi casi, rimane l’unica depositaria dei propri disagi. Ognuno, infatti, si rifugia fra le sue braccia cercando un silenzioso conforto. Non ci si vergogna di mostrare a lei le lacrime in quanto ella solamente è in grado di lenire e medicare quelle ferite che dentro bruciano.

 

5 Ciò che è rotto rimane rotto anche se il tentativo di aggiustare le cose sia lodevole, ma i segni di una cosa rotta non si possono cancellare.

 

6 Al cammino chiassoso che noi facciamo, c’è né un altro che ci affianca silenzioso, che ci conduce fra luci ed ombre ad una méta che solo la fede fa intravedere.

 

7 Ad un destino comune, c’è né uno individuale come ogni stella che in cielo brilla.

 

8 Perché ricordarti ancora? Ben pochi sono i ricordi che a te mi legano. Eppure, direi che bastino per far agitare in me, ancora oggi, quei sentimenti oscuri che si aggirano tormentosi fra i miei pensieri.

 

9 Dice in proposito uno scrittore ( e come non dare a lui ragione?) che chi muore in realtà entra nel mondo dell’essere e che a morire è piuttosto l’altro che rimane in quanto la persona morta continuerebbe ad essere come angoscia dentro di lui. Ed è appunto quest’angoscia di te che mi impedisce di fugare le ombre e che mi procura una specie d’infermità che staziona nei miei pensieri; una paralisi dell’anima.

 

10 Fra tante cose che mi spingono a riflettere sulle cause che portano al fallimento, c’è né una in particolare che attira la mia attenzione e cioè che il fallimento più grande si verifica allorchè in noi il cuore tace.

 

11 Noi siamo debitori verso gli altri più di quanto vogliamo arrogarci il credito.

 

12 Offendendo una persona, si offende di riflesso anche colui a cui questa persona è legata, (e a cui a nostra volta siamo legati, in virtù di quello stesso intimo legame), poiché con il disprezzo verso l’una disprezziamo anche i sentimenti dell’altra.

 

13 Il problema non è di quanto tu sappia dare d’altro, quanto di te; quello che è d’altro è solo un riflesso di te, ma non sei tu.

 

14 Lo stadio dell’innocenza si esaurisce assai presto ed eccoci ad un tratto fuori da quel luogo che più d’altro ci era stato promesso. Ecco chiudersi il cancello alle nostre spalle.

 

15 Eppure c’è un’isola in cui sembra risuonare incessantemente un sentimento. Qualcuno la definirebbe l’isola che non c’è; ma   quell’isola è dentro di noi, è il posto del fanciullo eterno la cui voce sembra risuonare al di là del tempo.

 

16 “ Per il modo che ho avuto di conoscerlo durante la settimana, mi è sembrato un silenzioso invadente”.

Per un momento ne rimasi sconcertato; l’anima del fanciullo parve scoperta e non potei, nell’udire quelle parole, fare a meno di lasciar volare la memoria a quell’angusto cortile dove s’aggirava la sua anima zingaresca, fra quelle case che parevano stringersi l’una all’altra quasi fosse un atto di protezione.

Ma con quell’atto esse ne venivano a restringere il cielo; una porzione di cielo su un cortile che ne voleva intrappolare la sua infinità e ben poco poteva il sole per scaldare quelle case assetate di calore.

Lì, l’anima del fanciullo pareva dare spazio alla sua fantasia, volando con essa più in alto possibile a catturare qualche raggio.

E quando ciò non bastava, eccolo intruffolarsi in nidi altrui a rubare qualcosa di luccicante, qualche sorriso di benevolenza che riscaldasse la sua solitudine fino al momento in cui, nel buio della sera, una voce non lo riconduceva al suo nido dove un fuoco, acceso in fretta e furia, cercava di recuperare quel tepore che era mancato per l’intera giornata.

 

17 La vera amicizia fa capo ad una responsabilità morale, ad un’etica nel cui rispetto l’uno si apre all’altro.

 

18 Non c’è maggior danno di chi, con la propria ignoranza, pretenda di fare il bene altrui.

 

19 ( Sogno )

Sognai due persone in divisa che vennero ad arrestare mio padre, essendo lui accusato di aver ucciso qualcuno.

Io, intervenendo ad impedire il suo arresto perché sicuro della sua innocenza, rivelo che non lui, ma mia madre è colpevole.

Su questa precisa dichiarazione lo rilasciarono mentre arrestarono lei al suo posto.

Ma prima che ella esca di scena, si avvenuta su di me inveendomi con una sequela di maledizioni. A questo punto la scena cambiò, ritrovandomi con mio padre in una delle tante e indefinibili bettole che era d’’uso a frequentare: “ Cosa vuoi bere?”, mi chiese e io risposi che avrei bevuto volentieri un’aranciata.

Apparivo ancora scosso per l’episodio accaduto, ma egli era subito pronto a rincuorarmi dicendo che non potevo tacere e invitandomi altresì a non nascondermi soggiunse: “Cerca d’essere quello che sei “.

Mentre m’esortava in tal senso, volgendo lo sguardo nell’ambiente riconobbi fra le persone una in particolare che aveva la peculiarità di chiamarsi Fides.

 

20 Nessuno può dirsi innocente, senza che una piccola macchia venga ad evidenziare la presunzione d’essere tali.

 

21 Le ferite dell’anima non sono date dall’adolescenza o dall’età adulta, ma sono legate all’infanzia.

 

22 Noi ci muoviamo nella luce, ma non possiamo fissarne la fonte senza rischiare la cecità.

 

23 La maturità vera sta in quell’amore che nulla chiede in cambio.

 

24 Non c’è vera maternità o vera paternità senza vero assenso poiché questo è il vincolo indissolubile verso il terzo.

 

25 Nella propria meschinità si tende a dimenticare i torti fatti agli altri, non avremmo, infatti, abbastanza spazio per ricordare quegli subiti.

 

26 L’uomo è in sé la casa dove l’essere prende dimora. Eppure, egli avendo le chiavi d’accesso per abitarla, si trova a smarrirsi e con ciò a confondersi con l’intero mazzo di chiavi esteriori.

 

27 L’amante, come vuole per sé l’amato in maniera esclusiva, così l’arte s’impossessa dello spirito nella sua pienezza.

 

28 Ogni nascita è lo strappo al nulla nella luce abbagliante dell’essere.

 

29 La malizia penetra nella vulnerabilità dell’essere che noi siamo in maniera tale da scatenare la tempesta delle insinuazioni, tanto che alla fine ci perdiamo, a causa di questa, in un inferno da cui non sappiamo tirarci fuori.

 

30 Reclamiamo giustizia per i torti subiti, ma siamo giusti noi? Non nascondiamo forse a noi stessi i nostri torti?

 

31 Nessuno fa niente per niente e nessuno è tanto generoso senza aspettarsi un minimo di tornaconto. Non c’è nessuno che dopo aver dato non venga a bussare alla tua porta seppure chiedendo solo un favore che non sia già un vantaggio.

 

32 Mai giudicare gli altri che già tu non venga a dover rispondere del tuo giudizio.

 

33 Non la natura o altro deve essere chiamato in causa al nostro male, ma è il cuore dell’uomo che è chiamato a rispondere.

 

34 Vi è in ognuno una forma di miseria dello spirito da cui è difficile venirne fuori senza che vi sia   volontà di farlo, in quanto ci appaiono più cari i nostri vizi che non le virtù; più inclini a perdonarci in questi, piuttosto che crescere nella severità delle altre.

 

35 Scavare in sé per partorire una verità, significa prendere il bisturi e incidere laddove il male impedisce di vedere in essa la luce. La verità quanto la sincerità, ci pone in un continuo travaglio.

 

36 Prima di educare un altro, ogni uomo dovrebbe saper educare se stesso. Dovrebbe guardare i suoi errori senza però vergognarsi d’averli fatti, ma prendere lo spunto per correggersi.

 

37 Il più delle volte noi cerchiamo di realizzare ciò che è meno faticoso, ciò che può conciliarsi con la nostra pigrizia mentale.

 

38 E’ più facile curare il corpo che non l’anima.

 

39 Seppure povero nel suo concetto d’amore, è nell’esperienza dell’aver ricevuto che noi possiamo a nostra volta donare. Ma se uno non ha ricevuto amore, che può dare?

 

40 Che sia lodevole o meno che l’uomo voglia rivestire gli animali della sua umanità, non lo so. Ma so di certo che gli animali rivelano a lui la sua bestialità.

 

41 La morte fa paura perché noi conosciamo solo questa realtà; gli estremi della vita ci sono ignoti.

 

42 Ognuno muore per com’è vissuto, lasciando di sé il ricordo che lascia e quello che egli lascia può riservare molte sorprese in quanto per una persona a cui si è fatto del bene, c’è sempre da qualche parte un’altra a cui si è fatto del male.

 

43 La vera maestà dello spirito non mette soggezione, respira in noi, fa respirare le cose.

 

44 Si vive un mondo caotico di immagini e informazioni, di emozioni violente e di assuefazioni, ci si sente   prigionieri, schiavizzati da un condizionamento che vuole sfruttare tutto ciò che è possibile sfruttare dell’uomo, spogliandolo della sua umanità.

 

45 Sete d’infinito – Guardo la sera vestire le cose di un unico colore. Guardo il cielo stellato e il pensiero d’infiniti mondi mi lascia senza parole; stupore e meraviglia prendono possesso di me, di un animo che non sa se non contemplare fra quelle lacrime segrete che si nascondono nel fondo di esso.

 

46 Con la preghiera del “Padre nostro”, Gesù ci reintrodotti nella sfera dell’essere, da cui uscimmo.

 

47 Paternità – C’è chi non ha conosciuto un padre ed è diventato padre. C’è chi ha conosciuto un padre e da questo ignorato. C’è chi ha avuto un padre che, per nascondere la propria incapacità, si è irrigidito nella sua ignoranza. Infine, c’è chi desiderava diventare padre e non ha potuto

 

48 Ognuno vive in sé il suo dolore.

 

49 La sofferenza che agita il mio spirito, mi permette di vedere solo le luci lontane della notte, la luce del giorno mi ferisce gli occhi.

 

50 Il rimorso è come quella malattia di cui si conosce la diagnosi, ma non esistono medicine che la possano curare.

 

51 Ognuno è per quello che è in base alla famiglia, all’educazione, ai sentimenti, ai rapporti, alla cultura. Tutto questo è il risultato di un frutto che può essere gustato dagli altri. Ma si può anche essere lasciati in disparte se questo frutto è acerbo. L’acerbità è un sapore gradito a pochi.

 

52 Si vive oggi un mondo di valori virtuali e di violenze reali.

 

53 La maleducazione è una cosa così congenita tanto da diventare una normalità; normalità per chi la compie e non per chi la subisce… ma essendo ognuno in balia fra l’uno e l’altro stato, si può dire che l’anormalità della maleducazione è normalità.

 

54 Parabola e vita – Il cattivo lavoro del giardiniere fa sì che il terreno incolto soffochi quel seme caduto fra i rovi.

 

55 Letture 1 – Penso sia buona abitudine tenere vicini i libri che hanno dato all’intelletto modo di cercare la via di un approfondimento o di una consolazione.

 

56 Letture 2 – A ben pochi autori ho accordato la mia gratitudine.

 

57 Famiglia – Se nella famiglia viene a mancare l’unione, l’assenza dell’uno procura l’assenza dell’altro verso chi gli cerca.

 

58 Oh, come l’ambiguità dei rapporti fa sì che ognuno occulti la sua coscienza.

 

59 Quanto con le parole si è bravi medici per gli altri, ma mai, con l’opera, per se stessi.

 

60 La severità non è mai ben accetta perché ci lega ai propri obblighi morali.

 

61 Quando si dona agli altri, non si fa altro che restituire quello che non ci appartiene.

 

62 Cosa c’è di peggio se non la solitudine dell’anima? Neppure un raggio di sole ha tanto potere di rischiarare questa prigione oscura.

 

63 Se proprio non puoi fare a meno del giudizio, non giudicare da quello che viene detto; sospendi il fatto e giudica la tua coscienza.

 

64 Luoghi – Il tempo distrugge i vecchi nidi e a questi, altri nuovi se ne costruiscono altrove, ma in ogni caso essi si portano dietro i segni della precarietà: infanzia, adolescenza, maturità, senescenza, nidi mai uguali a loro; i mobili di una casa non vanno mai bene per l’altra. Eppure, non si può fare a meno di inserirli nella nuova casa, magari stringendoli un poco fra loro. Ecco, i propri ricordi sono proprio come questi mobili, quelli che non possono starci, sono relegati nella soffitta dell’oblio.

 

65 Il labirinto confonde i passi di chi vi entra, facendolo andare avanti e indietro; lo illude e lo inganna se in lui la fede di uscirne non lo sorregga.

 

66 Nella vita non si deve stupire gli altri per quelle che sono le proprie potenzialità, ma ci si deve stupire di se stessi, nell’umiltà, per quelle potenzialità che ci sono date; diverso è, infatti, il cammino e diverso il risultato.

 

67 E’ detto: “Non c’è pane senza libertà e non c’è libertà senza pane.

 

68 Si onorano i morti quando il cadavere è ancora caldo, poi la terra raffredda la memoria.

 

69 Il dolore è una medicina amara, ma salutare.

 

70 E’ difficile confessarsi per quello che si è.

 

71 Essendo impossibile sapere tutto, ecco che la cultura diventa lo strumento per il buon uso di ciò che si è appreso.

 

72 Tu fai del mio passato l’humus del mio presente e su questo terreno ogni ricordo e ogni pensiero rivela, Signore, la tua presenza.

 

73 Non esistono amici potenti poiché i potenti non amano avere amici. Possono essere bravi manipolatori, possono avere una grande dialettica, ma dietro ci sta sempre l’ombra della propria miseria. Questi potenti hanno sempre da nascondersi a qualcuno: a se stessi.

 

74 Capire gli uomini? Una follia! Più si cercherà di capirli e meno si starà in pace con se stessi.

 

75 La vita è quell’attività che si svolge su un immenso palcoscenico dove ognuno va recitando la sua parte. Ma solo fra le quinte, lontano dagli sguardi indiscreti, le lacrime mostrano la loro essenza. Lontano dagli sguardi, infatti, il dramma è spoglio di ogni sublimazione; esso rimane nella sua nudità. Impossibile rivestirlo. Le parole mostrano le sfilacciature per cui nulla potrà mai ricoprire l’essere. Al di là del ruolo rimane l’uomo ( e la donna). Solo la morte mette fine al dramma.

 

76 Io credo che quando un poeta filosofa diventi il poeta dell’essere, intuisce qualcosa, ma non vuole scalfire il pensiero. Se poi è teologo, il suo cuore si confessa in ogni sua speranza. Se infine si getta nella lotta politica, abbraccia la giustizia come suo vessillo. Oh, diventa pericoloso il poeta quando denuncia, tanto che, spesso, questo suo coraggioso esporsi gli procura la via dell’esilio.

 

77 C’è una piaga in me che mi fa esclamare: “ Chi non sa dare di sé, non sia causa d’altre infelicità mettendo figli al mondo”.

 

78 Ci sono due categorie d’ignoranti. La prima è composta da persone che indagando dentro di sé scoprono l’abisso della propria ignoranza e, per tale, cercano di capire con umiltà. La seconda è composta da individui che non sanno d’essere ignoranti. Quest’ultima è molto pericolosa poiché i danni che ne crea sono enormi.

 

79 Si reclama giustizia, ma spesso avendola avuta non vi s’include il perdono.

 

80 Ebbi a sentire un pensiero detto da altri, che mi fece riflettere sul senso della vita: La sofferenza è la camera oscura dell’essere.

 

81 Anche il nido più brutto che possa esserci è sempre il luogo di una libertà; lì, mai nessuno potrà oscurare la luce degli affetti.

 

82 Chi fugge ha sempre torto.

 

83 Nel proprio contesto ognuno è autore della propria storia; storia che si intreccia, storia che confluisce in un quadro più grande, ma che tuttavia rimane per sé unica. E proprio per la sua unicità, rimane isolata.

 

84 E’ sempre difficile confessarsi per quello che si è. Noi vediamo il nemico al di fuori di noi quando invece è dentro di noi.

 

85 Nella propria insopportabilità, tutti fingiamo il nostro male.

 

86 Chi non sa ascoltare il silenzio, non sa neppure ascoltare la parola.

 

87 Non c’è vera guarigione se non vi è intenzione a guarire.

 

88 L’età setaccia nell’uomo il grezzo che sta nel fanciullo, ne raffina la concezione del mondo; ma nel fare questo, con il grezzo a volte rischia di buttare via quel rapporto di spontaneità che sta alla base della conoscenza e il conoscere dell’uomo si tramuta in freddo calcolo.

 

89 Noi ci creiamo uno schema mentale della persona che ci sta di fronte, giudicando secondo le impressioni che ne ricaviamo. E’ questo il cosiddetto gioco degli specchi in cui sostituiamo con l’ipotetico immaginario la realtà che è in noi, attribuendo all’altro quello che di noi vogliamo accogliere o respingere. Ponendo in noi questo sistema, esuliamo dal fatto di dover scrutare il fondo della propria coscienza.

 

90 Un albero non può dare un frutto diverso dal suo seme.

 

91 La conoscenza innalza lo spirito; ma se questo non è ben guidato… Si dice che Lucifero fosse il più bello degli angeli.

 

92 Il dolore e la maschera. – Ridi finché puoi ridere, ma non rivelare mai il dolore. Il riso sia la spia, la macchina fotografica che, mentre ridi, scruta il volto degli altri. Fatti passare pure per stupido, ma la tua stupidità ha acquisito molto più dagli altri che non quello che gli altri abbiano capito di te. Fatto questo, ritirati nella camera oscura e pensa, poi diffida quando dicono di conoscerti.

 

93 Ognuno è prigioniero della propria infanzia. Le domande dell’adulto hanno lì le sue radici. Il fanciullo annota in sé rapporti e differenze, ma è impossibilitato ad esprimerle trovandosi, in tal modo, a dover subire le azioni degli adulti.

 

94 Spesso ciò che si pensa non è conforme a quello che si dice.

 

95 Ancora sulla paternità – Il mistero è uscito da te per andare a fecondare il mistero della maternità, a rendere visibile l’invisibile.

 

96 La malinconia, non mi permette di avere molti amici, già è tanto qualche sporadica conoscenza.

 

97 Nessuno ti insegna ad essere padre e questo è vero; ma ognuno è stato figlio, quel figlio che il fanciullo incamminò verso la maturità, poiché non c’è maturità senza fanciullezza.

 

98 Infermità della scrittura – Il rapporto che ho con la scrittura è una forma di amore-odio poiché i pensieri vengono impediti di modellarsi per rendere al concetto duttilità d’espressione. Ecco che già uno è in transito e subito un altro lo incalza, lo spinge oltre. Mi sono costretto, in tal modo, a cercare l’essenziale pur volendo dare ad esso ciò che è un gioiello per una donna.

 

99 Anche fra le menti più eccelse non c’è uomo che non abbia in sé il suo abisso, anzi. Forse più in loro che in altri.

 

100 La nostra difficoltà maggiore sta nel mettersi davanti ad uno specchio e dire: “ Quello sono io”. Lo specchio diventa così il complice delle nostre apparenze e gli stessi pensieri si rifugiano lì rimanendo nascosti a qualsiasi intenzione di conoscersi.

 

101 Il senso della vita – Ci si affianca, si percorre un tratto di strada insieme, poi… Poi ci si ritrova di nuovo soli e in questa solitudine ecco la memoria aprirsi ad una serie di fotogrammi, a ricordi che ci aiutano a superare gli ostacoli. Quanti volti, quanti nomi, quanti cuori abbiamo conosciuto? Ma conoscendoli, abbiamo poi riconosciuto in noi il nostro cuore? Quanti perché ci hanno posto il loro incontro? E quanti simili perché ci hanno fatto scendere alla radice, al fondo di esso?

 

102 Guardo il cielo mentre la notte estiva mi offre il suo spettacolo e lo spettacolo che mi offre è immenso. Eppure in me s’invola un pensiero quasi a voler raggiungere quelle stelle per riempire il senso di vuoto che par calarsi dentro di me. Lì il grande silenzio, il deserto a cui ognuno volge il suo sguardo affascinato. Lì, lo sguardo volge la sua avventura e la sua fantasia; ed ecco ad un tratto, per tanta arditezza, dinnanzi a quei misteriosi mondi farmisi piccolo stringendomi, così, a questo punto pur esso sospeso nell’universo. Ci si sgomita, quaggiù; ci si sta stretti…

 

103 Paternità?

Mentre sto riflettendo sull’impegnativo ruolo della paternità, ancora mi rimbombano nella mente le parole di delusione di quel padre che disse al figlio: “ Non ti capisco e non ti voglio capire”.

Parole che fanno il vuoto attorno; che uccidono.

Egli vuole affermare le sue verità che, in realtà, altro non sono che mezze giustificazioni per ribadire di non aver sbagliato: “ Ti ho dato tutto quello che potevo darti”.

Questa affermazione ha un che di ricatto: “ Mi sono sacrificato affinché non ti mancasse nulla. Mi sono ammazzato di lavoro per darti il superfluo”.

Ecco il punto di distacco… Lavorare oltre la necessità per il superfluo; significa delegare il senso della vita, farsi perdonare qualcosa che non si sa dare.

Ma il superfluo distoglie senza appagare, riempie l’apparenza ma non il vuoto e alla fine non ci s’accorge che dopo aver negato il proprio cuore all’altro, ne facciamo del suo un luogo di terra bruciata.

Si pensa di essere nel giusto quando si rivendicano i propri sforzi, ma in realtà ognuno è debitore verso l’altro più di quanto voglia arrogarsi il credito.

E’ un debito che si spinge al di là delle considerazioni di dare e avere, del diritto di porsi automaticamente su un piano superiore, senza però saper equilibrare quelle dissonanze che vengono a procurare il divario.

Spesso, nella cecità dei ruolo, si vuol prendere le verità quali testimoni delle intenzioni che lì si riversano; ma il più delle volte si testimonia il falso che è dato dall’abitudine, dell’ovvietà del modo di vivere.

Tutto è scontato; così è e così deve andare. I gesti e le parole declinano nell’usura delle abitudini, addormentando la mente.

Ma il Figlio ha bisogno di quei gesti, di quelle parole e quindi per comprendere cosa sia la paternità bisognerebbe riproporsi in quello che il padre, allora, fu come figlio.

Per fare questo, però, bisognerebbe avere l’arditezza di porre la mano fra i rovi, affrontare le spine per salvare dall’asfissia quel fiore seminato a suo tempo.

Sì, la sofferenza dovrebbe, secondo una logica d’amore, far nascere qualcosa di nuovo.

Ma purtroppo ci si porta dietro quella che è l’anima malata del fanciullo e lì ci si perde poiché la sorda rabbia dei risentimenti mette scompiglio nel rivelarsi a se stessi e capire dove sta l’errore.

Si rimane soli, orfani di qualcosa che fa tirar su il ponte levatoio di quel castello adornato a suo tempo, riducendolo ad un rudere, isolandosi con le proprie paure, con le proprie sofferenze, nell’assurda pretesa di vedere un tradimento che sta a valle, quando invece lo è a monte.

 

104 Il tempo cancella i torti per chi li fa, ma non per chi gli riceve.

 

105 La nostra libertà sembra ristretta alla facoltà di come farci del male.

 

106 Nessuno vorrebbe sentirsi dire cattivo, ne andrebbe della propria reputazione. Ci si limita a generalizzare la cattiveria in quanto è più facile nascondersi.

 

107 La maturità la si può trovare solo nella pienezza dell’essere.

 

108 Se avessi avuto un figlio e avessi dovuto lasciare a lui un’eredità, gli avrei consegnato la malinconia di un clown dicendogli di far buon uso della maschera.

 

109 L’amore umano è condizionato dalle circostanze che a malapena riesce ad illuminare la metà dell’essere, lasciando l’altra metà nell’ombra.

 

110 Educazione rigida, educazione morbida, educazione saltuaria, educazione assente…

 

111 Meglio essere nemico a qualcuno piuttosto che essere nemico di se stesso.

 

112 … la parola si fa silenzio.

 

113 Ed ecco succedere che quel posto in cui ci si sentiva sicuri, non esista più poiché, nel frattempo, tutto è cambiato. Non si sa più orientarsi nemmeno lì. Si va alla ricerca senza sapere bene cosa e dove cercare. Sì, la scena della vita è mutevole, nulla mai può rimanere se non il frutto di un’illusione, consumata nella lontananza e nella solitudine.

 

114 Uno psicologo sa di partenza che non potrà mai entrare appieno nella mente di chi gli viene ad esporre i suoi problemi, anzi; non vi potrà mai entrare. Il retroterra d’ognuno è un sentiero irto di situazioni che impediscono spesso il risanamento delle fratture, in quanto le ferite sono troppo profonde.

 

115 Il grande peccato nei confronti della vita è quello di far addormentare la mente, indurendo in tal modo il cuore

 

116 Non quanto, ma in che modo si vive; questo è il segreto della vita.

 

117 E’ nella sua intensità, non nella sua estensione, che la vita svela la sua essenza.

 

118 Quanto dura la vita di un fiore? Quanto dura la vita di una farfalla? Una frazione di tempo e in questa frazione, profumo e leggerezza si assommano alla bellezza che loro riservano alla vista di chi sa contemplare meraviglie e misteri dell’esistenza.

 

119 Alle radici del dolore

 

120 Su cui si giurerà, sarà sempre il denaro e mai la causa; il denaro dà tutte le possibilità che l’uomo chiede. E’ al centro di una certa padronanza a cui non ci si può sottrarre. Non darà certo la felicità, ma tiene in costante pressione di essere posseduto.

 

121 Per ponderosi che possano essere i libri che l’uomo scrive, essi non saranno altro che fogli strappati al libro immenso della natura o a quello dello spirito.

 

122 Parlare, parlare… e ancora parlare per non far capire nulla a chi ascolta. A questo, si riduce ormai il dialogo; un parlarsi addosso ubriacante.

 

123 Nell’imitare gli altri, spesso ne imitiamo il peggio.

 

124 La giovinezza sembra volersi impadronire del mondo.

 

125 Se i ricordi più teneri appartengono alla fanciullezza, i ricordi più forti appartengono alla giovinezza; la giovinezza è un fuoco che arde e che brucia per le passioni.

 

 

126 Sembra che la morte abbia voluto giocare con me attraverso la sua ironia.

 

127 “ C’è più poesia al mondo, di quanto si possa credere “( Frase detta dal protagonista di “Anonimo veneziano”), ed è, forse, proprio questa, che mi ha salvato.

 

128 La poesia come catarsi. Scoprire nella poesia ciò che svincola dall’ordinarietà del mondo, pur rimanendo nella realtà del mondo.

 

 

129 Si papà, quel fanciullo, con la poesia, ha voluto scrivere dentro di me il suo testamento.

 

 

130 Da qui, il sogno scaturì con la sua ambiguità.

 

 

131 Più ci si allontana e più si perde il riferimento, e più ancora si perde il rapporto con il centro.

 

132 Quando una persona può ritenersi matura? Cos’è la maturità? La maturità è la consapevolezza di non essere mai maturo.

 

 

133 Il dissolvimento della maturità nella morte.

 

 

134 L’amore umano sfugge spesso i suoi obblighi, spegnendosi.

 

 

135 Nessun amore umano si può considerare eterno, nonostante che lo si prometta.

 

136 La paura di scavare in se stessi, è dovuta, forse, alla paura di trovare il nulla. Scavare, in questo senso, significa partorire; la donna, oggettivamente in quanto la natura l’ha preposta, insegna cosa significhi partorire e con la maternità, gestisce la sua oggettività, più di quanto l’uomo sappia gestire la sua essenza. L’uomo non può provare il dolore del parto e, di conseguenza, ignora oggettivamente; ma nella sua essenza, soffre la sua non possibilità, può essere vicino alla donna, ma mai in grado di afferrare quell’esperienza e, in questo, la natura ha reso la donna superiore.

 

137 Nulla può la ragione, da sola; ma senza la ragione, lo spirito dorme e ogni contemplazione è vuota.

 

138 Entrare nella maggiore età non significa maturità, ma intraprendere il sentiero della maturità; la maturità, ognuno la conquista per sé, nel rapporto che ha saputo costruire.

 

 

139 Separazione > distacco.

 

 

140 La vita è un susseguirsi di separazioni e ogni separazione ha in sé il suo trauma.

 

 

141 La separazione è già una forma di morte.

 

142 Alla sera, è sospesa la mano che sostiene la penna, quasi a non voler rubare la scena al fanciullo; ogni segno tracciato, ogni parola che la penna vuole imprimere sul foglio, sembra violare un segreto.

 

143 Il segreto della vita si risolve nella formula: “Vivi e ama”, poiché amando si scopre, e se una cosa ti reca dolore, un’altra ti viene a consolare.

 

 

144 Le lacrime lavano le impurità del cuore.

 

145 La maturità, la si contempla nel distacco; quindi al di sopra delle nebbie e non al di sotto di essa, è nel suo dissolversi e nella purezza dello sguardo che si coglie la maturità come ultimo atto. (Riflessione in merito ad un dipinto).

 

146 Può il silenzio essere una forma di violenza? Dove c’è il dialogo, il silenzio respira le sue pause; ma dove il dialogo manca, esso diventa violenza.

 

147 La violenza è una forma di morte che s’infligge all’altro, e con la violenza lo si denuda del suo essere; accade, perciò che la vittima, in tal modo, si isola e più che ad agire pensa a difendersi con l’ostilità verso il mondo.

 

148 Esistenzialmente inabissati in un corpo, la parola “ essere ” cerca d’inseguire quel vuoto di coscienza, cercando di recuperarla in qualsiasi modo.

 

149 Chi sono? Questa domanda può apparire oziosa per la superficialità che spesso poniamo alla propria persona credendo di conoscersi; ma ci si conosce davvero?

 

150 In una frazione di tempo, come un lampo, s’accende la coscienza; in questo spazio, l’ironia della morte.

 

151 La scoperta di Dio – Se io soffro, Dio esiste. Nel formulare questo, non v’era nessun suggerimento esterno che me lo indicasse, anzi; tutto indicava il contrario e tutto sembrava doversi esaurire nell’assurdo. Ma   nella piena coscienza, la ragione, ne mostrava la sua opposizione: “Perché soffrire…”, mi chiedevo “ in uno spazio di tempo alquanto breve, per poi essere risucchiato dal nulla?”.

 

152 Per quale motivo io dovrei esistere in questo modo, per dopo dover morire senza aver avuto la possibilità di godere la vita? Ma ecco che subito un’altra domanda sembra voler ingaggiare una lotta con la prima: “Cosa significa   godere la vita?”.

 

153 Anche l’uomo più disperato s’aggrappa a qualsiasi relitto trovi, qualsiasi sia il suo nome; vizio o virtù che esso sia.

 

 

154 Non ci si accetta, perché è difficile accettare la parte negativa che ci ferisce.

 

156 Sono cambiato, nel tempo, nel mio modo d’essere maturo, o è solo, questo, un’acquisizione di circostanze? Forse è la fatica del cammino che fa sentire il peso e ne muta i segni.

 

157 … oppure, più semplicemente, siamo destinati al naufragio?

 

158 Un ricordo del fanciullo – Non era facile entrare nelle simpatie dei grandi; lì, al fanciullo, non era riuscito. La nostalgia di quel suo mondo perduto, non glielo permetteva e lì, ogni rapporto respirava, forse, un’incosciente ostilità. Solo quando si trovava in quell’aula, la sua nostalgia sembrava distendersi lungo quelle pareti, dove la curiosità si dilungava su quei cartelloni appesi quasi a fargli rivivere quel mondo esterno, dove il tempo e la natura si alternavano a suscitare quel rimpianto della sua libertà perduta. Quei cartelloni sembravano vivificarsi sotto il suo sguardo, quasi che una segreta magia fosse giunta apposta affinché potesse continuare a dialogare con quei posti che si era portato dietro nei ricordi. Sui cartelloni appesi alle pareti, egli faceva rivivere tutto ciò che il mondo esterno continuava a scandire; il giorno, le stagioni, i mesi, tutto concorreva a far si che la nostalgia si dissetasse attraverso loro.

 

159 Sulla poesia   – Negli anni ho cercato, infatti, infinite volte di disancorarmi dalla poesia, ritenendola semplice frutto di una stagione della mia vita. Invece ha sempre continuato e continua ad abitare le infinite strade delle mie emozioni. Ma da essa un problema sorge ed ecco qui a chiedermi: “Cosa volevo, allora, da lei? Cosa voglio oggi?” Credevo d’aver liquidato la questione ponendo la poesia come limite irrevocabile di un passaggio che si esauriva in se stessa; ma non si può essere poeti per un giorno o per un anno, si è poeti per una vita. Certo, il poeta è un eletto del destino che, nel suo mondo, si confessa in uno stato di grazia, involandosi al di sopra di quell’ordinario comune, trasportandolo e trasfigurandolo in una sfera superiore che lo mette in contatto con la trascendenza. La mia poesia, in questione, era nata per uno scopo che aveva le sue radici nella nostalgia che afferrò il fanciullo dentro di me e dalle emozioni che proprio il fanciullo ha saputo trasmettere all’adulto.

 

160 Sull’eutanasia > Rigidità della religione e tolleranza civile: è giusto che la religione, portata agli estremi, impedisca ad un malato terminale una morte serena sospendendo ogni accanimento terapeutico?

 

161 Religione e laicità – Il laicismo opera la tolleranza nel nome di un’equità di rapporti; ma in nome di questa tolleranza, non s’accorge spesso di cadere nell’intolleranza, creando una forma di equivocità.

 

162 Un ricordo dell’adulto

Da quanto tempo se ne era andato via da lì? Ne erano passati di anni da quando diede un ultimo sguardo a quel posto.

Ora, quel tuffo nel passato, lo stava riempiendo di emozioni; lì, aveva vissuto la seconda parte della fanciullezza, dove più erano evidenti i segni che la vita aveva lasciato sugli ospiti.

Proprio da quella scalinata da cui adolescente, aveva, per l’ultima volta, scrutato l’orizzonte, provò una sensazione di dolce malinconia come un velo sui sentimenti di allora.

Già, come si soleva dire, tanta acqua era passata sotto i ponti; il tempo era trascorso, ma lì, sembrava che proprio il tempo stesse sfogliando, con la voce del vento, quell’album di ricordi che nessuno poteva portare via per sé.

Per sfogliare quelle pagine, infatti, ci si deve presentare di persona e scuotere da esse la polvere dell’oblio, per assaporare quel gusto antico che la memoria rincorre quasi a giocare con i ricordi; ed ecco il ricordo prolungarsi su quel luogo sottostante, quasi portandosi dietro quel vociare di allora.

Scendendo poi quei gradini, ecco che l’immagine di quella Madonna raffigurata nella nicchia sotto la scalinata, aveva catturato di nuovo il suo sguardo; accanto a lei, con il Gesù seduto sulle sue ginocchia, un bambino mutilo di una gamba apriva loro le braccia. In verità, lui non aveva mai fatto caso a quel piccolo particolare della mutilazione, poiché era ben mimetizzato (o così gli appariva) con il resto del mosaico; ma dopo tutti quegli anni, nel rivederlo, aguzzando meglio la vista, non poteva non accorgersi di questo.

Rivisitando quel luogo, comprendeva quanto sfuggano i particolari nella noncuranza di quella frenesia che vola al di sopra di tutto e solo nella quiete del tempo, la memoria si concentra   su quei particolari trascurati allora, cogliendo, in questi, la velatura di quei simboli che ne indicano la ragione del loro essere, e solo in quel momento si era accorto   quanto l’immagine si era adattata allo scopo.

Il suo pensiero si era fermato lì, quasi ipnotizzato da quell’immagine, come se quel bambino che tendeva le braccia fosse lui.

 

163 E’, dunque, l’infanzia solo una stupenda menzogna?

 

164 La vita è guerra e la parola amore viene a complicare l’imbroglio.

 

165 Con beneficio d’inventario, tutto si può imparare dagli altri, ma non l’amore. L’amore nasce nel seno della famiglia; è un fiore che sboccia nella misura in cui l’amore si slancia verso l’altro, dimenticandosi.

 

166 Si dimentica che anche i figli possono dare delle grandi lezioni; dimentichiamo che, vedendo con i loro occhi, spesso vedono quello che sfugge all’adulto.

 

167 L’amore percepisce ogni ben piccolo cenno che si comunica.

 

168 Le parole hanno bisogno del calore perché possano vivere; diversamente esse continuano a vivere il loro inverno.

 

169 Separazione, significa allenarsi alla solitudine, allenarsi a quel distacco che, alla fine, diventa distacco da sé nella morte.

 

170 La madre accetta il figlio per quello che è, e in una simile accettazione spesso passiva non s’accorge di quanto una simile passività ostacoli il figlio nel giungere ad una pienezza, in sé, dell’essere.

 

171 L’ignoranza fa più danni della cattiveria: il cattivo sa dove fermarsi, l’ignorante non sa dove può precipitare.

 

172 Spesso, l’esteriorità soffoca l’interiorità; questo problema viene, così, a creare nella persona una doppia violenza, la prima dall’esterno, la seconda dall’interno: è difficile trovare l’equilibrio, in quanto, voler essere non significa essere.

 

173 Non quanto, ma come si vive; questo, alla fine, il segreto della vita.

 

174 La sofferenza rischia di accecare l’animo e le lacrime rendono nebuloso lo sguardo.

 

175 La sofferenza è un continuo partorire della coscienza.

 

176 La nostalgia vede attraverso gli occhi dell’anima.

 

177 Digiuno d’ogni studio, salvo quella formazione scolastica, da quale punto di partenza avrei dovuto cominciare la mia ricerca? Mi ritornò in mente la lezione di quei cerchi concentrici. La mia ricerca sarebbe dovuta cominciare proprio da me poiché, ad ogni stadio di quell’indagare di quell’andare oltre mi seguiva quel senso di oppressione latente e intuivo che nessuno studio potesse risolvere.

 

178 Se la vita, da me non potevo darmela, qualcuno mi ci doveva pur aver posto in questo contesto.

 

179 Sì, io ho avuto la vita attraverso i genitori, ma loro mi avevano generato non creato; loro, altro, non sono stati che il tramite.

 

180 E’ lui (il fanciullo) che rinfocola in me la nostalgia, rannicchiato in quell’angolo di mondo, ed ecco che la sua voce si scioglie sulle   note di quell’idillio che con i frammenti a sua disposizione, viene a ricomporre quella favola incompiuta.

 

181 Una frase che io ho avuto modo di sentire qualche tempo fa, mi ha sempre messo nella situazione in cui, meno, degli altri, devo giudicare: “Ognuno sa di sé e Dio di tutti.

 

182 Al pari del bambino, anche l’adolescente vide quelle lacrime, ma a differenza del bambino, non ti abbracciò, non poté farlo.

 

183 La vita è quella luce che s’accende e si spegne sullo scenario del nostro cammino.

 

184 Il dolore è la chiave con cui ognuno di noi può aprire o lasciare chiusa la porta della sua esistenza; attraverso questo, noi possiamo aprirsi all’umiltà o chiudersi nell’egoismo superbo, scoprirsi nell’essere o sprofondare nel nulla, accettare l’incontro o abbandonarsi alla disperazione nella solitudine.

 

185 Nell’imitare gli altri, spesso ne imitiamo il peggio.

 

186 Confessare la propria ignoranza.

 

187 Nella libertà, non si può occupare una coscienza che non sia la propria.

 

188 Spesso, l’esteriorità soffoca l’interiorità; quest’ultima, viene così a subire una doppia violenza in quanto l’apparenza sembra rubare all’interiorità quel ruolo per cui essa custodisce l’essere.

 

189 Il segreto della vita non sta tanto in un lungo periodo di essa, quanto di come essa è vissuta.

 

190 Apparenza e conformità

 

191 Nel silenzio, c’è un modo di udire l’altra voce che da te si stacca; basta un suono qualsiasi a far sì che ti richiami e coinvolga in te l’emozione che batte il ritmo di un canto, inudibile alll’altro.

 

192 Al fanciullo fu estraneo ogni tuo pensiero; non conosceva i tuoi entusiasmi, non sapeva in cosa tu credevi. Posso azzardarmi a dire che il rapporto che hai avuto con lui è stato come un rapporto con uno straniero; un estraneo. Sì, con amarezza, posso solo dire che tu mi hai trattato come straniero.

 

193 La guerra che ognuno si trova a dover combattere, è quella che ogni giorno lo conduce a quei rapporti civili delle convenienze e, per quella convenienza offerta, ognuno si pensa in diritto di raggiungere il suo scopo; come poi questo diritto sia invocato, è per ognuno la via oscura della sua coscienza.

 

194 L’amore non lo si teorizza, lo si vive; la ragione lo vuol condurre sui suoi sentieri quasi a voler farne un’anatomia, ma l’amore non ha parti e sezionandolo, lo si uccide.

 

195 Spesso il silenzio può assumere la forma di un tradimento in quanto, proprio dal silenzio, può scaturire una catena di equivoci. Tra il dire e il non dire, infatti, il silenzio s’intrufola nella coscienza dove ai segreti è offerta l’opportunità di gettare via le chiavi per non essere scovati; ma c’è sempre in un simile gesto, di correre il pericolo che qualcuno ritrovi quelle chiavi.

 

196 E’ da come vediamo le cose, che queste prendono luce.

 

197 Ognuno apprende secondo la capacità che la natura gli permette d’apprendere.

 

198 Ogni cosa che io posso pensare, è sempre e solo una proiezione di me stesso.

 

199 La vita ha scopo solo se si vive per qualcuno; per sé, si è solo morti.

 

200 La vanità è una forma d’imbecillità, in cui altro non si trova se non il vuoto.

 

201 Quale bisturi potrà mai eliminare l’egoismo?

 

202 Quello che ho imparato è stato solo quello che mi è stato proposto e non imposto, e quello che la mia curiosità mi ha spinto ad indagare; il resto, è stata tutta fatica inutile.

 

203 Cosa si può trovare di sicuro in questa vita? Nulla è sicuro, nonostante ci s’affatichi a dare alla vita stessa un minimo di sicurezza.

 

204 Molto facilmente si rischia di perdere ciò che con fatica si pensa di aver guadagnato.

 

205 La maturità è un insieme di situazioni, le quali concorrono alla formazione dell’individuo in un processo continuo.

 

206 La consapevolezza è l’indice della maturità, ma non ne è la pienezza.

 

207 La maturità è la discesa al cuore dell’essere.

 

208 Esistenza

Una goccia d’esistenza

è questo mio fuggevole apparire,

che già il suolo arido

se ne vien rubando.

 

209 La violenza è una forma di morte che si infligge all’altro… con la violenza, lo denudiamo del suo essere; la vittima, in tal modo, evita ogni contatto isolandosi.

 

210 Le armi della violenza si esprimono in vari modi, dalla più rozza alla più raffinata.

 

211 Crediamo di conoscersi; ma ci si conosce davvero?

 

212 Le parole, come le emozioni, hanno bisogno del calore perché possano vivere; diversamente, esse continuano a vivere il loro inverno.

 

213 L’uomo, oggi, sta stuprando la natura, come se fosse a stuprare la madre.

 

214 Non la fortuna, ma tu sei nemico a te stesso.

 

215 Le piccole cose, poiché non le vediamo, non le cerchiamo.

 

216 Il sapere è in funzione di ciò che ognuno chiede.

 

217 Da una simile ricchezza di sapere che alla fine ognuno può portarsi dietro, alla morte ( che giunge ) assai poco importa.

 

218 Eloquio della mediocrità > non per merito proprio, l’individuo si trova a possedere le doti che ha.

 

219 Anche una vita mediocre può avere in sé il suo fascino, in virtù di quell’impronta dell’eterno, impressa attraverso quel fanciullo universale che dimora in ognuno.

 

220 Riflessione: che vale conquistare il mondo, se poi perdi la tua anima?

 

221 Ho avuto modo, come non mai era riuscito all’adolescente, di muovermi, di prendere per mano il mio destino.

 

222 Per trovare la libertà, ho dovuto violentare me stesso.

 

223 L’adulto, si era liberato da una sudditanza psicologica, cominciando a dire di no alla madre; lei, aveva ascoltato troppo la voce degli altri, troppo insicura per sentire la sua.

Già, perché spesso, prigionieri della paura e dell’ignoranza, ci si affida agli altri, senza riflettere per sé.

Quel figlio, gli altri lo avevano visto e giudicato per un momento, mentre lei lo aveva vicino da sempre; questa era la colpa che l’adulto le rimproverava, negandole, da allora, quell’intimità del nome che la natura lega nella maternità e chiamandola semplicemente con il nome di battesimo.

 

224 Vidi, in tutto ciò, l’ironia della vita e della morte abbracciarsi nei miei pensieri.

 

225 La madre, accetta il figlio per quello che crede sia, e in questa accettazione passiva non s’accorge degli ostacoli che egli cerca di superare nel modo in cui la propria disposizione gli consente di andare oltre, magari anche cadendo.

 

226 L’approccio comunicativo è tanto naturale, quanto complesso.

 

227 Ciò che l’adulto esprime è in virtù del fanciullo, non dell’adolescente, anche se lui lo crede.

 

228 La comunicazione virtuale

 

229 L’innocenza violata, ossia l’infanzia infetta.

 

230 Il male d’esistere, crea in sé la forma di un’implosione, in quanto l’individuo si mostra nemico a se stesso. E’ un germe in sé, nel non accettare se stesso, ma questa mancata accettazione ha all’esterno i fattori scatenanti.

 

231 Ognuno vede il mondo con i suoi occhi.

 

232 Sembra abitarci una disabilità nell’amore umano.

 

233 Collochiamo l’amore sul gradino più alto, per dopo farlo precipitare nell’abisso dell’egoismo.

 

234 Si ama ciò che più appaga il proprio narcisismo.

 

235 Il vero amore > amando, io cerco di fondermi nell’altro senza alterarlo.

 

236 Solo nell’uomo – amore (Gesù) può esserci la rivelazione del Dio – amore.

 

237 La morte di Cristo ha due facce: da una parte rivela la violenza del peccato dall’altra parte rivela la potenza dell’amore

 

238 La disabilità smaschera le apparenze, rendendo l’uomo nudo.

 

239 In uno sguardo d’amore, è l’altro che mi permette di riflettermi attraverso i suoi occhi, per capire chi, in realtà, io sia; in quello sguardo, vi circola quel frammento d’intimità che svela l’essere.

 

240 Amore volubile della natura umana: è questo a rendere immaturo ogni rapporto.

 

241 Forse è, quello dell’amore, una catena, e per tale, si è insofferenti di fronte ad esso, senza accorgersi, in una simile insofferenza, di cadere in altre catene.

 

242 Nulla soddisfa l’inganno dell’amor proprio; in ogni sua parte, non è mai pago delle apparenze.

 

243 Se Dio non ci fosse, tutto questo non avrebbe senso; la vita sarebbe una grande assurdità.

 

244 Accade che parlare di sé annoi l’ascoltatore, come se quell’io che parla sembra voler invadere la sfera altrui e non ci s’accorge quanto sia disperato, a volte, il tentativo di rompere quel cerchio in cui l’io stesso è costretto a vivere.

 

245 Esplorato un mondo, ecco che l’uomo lo saccheggia d’ogni ricchezza… avido e mai sazio.

 

246 La morte è quel neo nel seno della vita; nulla più di quell’oscuro punto, spaventa l’uomo.

 

247 La guerra della vita che si consuma, è dentro di noi; proprio lì, i conflitti entrano ed escono continuamente.

 

248 Nella libertà, non si può occupare una coscienza che non sia la propria

 

249 Ognuno apprende secondo la capacità che la natura gli permette di apprendere.

 

250 Ognuno è parte di quel prisma in cui, come singolo, viene aggregandosi a quella moltitudine catturata dalla luce dello spirito affinché nell’unità venga riflettendosi

 

251 Spesso l’esteriorità soffoca l’interiorità; è difficile trovare l’equilibrio in quanto voler essere non significa essere.

 

252 Ad ognuno è dato quel dolore che lo accompagni lungo il proprio tragitto affinché possa la sua coscienza partorire il suo spirito.

 

253 L’ignoranza fa più danni della cattiveria: il cattivo sa dove fermarsi, l’ignorante non sa dove può precipitare.

 

254 Nel silenzio tu sei libero, poiché nel silenzio c’è un modo di udire l’altra voce che da te si distacca.

 

255 La nostalgia è il soliloquio dell’anima che tende a trasformare i ricordi attraverso una luce che accarezza il cuore… anche quello più ferito.

 

256 Essendo la donna, per sua natura, più predisposta a sopportare il dolore, ha in questo la sua forza e il suo rifugio.

 

257 Lo sbaglio che spesso si fa, è quello di voler assomigliare all’altro, imitarlo, invadendo un mondo che non si conosce, rendendo in tal modo inabitabile il proprio.

 

258 Ognuno si trova prigioniero del suo carattere.

 

259 Il ricordo è l’alimento che nutre la mente sulla strada della solitudine.

 

260 I luoghi che non sono impregnati della nostra presenza ci sono ignoti.

 

261 Io mi amo nell’altro, ma purtroppo in amore nessuno rinuncia a se stesso.

 

262 In quella camera oscura, il fanciullo vuol regalare all’adolescente la sua nostalgia, che conobbe nel suo intimo esilio, affinché la possa cantare nella sua solitudine.

 

263 Il dolore e la memoria

Viaggiare è il desiderio di conoscere e scoprire le fonti da cui si è appreso per bocca altrui, scoprire l’orizzonte, verificare, confrontare il presente con il passato.

Spesso significa porre in discussione la propria presenza con quella degli altri; vivere il proprio tempo, essere parte della storia, esistere in virtù di un progetto.

Viaggiare, però, può assumere anche un altro aspetto, forse più nascosto per l’intenzione, ma pur sempre un atto da cui si vuol ricevere una risposta; questo modo di viaggiare vuol condurre la persona alla fonte dei suoi perché, alla memoria, alla speranza.

E’ l’impressione che io ebbi allorché mi ritrovai a fare due viaggi singolari per il loro aspetto; erano due, al di là di un cancello, che si ponevano altresì al di là del tempo e dello spazio: un viaggio dentro la coscienza…. Dachau e Lourdes

Le immagini dei due cancelli prestano il fianco ad una provocazione: Quanto può essere lungo il viaggio di una coscienza?

La provocazione assume, qui, tutto il suo peso in quanto ogni uomo è per se stesso un problema che la ragione da sola non è in grado di risolvere.

E’ in questi casi nel silenzio della ragione, che ogni individuo si trova a dover compiere un viaggio nel viaggio, ossia un viaggio dentro di sé, in cui coscienza e ragione si trovano coinvolte.

La storia subisce l’oblio del tempo e la storia di una generazione diventa incomprensibile per la generazione che la segue; la memoria affidata ai libri diventa tiepida, sino ad allontanarsi.

Un immenso fossato divide l’uomo d’oggi da quello di ieri.

La storia, come un fiume limaccioso, travolge l’uomo con la sua irruenza, per ritornare poi nella tranquillità del suo corso, quasi estranea delle conseguenze di cui diventa testimone silenziosa.

A questo punto, la domanda che ci si pone è: Cosa può unire l’uomo d’oggi a quello di ieri?

La risposta che il tempo lascia fuoriuscire da sé è un’eco che mai si spegne; è l’eco della sofferenza.

Fu proprio dietro ad uno di quei due cancelli che la risposta mi si presentò con tutto il suo dramma.

Lì, sembrava ruotare un universo di sofferenza; ma cosa ancora più singolare, era vedere quel dramma assumere una tonalità diversa che prendeva il colore della speranza, speranza di qualcosa che sapesse lenire il subbuglio interiore, contrapponendosi così alla realtà di ogni male.

Il dolore, questa eredità che l’uomo non può debellare da sé, è il punto traumatico che induce ad un isolamento e in questo isolamento ogni individuo sembra restringere il suo universo con la veemenza di una ribellione, con il suo “ perché ” muto.

In questo tremendo silenzio che la sofferenza crea, l’uomo è immerso nella sua solitudine; una solitudine in cui troverà il vuoto o una solitudine in cui troverà una presenza.

Sotto queste due visioni, l’uomo si chiude o si apre alla rivelazione che la sofferenza fa di se stessa, abitando quell’universo inesplorato in lui e sempre in ombra.

La rivelazione, in ciò, è una porta da attraversare per poter coglierne il significato.

Il dolore però può indurire la ragione, lasciando attorno a sé proprio quel vuoto contrapponendo la negazione alla speranza.

Nell’animo umano, queste due alternative si combattono fra loro, mettendo in crisi ogni pensiero che viene a prendere possesso della ragione.

Illusione… realtà. Ogni uomo vive e agisce secondo la visione propria dell’esistenza, assimilando attraverso la ragione le situazioni che lo conducono ad esprimere la propria scelta… la fede o l’incredulità?

Il viaggio della coscienza sembra qui non conoscere sosta in quanto ogni piccola frattura, che si compie dentro di questa, conduce l’uomo ad un distacco da sé, com’è nel caso dell’incredulità, ma anche di un fideismo estremo.

Solo il dolore è la misura dell’uomo; interrogandosi su se stesso, egli può trovare una conciliazione, ma dove manca la conciliazione vi è solo follia.

 

264 All’ombra dei campanili

Uno sguardo d’insieme dalla sommità del castello; ed ecco il panorama della città estendersi sotto lo sguardo dello spettatore.

L’insieme, che l’occhio qui abbraccia, ha in sé una suggestione che coglie lo stupore.

Qui può vedere quello che dal piano non è possibile vedere nella totalità, ma solo frammenti.

Frammenti di vite, frammenti di storie qui riunite in un unico libro che il castello sembra voler raccontare.

Lo sguardo si dilunga sull’insieme dei tetti che nascondono vicoli sotto di loro.

Strade che sembrano cunicoli in cui battono i cuori… I campanili, eccoli là!

Paiono i segnalibri d’ogni storia raccontata alla loro ombra.

I segreti dei campanili, custoditi con gelosia, percorrono il tempo e le memorie di chi allora ci fu, di chi oggi vi ci vive.

Per lo spettatore che viene da fuori, la curiosità si volge al cuore della città; ne vuol conoscere la storia e tutto ciò che esprime le caratteristiche dei suoi monumenti.

Lo spettatore, invece, che in quell’ambito ci vive è colto da una sensazione d’intimità… non il passato scorre davanti ai suoi occhi, ma il presente.

Nel suo presente l’anima respira una quotidianità in cui si riversa il rapporto e il legame che egli ha con gli altri.

Paradossalmente, però, lo spettatore locale spesso ignora la storia che parla attraverso le pietre, attraverso i monumenti appunto.

Girando per le strade egli si è assuefatto ad essi e la sua attenzione è catturata dai problemi che l’accompagnano.

Egli è, così, impegnato a scrivere in tal modo la sua storia anonima.

Ma i campanili sono i testimoni silenziosi di queste storie; hanno suonato le campane per annunciare riti comuni e particolari… per un battesimo, per un matrimonio o per una morte.

In uno stravolgimento del vivere quotidiano, in una rivoluzione di abitudini e di preconcetti personali, le campane oggi, a parte i ritmi della giornata, suonano l’ultimo dei riti che è rimasto; l’ultima pietà sono loro a suonarla.

Sono loro a chiudere il capitolo di una storia in cui è palpitato ogni sorta di sentimento; gioie, dolori e tutto ciò che ha accompagnato ogni singola esistenza.

Accade che i campanili assistano a delle partenze non annunciate, a mutamenti di destinazione di chi è nato e cresciuto alla loro ombra… partenze che la necessità impone.

A queste però, ecco susseguirsi nuovi arrivi, e mentre ai primi regalano la nostalgia, a questi offrono la loro familiarità.

Ebbene, nel corso della mia esistenza, ebbi a provare l’uno e l’altro sentimento; il distacco e il ritorno sembrano abbracciarsi qui.

Ecco là il campanile che in una buia mattina salutò la mia partenza e, dall’altra parte ecco la cupola dell’Ossario che salutò, in una sera estiva, il mio ritorno.

Fra l’uno e l’altro momento, si consumò lontano una fase della mia fanciullezza.

Il mio pensiero par volare sopra i tetti per planare là, in quella via dove un bambino s’aggirava… Via Anton Lazzaro Moro, numero civico 52.

Ogni volta, passando davanti a quel portone,, la nostalgia fa sì di immergermi nel passato; un tuffo nel tempo, dove il silenzio di oggi fa riemergere le voci di ieri.

Lì, dolori e gioie hanno scandito i ritmi dell’infanzia e della prima fanciullezza; lì, hanno palpitato cuori che si trasmettevano la solidarietà… sprazzi di un tempo che oggi si dissolvono nell’isolamento di una solitudine piena di rimpianti.

Lo sguardo fuggitivo s’addentra fra le mura di quell’angusto cortile quasi a voler rintracciare quell’anima gitana che sembra ormai essere un’evanescenza del tempo.

Il mio rifugio era ovunque potessi intrufolarmi… Spesso, il mio rifugio era lassù sul ballatoio a scrutare il mondo dall’alto in una sensazione di leggerezza, dove il fascino dei tetti veniva a catturarmi.

Nella mente ecco riaffacciarsi ancora quei volti che il tempo venne allora a rafforzare la memoria in quel forzato esilio, volti che, già dalla partenza di quella buia mattina, rimasero immortalati nell’istante dell’ultima sera…. Quanti di questi, avrei rivisto?

Al mio ritorno tutto era cambiato.

Quel mondo di intimità che io avevo respirato non esisteva più, seppure già prima di partire, potevo avvertire un mutamento in corso.

Quanto è diverso, però, assistere ad un mutamento sotto i propri occhi dal mutamento compiuto nella lontananza.

Al ritorno, non m’accorsi che anch’io ero cambiato; ritornando, infatti, un sentimento di distacco si era ormai compiuto.

Sradicato ormai dal vecchio nido, non riuscivo più ad orientarmi…. Ero partito da cittadino; ritornavo da straniero.

Ognuno con le proprie esigenze, si era trasferito altrove… Qualcuno più lontano, altri più vicino, sì che all’apparenza, sembrava possibile riallacciare i vecchi rapporti, ma in realtà non esisteva più quel centro in cui quei rapporti erano fioriti.

Nulla può rimanere come prima, il tempo è fuggevole e ciò che lascia alle spalle sembra la scia di un sogno… un sogno che ognuno vive alla sua maniera.

Oggi, quel mondo che appariva immenso agli occhi del bambino, sembra ridimensionarsi alterando il suo volto.

Sì, le benne stanno testimoniando dovunque la continua avanzata della modernità.

La memoria, di chi aveva respirato qui la propria intimità, sembra sepolta dal cemento e dall’asfalto.

Solo l’ufficialità della storia salva i luoghi, tutto il resto è destinato ad alterarsi, quando non è destinato a scomparire… la modernità ha cancellato, infatti, molte caratteristiche, conservate solo dalle fotografie quali fonti del passato.

Le fotografie, però, non dicono tutto; non dicono quanto anche le pietre respirino, quanto siano testimoni anche di eventi nascosti… vite private, anime che hanno abitato ogni angolo nutrendole con le loro voci… esistenze che si sono incontrate, esistenze che si sono separate.

Ma il tempo sembra voler dire che i mutamenti sono nella regola della vita; nulla rimane stabile, poiché tutto soccombe alle necessità e le necessità di oggi, non paiono essere quelle di allora.

La vita di una città, come (del resto) in ogni altro luogo, è data da ogni singola storia su cui si alza e cala il sipario.

La luce del tempo si accende e si spegne per chi vi ci abita e ogni angolo è un piccolo palcoscenico dove nessuno può rimanere semplice spettatore.

 

265 L’infanzia e la giovinezza, sono le radici e il tronco di quell’albero che espone i suoi rami al sole della maturità; fra quei rami vi passano brezze e tempeste, sussurri e silenzi, dove ognuno alfine si conforta nel ricordo.

 

266 Solo chi scopre se stesso ha ragione di provare interesse per il proprio essere.

( Lotze )

 

267 L’uomo è responsabile anche delle conseguenze che derivano da ciò che tratta come insignificanti o indifferenti.

( Jaspers )

 

268 Il ricordo viene ad interrompere il circuito delle abitudini, risvegliando la coscienza.

 

269 Compito del pedagogo è quello di far sì che il fanciullo sappia riempire il suo bagaglio; non è lui che lo riempie, ma fa sì che il fanciullo sia in grado di armarsi per la vita.

 

270 Ascoltare la vita, significa ascoltare se stessi.

 

271 I mostri tacciono in noi la loro presenza.

 

272 Maturità – viaggio al centro dell’uomo.

 

273 Gesti comuni: Uscendo da casa, è l’ultimo pensiero intimo che ci saluta alla porta; entrando, è l’ultimo pensiero del mondo che ci accompagna sulla soglia.

 

274 Le emozioni pur producendo il medesimo effetto su ognuno, attivano un linguaggio diverso.

 

275 La difficoltà di essere uomo. ( A tu per tu con il padre )

Forse non tutto è stato detto nel congedarmi da te; un commiato frettoloso, dunque, mi vien fatto di dire.

Eppure, non avevo forse detto che ormai tu riposavi in pace nella mia memoria?

Quel susseguirsi di forse pare qui, in questo momento, stravolgere le intenzioni addotte.

Come mai? La causa di questa tempestività potrei accreditarla a due fattori che mi spinsero, in proposito, a concludere frettolosamente considerazioni e riflessioni che lì via via emergevano.

Non che tutto quello che ero venuto esponendo non fosse realmente il sentimento di un cuore che si confessava, ma questa confessione pareva rimanere a metà; aleggiava qualcosa che mi impediva di andare oltre.

Il primo fattore si adduceva al fatto emergente dal sogno che mi poneva in conflittualità; una conflittualità che veniva coinvolgere la realtà nascosta di due persone di cui a stento ne conoscevo la storia.

Infatti, mentre di mia madre ne conoscevo una parte, della tua non ne conoscevo nulla; tu non mi confessasti nulla di te e di tutto ciò che ne animava la realtà, la tua intimità… il tuo essere.

Mi sono sempre chiesto il perché di questo tuo silenzio nei miei confronti… forse per vergogna?

Mi vien fatto di pensare, però, che se anche la vita di ciascuno fosse povera di storia ma ricca di fascino da trasmettere, la sua impronta rimarrebbe indelebile in chi lo ha incontrato.

Tutto ciò che di te venni a conoscere, non furono altro che estemporanee situazioni i cui giudizi su di te non si riflettevano in modo favorevole.

Quindi, rientrare nel mondo del silenzio era più che auspicabile, ma ecco che la tua esortazione a non tacere, mise in moto quel secondo fattore che, complice l’amico del cuore, mi spinse a divulgare queste confessioni in modo più esplicito sotto forma di libro; un libro che, in seguito, fu presentato ad un pubblico con tanto di relatore che lo commentò con giudizio favorevole, evidenziando però le mancanze ( in verità, sotto la pressione dell’amico e dell’editore non fui in grado di correggerlo a dovere, in quanto i ripensamenti mi avrebbero bloccato sino a cancellare tutto e in questo, sono stato sempre autolesionista, verso tutto ciò che esprimevo attraverso la scrittura… e qui il contratto con l’editore era ormai cosa fatta, avendo tra l’altro, anche versato del denaro per l’acquisto di una parte del libro ).

Come detto, a distanza di tempo, sembra che non tutto sia stato detto o svicerato.

 

 

276 La morte è quel neo nel seno della vita; nulla più di quell’oscuro punto, spaventa l’uomo.

 

277 Il ricordo è leggere una pagina della propria vita.

 

278 La novità di una persona che proviene dal mondo esterno, giunge a sovvertire la quiete di un mondo chiuso, viene a scombinare l’ordine costituito, l’abitudine alle regole; è un corpo estraneo che scompiglia. Ma una volta appagata ogni curiosità, tutto ritorna nell’alveo di quella vita ordinaria e quella presenza, ormai priva di ogni novità, viene assorbita dagli ingranaggi di quell’universo chiuso.

 

279 Così, spesso avviene che da cose piccole e umili, si conoscono le cose grandi; meglio di quanto dalle grandi si conoscano le piccole.

Bacone: Sapere divino e umano

 

280 La voce del cuore e il silenzio della ragione

Dalla parte vuota dell’album sembra sbucare una storia.

Questa, io l’ho riconosciuta dentro di me attraverso quella voce che corre sul filo delle tue assenze.

E’ la voce che venne ad abitare allora la mia solitudine e che ancor oggi sembra non volermi abbandonare accompagnandomi in ogni momento… è la malinconia.

In tal modo, essa continua ad imporsi in una convivenza attraverso la solitudine, a far sì di essere la mia compagna; una strana compagnia, la sua, che aleggia tra prigionia e libertà… già, sembra che lei debba essere il mio stesso respiro, inspirare ed espirare… due movimenti inscindibili.

Con questa sua tirannia, tanto ha fatto sì da appiccicarmisi addosso sin dal momento di quella partenza… sì, quella partenza fu diversa da tutte quelle che io avevo effettuato fino a quel momento, portandomi per due lunghi anni sotto un altro cielo

Lontano da tutto ciò che era il mio mondo, le note di quel cortile si addormentarono nella mia coscienza, mentre il dramma già si consumava dentro di me; lì, in quel nuovo posto, avevo perso la mia libertà.

“ Perché mia madre mi aveva portato lì?”, mi chiesi quando vidi quel posto; no, quel posto non mi piaceva eppure, non potevo farci nulla.

Mi ci aveva portato perchè, indirizzata da altri, dovevo guarire… ovvero, secondo questi, dovevo riacquistare l’uso del braccio e della mano attraverso una ginnastica rieducativa; ma tra guarire e rieducare, la differenza faceva sentire il suo peso.

Guarire voleva dire, per me, estirpare, mentre rieducare significava, seppure diversamente, convivere.

Quindi già quel primo impatto fu, per me, un mezzo trauma.

In realtà, anche a mia madre non piacque quel posto e lo dedussi dall’espressione che io le vidi fare, e solo lei sarebbe potuta ritornare su suoi passi e ricondurmi a casa; ma non lo fece.

Fu proprio lì che io mi scoprii malato; fino a quel momento, infatti, non avevo mai posto l’attenzione su quella menomazione fisica.

Quanto a me sembrava, mi muovevo in modo tale da integrarmi in una normalità che non faceva caso a quella diversità.

Ma ecco che, trovandomi lì, in quel posto che assomigliava ad un nido di passerotti con le ali tarpate, mi resi conto quanto la natura e il mondo mostrassero le loro assurdità.

Già… un mondo assurdo, in cui quei bambini si ritrovavano a doversi allenare ad una doppia fatica nel cammino dell’esistenza.

Mi scoprii ancor più malato quando un giorno fecero in me una devastazione psicologica; era accaduto che nel mettere in pratica un metodo di terapia senza accorgimenti in proposito, mi immobilizzarono la parte sana affinché muovessi quella malata… mi era impossibile mettere in moto quella rigidità.

Lo shock per me fu grande e mi misi a piangere… quanto durò quel pianto?

Quel momento sembrò interminabile, interminabili quei minuti tanto da non accorgermi quando mi slegarono.

Questo incise molto quando, in seguito, lasciai quel posto; non fui più lo stesso… la paura del mondo era entrata in me.

Quel bambino, a detta di qualcuno, molto vivace non esisteva più; al suo posto subentrò un altro essere se non scontroso, sicuramente preposto all’isolamento.

Ed ecco ritornare qui, a proposito, quel sogno che venne ad evocare quel posto… quel sogno che io feci nel desiderio di guarire.

Strano davvero quel sogno… cosa mai voleva suggerirmi?

E ancora più incomprensibile mi appariva che, alla fine, mi riconducesse alla morte di qualcuno.

Devo dire che già dalla morte della giovane parente, cominciai a prendere in considerazione i sogni e a metabolizzarli, proseguendo con quello che ti chiamava in causa, e continuando con la morte di una zia.

Mi ero chiesto però cosa potesse legare tutto questo con quest’ultima persona… ma ecco che la risposta non dovette attendere molto a rivelarsi.

Questa persona per tutta la vita aveva sofferto di cuore e aveva dovuto convivere con una simile malattia, eppure da lei posso dire di aver conosciuto una forma di serenità.

Ed ecco che quel sogno veniva ad innestarsi con gli altri due come una tappa ulteriore da proseguire in quel percorso e che incitava a recuperare ciò che dell’esistenza ne era il frutto; dovevo in un certo qual modo ridiscendere proprio in quell’angolo di coscienza dove la luce, con un lampo, era entrata ad illuminarlo

Era un invito a guardare me stesso in un superamento della malattia e, questo, sembrò proprio partire da quell’esortazione.

Ma ciò che mi faceva paura era proprio il dover scavare dentro di me… perché?

Spesso, la paura di scavare in se stessi, è dettata dalla paura di trovare il nulla… di temere il buio; ma in realtà, scendere alle radici dell’essere assume il significato di partorire.

La cosa singolare che legava questi tre sogni era la figura di mia madre; come mai?

Sembrava che lei dovesse per forza accompagnarmi, attraverso questi, per un sentiero arcano.

Tutto sembrava doversi rivelare come una specie di dicotomia… la morte e la vita sembravano parlarmi attraverso quel linguaggio che solo a loro apparteneva.

Mi chiesi cosa potesse significare tutto ciò, ed ecco che gli estremi si agitavano in me… la vita e la morte sembravano presentarsi come sorelle gelose a disputarsi i miei ragionamenti.

Mi chiesi poi che significato potesse assumere la presenza di quei morti e di mia madre che invece era ancora viva.

Tutte quelle persone cadevano nella sfera dell’affettività; ma in quel contrasto, l’affettività si era trovata spezzata.

Quei morti ormai rappresentavano il passato, mentre la vita si manifestava nel presente attraverso la figura di mia madre.

A differenza di quei morti, io ero ancora vivo, ma era come se fossi morto… morto dentro di me, in quanto nulla sembrava scuotermi da quel freddo abbraccio.

Ma ecco che da quel pericoloso abbraccio comunicarsi un brivido; non era possibile che mi facessi irretire a quel modo… no, assolutamente no.

Già, la figura della madre, quale fonte della vita; ma dall’adolescenza in poi, sembrò essere, il nostro, un rapporto malato.

Quindi, ecco che soprattutto il terzo sogno sembrava voler segnare, attraverso quel desiderio di guarire, una voglia di rinascere… Eppure, la realtà pareva contraddire tutto ciò.

In che modo e da cosa volevo guarire… e soprattutto, perché quel voler ritornare proprio in quel posto?

Forse era il desiderio di recuperare qualcosa; ma cosa di specifico?

Forse era il desiderio di recuperare l’immagine di quel bambino che la madre non ebbe il coraggio di riportare a casa subito.

Quel luogo, io non l’ho più rivisto e credo di non doverlo vedere più; eppure, molte erano le cose che, allora, mi inducevano a dover riscoprire quel luogo… ma questo lo potevo fare solo scandagliando la memoria, immergendomi in quei fondali poiché la frattura tra me e il mondo si annidava proprio lì in quell’episodio appena accennato dove, in tutto, si celava l’ostilità.

 

 

281 CREDO – SPERO – AMO – ADORO

 

282 L’uomo è responsabile anche delle conseguenze che derivano da ciò che tratta come insignificanti o indifferenti.

Jaspers

 

283 Fatto di cronaca – Il suicidio di un bambino tolto alle suore.

 

284 Maturità: viaggio al centro dell’uomo.

 

285 Si dice che non ci si conosce mai bene se non dopo il matrimonio; lì, le maschere cadono.

 

286 La scelta ( racconto breve )

“ Sei consapevole del passo che intendi fare?”, gli aveva chiesto il priore prima di congedarlo e lasciandogli il tempo di riflettere nella sua cella.

Il priore lo aveva accolto sorridendo per quel suo ritorno, ma sotto quella benevolenza si celava anche una preoccupazione e ne aveva ben ragione di averla, visto che sei mesi prima se ne era voluto tornare a quel mondo da cui era fuggito.

Lo avevano lasciato andare affinché valutasse cosa realmente desiderasse fare.

Nel vederlo dinnanzi a sé, l’anziano frate fu intimamente contento, avendo nei suoi riguardi una simpatia.

Gherardo si era spesso confidato con lui al di fuori di quello che era il canale della confessione, ma proprio per questo la sua preoccupazione veniva dettata dal fatto di vedere se egli fosse veramente in grado di sopportare e adeguarsi alle circostanze: “ Chi, lasciando l’aratro, si volge indietro non è degno di me “, aveva concluso citando le parole del vangelo.

Ora Gherardo stava riflettendo su quelle parole nel silenzio della celletta.

Il priore lo aveva ripreso, ma con la condizione della prova; non voleva, infatti, che si ripetesse lo stesso sbaglio.

Certo, non era e non sarebbe stato ne il primo e ne l’ultimo ad aver abbandonato quella strada; altri, prima di lui, se ne erano andati forse spaventati da quella prova, ma nessuno, come lui era ritornato sui suoi passi.

Si chiese quale era stato, in realtà, il motivo che lo aveva spinto a ritornare.

Colto da quei pensieri, lasciò vagare il suo sguardo assente fuori dalla finestra.

Una leggera foschia era venuta ad avvolgere il panorama che da lì si poteva osservare.

In realtà, da quell’angolazione si poteva vedere assai poco, ma il luogo era più che familiare ai suoi occhi.

Sotto quella finestra, il cortile, fino a poco tempo incolto, gli offriva una geometria di aiuole che si spingevano quasi al limite di una leggera salita collinosa dove, riparata da una specie di grotta artificiale, la statua di una Madonnina sembrava volgere il suo sguardo protettivo.

Poi un piccolo sentiero si addentrava nella boscaglia su su, per arrivare all’eremo.

Quante volte lo aveva percorso? Tante.

La collina andava poi digradandosi giù verso valle per arrivare poi al greto di un torrente quasi in secca.

Si riscosse da quell’attimo di sentimentalismo per ritornare al problema che lo assillava; dunque, cosa lo aveva indotto ad andarsene, e cosa a ritornare?

I sei mesi trascorsi lontano da quei confratelli parve a lui, in quel momento, un periodo relativamente lungo e relativamente breve.

In ogni caso, aveva cercato di impiegarlo nel migliore dei modi possibile, radunando in sé una serie di analisi che potessero far chiarezza sui dubbi che lo affliggevano.

Si rese conto che non sarebbe stato facile… poteva però sbagliare ancora?

 

287 Separazione significa allenarsi alla solitudine, allenarsi a quel distacco che alla fine diventa distacco da sé nella morte.

 

288 Nel silenzio tu sei libero, poiché nel silenzio c’è un modo di udire l’altra voce e il suo contrario che da te si distacca.

 

289 La solitudine dell’essere

Sulla scia di quei ricordi, il tentativo di conciliare quelle fratture sembra porsi in maniera contrastante e non mi è neppure possibile obliarli in quanto nel solco del tempo, quelle fratture mi lasciarono solo la voce per rispondere a quella realtà di dolori e solitudini.

Quelle immagini affiorano spesso come schegge impazzite, quasi a dire ciò che il tempo ha lasciato dentro di me… lì, le orme sono incancellabili.

Più che viverla, come ebbi modo di dire, ho subito la vita, e questo avvenne sin dal ritorno a casa da quel luogo… ero ritornato a casa, ma inconsciamente mi ero portato appresso quella gabbia psicologica in cui trovare rifugio ogni volta mi sentissi minacciato… non ero più sicuro di me e la paura cominciò ad intrufolarsi in ogni mio atteggiamento.

Quella esperienza aveva inibito ogni possibile atto che mi avrebbe condotto, in seguito, ad agire o meglio, a non agire; quell’ombra si era radicata in maniera tale sì da produrre improvvise paralisi.

Paura di agire… circospetto verso tutti; ogni mio movimento veniva macchiato da questi atteggiamenti.

La lontananza aveva sortito l‘effetto di trovare al mio ritorno una situazione di novità in cui mi sentivo sperduto… volti nuovi, forse ostili, si erano alternati a quelli vecchi, più rassicuranti dove la mia storia riposava in loro.

Devo dire di non aver avuto, da questa esperienza, nessun supporto; forse non lo seppi neppure chiedere… quel bambino tornato a casa, sembrava muoversi senza problemi.

Ma in realtà, man mano che il tempo procedeva, quella frattura cominciava ad essere sempre più gravosa, come la polvere che all’inizio è solo una lieve patina che con l’andare del tempo viene a denotare la sua consistenza se non viene rimossa, così su quell’esperienza con l’andare del tempo, si concentrò tutto quello che fu il peso psicologico e che ne rese impossibile a sanare la frattura.

Lì, il peso di quella polvere si cominciava a sentire; ad un certo punto la polvere soffoca… impedisce il respiro sino al punto di un’asfissia.

Quindi, quell’esortazione in questione, che tu mi inviasti, non poteva se non ricondursi a quelle tappe radicate nel silenzio di quel tempo.

Se la tua esortazione, come io penso, fosse indirizzatala al fanciullo, mi chiedo: A quale? A quello che ti fu offerto di conoscere e lo trascurasti… o quello che, dal ritorno in poi, si stava eclissando alla tua vista?

Eppure, ecco ancora un altro dubbio… fosti proprio tu a suggerirmi quell’esortazione?

Sono domande, queste, che io mi pongo poiché, pur che se quel fanciullo si muovesse nella luce, era come se qualcun lo trascinasse in quella oscurità dove nulla poteva ne apprendere ne comprendere… dunque, ero io questo, o piuttosto qualcuno che non aveva superato la barriera di quell’oscurità? ( Nel sogno, si aggirava l’accusa di una morte ).

Mia madre mi raccontò che, in realtà, io avrei dovuto avere un fratello ( o sorella ) che però fu vittima di un aborto spontaneo; in pratica, io sarei stato il prodotto di un secondo tentativo.

La mia nascita, tra l’altro, aveva procurato delle difficoltà per mia madre, la quale era dovuta ricorrere al taglio cesareo e in seguito non avrebbe potuto avere altri figli.

Forse fu da una simile notizia che il sogno apportò quell’accusa… per quale causa si veriificò quell’aborto?

 

290 Quella che tu chiami passione non è energia psichica, bensì attrito fra l’anima e il mondo esterno.

Chi dirige la suprema energia del desiderio verso il centro, verso il vero essere, verso la perfezione, appare più calmo dell’appassionato.

La divinità è in te, non nei concetti e nei libri.

La verità si vive non si insegna.

  1. Hesse

 

291 A volte si pensa di essere soli, ma ecco che uno sguardo, seguendo la scena, ci osserva.

 

292 La preghiera è una figlia della fede; ma la figlia deve mantenere sua madre.

Kierkegaard

 

293 La solitudine del genio e la solitudine dell’ignorante.

 

294 Il buio, lo schermo della mia fantasia

 

295 Nel linguaggio dell’amore, non c’è grammatica che possa stare al pari del cuore.

 

296 Compito dell’esistenza è vivere per amare… generare amore.

 

297 Ore 13, 45, una telefonata da parte di don Claudio per augurarmi il buon esito per la presentazione del libro:

“ Hai avuto grande coraggio “, mi ha detto.

( 14 ottobre 2010 )

 

298 Non sappiamo a quale stazione il destino ci farà scendere.

 

299 L’umiltà – Siracide 3

 

300 Lo spirito dell’infanzia – Salmo 131

 

301 Effusione dello Spirito – Isaia 32, 15 –

 

302 Il silenzio è qualcosa di magico e sa offrire sensazioni irripetibili; ma tacere per ascoltare, non sempre raccoglie il pieno assenso… troppi pensieri assillano le persone. Entrare in un cimitero, è forse il luogo più propizio per allenare lo spirito… Lì, il silenzio è il padrone di casa.

 

303 Fragilità e solitudine ( al padre )

Ci sentiamo fragili e smarriti, nonostante la prova di forza che ciascuno cerca di attuare nella propria esistenza… e qui, in proposito mi vien fatto di pensare quanto, non dissimilmente dagli altri, anche tu cercavi in un certo qual modo questa protezione.

Mai, però, sapesti darla… già.

Vien fatto, qui, di pensare di come si possa dare all’altro quella protezione che per sé non si è avuta.

Ma cos’è poi, alla fine, questa protezione se non quella di sentirsi amati?

Ecco, il tema dell’amore ritorna qui; uscito dalla porta di quelle riflessioni, rientra dalla finestra.

La pochezza che ciascuno ha su questo argomento, riduce l’argomento stesso ad una fase totalmente povera di atti.

Si ha paura di confessare la propria debolezza, nel modo che la ragione ci detta per nascondersi, proteggendosi da sé pur non riuscendoci.

Ecco allora i molteplici atteggiamenti che ci accompagnano lungo le strade dell’esistenza… i silenzi, lo sviare degli sguardi.

Comunicare agli altri, guardare gli altri togliendo, ciascuno, la propria diffidenza, è la cosa più difficile che si possa attuare.

Ognuno porta dentro di sé la sua notte… il suo buio, e in un simile buio ci si muove.

Ti descrissi, qualche pagina fa, la mia notte; no, quello non era un sogno, ma un’analisi che il sogno aveva prodotto in me… il sogno fu breve, l’analisi lunga.

In questo caso, la notte può assurgere a simbolo interiore, per ogni individuo che cerchi di muoversi nella propria oscurità.

Ciò che descrivevo della notte era una situazione in cui scopersi quanto una forma di ambiguità la percorresse… l’innocenza e la malizia l’abitano; ma l’innocenza è sempre una facile preda della malizia, e mentre quest’ultima si radica , l’altra la si perde e di questa ne avvertiamo sempre più l’assenza; la malizia è nemica dell’amore puro.

L’amore puro è, a mio modo di vedere, innocenza assoluta.

Già… innocenza assoluta; Adamo nel Paradiso terrestre ne era l’emblema.

Ma in questi tempi moderni, invasi da un’autosufficienza di sé in un disegno di grandezza alquanto miserevole, non si vuol riflettere sulla realtà di cosa l’uomo abbia perso di sé.

Si vive, in tal modo quella che si può chiamare la solitudine dell’essere; è celata dentro di noi e in tutti gli sforzi la ragione non può far altro che balbettare dentro di noi.

 

304 Il cortile ( racconto breve )

Conosceva tutti gli abitanti di quel cortile e conosceva le loro storie; ma tale conoscenza non era stata comunque diretta, anzi.

Egli tendeva ad evitare la loro presenza e tutte quelle informazioni che riceveva, pervenivano a lui attraverso quella persona preposta alle sue esigenze dopo esser stato vittima di un grave incidente automobilistico che lo aveva immobilizzato su una sedia a rotelle.

Ella era l’unico legame con il mondo da che si era fatto sempre più scontroso.

Ma quel cortile, in realtà, era poco frequentato è lì, nella più perfetta solitudine, Simone si abbandonava alle sue riflessioni, passando gran parte delle sue giornate, quando il bel tempo glielo permetteva.

A interrompere queste sue riflessioni, c’era spesso un bambino; l’unico abitante del cortile che vedeva con frequenza.

Lo scorgeva lassù sul ballatoio a fantasticare e che fantasticasse, lo deduceva dal fatto che sembrava ignorasse il mondo circostante, lasciando vagare il suo sguardo sopra i tetti quasi a rompere il loro assedio.

La sua simpatia per lui era nata istintivamente, quasi che in quella figura si riflettesse un mondo di ricordi che lo collegava alla sua infanzia.

Lo seguiva con lo sguardo per tutto il tempo in cui egli appariva lassù; quei cinque o dieci minuti sembravano bastare a riempire la sua solitudine.

Ma ecco che da un giorno all’altro, egli si sentì scippato da quella silenziosa compagnia.

Invano, in quelle ore che il sole gli permetteva di restarsene in cortile a godere il calore dei suoi raggi, inseguiva con lo sguardo quel ballatoio sperando di vederlo sbucare da un momento all’altro; ma le sue attese si riempivano sempre più di delusione, sino a quando venne a sapere della sua partenza improvvisa.

Ormai la rassegnazione a non vederlo più, aveva alimentato la sua malinconia; nei suoi occhi correva quell’immagine scolpita nel ricordo, quasi a dare al tempo l’incombenza di rivestirla con quella nostalgia che stava occupando il suo animo, quasi a immortalare quel brivido di innocenza.

Quel pomeriggio, egli se ne stava alla finestra, guardando cadere la pioggia, mentre nella stanza s’aggiravano, quasi orfane, le note di un idillio.

 

305 Ho ricevuto mercoledì scorso ( 06 / 04 / 11 ) dalle mani dei miei cugini, una lettera di mio padre indirizzata ai suoi parenti… una lettera tremenda; una lettera datata 1958, l’anno in cui mi trovavo a Rovereto.

 

306 Favola d’autunno

La mano scivolò nel buio a cercare l’interruttore e d’improvviso la fioca luce dell’abat – jour   illuminò la camera da letto, mentre lo sguardo della donna corse alla piccola sveglia sul comodino.

Era quasi ora d’alzarsi, ma indugiò ancora un momento sotto le lenzuola.

“ Buongiorno!”, una voce infantile riempì la stanza.

Il ragazzino, che dormiva nel letto accanto, stava osservando la madre.

“ Buon giorno; ti ho forse svegliato?”.

“ No, ero già sveglio da un po’”, rispose

“ Dormi che è ancora buio”, disse con dolcezza la donna.

“ Non ho più sonno”, replicò

“ Se potessi avere io la fortuna di dormire ancora come puoi fare tu…”, sospirò “ Invece a me tocca alzarmi per forza, soprattutto adesso che è cominciato a far freddo”.

Il ragazzino era eccitato; le vacanze scolastiche gli avevano permesso di stare qualche giorno vicino alla madre, prima di ritornare in collegio.

“ Posso venire un momento nel tuo letto?”, domandò.

“ Vieni!”, disse la madre, alzando un lembo delle lenzuola e il ragazzino fu lesto ad intruffolarsi accanto a lei”.

Per un lungo momento gli sembrò di respirare ancora un po’ quella atmosfera protettrice di quando bambino le dormiva a fianco.

Madre e figlio vivevano soli da quando lei era rimasta vedova.

“ Hai qualche compito da fare, oggi?”

“ Sì, devo studiare una poesia del Pascoli”.

“ Quale? “

“ La cavalla storna “

Gli occhi della madre si illuminarono per un istante; quella poesia la fece rituffare con la memoria a un ricordo.

“ Questa poesia l’ho recitata al saggio finale “, confessò al figlio.

CosÏ si chiamava allora l’esame.

“ Com’era andato? “

“ Il maestro si era mostrato contento”.

“ Ricordi ancora quei versi?

“ Sì, me li ricordo ancora…”, e subito cominciò a recitarli con enfasi “ Nella Torre il silenzio era già alto…”.

Il ragazzino già sembrava cogliere in quelle parole il filo di una favola.

Un’atmosfera di magia sembrò, in quell’istante, aleggiare per la stanza, catturando quelle parole e dando ad esse una musica particolare.

Il ragazzino ne era estasiato quasi vedendo librare nell’animo della madre l’angolo segreto della fanciulla che, fino a quel momento, aveva cercato di rivivere quella sua festa particolare.

La madre non gli aveva mai saputo raccontare una favola, forse perché non se le ricordava o forse perché non le sapeva raccontare; egli aveva sì udito, da altri, quelle storie fantastiche, ma da sua madre, no.

In quel mattino d’autunno, tutte le favole non raccontate, si erano sintetizzate lì, in quel lampo che subito colse gelosamente.

 

307 ( Sogno )

Raggiante in volto, ecco apparirmi una giovane donna, ferma nel suo portamento… era bellissima, sì che a descriverla diventava una cosa ardua.

“ Non certo per me questa è venuta”, mi dissi “ Eppoi… Che mai avrei avuto a che fare con lei?”.

Mi sentivo insignificante e insignificante la mia vita; pertanto, nessun valore mi permetteva l’ardimento di posare gli occhi su di lei.

A torto, però, del mio pensiero, lei mi fissò intensamente.

In me crebbe forte, allora, il turbamento, e le mie gambe sembrarono non obbedire a nessun comando.

Non potendo fare altro, mi rifugiai facendomi piccolo in me stesso.

Lei, però, non demordeva dall’intento che io non conoscevo, sì che aumentò la confusione nella mia mente.

Questa confusione crebbe quando, nel rivolgermi la parola, mi chiese di sposarla.

“ Uno scherzo…”, pensai.

A dispetto del mio pensiero, la giovane donna ribadì la sua richiesta e io ne rimasi prigioniero.

Ancor più a disagio, mi poneva il suo sguardo fermo che sembrava voler indagare dentro di me, quasi che a lei nulla potesse rimanere nascosto, seppure la titubanza ne venisse a frenare l’intento.

Tosto, allora, una gelosia profonda venne a prendere posto, quasi che la mia anima fosse stata scoperta nella sua nudità.

 

308 ( Sogno )

Sognai un colloquio con mia madre in cui le espressi la mia intenzione di ritornare in quel luogo laddove fui da bambino, con il desiderio di voler veramente guarire del mio male fisico; ecco però, dopo aver espresso questa mia volontà, che cominciò a serpeggiare una certa titubanza… ho paura.

Per far sì che l’intento non venga meno, mi faccio promettere da lei che verrà a trovarmi; mi dice che verrà a trovarmi dopo tre settimane.

Mi ritrovai così in quel vecchio posto che in verità stento a riconoscere.

Qualcosa è cambiato; non è più il luogo che io avevo lasciato e lì ora non curano solo i mali fisici, ma cercano di studiare anche le turbe psicologiche.

Tutto questo contribuisce al mio smarrimento, ma facendo fede alla promessa di mia madre mi accingo di buon grado a questa presunta terapia.

Sono rinchiuso in una stanza buia, dove però mi accorgo di non essere solo, o almeno così penso.

Tutto è immerso nel buio e solamente qualche sospiro mi avverte dove queste presenze si trovino, facendo io fatica a distinguere la loro posizione.

Finalmente, dopo che disperai di venire fuori da quella situazione, la porta della stanza si apre lasciando passare una luce intensa.

Una figura si staglia sulla soglia che io non riesco a distinguere al primo impatto.

Man mano però che i miei occhi cominciano ad abituarsi a quella luce, riconosco in lei la persona a cui volli veramente bene; è una parente acquisita, morta da poco tempo.

Mi sorride e io sento il cuore traboccarmi di gioia nel vederla, ma allo stesso tempo un cruccio mi accompagna ricordando la promessa di mia madre.

Dico a lei che appunto stavo aspettandola, e questo lei lo sa poiché, sempre sorridendo, mi annuncia che i trova a piano terra.

“ Perché non sale?”, chiedo allora incuriosito e con un velo di delusione.

Mi risponde che per salire, ha bisogno di un permesso speciale.

Per affrettare l’incontro, con impeto le dico che sarei sceso io da lei.

Mia zia blocca questa mia impazienza dicendo che anch’io sarei dovuto sottopormi alla regola di un permesso speciale.

Mi precipito con foga fuori dalla stanza per ottenere la possibilità di questo incontro, ritrovandomi lungo un corridoio che a me sembrava deserto fino a qualche istante prima.

M’imbatto così su un frenetico via vai di persone indaffarate; invano cerco di farmi sentire e la mia richiesta rimane lettera vuota.

 

309 CIVICO 52 – Casualmente ho avuto modo di rivedere il vecchio cortile di allora; un cortile restaurato non da tanti anni… un cortile, in cui non ho potuto riconoscere più nulla di allora. Eppure non ho potuto non sentire un tuffo al cuore, gonfio di ricordi.

Uno steccato, ha impedito per molti anni la visione del cortile.

 

310 Dall’alto di un’età acquisita, volgendo uno sguardo al passato, diventa un’impresa ardua catturare istante per istante le situazioni che hanno dato addito ad una formazione intima e critica allo stesso modo.

 

311 Fruttando nulla per se stessi, ecco che la fatica messa a servizio degli altri ottiene il suo guadagno.

 

312 Il rinascere dell’uomo ( v. episodio di Nicodemo con Gesù Gv 3 )

 

313 Un incontro ( appunti per racconto breve )

Mai si sarebbe immaginato, nella mattinata di vedersi materializzare il pensiero che lo aveva accompagnato per quasi una vita.

La ragazzina della porta accanto di quel cortile, gli stava venendo incontro da uno dei corridoi del supermercato: “ Ti ricordi di me? “.

Quanti anni erano passati? Tanti, ma quel volto era rimasto scolpito nella memoria.

Il loro ultimo incontro fu quasi per sfuggita un giorno; l’aveva vista sfrecciare in bicicletta davanti a sé lanciandogli un saluto frettoloso, poi non la vide più.

Seduto su una panchina di quel piccolo parco, Tommaso si era trovato a riflettere su quell’incontro e a quanto il tempo avesse sedimentato in lui quel sentimento: “ Non ti ho mai dimenticato”, le aveva detto, suscitando in lei una sorpresa.

“ Perché? “, si era sentito domandare; ma non era per lui facile rispondere a quell’interrogativo senza provare imbarazzo.

In quel momento, la memoria non poteva non rituffarsi nel passato, a cogliere quegli innumerevoli momenti in cui quella frequenza gli aveva procurato quei sentimenti..

Ma lei era cambiata, lui era cambiato; il tempo aveva sortito i loro destini.

Si era sposata, mentre lui si era trovato a non capire quale fosse stato il senso della sua vita…

 

314 Spesso i sogni sono rivelatori non indifferenti per una coscienza che naviga nell’oscurità della sua odissea.

 

315 Chi ricatta, moralmente rimane prigioniero di se stesso.

 

316 Nella nostra bocca risiedono due verbi: parlare e masticare.

 

317 S. Tommaso: le cinque vie

Prima via       –   Tutto ciò che è moto è mosso da altri.

Seconda via   –   Va posto un primo motore il quale non è mosso da un motore esterno.

Terza via       –     La causa efficiente esiste.

Quarta via     –     Esiste qualcosa che è sommamente ente e questo noi lo chiamiamo Dio.

Quinta via     –     Deve esserci qualcuno mediante la cui provvidenza il mondo è governato.

 

318 Le quattro notti

La notte dei sensi

La notte dello spirito

La notte di Dio

La notte di Gesù abbandonato

 

319 La guida e la notte dell’anima ( 1 )

“ Dunque, perché esiti ancora? “, mi chiese lei allorché vide che me ne stavo immobile “ Cos’è che ti impedisce di intraprendere il cammino? ”.

Sentii la mia mente invasa da una paralisi di fronte a quella figura che lo specchio rimandava, dove familiarità ed estraneità sembravano abbracciarsi in una simbiosi mortale; il fanciullo e l’adulto, lontani fra loro, si riflettevano diversi pur sapendosi tutt’uno, legati dalla stessa anima .

Replicai confuso “ Vi è un po’ di timore da parte mia, visto che ignoro dove tu voglia portarmi “.

“ Non temere, ti voglio condurre a uno sposalizio più grande di quello che io or ora ti ho proposto “.

Rimasi allora sconcertato, prolungandomi nel mio silenzio non comprendendo la sua intenzione, ma pur lei continuò: “ Affinché ciò avvenga, è necessario che tu debba riacquistare ciò che perdesti lungo il cammino e qui è proprio quel fanciullo in te che devi richiamare; senza di lui non è possibile iniziare il viaggio “.

Mi stupii: “ Per quale motivo proprio lui? “.

Sorrise: “ Lo stupore, che ora il tuo volto esprime, è lo stesso strumento del fanciullo che allora lo ammantava e più sarà motivo per il viaggio, poiché questo ti riserverà molte sorprese fra le insidie di un simile cammino allorché accidentalmente ti capiterà di allontanarti dalla via maestra e inoltrandoti per malsicuri sentieri, solo lo spirito dello stupore ti potrà recar consiglio “.

“ E’, dunque, pieno di insidie il cammino che tu mi prospetti? ”.

“ Le insidie, in verità, si nascondono ad ogni angolo in cui ti troverai a passare e questo lo scoprirai da te “.

“ Non riesco a seguirti… “, replicai.

“ Quel che voglio dirti è che dovrai scoprire te stesso, per trovarti così in similitudini e diversità con gli altri. Di fronte a queste cose, conviene però che un’autorità più alta te ne parli “.

Il tono dolce della sua voce, mi invitava a smuovere la mia ritrosia , seppure ancora cercassi di aggrapparmi alle mie deboli proteste..

Quella spina che continuava a tormentarmi sembrava non rendermi pace, ma lei imperterita ancora mi incalzava: “ E’ a cagione della tua salute che io sono stata inviata a te, a sostenerti laddove sembra venir meno il tuo impegno, in quanto raramente uno si cura, se non ha volontà di farlo “.

Tacque in me la protesta allorché mi stava ancora rimproverando: “ Sei tu, dunque, pronto? Sì, lo so, c’è una ferita ancora aperta che pare impedire ai tuoi sentimenti di raggiungere la loro sede, offrendoti ancora una visione di tenebre. Sei troppo ancorato al passato… non volgere lo sguardo all’indietro, poiché alle spalle la scena si è ormai oscurata. Tu l’hai illuminata nel tuo passaggio quando nello stupore di allora, avevi saputo cogliere ogni cosa e il suo sapore. Oggi, a quanto pare, a nulla sai più sorridere “.

Suonavano dure quelle parole, mentre dalla finestra il mio sguardo si dilungava sulla città dormiente. Osservavo la notte vestita d’innocenza, mentre l’onda dei miei pensieri si riversava su quell’immenso mare oscuro: “ E’ davvero innocente la notte? “, mi domandavo “ Il sonno che lei riversa sembra renderla tale. Esso toglie le armi e seduce ogni essere, regalando a ciascuno il suo mondo per mezzo del sogno. Eppure, la sovranità del silenzio fa della notte la regina delle inquietudini a chi a lei non vuol cedere. In lei si radunano le disposizioni che l’animo sente e un brivido sembra percorrerla, squarciando quell’innocenza. Ecco… nel sonno, la vita e la morte sono sospese attraverso l’inganno. L’inganno vigila; vigila proprio attraverso l’innocenza del sonno e nel sogno si manifesta la malattia “.

Ancora osservavo la notte; osservavo i palazzi attorno immersi nell’oscurità, dove la luce artificiale dei lampioni gettava su di essi una sensazione di sicurezza anche se illusoria, ma pur sempre necessaria.

Lì, le finestre chiuse parevano comunicarsi l’una all’altra le sensazioni che custodivano; gioie, angosce, interrogativi… lì, in un sussurro parevano rendere le cose senza veli.

Un brivido, allora, parve correre nei miei pensieri: “ Sì…”, mi trovai a dire “ Siamo qui stretti come in un alveare; un brulichio di storie segrete che ronzano attorno ad un comune luogo dove familiarità ed estraneità si fondono. L’uomo è questo… e come potrebbe essere diversamente? “.

 

320 Ironia di un chirurgo: “ In tutto questo tempo che ho trascorso ad operare, io non ho mai visto un’anima.

 

321 Spesso il corpo si ammala perché si ammala la mente; ma cos’è che fa ammalare la mente?

 

322 Compito dei genitori è spiritualizzare la vita.

 

323 Anche il dolore, paradossalmente, può essere egoista.

 

324 Voler bene, non è ancora amare.

 

325 Dio può solo aiutare a superare il male, non ad impedirlo; se lo impedisse non sarebbe Dio.

 

326 Iconografia della Vergine attraverso i dolori.

La profezia di Simeone.

La fuga in Egitto.

Lo smarrimento di Gesù nel tempio.

L’incontro di Gesù e Maria sulla via del Calvario.

La crocifissione di Gesù.

La deposizione di Gesù dalla croce.

La sepoltura di Gesù .

 

327 La purezza è come l’acqua limpida, che viene a perdere la sua limpidezza solamente sfiorandola con la mano.

 

328 E’ detto che la storia più bella è quella che non è stata ancora scritta; ciò che si scrive è già incarcerato dalla realtà che si incarica di diffondere e di analizzare ogni suo aspetto definitivo, incurante anche del danno che può uscire da un giudizio. Ciò che è scritto e fatto sapere, non è più modificabile.

 

329 Ordinarietà e mediocrità del’esistenza.

 

330 L’eloquio della mediocrità: significato e analisi

Natura e ragione: a) la ragione arrogante b) la ragione sorda c) la ragione assurda.

Pascal – Pensieri “Miseria e grandezza dell’uomo” pag. 223 e pag. 377

Libri sapienziali a) Salmo 8; 139 ( 138 ) b) Qoelet c) Sapienza

Vangelo – Mt 11, 25 – 27; 18, 26

 

331 La donna non può conformarsi nell’uomo, come l’uomo non può conformarsi nella donna; quel sottile confine esiste.

 

332 Sulla maturità – il problema

La maturità è… Con quante apparenze la pubblicità tende a manipolare la maturità?

Ogni maturità è differente per situazioni diverse.

Ciò che è facile per l’uno può essere difficile per l’altro.

La società è un prisma di individualità.

Si dice che si diventa maturi in base alle esperienze che si fanno.

 

333 Per essere raccontata, la favola ha bisogno di un cuore vergine; ma anche le favole possono essere sporche di sangue.

 

334 L’amore incompiuto affonda le sue radici nella non ottemperanza della giusta misura; il troppo fa sempre danno e la giusta misura non è quasi mai presente.

I gradi dell’amore: a) eros b) filia c) agape.

I comandamenti dell’amore: 1) Ama il Signore Dio tuo… 2) Ama il prossimo come te stesso.

 

335 Cuore papiniano

Mi sento un cuore papiniano in questa calda serata estiva, mentre il mio sguardo pare naufragare nel cielo contemplando l’avvicendarsi della notte al giorno.

Spio le prime stelle che il vento siderale fa palpitare; tremolii impercettibili che fanno sognare, brividi che l’animo saccheggia da quello scrigno pieno di meraviglie… a queste prime, ecco che altre si svelano a far sì che lo sguardo si confonda fra infinite geometrie.

Ma il brivido che più di ogni altro la notte mi impone, è quello del suo silenzio e con esso prende forma un pensiero che subito pare risucchiato da questi immensi abissi.

“ Infiniti mondi ci ignorano “, affermava Pascal.

E allora, come non provare… come non sentire il sentimento oscuro che la coscienza invano camuffa.

Infinite geometrie dell’immaginazione e profonde inquietudini della ragione paiono sfidarsi continuamente, precipitando poi per l’arditezza della sfida, al pari di un Icaro le cui ali non sorressero per il peso della temerarietà.

Poesia e scienza hanno cercato, per vie diverse, di conciliare gli opposti della ragione; sublimazione e ricerca, stupore e riflessione, sono gli strumenti con cui l’uomo cerca di innalzare lo spirito per trovare però solamente la vertigine della solitudine.

Nell’irresistibile leggerezza del pensiero, l’uomo trova nella solitudine la forza gravitazionale che lo lega alla terra; infiniti mondi ci ignorano…

Eppure, anche qui su questo pianeta, ognuno di noi pur ruotando in un unico universo, è un mondo a sé, sconosciuto agli altri e che gli altri scoprono in misura minima, in quanto le segrete leggi del cuore inducono a movimenti differenti.

 

336 Attraverso il suo ventre, la donna si è già armonizzata con la natura; la natura ha insegnato a lei a sopportare la fatica, a sopportare il dolore.

 

337 L’uomo è una nuvola… un girovago.

 

338 Ognuno vive dentro il guscio della propria storia; quasi geloso di sé, non vuol far trapelare più di quello che la necessità richiede.

 

339 Preferibile la solitudine alla mistificazione del mondo.

 

340 Forse è solo una mia sensazione, ma nella donna sembra coabitare un’infinità di anime; per l’uomo v’è ne una sola, con la condanna all’inferno o eletta al paradiso, in virtù della donna che lo ha scelto.

 

341 Spesso, nel confessarsi, il pudore fa sì che si ometta più di quello che si voglia dire.

 

342 Sulla strada della vita

Fu lungo quella strada che ti incontrai quel giorno.

Fu un caso? Non è possibile accertarlo, né noi possiamo saperlo; provvidenza e destino, paion all’istante darsi una mano, a rendere tutt’uno un disegno impossibile ad essere decifrato.

In tutto questo, solo una cosa pare a noi certa; è una via obbligata che ognuno di noi è costretto a percorrere in virtù di un progetto che però sfugge a qualsiasi interpretazione.

Per contro, quella stessa strada pare assumere una fisionomia incerta e difficile da praticare, sicché a volte il percorso si riduce in inerpicati sentieri dove a dura prova vengono sottoposti volontà e forza.

Ed ecco allora voler desistere dall’impresa perché la nostra debolezza pare fornirci scorciatoie in cui trovare l’illusione di dimezzare l’affanno.

Ti scorsi da lontano, ma proprio questa debolezza sembrava negare a me la capacità di accelerare l’andatura.

Quel giorno, in realtà, non ero solo.

Con me c’era un compagno di ventura che ebbi modo di conoscere durante il tragitto; un prezioso alleato, indubbiamente, con il quale era scattata quella tacita solidarietà che un viandante spera di trovare per sentire meno il peso dei momenti critici… e come potrebbe essere diversamente?

Siamo talmente soli che il forestiero, sulla nostra strada, ci diventa tanto familiare quando ne scopriamo l’affinità di intenti.

Già da tempo ti eri incamminato lungo quella via, solitario.

Unica compagnia ti erano i pensieri, or con la loro gravità or con la loro leggerezza, come se l’uomo e il fanciullo in te si dessero il cambio.

E quello che l’uno e l’altro in te dicessero, non era dato a nessuno sapere.

Quel tuo fanciullo forse veniva rammentando gli echi di un’alba ormai lontana, mentre tu sentivi approssimarsi gli effetti di un tramonto; una primavera piena di speranze e un autunno gravido di pene avevano reso il tuo cuore di dolceamari sentimenti.

Procedevi stanco ma, come detto, non fu facile per me raggiungerti, anzi.

Non sembrava bastare, infatti, la gagliardia della mia età e l’incitamento del compagno a far sì di tenere fronte alle avversità.

Se ti raggiunsi, fu grazie a lui il quale, per non perderti di vista, mi espresse ad un certo punto il desiderio di volermi precedere.

Non avevo nessun diritto di trattenerlo anche se la paura di ritrovarmi da solo mi induceva a porgli ostacoli: “ Vai! “, gli risposi di rimando.

Lasciarlo libero, alla fine, produsse l’effetto del desiderio e potei fare in tua compagnia un pezzo di quella strada.

Egli, mediando la tua alla mia fatica, mi permise di raggiungerti.

Quando però ti fui vicino, un forte imbarazzo parve voler dissipare il coraggio che fino a quel momento mi aveva sostenuto.

La timidezza avrebbe optato per altre soluzioni, ma per non sciupare una così favorevole occasione di poter dialogare con una persona nuova, mi feci forza e cominciai a parlare di me.

Fui invadente e con tale invadenza ero venuto a deturpare quel silenzio che sosteneva il tuo intimo dialogo.

Non so come, e di tal modo indiscreto, cominciai a darti del tu.

Sì, quel tu fu un tu rubato alla tua intimità.

Quando lo espressi, fu troppo tardi per rendermi conto di ciò che avevo deturpato con la mia irruenza.

Purtroppo mi portavo ancora appresso il vizio di sottrarre dovunque fossi e a chiunque trovassi, un qualcosa che fosse in grado di rompere il gelo che mi impediva di scaldarmi.

Tu tacevi e ascoltavi; volevi capire chi ti stava a fianco e ne venivi valutando le parole fino a che il destino, alla fine della salita, non provvide a separarci di nuovo.

Nell’accomiatarti, però, mi consegnasti la tua risposta, passandomi il testimone della tua solitudine.

 

343 Scienza e poesia sono figlie dello stupore; sorelle gemelle… dove l’una però è opposta all’altra.

 

344 Il bambino e il martello

C’è un episodio che io mi sono portato dietro, lungo il percorso dell’esistenza e che solo oggi sono riuscito ad interpretare secondo le analisi che sono venute affiorando.

Questo è l’episodio di un bambino che un giorno si ritrovò a giocare con un martello, tentando di bucare il muro di casa sua vicino allo stipite della porta.

Si accaniva con forza contro il muro, quasi a volerlo demolire.

Molte sono oggi le cose che, alla luce del tempo, possono trovare esito affiorando dall’oscurità psicologica e fra queste, ecco prendere forma quel simbolismo che risuona come un’accusa verso quel mondo che gli adulti tendono a distruggere sotto gli occhi del bambino ( e qui, quel mondo si chiama famiglia ).

Il linguaggio dei bambini non è di facile interpretazione anche se oggi lo psicologo ne segua una traccia.

Egli non parla, ma agisce secondo atti inconsulti e forse astrusi agli occhi dell’adulto che lo osserva, forse anche sorridendo per quello che può considerare solo un atto senza senso.

 

345 Non fu felice la tua esperienza in Svizzera, e su quel periodo, tu hai fatto calare il buio; ma dalle esternazioni della lettera ne fai una questione di cifre.

( In intimità con il padre revisione )

 

346 Il fanciullo in noi è l’alter ego; è il fanciullo universale che lungo il tragitto della vita è andato via via però sbiadendo nella sua immagine (ma non cancellata) dal momento in cui mosse i suoi primi passi.

 

346 Nessuno è sterile se non nella misura in cui non si riconosce.

 

347 Dialogo con l’amico

Io: A questo punto, il problema che si pone è quello di chiederci cosa sia possibile all’uomo.

Amico: Semplicemente quello che Seneca esortò a fare, vale a dire “ All’uomo sia gradito quello che è gradito a Dio”; tornando, perciò, all’origine da cui è cominciata la nostra indagine, ciò che l’uomo scopre di sé è il rapporto della sua coscienza con il tutto e di come tale coscienza tenti di trascendersi nell’apertura dinamica dell’essere… conoscere, scoprire, indagare, sono atteggiamenti che inducono necessariamente ad una riflessione e che fa fare alla coscienza un balzo qualitativo nell’evolversi dell’uomo, un’evoluzione spiralica che partendo dal nucleo, lo proietta nell’infinito.

Io: Vale a dire?

Amico: Dal suo nucleo, l’uomo si apre all’infinito in una spirale evoluiva aperta a situazioni sempre più profonde che ne esprimono l’intrinseca intimità nell’ambito di quella rivelazione che lo ha posto nel cuore della creazione. E’ in questo mistero che io mi sono sempre ritrovato; Dio, natura, uomo, sono motivi che sin dalla fanciullezza mi hanno accompagnato per mano, facendo in modo che io potessi intuire il legame, immergendomi nel fascino di quegli abissi e ricordo ad esempio, durante le vacanze estive al mare, le esperienze interiori che respiravo, lasciandomi una sensazione incomparabile.

Io: Cosa ti accadeva?

Amico: Mi accadeva, dopo aver fatto il bagno in mare e disteso su un angolo di spiaggia, che mi lasciassi accarezzare dai raggi del sole e allo stesso tempo mi sentissi coinvolgere da quello stato di ebbrezza che mi procurava quel sentir scorrere la sabbia fra le mani, come se in ogni granello riuscissi a percepire il mistero di una complessità e da qui il brivido dei miei pensieri… era come se in quel momento, una scintilla mi trasmettesse qualcosa di indefinibile.

Io: Quello che mi pare di comprendere dalle tue parole, è che il “tutto” rivela l’unità e che l’uomo è un frammento di questo “tutto”.

Amico: Dice Teilhard de Chardin che l’uomo non è spinto verso “l’uno” nella sola ragione, vi si è trascinato dall’intero suo essere.

Io: In altre parole, tu mi stai dicendo quello che Agostino riferì nelle sue confessioni “ L’uomo interiore apprese le cose con l’ausilio delle esteriori; io l’interiore le ho apprese”.

 

348 I fanciulli di oggi finiscono di stupirsi ancor prima di cominciare, diventando spesso nemici fra loro per mezzo di quella violenza che la società ha appiccicato alla loro mente, favorendo fra loro una violenza gratuita.

Qui il fanciullo universale tace e piange nell’antro più oscuro, quasi impotente di fronte a ciò che vede.

 

349 Certo noi sappiamo che la legge è buona, se uno ne usa legalmente; sono convinto che la legge non è fatta per il giusto, ma per gli iniqui e i ribelli.

  1. Paolo ( Prima lettera a Timoteo )

 

350 Non di quanto si possa sapere, ma cercare il significato della vita, apporta sapore all’esistenza.

 

351 Il miele e il pungiglione ( metafora della menzogna )

 

352 … Beato te che sei in grado di comprendere i beni che possiedi. E’ piena di ansietà, infatti la condizione dei beni umani ed essa non può toccare mai in tutta la sua interezza, ne può durare per sempre.

Boezio ( La consolazione della filosofia )

 

353 Il mistero di Cristo

  1. a) Al centro del mondo: Gesù
  2. b) Al mistero di Gesù: la sua morte
  3. c) Al centro della sua morte: l’amore

Il mistero dell’uomo abbandonato: l’amore di Gesù non è né stoico né platonico.

Amore e morte: della morte a se stesso, dallo spogliamento, dalla rinuncia, dal distacco, dalla perdita e oblio di se stesso.

Il mistero del cuore di Gesù è il mistero dell’uomo trafitto.

 

354 A proposito di libri

Per amore dei libri, ho imbrogliato spesso mia madre dicendole qualche bugia o introducendoli di soppiatto.

L’amico mi disse che visitando tante case, non aveva mai visto una biblioteca come la mia.

In effetti, i libri mi hanno salvato, se così si possa dire, da situazioni che mi avrebbero visto immerso in un mondo negativo.

Leggendo, mi si era aperto un mondo immenso dove poter spaziare in tante direzioni, guidando la mia curiosità; ma una volta, un parente di mia madre mi chiese con celata ironia: “ Gli hai letti tutti?”, sapendo che era impossibile.

“ No!”, risposi “

Onestamente, è impossibile… non basta una vita per scoprire questo tipo di universo”.

 

355 La creazione vive la sinfonia della diversità.

  1. Albino Maria Candido

 

356 Una figura

Dall’esperienza di Rovereto, ecco una figura affacciarsi alla memoria: Tommaso, l’emblema della sofferenza fisica.

Il suo corpo sembrava essere un tronco d’albero che stentatamente cercava di muoversi, mentre le sue braccia erano rigide come due rami; per di più stentava a parlare e tutto ciò mosse in me uno sguardo di pietà ogni volta che lo vedevo.

Ma questa mia pietà, sembrò apportare a lui un risentimento, poiché capiva questa mia espressione e di lui, in seguito, ebbi sempre paura.

Intuendo questo mio atteggiamento nei suoi confronti, infatti, mi osteggiò quando se ne presentava il momento.

 

357 Una spiccata voglia di piangere mi ha colto stamattina già alzandomi dal letto; mi sento inutile a me stesso, incapace per me stesso.

( 17 – 04 – 2013 )

 

358 SIRACIDE ( 30, 21 – 25 )

La gioia

Non abbandonarti alla tristezza,

non tormentarti con i tuoi pensieri.

La gioia del cuore è vita per l’uomo,

l’allegria di un uomo è lunga vita.

Distrai la tua anima, consola il tuo cuore,

tieni lontana la malinconia.

La malinconia ha rovinato molti,

da essa non si ricava nulla di buono.

Gelosia e ira accorciano i giorni,

la preoccupazione anticipa la vecchiaia.

Un cuore sereno è anche felice davanti ai cibi,

quello che mangia egli gusta.

 

( 25 – 04 – 2013 )

 

 

359 Ieri, una doppia provocazione… Michelina e Patrizia

 

( 1 – 05 – 2013 )

 

360 La sete dei libri

Per paradosso, mi accorsi che essere in una stanza piena di libri, non mi aiutava a pensare.

 

361 Un tuffo nel passato

Mi sono appena rivisto su un filmato amatoriale di trent’anni fa, o poco più, girato dall’amico.

Un sorriso ( accompagnato da un pensiero non certo lusinghiero verso la mia persona per goffaggine e altro ) mi riconduce al tempo di allora e il pensarmi oggi in un contesto diverso, non può non procurarmi una reazione di sorpresa di fronte a quell’evento in quanto la memoria ha fatto scivolare nell’oblio quell’istante… Un riscoprirmi di come ero e di come agivo.

Ora, trent’anni sono tanti; ma lungo il. sentiero dell’esistenza, il tempo rimane sempre relativo in raffronto all’istante.

Quel filmato, era venuto a chiudere, se così posso dire, il ciclo di un periodo in cui passeggiando con l’amico in quel luogo si veniva a porre l’accento di un’indagine sul senso della vita… ma la ricerca di quel senso non poteva certo dirsi esaurita; esaurita era la frequentazione di quel luogo quando, con sorpresa, lo si trovò deupaperato.

La delusione che ne scaturì, fu data dallo stravolgimento dello scenario; mai ci saremmo aspettati un possibile mutamento seppure ogni atto è sempre pronto ad essere compiuto dall’uomo.

Tutto è soggetto a mutamenti possibili, l’uomo stesso ne subisce l’influsso e quel filmato ne ribadiva la realtà.

Ma l’amico già dal primo momento che mi aveva condotto lì, non aveva fatto altro che mettere in evidenza l’accento sul fatto dei cambiamenti: “ Da ragazzo, era mia abitudine venire da queste parti in bicicletta a meditare, assaporando nel contempo il silenzio della natura… A dire il vero, la vegetazione era più folta”, si era premurato ad aggiungere allorché venne a leggere la mia perplessità, poiché il luogo non diceva nulla di particolare per destare in me seppur una piccola meraviglia..

Poi quasi a dare voce alla mia perplessità : “ Sì, in effetti molto è cambiato da allora; qui tutto era diverso si che il respiro della natura si univa al respiro dell’anima. Purtroppo, via via che l’uomo avanza per obbedire ad esigenze sempre più pressanti, la natura è sacrificata sempre più pesantemente”.

“ In effetti…”, commentai io “ lo sfruttamento smodato che l’uomo mette in atto, comporterà   un’alterazione nello stato delle cose che, prima o dopo verrà proprio a rivoltarsi contro di lui, venendo a mancare l’equilibrio del sistema”.

Quelle passeggiate erano iniziate allorché l’amico, rientrato dalle sue esperienze di ricerca spirituale, si trovò a cercare un rifugio per non perdere il contatto con quella spiritualità che aveva respirato altrove e che ancora in quel momento si stava portando dietro

Ed ecco che questo affiorava anche da quel sentimento poetico che egli sapeva cogliere dalla natura stessa, leggendo tra le righe quel simbolismo che tanto affascinava il suo pensiero.

 

362 Sentieri di silenzi

Ecco qua, fra le mie mani, quel testimone… un diario.

Lo ricevetti per via indiretta, ma subito ne assaporai il gusto delle parole che venivano ad illuminare lo scenario di un’anima.

Oggi, risfogliandolo, non posso fare a meno di ricalcare quelle orme che evidenziano l’itinerario di un uomo in piena apprensione esistenziale e spirituale.

Mi soffermo per un momento a riguardare la copertina; ecco il pellegrino, dalla canuta testa, lungo quel sentiero fatto di pensieri e silenzi, quasi avviato al tratto finale del suo percorso, immergendosi nella natura della montagna, di quei boschi che par parlino da sé.

Sostenuto da quell’immagine, vado scorrendo quelle pagine quasi fossero prati aperti al volo dei miei pensieri, similmente a quei campi di fiori dove gli insetti ronzano richiamati da quel profumo, se si può dire selvatico… una scia che cattura l’avidità degli occhi.

Avidità di uno sguardo, dunque, che sembra seguire una rotta segnata da un evidenziatore con cui mettere a fuoco l’obiettivo di quelle riflessioni… come un faro che illumini i pericoli che mi minacciano

Ed ecco un pensiero dal sapore acerbo attirarmi con una parola, sino a ricorrermi in tutte le situazioni che vedono i miei atti sconvolti… rimorso; un’ombra sembra attraversare la mia mente ogni qualvolta tenti di arginare quel suo atto devastatorio.

Leggo: “ … Rimorso per quello che sono, per quello che penso; del mio non saper accettare, del mio rifiutare, del respingere con il mio sguardo annoiato…”.

Questa parola mi raggiunge sino a chiedermi quanto la mia esteriorità sia stata in sintonia con la mia interiorità e quanto, ancora, questa interiorità sia fedele a se stessa.

Questo rimorso affiora per ogni qualvolta che mi sono lasciato travolgere da quella debolezza che mi impedisce la capacità di affrontare la prova… rimorso, per ciò, nel non fare della mia debolezza un atto di forza capace di confidare a chi ha il potere di trasfigurarla.

Sì, anch’io, come tanti altri, sono stato sottoposto alla prova da Dio nella mia debolezza; debolezza dapprima nel fisico colpito dalla malattia, e debolezza del mio essere, dopo.

Sembra, dunque, che il rimorso si voglia presentare a me sotto un duplice aspetto le cui catene pare risuonino dal passato per assordare il mio presente.

Ma se la debolezza apportata dalla malattia nel fisico non dipendeva da me, con un ben altro tema si presentava la debolezza del mio essere interiore.

Debolezze, queste, che ben presto mi condussero al rimorso ogni volta che mi lasciai trascinare in quell’ingorgo di situazioni negative, condizionamenti che mi impedirono di capire e di riflettere, di discernere la realtà delle cose.

Mi pare, a questo punto, di vedere un tratto in comune con quelle parole; forse è comune a tutti quando, guardandoci dentro, ne scopriamo l’abisso.

Rimorso, dunque, quando esteriorità e interiorità paiono prendersi a pugni in me, dove i pensieri non si accordano alle parole e ai fatti… questo rimorso mi addenta ferocemente l’anima; si ripresenta ogni qualvolta una fuorvianza mi induce a lamentarmi egoisticamente.

 

363 Paura

Leggo: “ La paura ha costruito e distrutto la mia vita “.

Dinnanzi a queste parole, il mio pensiero si sofferma sulle immagini della mia vita: PAURA; la mia esistenza è stata condita in gran parte da questo sentimento… un sentimento inoculato dagli adulti ancor quando bambino, ero assediato da altre paure.

Ma mentre quest’ultime, posso dire, si sarebbero ben presto dissolte come nuvole, ecco che quella paura inoculata comincio a stanziare in ogni situazione, devastando il mio essere e, con questo, a impedire una sua maturazione.

La paura ha condizionato per buona parte il mio modo di essere autentico tanto che mi sono ritrovato a chiedermi quando mai fossi stato autentico nei rapporti con l’altro.

Volgo lo sguardo alle tappe che fino a oggi mi hanno condotto qui, e mi ritrovo a constatare quanto l’ansia abbia giocato un ruolo deleterio nel mio modo di rapportarmi con la realtà.

L’ansia, mi accorgevo, veniva a spegnere la mente, mi impediva di riflettere e di conseguenza ecco generarsi la paura; paura di sbagliare, paura di non comprendere, paura di non arrivare, paura di dei rapporti con gli altri.

In tutto questo la paura veniva a creare uno stato di fibrillazione che, con il mio modo di essere, faceva sì di rinchiudermi nei meandri di un mondo interiore alquanto caotico.

 

364 SIRACIDE ( 2, 18 )

Gettiamoci nelle braccia del Signore

e non nelle braccia degli uomini;

poiché, quale è la sua grandezza,

tale è anche la sua misericordia.

 

365 L’età che abbiamo è quella che il cuore e lo spirito sentono di avere.

  1. Mann ( La morte a Venezia )

 

366 La consapevolezza è l’indice di una certa maturità, ma non è la pienezza.

 

367 SIRACIDE ( 3, 21 – 23 )

Non cercare le cose troppo difficili per te,

non indagare le cose per te troppo grandi.

Bada a quello che ti è stato comandato,

poiché tu non devi occuparti delle cose misteriose.

Non sforzarti in ciò che trascende le tue capacità,

poiché ti è stato mostrato più di quanto comprende un’intelligenza umana.

 

368 La vita ha scopo se si vive per qualcuno; per sé si è morti.

 

369 Le fratture si presentano al un punto determinato del tempo che non si può più conoscere di prima mano come esistenza, ma come passaggio storico. Il passaggio da una generazione all’altra, indebolisce sempre più il rapporto con il passato, creando in tal modo la frattura. La frattura è il carico non più sopportabile.

 

370 Il trauma delle generazioni nel segno del destino:

  1. a) l’impatto
  2. b) l’adeguamento

 

371 Su una frase, o su una parola soltanto, si possono riversare fiumi d’inchiostro, fiumi di pensieri azzardati, ma nessuno può vantare di aver colto quel frammento con delicatezza, con timore, con umiltà.

 

 

372 I pensieri vanno e vengono, passeggiano nelle nostre teste, ci ammaliano come delle seduttrici.

Non sappiamo da dove vengono, sappiamo che improvvisamente arrivano, ci intrattengono, e poi, infedeli, vanno via.

Nulla è più volatile di loro, ma c’è un movimento in cui la consistenza aerea prende forma, sostanza.

E’ esattamente a quel punto che i pensieri creano qualcosa che prima non c’era: “ Penso “ avrebbe sentenziato Cartesio, “ dunque sono “.

  1. Scalfari ( Per l’alto mare aperto )

 

373 Il giorno ci porta ad agire; la notte a contemplare.

 

374 Secondo come in noi scorre il sangue, possiamo dirci liberi o schiavi… liberi dalle passioni, o schiavi.

 

375 Conoscere mi basta; esprimere mi sembra talvolta profanare; far conoscere assomiglia a divulgare, e per non avvilire, lascio celato.

E’ questo precisamente l’istinto femmineo, la protezione del sentimento, il seppellimento delle speranze individuali, il silenzio sui segreti migliori.

  1. F. Amiel ( Frammenti di un diario intimo )

 

376 Ci si lascia andare alla deriva, quando non si è attesi da nessuna parte. A che intervenire? Il coraggio sta in un amore.

  1. F. Amiel ( Frammenti di un diario intimo )

 

377 Pur predicandola, la vita non può avere pace… è un’illusione.

 

378 I fiori della giovinezza appassiscono; ma l’estate, l’autunno ed anche l’inverno dell’esistenza umana hanno la loro maestosa grandezza, che il saggio riconosce e glorifica.

  1. F. Amiel ( Frammenti di un diario intimo )

 

379 Una domanda fondamentale dell’esistenza è: “ In cosa credo?”.

 

380 Riflessione ricava dalla prima domenica di quaresima ( anno A ) dove sono evidenziate delle concezioni sbagliate:

– L’uomo è in balia di cieche forze naturali o storiche; la sua presenza nel mondo è il frutto di un caso che gli ha giocato uno scherzo breve e crudele, dandogli l’illusione della felicità e abbandonandolo al potere della morte.

– L’uomo è arbitro assoluto del suo destino, padrone del bene e del male, dominatore delle forze cosmiche, protagonista unico della storia.

 

381 Il destino di un uomo è il destino di una nazione.

 

382 Non può esserci che l’arte a trascendere l’ordinario, ma questa non appartiene a tutti.

 

383 L’arte è figlia della contemplazione; solo chi sa contemplare può scendere al cuore dell’essere.

 

384 Dire: “ Penso, quindi sono “, non risolve il problema dell’essere pensante, poiché il discorso si allarga alla domanda: “ A cosa penso… cosa mi fa pensare? “.

 

385 Di una cosa io sono fermamente convinto e cioè che chi non confesserà le sue paure non sarà credibile, non per le sue paure ma perché nascondendole pensa poi, dettar regole per gli altri.

 

386 Le cose belle non si ripetono… Rimangono uniche.

 

387 Isaia (32, 15 – 20) Effusione dello Spirito.

Ma infine in noi sarà infuso uno spirito dall’alto;

allora il deserto diventerà un giardino

e il giardino sarà considerato una selva.

Nel deserto prenderà dimora il diritto e la giustizia regnerà nel giardino.

Effetto della giustizia sarà la pace,

frutto del diritto una perenne sicurezza,

il mio popolo abiterà in una dimora di pace,

in abitazioni tranquille,

in luoghi sicuri,

anche se la selva cadrà

e la città sarà sprofondata.

Beati voi! Seminerete in riva a tutti i ruscelli

e lascerete in libertà buoi e asini.

 

387 Ancora sui libri

Molti sono gli ospiti che sono venuti in visita nella mia gabbia, lasciandomi la loro visione della vita… ed ecco da questi, il loro regalo.

Con qualcuno mi sono trattenuto di più, con qualcun altro di meno licenziando la loro presenza.

 

388 Più che certezze, noi generiamo insicurezze.

 

389 Nel cuore del mistero ( meditazioni sul rosario )

1 – La solitudine del Getsemani ( la supplica al Padre )

2 – Incoronazione di spine ( ecco l’uomo )

3 – La salita al Calvario

4 – Gesù crocifisso ( le pie donne )

5 – Deposizione

6 –   Risurrezione

7 – Il cuore di Gesù

8 – Lo Spirito Santo ( colomba )

9 – Madonna con il Bambino

10 – Maria ( la speranza )

 

390 Sulla strada di Emmaus ( Lc 24, 13 – 35 )

Nelle apparizioni narrate da Luca e Giovanni, i discepoli non riconoscono il Signore a prima vista, ma solo dietro a una parola o un segno .

( Lc 24, 30 – 55; 35, 37; 39, 43 )

( Gv 20, 14 – 16; 20; 21, 4 – 6 – 7 )

Pur restando identico a se stesso il corpo del resuscitato si trova in un nuovo stato che modifica la sua forma esterna ( Mc 16, 12 ) e la libera dalle condizioni di questo mondo ( Gv 20, 19).

Sullo stato glorioso dei corpi ( cf 1 Cor. 15, 44).

Il brano offre pure un elemento prezioso nella testimonianza che gli apostoli danno alla risurrezione di Gesù fondandosi sulle apparizioni del Maestro a Pietro ( cf. vangelo B della veglia pasquale ).

( Mc 16, 1 – 8 ).

Particolarità di Marco: nessuna gioia, ma solo spavento e incomprensione. La realtà della risurrezione dovette imporsi a uomini molto critici che non si aspettavano per niente quell’avvenimento.

 

391 La vita

“ Amore, ascolto, verità, tempo, speranza… morte “; sono parole, queste, che sembrano accodarsi a quel fruscio che scorre fra i pensieri: è la vita.

Ecco… uno sguardo sul mondo circostante e subito la mente par vagare alla ricerca di qualcosa che sappia spiegare quel fruscio insistente dell’esistenza.

Fra tutto ciò che lo sguardo abbraccia, sembra che una metafora lo accompagni per mano quando, soffermandosi a guardare un albero, ne scopre un linguaggio che lo coinvolge.

Già, la vita parla attraverso il muto scorrere del tempo; nel silenzio del tempo, infatti, si può cogliere lo scandire di un’evoluzione.

Quell’albero viene a rammentare quell’evoluzione in corso di ogni uomo, la sua nascita… la sua crescita..

Ed ecco   rispecchiarsi tutto in quello che la natura rimanda… un albero, dunque, con le sue radici, con il suo tronco e i suoi rami.

Come non cogliere, attraverso esso, quelle situazioni in cui si evidenziano le fasi di una crescita?

L’albero, come metafora della vita umana, ci viene a parlare in sintonia con quelle fasi che legano la nostra stessa vita.

Fanciullezza, adolescenza, maturità, sembrano lì rappresentati; un’associazione fra le parti, ed ecco che la fanciullezza si rappresenta alle radici dell’albero, l’adolescenza al tronco e la maturità ai rami.

La vita respira le sue fasi; una trasfigurazione nel vedere… nell’ascoltare.

 

392 SIRACIDE

( L’uomo è un nulla   18, 7 – 8 )

Che è l’uomo?

Qual è il suo bene e qual è il suo male?

Quanto al numero dei giorni dell’uomo,

cento anni sono già molti.

Come una goccia d’acqua nel mare e un grano di sabbia

così questi pochi anni in un giorno dell’eternità.

 

393 ( 18, 26 )

Dal mattino alla sera il tempo cambia;

e tutto è effimero davanti al Signore.

 

394 Fra i vecchi appunti, ecco sbucare qui un sogno datato 8 settembre 2004:

Stanotte li ho sognati tutti e due…mio padre e mia madre, un sogno strano; ma è soprattutto con lui che mi sono trattenuto. Mio padre aveva una fisionomia alterata e la discussione che ebbimo, sembrava riprendere dal punto in cui ci eravamo lasciati nell’ultimo incontro prima della sua morte.

 

395 Grande lezione quella di Federico ieri sera, nel consueto ritrovo mensile dei focolarini locali, con la sua testimonianza sul dolore; dopo il suo intervento ha lasciato tutti senza parole, ponendo per ciascuno una scia di riflessioni.

( 4 – 06 – 2013 )

 

396 La fiducia è paragonabile a un castello di carte; tolta una, crolla tutto

 

397 Franca ha mantenuto la promessa di venirmi a trovare, sono pienamente contento, abbiamo passato un’ora e mezza a parlare e questo mi ha riempito il cuore, soprattutto quando sono venuto a parlare di mio padre. Penso che sia l’unica, da parte dei parenti paterni a dare di mio padre una dimensione umana scevra da giudizi negativi, seppur anche questi accompagnano il proprio cammino… GRAZIE.

( 18 – 06 – 2013 )

 

398 Non si può costringere una persona ad amare se non sa amare; questa, è morta a se stessa e se per caso nascono in lei dei sentimenti, più che gustarli li divora.

 

399 Spogliarsi del presente per visitare il passato.

 

400 L’uomo ha dequalificato se stesso in nome del meccanicismo.

 

401   Anonimo veneziano. Quel film, nel tempo, lo rividi non so quante volte, quasi a voler studiare ogni fotogramma, quasi a studiarlo nei minimi particolari tanto che alla fine ne consumai la pellicola della videocassetta.

 

402   Ogni storia attraversa il suo fiume, come chilometri che possono essere gli anni della propria vita.

 

403 Se non hai qualcuno a tuo sostegno che si incarichi di portare avanti la tua idea, certo sarà che il tuo animo rivoluzionario si spegnerà come uno dei tanti temporali di cui nessuno si ricorderà.

 

404 Il senso della vita lo si scopre nella misura in cui ognuno accetta di essere quello che è, ma è difficile accettarsi per quello che siamo senza scendere a compromessi con se stessi..

 

405 Stupore e acutezza dello sguardo.

 

406 Uomo, leone, bue, aquila… ecco presentarsi attraverso la simbologia l’acutezza dello spirito a nutrire la ragione e il cuore per mezzo del vangelo.

 

407 Ironia del sogno: ciò che la mente vigile non confessa, ecco che l’inconscio la denuda.

 

408 Cristianesimo e conversione tocca il cuore. Umanesimo e spirito tocca il cervello.

( Amiel )

 

409 Qual è la visione della vita in una donna… qual è la visione della vita in un uomo? Pur avendo la stessa radice, la visione è differente

 

410 Senza rispetto, nulla può condurre all’armonia.

 

411 Dove sta il pedagogo… il medico… il sacerdote? Ogni uomo, prima di educare gli altri, deve saper educare se stesso.

 

412 Comunicare significa porre le premesse di un dialogo.

 

413 E’ difficile credere e nel contempo avere fede se non per assurdo. Ci nutriamo di assurdo; l’assurdo ci accompagna nella realtà quotidiana.

 

 

414 Non è ogni uomo un errore, un passo falso? Non cade in una prigionia tormentosa appena nasce?

( T. Mann – I Buddenbrook )

 

415 Il dolore non conosce domatori che lo possano tenere a freno..

 

416 Io cerco di essere giusto, ma non so se in questa mia giustizia vi sia amore.

Io cerco di essere buono, ma io non so se in questa mia bontà vi sia amore.

Dalla giustizia, alla fine, si vuole il proprio interesse; dalla bontà il proprio tornaconto.

 

417 Nulla può soddisfare l’inganno dell’amor proprio; in ogni sua parte non è mai pago della propria apparenza.

 

418 L’amore volubile della natura umana… è questo a rendere immaturo ogni rapporto. Forse l’amore vero è una catena e, per tale, si è insofferenti di fronte ad esso; facendo così, non ci si accorge di cadere in altre catene.

 

419 In uno sguardo d’amore, è l’altro che mi permette di riflettermi attraverso i suoi occhi per capire chi io sia. In quello sguardo vi circola quel fremito d’intimità che svela l’essere.

 

420 La disabilità smaschera le apparenze, rendendoti nudo.

 

421 La guida e la fortuna ( 2 )

“ Perché tanta invidia ti rode? “, sentii questa voce dentro di me, tanto che cercai di nascondermi intimamente.

Mi convinsi che non esistesse uomo che, almeno una volta, non avesse rivolto alla fortuna l’occhio della cupidigia, volendone così frenare il corso: “ La fortuna che in altri invidi, non appartiene a nessuno. Nessuno può mai trattenerla per sé che già lei è lontana. E’ sciocco pensare che lei sia la motrice di ogni volere”.

Queste parole cominciarono a sgretolare le fondamenta instabili delle apparenze e volgendo su di me lo sguardo della mente, il pensiero s’aggirò scrutando quanto l’anima offuscata impedisse ogni discernimento; sentii allora quanto la verità, sopra quella follia, mi disponesse al pianto.

Non aveva lei, o la natura, concesso il suo favore?

Perché ad alcuni dava e ad altri toglieva? Non mi accorsi, fra tanta cecità, quanto tutto fosse corruttibile, quanto tutto fosse fuggevole.

La natura stessa confessava la sua corruttibilità; ne segnava la via…. Fortuna, bellezza o altro che la cupidigia possa afferrare, ben si dissolve fra le mani che la stringono.

Ed ecco che nella visione delle cose, la spina della vita avvertiva da quanta follia fosse permeato il pensiero umano.

Non la fortuna, dunque, aveva il potere di conservare, ma il potere di richiamare, poiché il suo dono non era senza pegno.

Lei era solamente la messaggera della corruttibilità delle cose e dell’immortalità dello spirito.

La fragilità della vita, rivelava così quel rapporto delicato, tanto da soffrire le doglie di un parto continuo, ma anche rivelava che ad ogni parto il sorriso dello spirito ne cancellava il dolore.

La fortuna, in questo, nulla aveva aggiunto ma neppure aveva tolto.

Non potevo ignorare che ogni esistenza nascondesse in sé il mistero di una creazione continua; ognuno era, in sé, quel fiore e quella spina.

 

422 Appunti per un racconto

In che modo si fosse introdotta in casa sua, Mirko non se lo seppe spiegare ne perdonare, ma ecco che quella ragazza in quel momento se ne stava di fronte a lui e, per tale, si sentì non poco sconcertato da quell’improvvisa presenza.

“ Ciao! “, salutò lei con naturalezza.

“ Come ha fatto entrare? “, le domandò riprendendosi dalla sorpresa che lo aveva lasciato senza parole.

“ Veramente avevo suonato il campanello “, rispose la ragazza senza scomporsi anzi, regalandogli un sorriso “… ma poi avevo notato la porta socchiusa e…”

Mirko si chiese per quale distrazione avesse lasciato la porta aperta, ma dovette ammettere che non era la prima volta; spesso, immerso nei suoi pensieri, si lasciava andare a delle distrazioni e solo ritornando alla realtà dai suoi fumiganti pensieri, faceva un giro per l’appartamento accertandosi che tutto fosse in ordine.

“ Oh… oh…! “, fece la ragazza cercando di attirare la sua attenzione, ma egli non sembrò udirla sino a che l’impazienza di lei lo riportò alla realtà: “ Non sono mica un fantasma… sono venuta ad abitare nell’appartamento accanto e per educazione volevo presentarmi “.

“ L’appartamento vuoto…”, mormorò Mirko.

“ Come? “, fece eco lei.

“ Ma si… ma si! L’appartamento vuoto. “, si ripetè.

Quell’appartamento era vuoto da qualche anno, l’ultima inquilina, la vecchia Amabile, se ne era andata un giorno, nel nome del Signore.

“ Ma ora ci sono io! ”, disse la ragazza afferrando le ultime parole “ Mi sono trasferita da poco, e mi chiamo Adelina ”.

“ Da quanto? “

“ Da due settimane”.

“ Strano… “.

“ Strano, cosa ? “

“ Sì, strano che durante queste due settimane non abbia sentito ne voci ne rumori; in genere un cambiamento comporta sempre un po’ di confusione “.

Adelina rise divertita:; “ Sì, hai ragione, ma vedi non senti confusione perché ancora l’appartamento non è arredato del tutto e quindi non puoi sentire confusione di genere quotidiano, ma per il momento l’essenziale non manca; un letto per dormire, un cucinino per far da mangiare e un tavolo possono bastare… il resto verrà secondo il gusto” .

“ Seppure, cose essenziali, devono pur essere state portate, visto che l’appartamento era del tutto vuoto “, insistette.

“ Vero, e vero è anche che quel giorno, mercoledì se non sbaglio, ero venuta per fare la tua conoscenza, ma tu non c’eri “.

Quel mercoledì, Mirko dovette ammetterlo, si trovava fuori casa da un amico che lo aveva ospitato per due giorni; ma dopo? Come mai non aveva fatto caso, seppure ad un lieve rumore?

 

423 Aforismi

 

Né il sole né la morte si possono guardare fissamente.

La Rochefoucauld

Le idee migliori non vengono dalla ragione, ma da una lucida visionaria follia.

Erasmo da Rotterdam

Perché la frase scorra, bisogna essere brevi.

Orazio

Come ci si può divertire in una festa in cui le birre sono calde e le donne sono fredde?

Groucho Marx

 

Bisogna sempre giocare onestamente quando si hanno le carte vincenti.

Oscar Wilde

 

L’uomo è nato libero, ma dovunque è in catene

  1. J. Rousseau

 

Bisogna avere in sé il caos per partorire una stella che danza.

  1. Nietzsche

 

424 Gli eventi che succedono in noi, avvengono senza riflessione; ci vengono incontro all’improvviso mentre pensiamo ad altro.

 

425 Abbozzo per un romanzo

“ Dunque d’accordo, ci vediamo domani… Ciao “

Andrea depose la cornetta del telefono; dopo quel breve dialogo con l’amico, si lasciò andare ad uno sconforto che aveva origine dallo scoprire che un male lo stava minando.

Da uno di questi esami clinici, che lo avevano indotto a fare, si era evidenziato qualcosa di serio che aveva allarmato il medico a cui si era rivolto.

Egli, a causa di questo, gli aveva proposto di fare ulteriori accertamenti per poter fugare quella prima diagnosi.

Ma egli non ne voleva sapere di altre visite, di altre ipotesi sul male; la sua cocciutaggine era più forte di ogni ragionevolezza.

Per tutta la vita, non aveva mai avuto simpatia per i medici e ora aveva detto basta a qualsiasi altro esame invasivo, non voleva più mettersi sotto le mani di gente estranea.

Vivendo oramai solo da qualche tempo, neppure i parenti erano informati del suo problema, né lui avrebbe voluto informarli.

La telefonata che or ora aveva appena fatto, nascondeva lo scopo di volersene andare via, di andarsene lontano senza dire nulla a nessuno.

L’amico a cui si era rivolto, lo aveva invitato ad andare a quel convento in cui si trovava dopo aver pronunciato i voti solenni; ma anche a lui, al telefono, non aveva detto nulla del suo stato attuale, risolvendo di dirglielo proprio all’imminente incontro che sarebbe avvenuto l’indomani, domenica.

Aveva scelto di partire in una giornata festiva, in modo da non dover destare allarmismi anzitempo che potessero frenare il suo intento, che potessero dissuaderlo.

Provò, in quel momento, un piccolo senso di rimorso; ma fu una cosa passeggera.

Dopo aver preparato e messo nella valigia ciò che gli sarebbe stato necessario, si distese un momento sul letto lasciandosi trasportare dai pensieri.

Questi, però, subito sembrarono accavallarsi in un modo caotico, trascinandolo quasi a fare un riassunto della sua esistenza.

Una ridda di immagini sfilò quasi a rendicontare una vita non certo esaltante, seppure da quelle immagini affiorasse anche qualche nostalgia, qualche rimpianto per qualcosa che avrebbe potuto se non rendergli l’illusione di una felicità, ma almeno la serenità.

Quella poca serenità che era riuscito a cogliere, fu grazie alla presenza appunto dell’amico.

 

426 Sì, è proprio vero che la strada dell’inferno appare lastricata da buone intenzioni; tante ne ho avute di queste buone intenzioni ma tra le averle e realizzarle, una voragine si è aperta in questi giorni.

( 18 / 04 / 2014 aurora )

 

427   Oggi, dunque, venerdì santo, è giornata di digiuno. Dopo che di buon mattino il pensiero si era soffermato sulla via lastricata delle buone intenzioni, ecco il proposito di osservare almeno la giornata di digiuno: “ Un proposito soltanto “, mi dico “… o vuol essere anche un atteggiamento di riflessione? “

Già altre volte mi sono trovato a porre in atto un atteggiamento verso questo rito, forse fallito a metà strada. In realtà, cosa mai cercavo da un simile atteggiamento? Mi accorgo, oggi, che nulla di più si rivelava come formalità, un adeguamento alla regola liturgica… ed ecco che sul fare della sera, i morsi della fame mettevano fine a quella formalità. Avevo compiuto quello che si può definire un atto farisaico; un atto vuoto, più che una convinzione per me.

“ Dì a questa pietra che diventi pane “, disse il diavolo nel tentare Gesù.

“ Non di solo pane vive l’uomo “, gli replicò Gesù.

L’ uomo affamato ben si lascia fuorviare dalla sua strada allorché si trova in difficoltà; la fame fa sì, che al pari di Esaù, si rinunci al tutto per un piatto di lenticchie.

“ Ma a cosa si rinuncia? “, vien fatto di chiedersi.

“ A se stesso… “, mi suggerisce una voce.

“ Come sarebbe a dire? “, mi chiedo; ma ecco che la risposta si presenta da sé: l’uomo rinuncia ad essere e a causa di ciò, altro non fa che precipitare in un’accozzaglia di situazioni esteriori in cui alla fine si trova estenuato senza però aver risolto il problema della sua realtà fatta di compromessi.

La fame del corpo, quindi, combatte contro la fame dell’anima e ne ha spesso il sopravvento; le blandizie dei sensi lo hanno invaso sotto ogni aspetto.

Sono, queste, false fami che si prolungano in una loro insoddisfazione sino a rendere flaccida ogni opposizione.

“ Lo spirito è forte, ma la carne è debole…”, aveva sentenziato Gesù trovando i suoi discepoli addormentati.

( 18 / 04 / 2014 mezzogiorno )

428 Vita e memoria ( continua da 275 )

 

Non tutto, dunque, era stato sviscerato: “ Sarei dovuto, dunque, andare avanti? “, mi chiedo.

Prendo il testo in mano e scorrendo le pagine mi accorgo che sì, molte sono le omissioni poiché il tutto era stato scritto d’impulso, sentendomi tormentato da quel sogno, più che obbedire ad una vera e propria ragione di scrivere.

Come venni a dire, a riguardo della scrittura, c’è verso essa da parte mia una forma di odio – amore che mi impedisce di proseguire con lei una simile strada.

Già il fatto stesso di stampare prima e divulgare dopo quello che avevo scritto, mi aveva coperto di dubbi.

Innanzitutto, quello di divulgare ciò che è l’intimità di una persona; c’è, infatti, per ognuno un pudore nel mettere in piazza ciò che per ciascuno è la stanza segreta della propria vita.

In quella stanza ognuno si rifugia; aprendo per sé quella porta, egli lascia fuori il mondo con l’intento di restarsene solo.

Ma ecco la sorpresa! Quel mondo è lasciato fuori solo in apparenza; egli è rientrato alle proprie spalle, in quella stanza, attraverso le emozioni, i pensieri e tutto ciò che lo ha coinvolto.

Per rimanere con se stessi, paradossalmente, non si può non essere coinvolti dal mondo, poiché si agisce nel mondo, si agisce con quel mondo, e si comunica con quello stesso mondo.

In realtà si pensa di essere soli, ma i pensieri non possono fare a meno di far risalire alla mente il mondo; senza il mondo non avremmo nulla da pensare, nulla da confrontare; non ci sarebbe la possibilità di scoprire gli altri e di conseguenza, attraverso gli altri, se stessi.

Dunque, quella stanza è più rumorosa a dispetto di quel silenzio ricercato; è il tumulto delle sensazioni che si intrecciano o si aggrovigliano attraverso questo confronto.

Questo tumulto si era riversato in me allorché la tua morte mi aveva precluso una qualsiasi chiarificazione, mentre il sogno veniva ad impormi una tua riabilitazione.

Ecco che allora la tua esternazione avvenne per bocca mia; infatti, mi ritrovai spesso con l’amico a parlare di te senza però che egli, nonostante la sua buona volontà di farlo, riuscisse a comprendere quel rapporto che corre tra padre e figlio… egli non ebbe modo ( come venni a dire ) di conoscere il padre.

Ciò che mi rimaneva, allora, era solo la scrittura; con questa, ero entrato nella mia stanza senza però che quel tumulto si acquietasse… il sogno era ciò che di più inquietante mi perseguitasse.

Scrivere, allora, doveva essere un modo di pacificazione, una catarsi in quella profondità dell’anima.

Ma l’irruenza di quella scrittura aveva prodotto proprio una forma di odio – amore; una forma per cui se da una parte mi permetteva di sciogliere l’ancora dei pensieri, dall’altra i pensieri stessi si accalcavano in modo tale da impedire l’uscita da quel porto in modo da non cozzare fra loro.

Ciononostante, attraverso questa, feci partecipe ancora l’amico ( forse con presunzione ), guidandolo alla sua introspezione quando egli stesso divenne padre.

Ecco allora, con questa lettura introspettiva, emergere quanto di insondabile vi è in ogni individuo; crediamo di conoscersi, ma in realtà molto ci sfugge, abbarbicandoci a quello stato psicologico in cui non facciamo altro che far rientrare nell’ombra quella parte ingombrante di sé .

Non ci si conosce e quindi ignoriamo noi stessi; ma ignorandoci, la comunicazione ci porta a peccare di superficialità, tanto da minimizzare se stessi e massificare negativamente il mondo.

Aprire, quindi, quella propria stanza all’altro crea non poche considerazioni nell’altro, che possono portare all’imbarazzo prima, poi all’equivoco se non al sospetto o infine, all’indifferenza in quanto non se ne sente toccato.

Con quello scritto avevo aperto la mia porta all’altro; ma non sempre l’altro, come detto, né è disposto a varcare la soglia… “ Non mi interessa! Ne ho già abbastanza delle mie, per sentire gli altri! “.

Per via diretta, e anche per via indiretta, a me è accaduto ciò.

Dovevo trovarmi pronto anche davanti alle critiche per ciò che ero venuto a scrivere:

“ Elucubrazioni mentali inutili “, così è stato definito e poi “ Potrebbe essere condiviso con altri casi simili “.

Che ciò potesse essere condiviso era il mio obiettivo in quanto, rifacendomi ad una espressione di un filosofo, la propria intimità è meno intima di quello che si crede, poiché tutti stiamo percorrendo la medesima strada, seppur intrapendiamo sentieri diversi ( quindi storie singole, storie diverse ).

Ma che il tutto si riducesse solo a elucubrazioni mentali mi fasciò di amarezza, facendomi riflettere quanto proprio la superficialità o un atto di indisposizione personale, magari anche per un vissuto non ancora superato o elaborato, induca a giudicare forse anche con rabbia.

“ Hai avuto molto coraggio “, mi fu detto invece da un sacerdote, prima che lo scritto fosse reso pubblico ( era lo stesso sacerdote che nove anni prima mi aveva dedicato una serata con le mie poesie che io accenno negli ultimi capitoli ).

In quel momento non capii appieno quella frase e cosa egli intendesse dire.

Solo oggi posso intuire, se pure solo in parte, il senso di ciò che allora voleva comunicarmi…Forse lo aveva letto?

In genere quando ci viene regalato un libro, lo accantoniamo proponendosi di leggerlo quanto prima; ma in realtà lo abbiamo già dimenticato.

Lo vediamo lì, riposto nella libreria; vi ci passiamo davanti infinite volte, e inconsciamente lo riduciamo ad essere solamente un oggetto da tappezzeria, un oggetto da esibire più che da prendere in considerazione in quanto è vero che, al giorno d’oggi,   poco si legge.

Se quel sacerdote lo aveva letto, quel libro doveva apparirgli come una confessione pubblica in cui io mi mettevo in discussione esistenziale.

Dopo questa digressione, ecco riapparire la domanda iniziale: “ Era stato detto tutto quello che dovevo dire? “… Forse lo credetti, ma in realtà non era così.

Tante altre considerazioni si stavano affacciando alla memoria e tanto più quando mi fu detto dalla cugina Franca che sua madre conservava una tua lettera e questo mi fece pensare.

A parte una cartolina in cui tu mi dicesti di volermi bene, non ci fu tra noi un rapporto epistolare, seppur vero era che tu sapevi dove indirizzare le tue lettere, al riparo dall’ingerenza di mia madre… ma io?

E poi… cosa avremmo mai dovuto dirci?

Vero era anche che, allora, ero ancora un bambino; ma su quella strada, il bambino si avviava ad essere adolescente e poi adulto… e quello che prima si taceva al bambino, veniva trasformandosi in una fonte d’imbarazzo… ma nell’aprire il proprio cuore a chi ci vuol bene, ecco che non esistono barriere che possano impedire la comprensione.

Su quel silenzio fra noi, dovettero però pesare fortemente gli eventi che incisero sul rapporto; e proprio quelle immagini vivevano forse un loro occultamento nei nostri sguardi quand’ecco, uno di fronte all’altro, l’imbarazzo impediva di sciogliere le remore per trovare un vero punto d’incontro.

Ma, in verità, un punto d’incontro ci fu seppure condito da una forte amarezza; un episodio che nello scritto è stato solo accennato.

Episodio, quello, che rimase profondamente scolpito in me, e che in seguito venne a reiterare la sua lezione ogni qualvolta mi sentissi lontano da te anche con il cuore, a ripensare quanto ognuno sia colpito nella sua vulnerabilità allorché è colto in quella che si può definire nudità dell’essere; una nudità che le lacrime non sempre riescono a coprire.

Forse fu proprio in virtù di quell’episodio, che io avrei dovuto riassumere tutte le possibili lettere non scritte, in cui la tua figura ne sarebbe purtroppo uscita sempre sconfitta.

Dunque, nessuna lettera mai fra noi, che sapesse legare la nostra intimità, confessando magari proprio quelle debolezze.

La notizia di quella lettera a tua sorella, accese in me la curiosità di sapere qualcosa, di capire le situazioni che ti spinsero a scriverla.

Ed ecco che, a pochi mesi dall’aver reso pubblico quel manoscritto, la telefonata di Franca mi avvertiva che finalmente mi avrebbe fatto recapitare quella lettera.

Questa lettera, dopo averla letta, mi portò a fare una revisione su quel testo.

 

429 Confessioni allo specchio

 

Un giorno mi trovai in cammino. Non so in che modo, ma ecco in un attimo aprirsi davanti a me un mondo.

Fui assalito da un insieme di sensazioni: era la vita.

Il suo orizzonte sembrava racchiudere tutte le domande che i miei occhi esprimevano nel dilatare lo sguardo su tutto ciò che era fonte di indagine.

Un vagito aveva squarciato il silenzio ed ecco che, nascendo, la vita già mi poneva in uno stato di tensione esistenziale.

Da uno stato di stupore ad uno stato di coscienza… un ignoto sentimento viene ancora oggi qui a sfiorare i pensieri che hanno transitato lungo questo mio sentiero.

Un’esistenza sta per eclissarsi; mi chiedo quanto possa rimanere davanti a me.

Si accorcia sempre più questo tragitto e il sole… Già; non è più alle spalle ad illuminare quel futuro di allora, proiettando l’ombra ( l’illusione ) in avanti, ma se sta quasi di fronte a ributtare indietro ulteriori aspettative.

Esamino mentalmente, lungo un simile percorso, le possibilità che mi potevano essere riservate.

La sensazione che qui mi assale è che, per ciascuno, l’esistenza si apra ad infiniti sentieri, ma la propria condizione fa sì di dover percorrere solo uno… una infinità di possibilità e una sola realtà.

Se analizzo la mia esistenza, ecco che una fiumana di dubbi m’avvolge ripensando a tutte quelle che potevano essere le possibilità e non sono state.

Una realtà, dunque, ma quante altre possibili realtà?

Se un determinato limite, da cui mi sento schiacciato in questa realtà, non fosse sorto ad ostacolare la realtà vigente, sarebbe stata la stessa realtà?

Indubbiamente no!

E’, dunque, tutto un inganno?

Sì è talmente fasciati dalla vita che è difficile discernere tra inganno e realtà.

Sì è venuti al mondo bagnati dall’oblio… ma dall’oblio ecco fiorire i dubbi ad alimentare le perplessità.

Non potendo alterarsi la realtà, ecco che questa può benissimo confondersi nell’equivoco.

Eccomi, dunque, qui ad esaminare questo cammino, domandandomi quanto i determinismi e le circostanze abbiano imposto la loro preminenza.

Oggi, guardandomi allo specchio di questa esistenza e seguendo le tracce che il tempo ha segnato sul mio volto, trovo quanto l’abisso abbia scavato in me la distanza con quel primo atto.

 

430 Pregi e difetti ci sono dati in egual misura, affinché gli uni non prevarichino sugli altri.

 

431 Le proprie giustificazioni sembrano trasformarsi nei peccati dell’altro.

 

432 Tanti sanno pregare con le labbra, ma quanti con il cuore?

 

433 Si dice che i mobili di una casa mal si adattano ad un’altra eppure, per necessità non si può fare a meno di inserirli nella nuova casa, magari stringendoli un poco fra loro.

I propri ricordi, nella casa del nostro presente, sono proprio come questi mobili; ciò che coinvolge un adeguamento del proprio agire a medio raggio, fa sì che i ricordi siano ancora impregnati della loro attualità, ma più ci si allontana da quel presente più essi perdono la loro relazione, tanto da essere confinati nella soffitta dell’oblio.

Tappa dopo tappa, le situazioni esistenziali evidenziano quanto sia forte la fatica nel sostenere l’impatto con tutto ciò che l’attualità ha cucito nella mente, quanto sia precario perciò il cammino di ciascuno, trovando sulla propria strada gli imprevisti che vengono ad alterare la sua visione.

Il passato, consegna al presente quel testimone ancora gravido di una realtà da metabolizzare, dove gli eventi hanno segnato dentro a ciascuno la loro indelebilità.

 

433 Il verme si insidia nel cuore del frutto.

( A. Gide )

 

434 Sogno

Sognai una notte di trovarmi in un villaggio attorniato da un ameno panorama, ma non c’era anima viva; tutto sembrava immerso in un’apatia, quasi se su tutto fosse calata un’insolita sonnolenza, tutto era statico.

Ma ad un tratto ecco che un suono di campane par ridestare il villaggio e con esso tutta la natura d’intorno.

Contemporaneamente, un canto dolcissimo si stava innalzando quasi a sciogliere quell’abulia; ne sono talmente estasiato che subito vado supplicando che facciano tacere le campane.

Subito dopo, una persona mi invita ad entrare in chiesa per farmi vedere un dipinto del Pontormo.

Qui il sogno finisce.

 

 

435 Fra realtà e sogno ( analisi )

Tanto si sogna, ma poco si ricorda; vien da dire che la luce dell’alba dissolva ben velocemente quei sogni, quasi a voler chiudere quel confine che solo il sonno ci ha permesso di varcare.

Ci si domanda perché si ricordino alcuni sogni più degli altri.

La risposta potrebbe essere che l‘inconscio tenda a liberare la sfera emotiva della realtà o meglio, da quell’irigidità di situazioni ingombranti.

Ecco allora chiedermi se i sogni, attraverso i suoi arcani, non vengano a rivelare una loro verità.

Io non mi ritengo uno psicanalista con la presunzione di saper spiegare i sogni, poiché i sogni sfuggono ad un’analisi che sappia spiegare collettivamente la sua dinamica.

Il sogno è qualcosa che cade sotto la sfera soggettiva, rivelando una situazione unica e pertanto non può offrire di sé se non il caso limite.

Solo il diretto interessato può interferire con una ricerca di significato in grado di soddisfare una risposta; ma anche qui, la risposta non si svela pienamente.

Vi sono delle tracce che possono sì di far intravedere un percorso, segnato però sempre da un’enigmaticità che può anche deviare un simile percorso.

Detto questo, ecco che io mi trovo qui a compiere un’analisi o meglio, un tentativo di analisi di ciò che possano essere per me un riferimento psicologico – esistenziale.

Qui, sono stati riferiti dei sogni che sprigionati dall’inconscio, vengono calati in una realtà che solo a me appartiene ( come per gli altri ).

Ecco, allora, illuminarsi delle scene concatenanti, che sembrano sorvolare sopra quella realtà che soggettivamente a me appartiene… Un indizio, una traccia?

I sogni qui trascritti sono messi alla rinfusa; ma pur non avendo una data, posso benissimo porre una cronologia che viene a rivelare un percorso non solo psicologico.

In verità, qui mancano due sogni che potevano magari, ma forse solo marginalmente, integrare questo percorso; per tale, pur ricordandoli, non gli ho trascritti.

Ed ecco qui la sequenza di quei sogni.

Il primo sogno ( 2 ) è quello dell’uomo mutilo, il secondo ( 19 ) è quello legato alla morte di mio padre, il terzo ( 308 ) si lega alla richiesta di guarigione, il quarto ( 434 ) mi propone un ambiente particolare, infine il quinto, ( 307 ) si propone con una richiesta di sposalizio.

Dietro a questa sequenza par adombrarsi un itinerario che sembra aver scandito la mia vita interiore.

 

436 Dalla lettura del diario di S. Faustina Kowalska ho ricevuto l’intuizione che scaturisce dal sogno della donna apparsami, che mi chiede di sposarla. E’ la bellezza della Divina Misericordia che mi inonda e mi chiede di lasciarmi invadere nonostante le mie titubanze.

( 21 – 06 – 2014 )

 

437 Nell’enumerare la sequenza dei sogni, il quarto ( in cui sono invitato ad ammirare un quadro del Pontormo ) è significativo per il fatto che nella Chiesa dell’Annunziata in Firenze è ospitato l’affresco del Pontormo che rappresenta “ l’Annunciazione “ e che io ebbi modo di ammirarlo.

 

438 L’uomo adagiato sui ricordi è un uomo finito… ma ben più infelice è l’uomo che ne è totalmente privo.

Sergio Maldini ( La casa a Nord – Est )

 

439 Dal salmo 84

 

Misericordia e verità s’incontreranno,

giustizia e pace si baceranno.

La verità germoglierà dalla terra

e la giustizia si affaccerà dal cielo.

 

440 Oggi si chiama mansarda, parola rispondente per indicare quella che allora si chiamava soffitta.

La mansarda pare aver acquistato uno status symbol in un contesto sociale dove dall’alto si può dominare una realtà che sta al di sotto di chi l’abita.

Ben diverso è stato nel tempo passato quel luogo… Soffitta; luogo di ripiego per chi non aveva disposizioni economiche atte a concedersi altro.

Abitare in una soffitta, allora, comportava non pochi disagi; tutto mancava ma non l’intimità attorno ad una lampada a petrolio che spandeva nella stanza un odore caratteristico, avvolgendo forse di poesia quell’anima che sapeva avventurarsi ben oltre la realtà.

Certo, la realtà rendeva difficile la vita, ma la vita si rifugiava lì, fuori dall’ultimo sguardo indiscreto.

Ma dove questa non era abitata, ecco che essa poteva trasformarsi in un luogo dove riporre cose che la quotidianità rendeva ingombranti, lasciandole addormentare sotto la polvere; cose di ogni genere, per cui non era facile ( o non si voleva ) sbarazzarsene e che magari poi venivano dimenticate.

Lì nel silenzio, quelle cose avrebbero assunto un’atmosfera magica sotto la patina del tempo, trasformandosi in ricordi… ricordi a contatto con il cielo.

 

441 Spesso, giudichiamo negli altri i difetti che si nascondono in noi.

 

442 Tre sono i punti che vengono a determinare nell’uomo il suo equilibrio: cervello ( fonte intellettiva), cuore ( fonte di ossigenazione e di irradiazione ) e stomaco ( fonte di energia ).

 

443 Felice chi, semplice, si libra sulla vita e intende

il linguaggio dei fiori e delle cose mute.

Baudelaire

 

444 La religione del fanciullo dipende dalla maniera d’essere ( e non del parlare ) di sua madre e di suo padre.

Amiel

 

445 E’ una fortuna e una condanna nell’aver evitato gli orrori di una guerra.

 

446 P. Albino – Diario 28 gennaio 1974 ( pag. 42 )

 

447   Quanto più è elevato la natura del nostro oggetto, tanto meno è conoscibile qui un semplice intendimento oggettivo.

  1. Guardini

 

448 La nostalgia è una rivisitazione della propria storia, di situazioni che si sono sedimentate nella persona

 

 

449 Non tutto riusciamo a ricordare di ciò che ci è accaduto lungo la strada dell’esistenza e i ricordi stessi sono brandelli di tempo su cui i pensieri s’attardano come le foglie che in autunno rimangono aggrappate ai rami sfidando ogni clima.

 

450 Chiunque vorrebbe essere scevro da ogni dolore.

 

451 C’è quella sofferenza che agisce in noi, che si attacca al fisico attraverso la malattia, ma c’è anche quella sofferenza intima, nascosta ad ogni sguardo che si dilata nell’anima.

 

452 Difetti invalidanti che limitano la comunicazione: non sei sordo, ma non comprendi bene ciò che viene detto, non sei cieco ma ti sfugge l’obiettivo che ti viene indicato, non sei muto ma ti sfugge la chiarezza per farti capire.

 

453 La vita, per tutti, è un romanzo, ben o mal riuscito che sia, su cui il destino ( o dir si voglia ) si è sbizzarito o addormentato secondo le situazioni in cui si è imbattuto.

 

454 L’Io non è padrone a casa sua.

  1. Freud

 

455 L’Io davanti allo specchio

Per sua natura, l’uomo è portato a comunicare con gli altri; è un’esigenza dettata dalla necessità di rapportarsi con l’altro attraverso un dialogo dove porre in un confronto ciò che esistenzialmente lo coinvolge.

Egli, quindi, si trova a dover esternare quelle situazioni limite che, non riuscendo ad inglobare nella sua sfera, lo travolgono, trovandosi così a muoversi in quello che è il labirinto della sua esistenza.

Con un tale atteggiamento egli viene così a confessare una sua realtà in cui si trova a dibattere.

Confessare all’altro diventa allora un atto necessario per approdare ad un tentativo di chiarificazione capace di orientare la sua ricerca.

Nel confessare, all’altro si tende in tal modo ad un atto di fiducia nell’altro; a cercare nell’altro una corrispondenza di situazioni in cui entrare in una forma di comunicazione.

Quindi, nel confessare ad un altro, ognuno esterna qualcosa di sé in un rapporto che ha con l’altro.

Simili confessioni soffrono, però, una loro ambiguità, in quanto, pur conoscendolo, l’interlocutore che sta davanti a noi è uno sconosciuto.

Nel confessare ad un altro, ognuno esterna qualcosa di sé in un rapporto che ha con l’altro, è una confessione che però può essere interrotta all’altro in qualsiasi momento.

Ciò che così l’altro viene a sapere è in base a ciò che a lui si vuol confessare.

Per tanto, pur comunicando con il mondo più prossimo di ciascuno, paradossalmente si comunica con un conosciuto – sconosciuto, dove vi potrà entrare l’empatia verso l’altro, ma non necessariamente la simpatia in quanto, quest’ultima, viene a sposarsi in modo istintivo per attrazione di sentimenti.

La confessione, a questo punto, potrà essere ascetica, ovvero priva di pathos.

In questo caso, chi si confessa non intende andare oltre quel limite prefissato; la sua diventa una semplice esternazione di cui se ne perderà le tracce attraverso l’indifferenza propria e altrui.

A questo punto, se confessare agli altri diventa un qualcosa di insormontabile, confessare a se stessi, cosa può produrre?

Si può mentire agli altri, ma non a se stessi.

Ognuno, in questo caso, è nudo a se stesso; ognuno brancola nel buio che è in lui.

Di fronte a se stesso “ l’io “ si irrigidisce… il suo specchio è la coscienza; per tale, confessarsi ad un simile specchio comporta uno spogliamento totale per ciò che sono quelle sovrastrutture che riguarda il proprio essere.

Cosa può ciascuno pensare di sé… cosa è, cosa non è?

Già! Ognuno, prima o dopo, si trova a dover farsi queste domande in un tentativo di fare chiarezza fra limiti e condizionamenti.

In natura, è l’unico ad essere consapevole di questo suo stato precario.

Si può dire che egli è un granellino cosmico in seno all’universo… un granellino che ha però proprio quella coscienza che lo espone ad esplorare il suo abisso.

Come il mare cela fra i suoi abissi ciò che è di più nascosto e di inconoscibile, così l’uomo.

E’ un inconoscibile che si può equiparare a quel mondo ignoto che una volta la mitologia delineava da quel punto che si definiva colonne d’Ercole.

Queste colonne, che si ergono in ciascuno, si chiamano dubbi.

Da queste colonne, ognuno si pone nel tentativo di gettare il suo sguardo al di là di quell’orizzonte che cela mondi ancor non identificabili.

L’uomo, dunque, è un immenso abisso con cui il suo “ io “ viene rapportandosi nel suo breve transitare.

Egli tenta di indagare, di conoscere, di esorcizzare l’ignoto e di trovare, come non mai in questa epoca, risposte alle sue ansie, alle sue paure.

Nessuna conoscenza potrà, però, scardinare queste paure; queste, potranno essere fasciate da una fede o da una speranza in una sua risoluzione.

Ma ecco disegnarsi la difficoltà di trovare un approdo a quel mondo nascosto in sé; ognuno, pur osservandosi, non sarà mai in grado di eliminare le storture che si sono attecchite in lui in un aggregato di sfere che orbitano a definire una sua individualità.

Quali sono queste sfere… in che modo agiscono?

Bisogna dire indubbiamente che ognuno è avvolto da una serie di influssi che immancabilmente vanno a marcare questa sua personalità.

Innanzi tutto l’influsso della natura o cosmo che dir si voglia.

Nel suo osservarsi biologicamente, ognuno par doversi chiedere se la sua anima non sia legata a quella del cosmo, ai suoi umori… a considerare che anche il cosmo abbia una sua anima.

Nulla appartiene all’uomo che non appartenga al cosmo.

Non è forse ogni uomo un aggregato di materia, di atomi che leggi ed energia cosmica regolano nella loro dinamica?

Poi ecco l’influsso della natura, l’influsso genetico… e ancora l’influsso sociale, culturale.

In relazione a questi influssi si può dire che, in ciascuno, la propria personalità vive uno stato di tensione tra il suo essere e l’ambiente.

Mondo psicologico, mondo intellettivo e mondo spirituale, sono sfere a cui “ l’io “ approda.

A questo punto, in rapporto a questi mondi, bisogna effettivamente dire che non è facile orientarsi dovendo, ciascuno, muoversi in un mare di insidie.

Quale valore potrà mai tenere saldo, allora, nel suo modo di rapportarsi?

Bisogna dire che il rapporto tra persona e persona e tra persona e ambiente è commisurato alla situazione con cui, soggettivamente, ciascuno instaura in base a quell’empatia dialogica.

Pian piano ecco formarsi, allora, quell’abito mentale che lo porterà a muoversi e ad agire per sé con quei mondi.

Ma nonostante questo, ecco che quell’abito mentale viene permeato da quell’ambiente che fa si di introiettare un pensiero dominante nell’ambito di una cultura chiusa e per tale, a impedire una visione aperta capace di armonizzare le varie tendenze soggettive.

No, non è facile armonizzarsi con quell’ambiente che è venuto ad impregnare con situazioni complesse ciò che viene a delineare una persona.

Un mondo dove, psicologicamente, l’individuo si ritrova prigioniero di un sistema dominante: “ Di fra le sbarre della sua individualità l’uomo contempla disperato le mura massicce delle circostanze esteriori… “. ( Buddenbrook )

Di questa persona, il mondo ne valuta ciò che esteriormente manifesta ma, in realtà, cosa vede di questa… cosa ne valuta?

Un giudizio sulla persona, quindi, sarà sempre fuorviante in quanto gli influssi che questa subisce spesso vengono ad alterare la visione della persona stessa.

In che modo mai potrà allora difendersi da quell’assalto? Già lo hanno indottrinato con pensieri non suoi.

Così egli si dibatterà nel tentativo di districarsi da quell’abbraccio soffocante che gli impedisce di respirare la sua realtà e di trovare un suo modo specifico in grado di rispondere per sé.

Se, effettivamente, ognuno si trovasse ad essere prigioniero in tal senso, ecco che i rapporti sociali tenderebbero a manifestare la loro ambiguità attraverso un rapporto inautentico in cui il fare e il pensare sembrano nuotare in senso contrario.

La necessità oggettiva fa sì di escludere la necessità soggettiva.

Quest’ultima, si trova così limitata nell’esprimere la sua realtà, tanto da far scivolare la coscienza nell’abisso più profondo.

Ma in cosa si traduce una simile necessità?

Fasciato dal suo ambiente sociale e culturale, l’individuo ignora il più… ignora il mondo.

Ora, il mondo è un variegato sistema di culture che si scontrano, volendo ciascuna affermare la propria preminenza, più che cercare la sintesi; ciò che è vero per l’una, non lo è per l’altra.

Questa mancanza di sintesi è ancorata ad una radicalità di parte, l’individuo si addormenta su se stesso, ovvero sembra subire una sterilizzazione in cui “ l’io “ non è in grado di operare.

Dunque, l’irrigidimento crea una stratificazione e, a causa di questo, “ l’io “ subisce l’ambiente che gli impedisce una sua orientazione.

Mondo psicologico, mondo intellettivo e mondo spirituale, sono mondi dove la conciliazione tra loro è alquanto problematica.

Nella necessità di rapportarmi allora a questi mondi ( o sfere ), io non posso altro che parlare, esistenzialmente, per me, confessare a me stesso la mia realtà.

Alla luce di queste considerazioni, ecco chiedermi:| chi sono?

Dietro a questa domanda la confessione par doversi dilatare in una sua deflagrazione spargendo intorno le scaglie che la domanda stessa vien provocando: “ In che modo mi pongo davanti a me stesso… mi riconosco veramente come mi vedo, come sono? “.

Da questa deflagrazione posso solo dire che “ io credo di conoscermi “, e in questo credere di conoscermi, forse si cela un ambiguo modo di conciliare il mio essere.

In realtà, io mi conosco meno di quello che credo e il mio pensiero pare qui arenarsi su quegli scogli che si celano dentro la mia personalità.

Mi chiedo se la mia personalità sia dipendente solo da un modo di essere o anche da quella serie di influssi che ne marca l’essere.

Già… Mi vien fatto di chiedermi cosa appartenga a me e cosa, invece, è frutto d’altro: esteriorità e interiorità sono due mondi sovrapposti o uno è complementare dell’altro?

In questo suo specchiarsi, “ l’io “ non può far altro che confessare la sua storia.

Gettando lo sguardo sul passato ( alla luce del presente ) penso: “ Se su questo mio cammino non ci fossero state determinate situazioni ad incidere sull’evoluzione della mia esistenza, sarebbe stata diversa la mia storia? “.

Indubbiamente si! Il mio modo di sentire il totalmente altro, il modo di essere e di credere avrebbero orientato diversamente questo cammino.

Ma io sono legato solo a questa mia realtà, poiché ogni ipotesi diversa appare come una sequenza di quei “ se “ assomigliante a quella scia spumosa che un’imbarcazione lascia dietro di sé, sino a che questa si dissolve nel nulla.

Ecco allora scorrere qui, mentalmente, le immagini della mia storia, vederle srotolare in una sequenza piena di situazioni in cui mi sono trovato a pormi una miriade di conclusioni acefale.

Spesso, guardando il mondo attorno a sé e il posto occupato, sorge molto facilmente uno stato di insoddisfazione verso se stessi, trovandosi prigionieri della propria realtà.

Prima di tutto prigioniero di quel mondo psicologico che si è imbevuto e impregnato di situazioni complesse che via via sono venute a formare una personalità.

Ed ecco che, esaminando fin qui psicologicamente la mia vita, il tutto parmi essere un risultato caotico di questa mia esistenza; in cosa ho mai creduto, in che maniera il mio essere ha saputo mettersi in sintonia relazionale con il totalmente altro?

Mi rendo conto di essere immerso in una complessità dove, più che trovare le risposte, mi rifugio in un indefinito atteggiamento in cui l’ambiguità sembra prendere dimora.

Mi chiedo di cosa mai sia venuto ad acquisire, oggi, in questa ricerca di me stesso… ma poi, stavo ricercando cosa? Quale motivo mi ha portato a credere una cosa piuttosto che un’altra? Quale garanzia mi potrà derivare dall’una o dall’altra?

E poi… io e l’altro! Dunque, il mio “ io “ e “ l’altro, cercavo me stesso in relazione all’altro.

Ma in un mondo di maschere ( come ho avuto modo di scrivere altrove ), i rapporti sono solo formali; della persona se ne valuta ciò che essa può produrre, ma non ciò quella che è..

Cosa può produrre, però, ciascuno?

Ciascuno può produrre ciò che opera del suo essere e, per giunta, nell’ambiente in cui si opera e si agisce tutto sembra subire una sterilizzazione; un atto di spersonalizzazione dove viene a porsi un doppio atteggiamento, di cui l’uno è l’ombra dell’altro.

In tal modo, veramente ognuno è solo con se stesso; ognuno abita il suo mondo di silenzio dove i suoi pensieri spesso si trasformano in oscure trame psicologiche segnate da ferite indelebili.

Come passeggeri su un treno assiepato, sembra che ciascuno prosegua la sua corsa nel segno di una méta di cui è solo e vagamente a conoscenza.

Vien fatto di dire, allora, che l’esistenza si poggia su una scommessa a cui non ci si può sottrarre .

Sentiamo lo sferragliare del treno e ne misuriamo le tappe, chiusi in quel silenzio.

Lasciando, qui, spazio all’immaginazione, ecco trovarmi allora seduto in uno di quegli scompartimenti assieme ad altre persone..

Il mio sguardo corre sui loro volti; volti impenetrabili dietro a cui ciascuno sembra celarsi con la sua storia.

 

456 La società ben pensante

In merito ad un problema, Papa Bergoglio si espresse con queste parole:; “ Chi sono io, per giudicare? “.

Queste parole dette da colui che è rappresentante di Cristo nella Chiesa, mi ha portato ancora una volta a riflettere sul tema del giudizio.

Ebbene, spesso l’uomo vien abusando di questo strumento della ragione; spesso egli giudica in base a fattori emotivi che suscitano sentimenti contrastanti.

Ma ancor più si tende a fare del giudizio uno strumento di spettacolo; i mass media quali giornali, televisione ecc., tendono a non considerare quel messaggio di non giudicare, togliendo alla giustizia stessa i suoi strumenti.

Le cronache quotidiane invadono la vita di ciascuno di cose negative, amplificando la portata di eventi delittuosi sino a costringere le persone a porsi, quali giudici, un atteggiamento morboso di fronte a ciò che viene raccontato.

Come un romanzo a puntate, indizi e dettagli vengono ad ipnotizzare chiunque si ponga a seguire, ogni giorno, quelle storie frammischiando pietà e rabbia.

Il colpevole ancor non condannato, è già condannato attraverso opinioni o altro; in tal modo, la società si difende o cerca di difendersi; ma ciascuno vuol ignorare quanto la società sia malata nelle sue radici… ognuno è potenzialmente pericoloso.

 

457 Parlando degli altri, si evita di parlare di se stessi.

 

458 Ma se l’uomo non è fedele. ( brano di riflessione tratto dalla quarta domenica di quaresima ANNO B )

Dio è sempre alla ricerca dell’uomo, all’inseguimento dell’uomo.

“ Tu mi dai la caccia come a un leone “, grida Giobbe dal suo tormento.

E’ come se Dio non volesse rimanere solo e avesse scelto l’uomo per aiutarlo.

“ Adamo, dove sei? “, gridava Dio al primo uomo che si nascondeva tra i grandi alberi del paradiso terrestre dopo la colpa.

Questo grido non si è più spento nella foresta della storia.

Dio rimane fedele all’uomo, lo cerca in tutte le sue fughe perché lo ama come solo Dio può amare, con la forza e la tenerezza di un Padre che è spinto da un amore infinito. Ieri, come oggi,   il problema dell’uomo è il suo nascondersi a questa ricerca di Dio

E’ l’uomo che fugge, che cerca un alibi.

E Dio non si stanca di inseguirlo.

 

POESIE DI MAURIZIO BASSO (presenti in questo sito)

Professione uomo di Maurizio Basso

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

RICONOSCIMENTO LETTERARIO INTERNAZIONALE:

 

Il cortometraggio “Dialogo con la morte”, se ben seguito attentamente dallo spettatore, stimola a riflettere su molte questioni esistenziali, perché pregno di elementi filosofici, antropologici e metafisici.

Per questo esso può essere considerato davvero un piccolo capolavoro che verrà sicuramente apprezzato maggiormente con l’andar del tempo, anche perché contiene questioni esistenziali ed interrogativi che accompagnano l’uomo da sempre.

Nulla va trascurato dallo spettatore durante la sua visione perché nulla è a caso in questo bel cortometraggio.

Il contenuto del testo per la sceneggiatura è molto profondo e scorrevole, anche se non sempre di facile comprensione per la tematica filosofica ed antropologica affrontata. Ci sono dei momenti particolari che  richiedono maggior attenzione per il ragionamento metafisico sul senso del divenire e del tempo che propone. Giustamente questo testo è stato riconosciuto molto valido da una giuria internazionale nell’ambito letterario (Premio letterario “Area Cultura” – Il racconto dell’anno 2020)

La sceneggiatura di Gennaro Ruggiero è davvero unica ed esprime una originalissima creatività per un soggetto così complesso. Lo sceneggiatore, che è anche il produttore, ha saputo immedesimarsi molto bene nel racconto scritto da Pier Angelo Piai scegliendo spazi, momenti, interventi molto consoni ed armonici per esprimere concetti così complessi e profondi, relativi alla drammaticità della morte ed la fluire della coscienza.

Molto rilevante è l’ottima interpretazione del bravissimo attore Gianluca Magni (il quale è anche regista del cortometraggio, insieme a Gianluca Tommasiello – aiuto regista) soprattutto per quanto riguarda la dizione ben calibrata in base alle situazioni, le espressioni facciali significative, le pause, gli sguardi ed i momenti di esitazione che fanno ben trasparire in modo spontaneo l’emotività di fronte ad un evento così importante. Questi elementi della sua interpretazione indicano la sua bravura professionale, frutto di un’esperienza pluriennale nell’ambito della recitazione.

L’interpretazione della morte ad opera dell’attrice Angelica Loredana Anton è molto originale. Ella ha saputo immedesimarsi sapientemente in un ruolo non facile. Angelica ha saputo proporre e mantenere per tutto il tempo della durata del cortometraggio il fascino tremendo del mistero relativo alla morte. La dizione stessa è significativa: l’accento leggermente straniero indica che per tutti noi la stessa morte non è di casa ma è straniera, perché la vediamo negli altri e la teniamo ben lontana da noi.

Una lode sincera anche a tutti gli altri collaboratori che hanno contribuito in modo davvero efficace alla riuscita del cortometraggio ed hanno curato la fotografia, i costumi, la scenografia, il montaggio con grande impegno ed entusiasmo.

Un’ultima osservazione: il cortometraggio “Dialogo con la morte”, sebbene ha certi limiti spazio-temporali perché realizzato nei tempi del COVID19, invoglia lo spettatore ad una ulteriore rivisitazione successiva. Io stessa l’ho rivisto più volte ed ogni volta ho trovato nuovi spunti e sono riuscita a comprendere meglio certi concetti che prima mi sfuggivano.

Questo fatto sta ad indicare che ci troviamo davvero di fronte ad un piccolo capolavoro. Un’opera qualsiasi è spesso vista una sola volta, un capolavoro, invece va rivisto più volte e perdura nello spazio e nel tempo.

Laura Bon, pittrice

https://www.mondocrea.it/itartisti-108/

 

Spesso rivedo il cortometraggio “DIALOGO CON LA MORTE” e scopro con vera commozione e sempre più in profondità la finezza espressiva ed il grande talento dell’amico Gianluca Magni, attore e regista. È davvero l’interpretazione ideale che sognavo da sempre per il mio testo e per questo la mia ammirazione aumenta ogni volta.
Consiglio a tutti di rivedere il cortometraggio più volte con molta attenzione: in un contesto ambientale molto semplice scoprirete cose sempre nuove e nuovi simbolismi che prima sfuggivano: aiutano a riflettere, a pensare su se stessi e la vita, a prendere consapevolezza della relazione stretta che c’è tra la vita e la morte, riuscirete a sconfiggere ogni paura sulla morte stessa.
Grazie Gianluca..continua nella tua ricerca interiore ed espressiva…è giustissimo che i tuoi meravigliosi talenti vengano riconosciuti!

 

 

COPIONE TEATRALE:

https://www.mondocrea.it/dialogo-con-la-morte-copione-teatrale/

 

 

(DIALOGO IMMAGINARIO TRA LA MORTE E IL MORITURO INCOSCIENTE)

 

PRIMO TESTO ORIGINALE:

(M. = la morte, I. = Interlocutore, il morituro)

M. E’ l’ora. sono venuta a prenderti.

I. Chi sei? Io non vedo nulla. Queste parole non le odo con le orecchie, è un udito interiore… come mai? Chi sei?

M. Non importa la mia identità. Non sono identificabile. Mi chiamano la morte, ma nessuna sa chi o cosa realmente sono.

I. Aspetta, aspetta! ho molte cose da fare ancora.

M. Lascia stare, non hanno importanza! Io sono venuta proprio a relativizzare ogni cosa che pensi, che desideri e che fai.

I. Ma se non le faccio io, nessuno le farà.

M. Non fare questioni con me. Io devo semplicemente compiere il mio dovere.
Io sono necessaria, lo capirai dopo.

I. Perché adesso?

M. E perché dopo?

I. Perché così ho il tempo di prepararmi.

M. Prepararti in che senso?

I. Faccio l’esame di coscienza, metto a posto alcune cose irrisolte, chiedo perdono alle persone che ho ferito con il mio comportamento e le mie parole, frequento i Sacramenti.

M. E perché non l’hai fatto prima?

I. Non mi aspettavo una tua visita così repentina.

M. Ma tu lo sapevi che io sarei potuta venire all’improvviso, come un ladro…

I. Sì, ho sempre convissuto con il pensiero di una tua venuta anche improvvisa. Ma in fondo al cuore ho spesso proiettato in avanti il tuo momento. La sera, piuttosto, mi sono spesso addormentato sul tuo fianco…

M. Ecco..ti sei addormentato. Ma lo sai che tu hai quasi sempre vissuto da addormentato? Io vengo a raccogliere l’essenziale, ma in te trovo molte fronde inutili..

I. Hai ragione. Lascia che sfrondi tutto e poi vieni a prendermi.

M. Perché non hai sfrondato prima? Io ti ho lasciato tutto questo tempo per raccogliere i frutti di tutto questo sfrondamento…

I. Ma avevo tante cose a cui pensare…

M. Sii sincero. Tu sai bene chi sono… Tutti coloro che mi hanno incontrato mi hanno riconosciuta come la paladina della verità.

I. Sì, è vero, mi sono perso in mille frivolezze, a volte sono mi sono lasciato andare nei piaceri della vita, ho ricercato qualche forma di potere… Ma, alla fine ti ho pensato spesso!

M. Pensare non significa vivere in pienezza. Se il pensiero non si traduce in azione, ha poco valore. Quando arrivo verrà raccolto quello che hai operato, non ciò che hai pensato. Il tuo pensiero è come la corda tesa dell’arco, ma se non miri giusto il bersaglio, lo sforzo si disperderà nel nulla.
Ora tu hai teso la corda, abbandonala…

I. Dopo tanti anni di lotte e tribolazioni tu mi chiedi di abbandonarmi?

M. Sì, perché ritroverai te stesso proprio in quell’abbandono.

I. Ma che senso ha vivere per poi lasciarci andare nell’abbandono?

M. La vita è questa: nell’abbandono sarai un osservatore più attento. Ogni attimo dell’esistenza è una continua alternanza tra me e la vita. Tu non te ne eri mai accorto, ma io sono sempre stata presente in te, sono un po’ come il propellente della vita.

I. Ora perché mi vuoi prendere definitivamente? Perché sei così determinata?

M. Ogni istante della tua vita ha preparato questo. E’ la tua ora, non puoi sfuggire. Come non puoi fare a meno di respirare, non puoi assolutamente fare a meno di morire. Morire è solo l’ultimo atto che sintetizza le miliardi di morti che hanno sostenuto la tua vita. Questo avresti dovuto saperlo.

I. Diventi sempre più incomprensibile. Tu ora vuoi prendermi. Ma cosa prendi se il mio io si dissolve?

M. L’io che ti sei costruito in modo fittizio si dissolve. Mi porto via proprio quello. Le tue illusioni, ciò che hai accumulato materialmente e mentalmente.
Porto via da te ogni forma di orgoglio, ogni brama di successo, le tue passioni terrene, tutto ciò che non è rivestito di immortalità.

I. Cioè… tutto ciò che non ti resiste?

M. In un certo senso, sì. Ma non sono abituata a discutere…. Vengo, prendo e scompaio nel nulla per poi riapparire in altri elementi vitali. Ritorno in qualsiasi momento in cui c’è un palpito di vita. La vita non può fare a meno di me.

I. Ma quando ti sei presa tutto ciò che tu chiami illusorio, cosa rimane di me?

M. L’essenziale

I. Che cos’è l’essenziale?

M. Ciò che io non posso fagocitare.

I. Il nulla? L’essere?

M. Ciò che chiami nulla è la mia essenza. Ma anche la tua. Resta l’immortale.

I. Ti prego… essenziale…immortale… cerca di essere più chiara!

M. Ma allora non hai capito? Il nulla viene assorbito dal nulla, mentre ciò che “è” permane in eterno. In te c’è un principio immortale che io non posso confiscare. Il nulla non può agire sull’essere. Tu sei te stesso nel momento in cui emerge il principio di immortalità che ti fa simile al Dio immortale.
Se tieni desto in te questo principio io non ho alcun potere su di te, ma solo su ciò che supporta il tuo essere terreno, cioè su tutti gli elementi transeunti che sono soggetti al mutamento nel tempo e nello spazio.

I. Ma allora tu, non esisti!

M. Esiste il nulla? Ti rovescio la domanda: non esiste ciò che è? Tu concepisci il nulla come assenza di una presenza. E’ un luogo comune. La tua logica ragiona per contraddizione: è o non è. Va a fondo e ti accorgerai della tua superficialità.

I. Da quando in qua la morte genera la filosofia?

M. Da sempre. Sono proprio io che spingo gli uomini ad interrogarsi sul senso dell’esistenza. Sono io il propulsore della ricerca, del progresso, della scienza, del pensiero, della vita stessa. Persino dell’amore.

I. Dell’amore? Tutte quelle persone che anelano a te persino con il suicidio?

M. Non essere superficiale. Anche il suicidio può essere un’ultima protesta di chi reclama la vita. Il suicida mi carpisce con violenza. Spera di poter porre fine al proprio disagio. Non vivendo autenticamente vorrebbe annullarsi tramite me.
Anche questa è un’illusione. Io non sono un’anestetico, la panacea per i vostri mali. Io agisco, ma non posso essere rappresentata da una mente umana. Tu stesso mi percepisci nella coscienza, ma non puoi vedermi o toccarmi. Non ho colore o sapore. Nel momento stesso in cui agisco scatta la vita…svanisco.

I. Ma allora non ti devo temere: tu vieni, ma non ci sei. Non può agire colui che non c’è.

M. Io agisco nella vita. Come già ho cercato di farti capire la vita e la morte sono talmente intrecciate che non puoi separarle. La distinzione che la tua mente fa è puramente logica e razionale.
In realtà sono solo un intervallo, una fessura, un vuoto incolmabile tra due fasi di vita.

I. Allora sei inconsistente…

M.Sono inconsistente ma necessaria come il tuo respiro. Quando passi dall’inspirazione all’espirazione c’è un istante di cui non ti accorgi, un nulla che prepara l’atto successivo. Così tra un battito cardiaco e l’altro, oppure tra la sistole e la diastole…
Io agisco ovunque nel mondo materiale, nella dimensione spazio-temporale. I miei effetti cessano quando il tuo essere trascende questa dimensione.

I. Allora non ci sarà più il divenire?

M. Dio non è divenire, E’ e basta. L’anima immortale, a somiglianza del Creatore, non potrà divenire perchè è quella che si unirà al corpo risuscitato, anch’esso non permeato dal divenire.

I. Quindi tu ci sei perché strettamente correlata al divenire?

M. Io sono solo un’idea, non ho consistenza, te l’ho già detto. Ora che ti parlo agisco nella tua coscienza. Sei tu che mi stai dando oggettività, ma non ho essenza perché albergo nel nulla. Per ciò che diviene sono negli intervalli tra uno stato e l’altro di ogni essenza. Ma non sono esistenza. Tu sai che le essenze sono immerse nell’esistenza, ma concettualmente esistenza ed essenza differiscono.

I. Questo è un passaggio molto oscuro che vorrei capire!

M. Vedo che la filosofia ti attira, nonostante io sia qui pronta per te. Comunque voglio farti un esempio che è molto conosciuto in oriente. Le onde non sono il mare, eppure è il mare che le genera e senza di lui non sussistono. Tu vedi, però, che ogni onda diviene, corre, spumeggia e si dissolve sulla superficie o sulla riva. L’onda non è il mare, fa parte di esso, ma non ha consistenza nel tempo essendo in continuo divenire. Una volta comparsa, muta e sparisce come tutte le altre. Le essenze sono come l’onda, l’esistenza è il mare, fondamento di ogni essenza.

I. Perché conosci tutte queste cose?

M. E’ proprio dal mio nulla che io posso osservare tutto ciò che è vita. Se fossi qualcosa il mio sguardo sarebbe molto più limitato.

I. Ciò significa, allora, che noi possiamo osservare meglio il mondo se ci avviciniamo al nulla?

M. In un certo senso… La tua coscienza è tale perché qualsiasi operazione compia deve negarsi per distinguersi dall’oggetto che prende in considerazione.
Se vuoi percepire quell’armadio non puoi essere armadio, ma devi porti sempre al di fuori. Nella tua mente qualsiasi punto di vista è fuori dall’oggetto.
Ma questi sono ragionamenti che appartengono alla logica umana che opera nella dimensione spazio-temporale. La realtà è ben diversa…

I. Quindi sei sempre stata presente nella mia coscienza?

M. La coscienza è un continuo tentativo di soggettivazione. Neghi l’oggetto per affermare il tuo punto di vista. Io centro nella negazione. Non ti accorgi che per attivare la tua coscienza devi continuamente morire? Più muori e più diventi consapevole.

I. Vuoi dire, allora, che sei necessaria per la mia vita?

M. Indispensabile. Dal momento del tuo concepimento tutto è sotto il mio potere. Tu ti evolvi dopo aver negato l’aspetto precedente. Prendi coscienza quando fai morire lo stato di coscienza precedente. Nella tua dimensione spazio temporale nulla è statico o fisso, tutto si muove e dietro questo movimento ci sono io. Termino il mio mandato quando sarai nella tua pienezza. Allora non avrà senso alcuna evoluzione come la intendi ora. La vita mi avrà completamente sconfitta. Sono un’amica ritenuta nemica.

I. Ma se le cose stanno così perché la gran parte di noi uomini ti teme ?

M. Perché riflettete poco sul vero scopo della vita presente.
Mi si teme quando c’è estrema insicurezza su tutto, quando si ha paura di perdere ciò che si è accumulato. Ma ciò che accumulate è un’illusione. Qualsiasi tipo di accumulazione è vana. Accumulate per espandere il vostro io, inconsapevoli, invece che lo restringete. Accumulate denaro per garantirvi il futuro, accumulate cultura e prestigio per sentirvi superiori agli altri, accumulate ideologie perché pensate che sostengano il vostro io e le vostre vane tradizioni. Arrivo io e vi rendete subito conto di quanto tempo avete sprecato.

I. Qual è il tempo terreno più utile?

M. Il contrario di quello che ti ho detto sull’accumulazione. Il vivere il presente in modo consapevole, senza false proiezioni, nella continua percezione che ogni cosa proviene dall’Assoluto a cui tutto devi riferire. Vivere, insomma, nella pienezza con distacco.

I. Mi sono sempre sforzato, pur nei fallimenti, di osservare me e il mondo con un certo distacco..

M. I tuoi sforzi verranno considerati. Ma chi vive nella pienezza non fa alcuno sforzo, perché esso assorbe molte energie. Accetta certe situazioni inevitabili, ma osserva il mondo con gli occhi di un bimbo. Accetta me e mi ritiene amica perché è cosciente della mia presenza attiva nella vita terrena. Agisce con vera compassione e nel suo distacco ama il prossimo come se stesso in Dio.

I. Se è così… allora non sono ancora pronto!

M. Sono venuta a prenderti in virtù del distacco che ti avevo accennato: devi accettare anche questo evento. Pochissimi sono coloro che sono pronti ad accogliermi. La maggior parte degli uomini avrebbero voluto procrastinare questo momento a causa dei loro attaccamenti terreni. Ma anche l’ultimo momento potrebbe essere determinante, per quello spesso vengo all’improvviso.

I. Vuoi dire che ognuno di noi anche all’ultimo momento potrebbe raggiungere il distacco che non è riuscito ad attuare in una vita terrena?

M. Tu muori come sei vissuto, non illuderti. Ma se Dio ti concede il totale abbandono tra le sue braccia, confidando nella sua infinita misericordia, in un solo momento puoi raggiungere il distacco perfetto, consapevole che è stata tutta un’illusione. Nella vita terrena hai spesso desiderato questo distacco, quindi l’opzione fondamentale era nella direzione giusta.
Nel momento in cui ti prendo definitivamente non ho più alcun potere su di te.

I. Mio Dio! Prendimi… ti offro tutti i miei attaccamenti, le mie fragilità, il mio nulla…

M. Non ti dico addio perché tu andrai a Dio ed io svanirò nel nulla da dove provengo. Non potremo davvero rivederci più. Ora vivrai autenticamente e non avrai più paura di nulla. Non te ne accorgerai nemmeno, è come una piccola puntura di spillo.

I. Mio Dio, perdonami… nelle tue mani rimetto il mio spirito.

Pier Angelo Piai

 

 

 

p. Albino Candido. “Diario di un pellegrino carnico”  (p.50 – 5 marzo 1974)

SCRIVE SULLA MORTE:

 

“La neve è al cm 90. Il boato e il tonfo delle slavine danno sussulti. È divertente.
Le strade sono semibloccate Sento il piacere di essere separato dal resto del mondo, anche con gli ostacoli che bloccano il traffico e perfino il passo. È un piacere infantile, fanciullesco, cosa faremmo se veramente fossimo tagliati fuori per lungo tempo dal resto del mondo? Aspetteremmo la morte? Perché non l’attendiamo anche con le strade piene di traffico e con le comunicazioni efficientissime? Passa forse per le strade la morte? Hai ragione, passa anche per le strade, senza averne bisogno affatto. Che è il resto del mondo? Anch’io sono resto del mondo per colui che vive altrove. Ma di preciso com’è che pensiamo alla morte soltanto quando succede qualcosa nelle cose? Non dico che ci si pensi soltanto in quei dati momenti, in quelle precise circostanze, ma ci si pensa più seriamente, come se la morte venisse con preavvisi. Mentre è qui, qui, qui, che ci porta via a bocconi. E ne abbiamo paura sebbene sia la nostra esistenza. La fiamma della candela rischiara, illumina, riscalda nel cerchio fin dove può il suo esistenziale calore, ma mentre fa tutto questo consuma la candela, e la candela si consuma e la fiamma va verso la fine e ad un certo momento finisce con la candela consumata. Ecco qui la meditazione di questa sera senza luce a Culzei. Quello che conta in fine è che candela e fiammella siano nelle mani del Signore e che la candela si consumi tra le Sue dita e la fiammella rifletta, all’ultimo guizzo sul Suo volto, l’amore che essa ha diffuso e suscitato intorno a Lui. La morte la portiamo dentro, viene dal di dentro, non chissà da dove e chissà quando. È una situazione di attesa della vita piena.”

(p. Albino Candido. Diario di un pellegrino carnico p.50 5 marzo 1974)

 

RICONOSCIMENTO LETTERARIO :

 

QUESTO IL CORTOMETRAGGIO REALIZZATO DALLA “RUGGIERO FILM PRODUCTION” (col sostegno della Regione Lazio):

 

 

 

 

 

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VIDEO AMATORIALE DELL’AUTORE DEL BRANO PIER ANGELO PIAI, realizzato anni fa..

 

 

 

REALIZZAZIONE DEL NUOVO CORTOMETRAGGIO SUL MIO TESTO “DIALOGO CON LA MORTE”

PRIMI CONTATTI

 

Facebook: primi contatti

21 aprile 2020

da Gennaro Ruggiero

Buongiorno, sono un piccolo produttore indipendente, “RUGGIERO FILM PRODUCTION”.

Ti volevo chiedere se posso fare un cortometraggio con mia moglie l’attrice Angelica Loredana Anton, sul  tuo “Dialogo con la morte”?

Lo gireremo a casa nostra, a causa del Covid 19 e lo mandiamo ai festival, chiaramente  scrivendo nei titoli “Scritto da Pier Angelo Piai” e, nel caso di vincite, sei partecipe con noi ai festival.

Ne daremo anche ampia risonanza mediatica su molti giornali online e agenzie di stampa. Io solo ne gestisco 6 e mia moglie 2.

Puoi sapere di me scrivendo Gennaro Ruggiero Produttore su google, e Angelica Loredana Anton semplicemente su google per sapere di Angelica. Grazie attendo tue autorizzazione.

p.s. mi è piaciuto molto il dialogo, l’ho visto su mondocrea.it

 

8 maggio 2020

Buonasera… pare che  dal 25 p.v. riusciamo a lavorare nel nostro settore e facciamo subito il corto sul dialogo con la morte.

Mia moglie attrice e scrittrice, Angelica Loredana Anton, che gestisce un paio di concorsi letterari ha detto che le piace tanto e che vorrebbe inserirlo in gara tra i mini racconti.

Le ho detto che può perché Pier Angelo mi ha dato piena disponibilità.

Io dico che vince l’attestato di merito o primo posto o gold.

Spero ti faccia piacere. Un caro saluto e a presto.

 

 

Venerdì 5 giugno 2020

da Gianluca Magni, attore e regista

Buona sera Pier Angelo, abbiamo da poco finito di girare il suo dialogo, da cui abbiamo tratto un cortometraggio.

Le debbo fare i complimenti per l’intensità che è riuscito a dare con i suoi dialoghi.

Ho curaro la regia oltre che l’attore del corto.

Con stima, Gianluca Magni

 

Si parte. DIALOGO CON LA MORTE.

 

In action sul set del cortometraggi DIALOGO CON LA MORTE, interpretato da me e Angelica Loredana Anton, diretto da me e coadiuvato da Valerio Matteu, prodotto da Ruggiero Film Production e LCTV

 

 

 

Ciak si gira. “Dialogo con la morte” con Gianluca Magni Angelica Loredana Anton. Dir. Fotografia Valerio Matteu sceneggiatura Gennaro Ruggiero regia Gianluca Magni. Tratto dall’opera omonima di Pier Angelo Piai

Angelica Più Gennaro Angelica Loredana Anton

 

 

 

                                                     RECENSIONI

Entusiastico commento del dr. ENZO SANTESE, noto critico e scrittore triestino, relativo al cortometraggio “Dialogo con la morte”

Buongiorno Pier Angelo!

Ho visto l’interessante cortometraggio e ne ho tratto questa impressione:

“Un video è sempre una modalità narrativa dove il gioco delle pause e delle accelerazioni focalizza spesso il valore dinamico della trama. La “vicenda” nel Dialogo con la morte si sviluppa lungo due coordinate, l’una orizzontale, data dall’incontro inatteso del protagonista con la morte stessa; l’altra invece, verticale, inquadra la questione della dicotomia tra corpo e anima che, a sua volta, rimanda a una proliferazione di pensieri proiettati nella dimensione metafisica. Quest’ultima è il perno ideale attorno a cui ruota la logica dell’opera, in cui emerge lo spessore speculativo del testo, dove Pier Angelo Piai imbastisce una vera e propria performance dialettica tra chi non vuol morire e la morte medesima. E allora sull’onda di riflessioni susseguenti – proposte con chiarezza quasi didascalica – l’osservatore è portato per gradi a cogliere il senso profondo dell’analisi dell’autore, sospinto a una ricerca verso il mondo spirituale nelle numerose articolazioni che lo compongono.

La disquisizione che si prospetta in forma di dialogo tra il protagonista e la morte tocca vari punti di una filosofia nutrita da numerosi apporti, dalla vena neoidealistica a un’antropologia essenziale, costruita su presupposti che lasciano emergere in ogni caso un afflato devozionale che è tipico dell’autore.

Un cortometraggio esprime la cifra della sua potenzialità d’impatto su chi guarda in un tempo ridotto, nel quale peraltro i punti di notevole seduzione e di sorpresa risiedono nei molteplici livelli della sua “leggibilità”. Nel Dialogo con la morte è possibile saggiare la consistenza del “nulla” così come viene presentato nel serrato confronto tra i due protagonisti dell’evento filmico, che danno – tra l’altro – all’opera l’illusione di qualcosa che si protende oltre l’ambito fisico della “pellicola”, così come, nello sviluppo del filmato, fa la morte sospingendo l’anima oltre la connessione con quell’involucro che l’avvolge e l’accompagna in vita.

L’opera è realizzata con un efficace concorso di partecipazioni: testo di Pier Angelo Piai, interpretazione scenica di Gianluca Magni (che è anche regista) e Angelica Loredana Anton, sceneggiatura di Gennaro Ruggiero, fotografia di Valerio Matteu, aiuto regia di Gianluca Tommasiello. Uno dei pregi più evidenti del cortometraggio è la ricchezza di spunti offerti all’osservatore che miri a crescere nella consapevolezza del suo esistere che è per natura “transeunte”; su questo – afferma a chiare lettere Pier Angelo Piai – ha potere la morte che è, comunque, punto di riferimento del pensiero filosofico e scientifico, innesco per ogni procedimento di ricerca.”

Enzo Santese

Enzo Santese è nato il 16 giugno 1946. Critico d’arte e scrittore ha partecipato a molte commissioni giudicatrici in concorsi nazionali e internazionali di pittura e scultura in Austria, Croazia, Germania, Inghilterra, Italia e Slovenia

Enzo Santese è di Trieste, dove risiede e lavora; svolge un’intensa attività di promozione culturale nell’ambito della letteratura, del teatro e delle arti figurative. Iscritto all’Ordine dei Giornalisti, si interessa da anni di problemi della comunicazione radiotelevisiva; critico d’arte, poeta e scrittore, ha al suo attivo numerosi interventi su quotidiani e riviste. Organizza diversi eventi culturali e dirige alcuni Festival di poesia (Poetando di Pordenone e Trieste, Festival del pensiero in / verso di Venezia,Festival della Poesia del Mare Isola in Slovenia, Lido di Venezia e Trieste). Scrive da vari anni testi per il teatro, la radio e la televisione (Tele Capodistria e Rai); la sua bibliografia comprende oltre duecento pubblicazioni, divise fra le traduzioni degli autori classici, greci e latini, libri di poesia, narrativa e saggistica e monografie di artisti contemporanei.  Fa parte della sezione italiana dell’A.I.C.A. (Associazione Internazionale dei Critici d’Arte); ha progettato e curato numerose rassegne d’arte contemporanea, personali e collettive, in Italia e all’estero. È autore di quindici raccolte poetiche, la più recente delle quali è I luoghi e i sensi, del 2018.

https://palabraenelmundovenecia.wordpress.com/2020/05/25/enzo-santese/

https://festivalitineranteinternazionalepoesia.wordpress.com/i-poeti/enzo-santese/
RECENSIONE DELLO SCRITTORE MAURIZIO BASSO
Il cortometraggio “Dialogo con la morte”che ho seguito molto attentamente, mi ha riallacciato alla figura del regista svedese Igmar Bergman. È stato molto efficace l’attore protagonista, Gianluca Magni, che con maestria é riuscito a calarsi nel personaggio. Ottima la scenografia che rispecchia il continuo richiamo all’essenzialità della Morte. Il contesto ambientale, genialmente indovinato, è molto attinente alla complessa tematica affrontata. È geniale anche il gioco delle luci e delle ombre, che rimarca la differenza tra l’essere ed il nulla, tra ciò che è è ciò che in realtà non è.
Per quanto riguarda l’interpretazione della morte, (la quale in realtà non ha un volto, come si evince dalla scultura che la rappresenta nella Basilica di San Pietro) mi è sembrata molto significativa per la sua valenza simbolica.
Una mia osservazione: “In una frazione di tempo, come un lampo, s’accende la coscienza; in questa dimensione spazio-temporale l’ironia della morte”
“Nel silenzio tu sei libero, poiché nel silenzio c’è un modo di udire l’altra voce che da te si distacca”
“La morte è quel neo nel seno della vita; nulla più di quell’oscuro punto, spaventa l’uomo.
Maurizio Basso, scrittore
Pubblicata su Corriere della Nazione:

https://ilcorrieredellanazione.wordpress.com/2020/07/27/la-recensione-di-maurizio-basso-al-cortometraggio-della-ruggiero-film-production-dialogo-con-la-morte/?fbclid=IwAR0iMKiXgUTmp83GOCNMt5JPzBaArGBv6odAyPcVGm119oPEHhc8wA3wJ74

 

Pubblicato sul Messaggero Veneto:

 

 

PAGINA FACEBOOK DEDICATA AL CORTOMETRAGGIO “DIALOGO CON LA MORTE”

https://www.facebook.com/dialogoconlamorte/

 

Commento dello scrittore MAURIZIO BASSO

Il cortometraggio “Dialogo con la morte”che ho seguito molto attentamente, mi ha riallacciato alla figura del regista svedese Igmar Bergman. È stato molto  efficace l’attore protagonista, Gianluca Magni, che con maestria é riuscito a calarsi nel personaggio. Ottima la scenografia che rispecchia il continuo richiamo all’essenzialità della Morte. Il contesto ambientale, genialmente indovinato, è molto attinente alla complessa tematica affrontata. È geniale anche il gioco delle luci e delle ombre, che rimarca la differenza tra l’essere ed il nulla, tra ciò che è è ciò che in realtà non è.

Per quanto riguarda l’interpretazione della morte, (la quale in realtà non ha un volto, come si evince dalla scultura che la rappresenta nella Basilica di San Pietro) mi è sembrata molto significativa per la sua valenza simbolica.

Una mia osservazione: “In una frazione di tempo, come un lampo, s’accende la coscienza; in questa dimensione spazio-temporale l’ironia della morte”

“Nel silenzio tu sei libero, poiché nel silenzio c’è un modo di udire l’altra voce che da te si distacca”

“La morte è quel neo nel seno della vita; nulla più di quell’oscuro punto, spaventa l’uomo.

Maurizio Basso, scrittore

 

RECENSIONE della Pittrice Laura Bon sul cortometraggio “Dialogo con la morte”.

  

Il cortometraggio “Dialogo con la morte”, se ben seguito attentamente dallo spettatore, stimola a riflettere su molte questioni esistenziali, perché pregno di elementi filosofici, antropologici e metafisici.

Per questo esso può essere considerato davvero un piccolo capolavoro che verrà sicuramente apprezzato maggiormente con l’andar del tempo, anche perché contiene questioni esistenziali ed interrogativi che accompagnano l’uomo da sempre.

Nulla va trascurato dallo spettatore durante la sua visione perché nulla è a caso in questo bel cortometraggio.

Il contenuto del testo per la sceneggiatura è molto profondo e scorrevole, anche se non sempre di facile comprensione per la tematica filosofica ed antropologica affrontata. Ci sono dei momenti particolari che  richiedono maggior attenzione per il ragionamento metafisico sul senso del divenire e del tempo che propone. Giustamente questo testo è stato riconosciuto molto valido da una giuria internazionale nell’ambito letterario (Premio letterario “Area Cultura” – Il racconto dell’anno 2020)

La sceneggiatura di Gennaro Ruggiero è davvero unica ed esprime una originalissima creatività per un soggetto così complesso. Lo sceneggiatore, che è anche il produttore, ha saputo immedesimarsi molto bene nel racconto scritto da Pier Angelo Piai scegliendo spazi, momenti, interventi molto consoni ed armonici per esprimere concetti così complessi e profondi, relativi alla drammaticità della morte ed la fluire della coscienza.

Molto rilevante è l’ottima interpretazione del bravissimo attore Gianluca Magni (il quale è anche regista del cortometraggio, insieme a Gianluca Tommasiello – aiuto regista) soprattutto per quanto riguarda la dizione ben calibrata in base alle situazioni, le espressioni facciali significative, le pause, gli sguardi ed i momenti di esitazione che fanno ben trasparire in modo spontaneo l’emotività di fronte ad un evento così importante. Questi elementi della sua interpretazione indicano la sua bravura professionale, frutto di un’esperienza pluriennale nell’ambito della recitazione.

L’interpretazione della morte ad opera dell’attrice Angelica Loredana Anton è molto originale. Ella ha saputo immedesimarsi sapientemente in un ruolo non facile. Angelica è riuscita a proporre e mantenere per tutto il tempo della durata del cortometraggio il fascino tremendo del mistero relativo alla morte. La dizione stessa è significativa: l’accento leggermente straniero indica che per tutti noi la stessa morte non è di casa ma è straniera, perché la vediamo negli altri e la teniamo ben lontana da noi.

Una lode sincera anche a tutti gli altri collaboratori che hanno contribuito in modo davvero efficace alla riuscita del cortometraggio ed hanno curato la fotografia, i costumi, la scenografia, il montaggio con grande impegno ed entusiasmo.

Un’ultima osservazione: il cortometraggio “Dialogo con la morte”, sebbene ha certi limiti spazio-temporali perché realizzato nei tempi del COVID19, invoglia lo spettatore ad una ulteriore rivisitazione successiva. Io stessa l’ho rivisto più volte ed ogni volta ho trovato nuovi spunti e sono riuscita a comprendere meglio certi concetti che prima mi sfuggivano.

Questo fatto sta ad indicare che ci troviamo davvero di fronte ad un piccolo capolavoro. Un’opera qualsiasi è spesso vista una sola volta, un capolavoro, invece va rivisto più volte e perdura nello spazio e nel tempo.

Laura Bon, pittrice

https://www.mondocrea.it/itartisti-108/

 

DIALOGO CON LA MORTE

Commento di Beppino Lodolo, imprenditore dello spettacolo, cantante e musicista friulano.

In un recente articolo ho letto che il produttore e sceneggiatore Gennaro Ruggiero definiva Pier Angelo Piai “Un genio della coscienza”.

Siccome Pier Angelo è un mio caro amico da moltissimi anni, la cosa mi incuriosì ed andai a guardare il cortometraggio “Dialogo con la morte” realizzato dal produttore e sceneggiatore Gennaro Ruggiero con la regia di Gianluca Magni (anche attore protagonista insieme alla brava attrice Angelica Loredana Anton), utilizzando proprio un testo di Pier Angelo.

Ne rimasi alquanto colpito ed affascinato, anche  perché pochi registi avevano affrontato coraggiosamente una tematica così complessa sotto diversi punti di vista, compreso quello filosofico e metafisico.

In venti minuti lo spettatore è trasportato in una dimensione che normalmente sarebbe definita “surreale”, ma che non annoia mai colui che lo segue con attenzione ed interesse con questo tipo di tematiche.

Qui la morte dialoga con un uomo ed affronta più argomentazioni esistenziali, partendo con lo smascherare alcuni luoghi comuni sulla vita e sulla morte, mettendo a fuoco alcuni aspetti della dimensione spazio-temporale in cui siamo immersi, relativizzando molte inutili problematiche odierne, ma soprattutto rivelandoci alcuni aspetti del nostro mondo interiore e di come agisce quella che chiamiamo “coscienza”.

Diceva il filosofo E.Cioran che “un libro deve frugare nelle ferite, anzi deve provocarle. Un libro deve essere un pericolo”.

Un simile concetto potrebbe essere applicato ad un cortometraggio serio come questo, il quale è davvero un piccolo capolavoro e lascia un segno interiore collegato alla propria visione del mondo.

Esso si spinge ben oltre le comuni aspettative, perché scandaglia coraggiosamente ciò che realmente è la morte, annullando i pregiudizi più devianti.

Infatti, inizialmente questo cortometraggio potrebbe sconcertare per il suo impatto diretto e provocatorio attraverso una tematica che molti temono di affrontare.  A volte è piuttosto impegnativo per alcuni tratti di natura filosofica e metafisica che presenta con estrema disinvoltura. In esso i concetti di tempo e luogo, cioè la dimensione spazio-temporale, la trascendenza e la stessa coscienza assumono una valenza molto particolare, la quale induce a mantenere in sospeso ogni forma di giudizio superficiale.

Le abilità dello sceneggiatore, del regista e degli attori, comunque, sono state determinanti. Essi sono riusciti con efficacia geniale a trasmettere la vera natura della morte in sé, che tutti noi temiamo.

La naturalezza del dialogo, infatti, è una delle qualità che più colpisce per un argomento così ostico. Il cortometraggio gradualmente diventa sempre più rassicurante e la stessa finale contiene in sé una forma di riconciliazione tra l’umano ed i divino che induce alla serenità interiore.

Posso garantire che val la pena vedere quest’opera così intensa, ma ricca di spunti di riflessione e meditazione.

Un grazie di vero cuore all’amico Pier Angelo ed a tutti coloro che hanno contribuito a realizzare un’opera così geniale.

Beppino Lodolo

https://www.mondocrea.it/tag/beppino-lodolo/

“Dialogo con la morte” un piccolo capolavoro con Gianluca Magni e Angelica Loredana Anton, in prima visione su Facebook e Youtube

(Alberto Calistri)

https://www.progettoitalianews.net/news/dialogo-con-la-morte-un-piccolo-capolavoro-con-gianluca-magni-e-angelica-loredana-anton-in-prima-visione-su-facebook-e-youtube/?fbclid=IwAR2lIoTn2iuUMxMgI9EVU6H2ufuAO4n6hrgraRFw_vOGp4iaXDeftLFzjXI

 

OSSERVAZIONE PERSONALE:
Spesso rivedo il cortometraggio “DIALOGO CON LA MORTE” e scopro con vera commozione e sempre più in profondità la finezza espressiva ed il grande talento dell’amico Gianluca Magni, attore e regista. È davvero l’interpretazione ideale che sognavo da sempre per il mio testo e per questo la mia ammirazione aumenta ogni volta.
Consiglio a tutti di rivedere il cortometraggio più volte con molta attenzione: in un contesto ambientale molto semplice scoprirete cose sempre nuove e nuovi simbolismi che prima sfuggivano: aiutano a riflettere, a pensare su se stessi e la vita, a prendere consapevolezza della relazione stretta che c’è tra la vita e la morte, riuscirete a sconfiggere ogni paura sulla morte stessa.
Grazie Gianluca..continua nella tua ricerca interiore ed espressiva…è giustissimo che i tuoi meravigliosi talenti vengano riconosciuti!
La stessa tematica viene affrontata in questo altro cortometraggio dell’autore:

 

 

TEMATICHE SULLA MORTE ATTINENTI AL CORTOMETRAGGIO “DIALOGO CON LA MORTE” con relativi video (di Pier Angelo Piai):

 

L’ESISTENZA NON FINISCE CON LA MORTE TERRENA

https://www.mondocrea.it/lesistenza-non-finisce-con-la-morte-terrena/

 

E DOPO LA MORTE?

 

https://www.mondocrea.it/itriflessioni-1093/

 

LA MORTE (rap)

https://www.youtube.com/watch?v=JUaAtidDxGw

 

È GIUSTO DESIDERARE DI MORIRE?

https://www.youtube.com/watch?v=g7ZQi5nfRsY

 

MEDITAZIONE SULLA MORTE.mp4

https://www.youtube.com/watch?v=VMHM–DcYTY

 

COME VEDE LA MORTE IL CRISTIANO

https://www.youtube.com/watch?v=2zs0ub6Ey2Y

 

PREGHIERA IN PREPARAZIONE DELLA BUONA MORTE

https://www.youtube.com/watch?v=1PN47FwcyQY

MEDITAZIONE DI UN MONACO FRIULANO SULLA MORTE MOLTO ORIGINALE E INTERESSANTE (p. Albino Candido)

https://www.youtube.com/watch?v=eKNYSnv8pTE

 

LA VITA UMANA NON FINISCE CON LA MORTE DEL CORPO

https://www.youtube.com/watch?v=EAS82gKdF9A

 

ADDOMESTICARE LA MORTE

https://www.youtube.com/watch?v=owIC_Q3pwRU

 

CACCIAMO LA PAURA DELLA MORTE

https://www.youtube.com/watch?v=takHEezAF0Y

 

DOPO LA MORTE CORPORALE C’È LA BEATITUDINE ETERNA

https://www.youtube.com/watch?v=DuIFtwI4uFc

 

PERCHÈ TEMIAMO LA MORTE?

https://www.youtube.com/watch?v=F8E5nrDtHtI

 

PERCHÈ NON DOVREMMO TEMERE TROPPO LA MORTE CORPORALE

https://www.youtube.com/watch?v=2l6jLH6ocWc

 

MORTE E RISURREZIONE

https://www.youtube.com/watch?v=oXWggRNtQgs

 

DIO NON HA CREATO LA MORTE (Sapienza)

https://www.youtube.com/watch?v=f-c22zOvvhA

 

L’ANGELO DELLA BUONA MORTE.mov

https://www.youtube.com/watch?v=eAbDH3_4_Nw

 

IL PENSIERO DELLA PROPRIA MORTE.mp4

https://www.youtube.com/watch?v=W4yFRA1wrfs

 

L’ANGELO DELLA MORTE E DELLA VITA IN PIENEZZA

https://www.youtube.com/watch?v=3_R_YOif9uc

 

MEDJUGORJE E L’ALDILÀ

https://www.youtube.com/watch?v=clgZQVCx0C8

 

COSA CI ATTENDE NELL’ ALDILÀ? (alcune considerazioni)

https://www.youtube.com/watch?v=hjiod_lAVvU

 

COMA! DALLA MORTE AL RITORNO ALLA VITA

https://www.youtube.com/watch?v=w6Iw1jPtv28

 

NON TEMERE LA SENTENZA DELLA MORTE

https://www.youtube.com/watch?v=8RnntEvTn-I

 

COMA! DALLA MORTE AL RITORNO ALLA VITA

https://www.youtube.com/watch?v=w6Iw1jPtv28

 

LA MORTE MORIRÀ

https://www.youtube.com/watch?v=pOnu0cxinOk

 

LA VITA TERRENA È PROVVISORIA, MA L’ALDILÀ È STABILMENTE ETERNO

https://www.youtube.com/watch?v=UDmi2wZElpc

 

COSA RIMARRÀ DI NOI IN QUESTO MONDO DOPO LA NOSTRA SCOMPARSA (una voce dal deserto)

https://www.youtube.com/watch?v=5MXZQuESaFg

 

LA NOSTRA VITA TERRENA È UN’ATTESA DINAMICA PER L’ALDILÀ

https://www.youtube.com/watch?v=wjTXYHn8zkw

 

LA VITA TERRENA PASSA

https://www.youtube.com/watch?v=-9gRHmyvOPc

 

IL MISTERO DELL’ALDILÀ

https://www.youtube.com/watch?v=e3GBARIkzxw

 

IL DESIDERIO DI ESSERE SCIOLTI DA QUESTO CORPO MORTALE

https://www.youtube.com/watch?v=gm5CpeWU7fw

 

I DEFUNTI CI HANNO SOLO PRECEDUTO

https://www.youtube.com/watch?v=9OolpShCEOs

 

 

DIALOGO CON LA MORTE (video di Pier Angelo Piai)

1° parte

https://www.youtube.com/watch?v=vDqkvrKG2ho

2° parte

https://www.youtube.com/watch?v=ae1uBivjCIY

 

 

PLAYLIST SULL’ALDILÀ:

https://www.youtube.com/playlist?list=PL_I8V9Z5YmOa-QPfU0zdg4142sbSnCh4b

 

 

 

 

 

 

 

1 Giugno 2016

Messaggio della Madonna di Medjugorje

 

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I 10 SEGRETI DI MEDJUGORJE (di Padre Livio Fanzaga):

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segretimedjugorje.MP3

VIDEO RELATIVI AI MESSAGGI DELLA MADONNA DI MEDJUGORJE

PLAYLIST RELATIVA A MEDJUGORJE (MESSAGGI E COMMENTI IN VIDEO)
https://www.youtube.com/playlist?list=PL_I8V9Z5YmOY_O1E9krjhlTo3O_k-L-6y

LE APPARIZIONI DELLA MADONNA A PORZUS – Nuova versione

6 luglio 2005

Il Catechismo della Chiesa Cattolica in mp3

IL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA IN AUDIO

5 Gennaio 2010

REPORT SUL 21° SECOLO

Attraverso un
fantascientifico viaggio nel tempo, l’autore del libro, Pier Angelo
Piai, desidera sensibilizzare il lettore a prendere coscienza del
nostro comune modo di pensare ed agire, noi del 21° secolo che ci
vantiamo di essere progrediti. In che cosa consiste, allora, la vera
evoluzione della specie umana?
Quando l’uomo potrà diventare davvero integrale?
Report
cerca di dare alcune risposte ai moltissimi interrogativi che emergono
in queste pagine scritte attraverso riflessioni e  considerazioni
sociologiche, antropologiche e filosofiche.

6 Luglio 2005

6 luglio 2005 Il Catechismo della Chiesa Cattolica in mp3

IL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA IN AUDIO
Catechesi e omelie di padre Lino Pedron