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Al giorno d’oggi circolano strane teorie in odore di new age e post new age, come ad esempio la famosa “legge di attrazione”, la quale, avvalendosi del presupposto “einsteiniano” per cui tutto è energia, promette risultati sorprendentemente positivi per chi sa sintonizzarsi su queste complesse onde energetiche che permeano l’Universo in cui siamo immersi.

Secondo queste teorie noi tutti, se emettiamo onde positive attraverso i nostri desideri, essi si possono realizzare allorché formulati in pensieri e frasi ripetute come un mantra.

In questo modo queste segrete vibrazioni cosmiche, sintonizzandosi con noi, ci aiuterebbero a trovare un lavoro, un partner, ad ottenere salute, benessere e soldi. Addirittura esse sostengono che, qualora noi ringraziamo positivamente l’Universo per quello che abbiamo, ci verrà dato altro ancora in abbondanza.

C’è un particolare importante: questa teoria presuppone una visione panteistica dell’Universo. Questo è contrario alla visione cristiana: basta solo pensare alla preghiera insegnata da Gesù: “Sia fatta la tua volontà”.

Succede inoltre, che alcuni ottengono davvero alcune cose che chiedono seguendo i consigli di certi moderni guru che sostengono la legge di attrazione.

A questo punto dobbiamo ricordare bene che Dio non è l’Universo, perché ne è il Creatore ed è quindi trascendente.

Quando escludiamo Dio dalla nostra vita, lasciamo il posto ad un angelo malefico, il quale ha dei poteri ed ha la facoltà di concederci certe cose proprio per indurci a dimenticarci di Colui che ha creato tutto e che ci sta continuamente sorreggendo.

Attenzione, quindi a questo inganno diabolico: Gesù ci ha consigliato di santificare il nome del Padre e di compiere la sua volontà, non la nostra!

Tutto, quindi deve essere compiuto in Lui e nel suo nome: è questo che ci consente anche di ottenere grazie straordinarie.

Gesù aveva detto: “Senza di me non potete fare nulla”

 

 

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Omelia VII DOMENICA Matteo 5,38-48

 

p.Ermes Ronchi

Da tre domeniche camminiamo sui crinali da vertigine del discorso della montagna. Vangeli davanti ai quali non sappiamo bene come metterci: o cerchiamo di edulcorarlo, di ammorbidirlo, oppure siamo tentati di relegarlo nel repertorio delle follie. Magari divine, ma follie.

Vi confesso la fatica, le parole che si sottraggono, ogni volta che ritento di balbettare qualcosa, il batticuore che mi prende in quei pochi passi tra l’altare e l’ambone, prima di cominciare una povera predica.

Allora cerco una parola cui aggrapparmi, un punto d’appoggio. E lo trovo in questo elenco di situazioni molto concrete che Gesù mette in fila: schiaffo, tunica, miglio, denaro in prestito. E nelle soluzioni che propone in perfetta sintonia: l’altra guancia, il mantello, due miglia. È molto semplice, diresti. “Gesù parla della vita con le parole proprie della vita” (Christian Bobin). Niente che un bambino non possa capire, nessuna teoria astratta e complicata, solo gesti quotidiani, la santità di ogni giorno, che sa di abiti, di strade, di gesti, di polvere.

Ma che poi ti stordisce, che poi apre feritoie da vertigine: amate i vostri nemici; che propone il paradosso dei paradossi: “siate perfetti come è perfetto il Padre”. Impossibile, lo sappiamo.

Fu detto occhio per occhio. Ma io vi dico: Se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra. Ma come si fa?

Per capire andiamo alla vita di Gesù. Sono i suoi gesti che interpretano e incarnano le sue parole. L’unica volta che riceve uno schiaffo, Gesù non porge l’altra guancia, ma reagisce, chiedendo ragione alla guardia: se ho parlato male dimostramelo. Non è passivo né remissivo, lo vediamo indignarsi, e quante volte, per un’ingiustizia, per un bambino scacciato, per il tempio fatto mercato, per le maschere e il cuore di pietra dei pii e dei devoti. E collocarsi così dentro la tradizione profetica dell’ira sacra.

Quello che Gesù propone non è la sottomissione degli schiavi, ma una presa di posizione coraggiosa: “tu porgi”, fai tu il primo passo, tu cerca spiegazioni, tu disarma la vendetta, tu ricomincia la relazione, rammendando tenacemente il tessuto continuamente lacerato dalla violenza.

Il vangelo non è la religione dei perdenti, dei battuti, dei sottomessi. Non ci chiede di essere lo zerbino della storia, ma di disinnescare la miccia della violenza, di disinnescare la spirale della vendetta, di inventarsi qualcosa – un gesto, una parola – che possa disarmare e disarmarci. Come nel testamento dei monaci martiri di Thibirine quando pregano: Signore, disarmali, e disarmaci!

Proviamo a cambiare prospettiva, a metterci dall’altra parte, dalla parte di colui che do là schiaffo, di chi ha colpito l’occhio di un altro. E a quel punto domandiamoci: con chi vorresti vivere? Chi vuoi vicino a te? Uno da “occhio per occhio”, o uno che perdoni, vada oltre la violenza, vada più lontano dello sbaglio? E disarmarci insieme?

Tutti desiderano accanto a sè uno che li ami così, uno che ti accompagni nella notte per molte miglia, che sappia darti tutto ciò che ha.

Il vangelo coincide con quello che il nostro cuore desidera.

Allora non è così lontano il sogno di un mondo nuovo, di un uomo nuovo, ce l’abbiamo dentro, fa parte del desiderio del cuore.

 

E poi arriva quella frase che è come un macigno: amate i vostri nemici. Impossibile amare i nemici, sosteneva Freud.

Ma quello che Gesù vuole non sono moine o sorrisini nei confronti di chi ti vuole male, lui intende eliminare il concetto stesso di nemico. ‘Amatevi, altrimenti vi distruggerete. E’ tutto qui il vangelo’ (Turoldo). Altrimenti la ragione sarà sempre del più forte, del più armato, del più crudele, del più ricco.

Violenza produce violenza, in una catena infinita. Io scelgo, liberamente, o Cristo degli uomini liberi!, di spezzarla. Di non replicare su altri ciò che ho subito, di non far proliferare il male. Ed è così che inizio a liberare me stesso dentro questa storia di legami spesso ostili.

 

Ma di nuovo, come faccio a essere così bravo, forte, tenace?

Io non ci riesco. Ma nessuno ce la fa, noi amiamo fino ad un certo punto, accogliamo fino ad un certo punto…

Ma queste parole non parlano di ciò che gli uomini realizzano, supportati dalla loro buona volontà. È ciò che Dio fa. L’amore al nemico è proprio di Cristo, e lo mostrerà sulla croce.

“Siate figli del Padre che fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni”.

Fare ciò che Dio fa, essere come il Padre, qui è tutta l’etica biblica. E che cosa fa il Padre? Fa sorgere il sole. Mi piace questo Dio solare, luminoso, splendente di vita, il Dio che presiede alla nascita di ogni nostro mattino.

Essere come lui? Ma io non farò mai sorgere o tramontare il sole, non sarò mai figlio del Padre. Eppure un grammo di luce, un minimo sole, illuminare il passo di qualcuno, una scintilla di bontà posso metterli in circuito in queste nostre albe così ricche di tenebra.

Fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni. Addirittura Gesù inizia dai cattivi, forse perché i loro occhi sono più in debito di luce, più in ansia.

Ma di nuovo proviamo a cambiare prospettiva: i cattivi illuminati non sono gli altri, siamo noi.

 

Qui c’è da contemplare. Contemplare questo Dio, la sua tenerezza. Perché Vedete noi ci muoviamo sulla terra, ci misuriamo con la visione di Dio che abbiamo in cuore. Se hai l’immagine di un Dio estraneo, freddo, lontano così sarai anche tu.

Se hai la visione di un padre buono, che ama senza clausole e senza perché, ama perché ama, allora puoi fare la tua corsa nel mondo misurandoti sulla bellezza e sulla tenerezza di Dio.

Matteo conclude il brano di oggi spiegando la ragione di tutto questo: perché io devo correre il rischio di essere calpestato? Perché devo prestare il mio denaro in perdita? Perché…?

La ragione è molto semplice: altrimenti cosa fai di straordinario? se dai a chi ti da, se fai quello che fanno tutti, se saluti chi ti saluta, che cosa fai di straordinario? Che cosa aggiungi alla vita? Che cosa cambia?

Tutto come prima. Tutto come sempre.

Cosa fate di straordinario? Prestiamo attenzione. Gesù sta dicendo che a tutti è possibile fare qualcosa di più dell’ordinario, di più del semplice dovere.

Anzi, a ben guardare, le case, le famiglie, le persone sono piene di cose straordinarie, di gesti meravigliosi. Mi incantano certe madri e certi padri con i loro figli, ed è comprensibile, ma anche con i figli degli altri. Mi incanto davanti all’amore di certe badanti per la persona fragile che hanno in cura… davvero fanno sorgere il sole su di lei… e la storia tutta fa un piccolo passo avanti. La santità è “compiere le cose ordinarie con un amore straordinario” (papa Francesco).

 

Allora siate perfetti come il Padre

non ‘quanto il Padre’, una misura impossibile che ci schiaccerebbe;

ma ‘come’ il Padre, con il suo stile fatto di tenerezza, ma combattiva. Possibile a tutti.

Allora lo straordinario penetra dentro l’ordinario.

E capisci che l’infinito è nella vita

e che la vita è infinita.

 

 

 

Lui parla solo della vita

Con parole a lei proprie:

coglie dei pezzi di terra

li raduna nella sua parola e il cielo appare,

un cielo con alberi che volano

il sole che sorge

agnelli che danzano e pesci che ardono

un cielo impraticabile

popolato di prostitute, di folli di festaioli

di bambini che scoppiano in risate

e di donne che non tornano più a casa:

tutto un mondo dimenticato dal mondo

e festeggiato là, subito, adesso,

sulla terra come in cielo

 

Christian Bobin, L’uomo che cammina, p.15

 

Domenica VI A Mt. 5, 17-37

p. Ermes Ronchi

 

Un vangelo lunghissimo, impossibile commentarlo tutto.

Vediamo solo i versetti principali.

La chiave per capire tutto è nel primo versetto, importantissimo:

non sono venuto ad abbattere, a demolire, a distruggere,

ma sono venuto a realizzare in pienezza, a dare pieno compimento.

A che cosa? Al codice di Mosè? No, ma alle promesse di Dio. Al sogno che Dio ha sognato sul mondo.

Contesto: Gesù ha appena annunciato le beatitudini. La delusione degli ascoltatori è totale. L’attesa era che Israele doveva conquistare tutte le terre intorno e accumulare le ricchezze dei popoli e Gesù dice: Beati i poveri, tutto il contrario.

Gesù porta avanti la storia dell’uomo su due linee di fondo: la prima è quella del cuore, la seconda è quella della persona! Il compimento pieno avviene nel cuore dell’uomo. Dove si vive il profondo delle cose. Non nelle regoline.

Non possiamo passare la vita semplicemente a fare le cose secondo le regole. Se tu, genitore, ami tuo figlio o lo cresci rispettando regole, protocolli, doveri, obblighi, il bambino crescerà, ma solo, si sentirà poco amato, poco felice… se tu padre non gli dai tenerezza e creatività e sorrisi e giocare con lui a perdifiato.

Se un uomo ama una donna secondo tutte le regole e gli obblighi, ma che felicità le può dare? Cosa godono della vita? L’amore è sempre fuorilegge, perché va oltre le regole.

La nostra vita è di più della norma. E non c’è codice che tenga. Questo è il territorio di Gesù.

E poi Dio stesso è sulla linea del cuore: Se stai facendo la tua offerta all’altare e ti accorgi che tuo fratello ha qualcosa contro di te…prima viene l’amore e dopo il culto! è la linea della persona, che viene prima anche del culto a Dio, prima di tutto.

La vita adulta è passare dalla legge esterna al cuore. Dove ogni atto inferiore all’amore necrotizza la relazione. Amerai con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutto, con tutto, con tutto.

Fu detto: non ucciderai; ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, chi nutre rancore è potenzialmente un omicida. Gesù va diritto al movente delle azioni, al laboratorio dove si assemblano i gesti. L’apostolo Giovanni affermerà una cosa enorme: “Chi non ama suo fratello è omicida”(1 Gv 3,15). Chi non ama, uccide. Il disamore non è solo il mio lento morire, è l’incubatore di omicidi.

Ma io vi dico: Chiunque si adira con il fratello, o gli dice pazzo, o stupido, è sulla linea di Caino… Gesù mostra i primi tre passi della morte: la rabbia, l’insulto, il disprezzo, tre forme di omicidio.

L’uccisione esteriore viene dalla eliminazione interiore dell’altro.

Chi gli dice pazzo sarà destinato al fuoco della Geenna.” Geenna non è l’inferno, ma quel vallone alla periferia di Gerusalemme, dove si bruciavano le immondizie della città, da cui saliva perennemente un fumo acre e cattivo. Gesù dice: se tu disprezzi e insulti il fratello tu fai spazzatura della tua vita, la butti nell’immondizia; è ben più di un castigo, è la tua umanità che marcisce e va in fumo.

Bellissime le antitesi di Gesù: fu detto ma io vi dico.

A chi fu detto? Agli antichi, non dice con rispetto ai padri venerabili, ai patriarchi, ma agli antichi, è roba del passato; il credente è nuovo e le cose di prima sono passate. Ma io vi dico. Gesù entra nel progetto di Dio non per rifare un codice, ma per rifare il coraggio del cuore, il sogno di Dio. Agendo su tre leve decisive: la violenza, il desiderio, la sincerità nella relazione.

E quando dice: chi non osserverà questi precetti…chi trasgredirà una sola virgola, non fa improvvisamente un passo indietro; non si riferisce alle antiche regole di Mosè, ma a quello che ha appena detto lui, alle beatitudini. Chi non vive le beatitudini sarà un uomo piccolo, un uomo minuscolo nel regno. Qui si parla del Regno, e nel Regno non si entra con le vecchie norme mosaiche, ma con le nuove parole di vita di Gesù, con le beatitudini, con il suo “ma io vi dico!”..

Avete inteso che fu detto: non commettere adulterio. Ma io vi dico: se guardi una donna per desiderarla sei già adultero. Non dice semplicemente: se un uomo desidera una donna, o viceversa, e come si fa?

Ma: se guardi per desiderare, cioè per conquistare e violare, per sedurre e possedere, se la riduci a un oggetto da prendere o collezionare, tu commetti un reato, un delitto contro la nobiltà di quella persona.

Non si tratta del desiderio di un uomo verso una donna, che fa parte dell’ordinamento della natura, ma il desiderio predatorio di impossessarsi di lei come di una cosa, un oggetto per te.

E così per il giuramento che si deve alla mancanza di fiducia. Dal divieto del giuramento, Gesù va fino in fondo, arriva al divieto della menzogna. Di’ sempre la verità, sarai credibile e non servirà più giurare.

Allora ha portato più scrupoli, più ansia, più problemi?

No, il passaggio è dalla legge al cuore.

Dall’obbligo alla tenerezza.

Dalla ritualità alla figliolanza.

C’è da guarire il cuore,

per poi guarire la vita.

 

 

 

 

 

 

 

 

L’intelligenza senza amore, ti rende perverso.


La giustizia senza amore, ti rende implacabile.


La diplomazia senza amore, ti rende ipocrita.


Il successo senza amore, ti rende arrogante.


La ricchezza senza amore, ti rende avaro.


La docilità senza amore, ti rende servile.


La povertà senza amore ti rende orgoglioso.


La bellezza senza amore, ti rende ridicolo.


L’autorità senza amore, ti rende tiranno.


Il lavoro senza amore, ti rende schiavo.


La semplicità senza amore, ti sminuisce.


La preghiera senza amore, ti rende introverso.


La legge senza amore, ti schiavizza.


La politica senza amore, ti rende egoista.


La fede senza amore, ti trasforma in fanatico.

La croce senza amore, diventa una tortura.


La vita senza amore, …non ha senso.

 

 

(Dagli scritti di Mons. Giancarlo Bregantini)

 

 

 

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XXVI – Anno C

Lc 16, 19-31

 

Basilio Magno rivolto ai cristiani di Cappadocia:

Il pane che si spreca sulla tua tavola, è pane sottratto all’affamato;

a chi è scalzo spettano le scarpe allineate nei tuoi armadi;

a chi è nudo spettano i vestiti che le tarme mangiano nei tuoi bauli;

è del povero il denaro che si svaluta nella cassaforte delle banche.

Dalla nostra indifferenza, liberaci Signore

Dal non saper più piangere, Liberaci Signore

Dal non saper condividere, liberaci Signore

 

OMELIA

Una parabola dura e dolce, con la morte a fare da spartiacque tra due scene.

Prima scena: C’era una volta un uomo ricco… e uno povero. In questo avvio, con il sapore di una favola, c’è già il messaggio: il mondo è spaccato, ci sono due mondi e in mezzo una voragine. È così che la vogliamo questa terra? Con uno avvolto di porpora, uno vestito di piaghe; uno che si rimpinza ogni giorno e spreca; uno con occhi tristi e affamati, a gara con i cani, a vedere se è caduta a terra qualche briciola. Ricordo una struggente canzone di Branduardi con due versi che dicono:

e si mangiava come due fratelli, una briciola l’uomo ed una il cane.

Morì il povero e fu portato nel seno di Abramo, morì il ricco e fu sepolto nell’inferno. Una domanda si impone con forza a questo punto: perché il ricco è condannato nell’abisso di fuoco? Per il lusso, gli abiti firmati, gli eccessi della gola? No. Il suo peccato è l’indifferenza totale verso il povero: non uno sguardo, non una briciola, non una parola.

Lazzaro è così vicino, sulla soglia di casa, che inciampa in quel fagotto e il ricco neppure lo vede; magari va e torna dal tempio tutti i sabati, canticchia i salmi e non lo vede, legge Mosè e i profeti, e non lo vede.

Manca però l’essenziale. Mancano tre verbi: vedere, fermarsi, toccare. Tre verbi umanissimi, i primi tre gesti del Buon Samaritano. Mancano, e allora tra le persone si scavano baratri, si innalzano muri.

Questo è il comportamento che san Giovanni chiama, senza giri di parole, omicidio: chi non ama è omicida.

La parabola racconta un modo iniquo di abitare la terra, un modo profondamente ateo. Un mondo così, dove uno vive da dio e uno da rifiuto, è quello sognato da Dio? E’ umano che una creatura sia ridotta in condizioni disumane per sopravvivere, come un cane, come una bestiolina?

Lo sguardo di Gesù non si posa sui comandamenti e le regole, ma sulla evidenza della realtà, che è malata, da cui sale un disagio, uno stridore, un conflitto, un orrore che avvolge tutta la scena. E che ci fa provare vergogna.

La realtà viene prima della legge, la legge è piccola cosa davanti al cuore di Dio.

Di quale peccato si è macchiato il ricco? Che male ha fatto al povero Lazzaro?

Chiaro: non lo ha fatto esistere. L’ha ridotto a un rifiuto, a un nulla, una carta per terra. Nel suo cuore l’ha ucciso. Nessuno ha il diritto di ridurre a nulla l’uomo, un’ombra fra i cani,

Quanti invisibili delle nostre città, e anche dei paesi! Attenzione agli invisibili, vi si rifugia l’eterno.

Il male è questo: “Se mi chiudo nel mio io, anche adorno di tutte le virtù, ma non partecipo all’esistenza degli altri, se non sono sensibile e non mi dischiudo agli altri, posso essere privo di peccati eppure vivo in una situazione di peccato” (Giovanni Vannucci).

È tempo di smetterla con i nostri esami di coscienza negativi a sfogliare la margheritina delle regolette, e domandarci invece nella lingua del vangelo: non che male ho fatto? Ma che bene ho fatto? Chi ho aiutato, ieri, oggi, adesso?

Prendersi cura delle creature è la sola misura dell’eternità.

 

Seconda scena. Morì il povero e fu portato in alto. Morì anche il ricco e fu sepolto nell’inferno. Lazzaro è portato sulle mani degli angeli, accolto nel grembo di un Abramo più materno che paterno,

Questa parola materna: grembo, seno, è usata per proclamare il diritto di tutti i poveri ad essere trattati come figli. Ma “figlio” è chiamato anche il ricco, anche lui con la dignità di figlio per sempre, nonostante l’inferno, figlio di un Abramo dalla dolcezza di madre.

Tra noi e voi è posto un grande abisso, dice Abramo, rimane la grande separazione già creata in vita.

Perché l’eternità inizia qui, l’inferno è già qui, nutrito dalle nostre scelte senza cuore:

L’inferno è il prolungamento delle voragini che abbiamo scavato in vita.

 

Padre, una goccia d’acqua sopra l’abisso!

Che cosa risolve una goccia d’acqua sulla punta del dito? Non spegne i fuochi, non estingue l’arsura della sete, ma… attraversa l’abisso. Forse ora il ricco comincia a capire: il senso della vita è avvicinare, sconfinare, passare porte, abbattere distanze tra le persone.

Una parola sola per i miei cinque fratelli! E invece no, perché non è un morto che converte, ma la vita. Non è la morte o la punizione che ammaestra, ma la vita reale, ascoltino quella.

Hanno Mosè e i profeti, hanno il grido dei poveri, che sono la voce e la carne di un Dio, che sono i principi del Regno. Prendete il loro punto di vista come faceva Gesù, con quel suo sguardo amoroso e forte davanti al quale ogni legge diventa piccina, e piccina è perfino quella di Mosè (R. Virgili).

Che ti costa, padre Abramo, un piccolo miracolo! Ma non sono i miracoli a cambiare la nostra storia, non sono le apparizioni a cambiare la vita, la terra è già piena di miracoli, la terra è già piena di profeti: hanno i Profeti, ascoltino quelli, hanno il Vangelo, ascoltino! Di più ancora: la terra è piena di poveri Lazzari, li ascoltino, li guardino, li tocchino. Non c’è miracolo che valga il grido dei poveri.

Il primo miracolo è accorgerci che l’altro esiste (S. Weil).

nelle loro piaghe è Dio che è piagato,

ogni volta che avete fame sono io che ne sento i morsi e l’ululato nel ventre;

ogni volta che vi trattano con dolcezza sono io che ne sento la carezza; ogni volta che avete fatto del bene a uno dei miei fratelli più piccoli è a me che l’avete fatto.

Se l’altro ha sete, e tu gli dai da bere aceto o disprezzo, invece è il Golgota, il Calvario del mondo, con te protagonista del male.

Due giorni fa leggevamo una lettera di San Vincenzo de Paoli che dice: “Se stai pregando e un povero ha bisogno di te, corri da lui. Il Dio che lasci è meno sicuro del Dio che trovi” (San Vincenzo de Paoli). Il Dio che laasci in chiesa è meno sicuro del Dio che trovi nel povero Lazzaro.

 

 

 

 

PREGHIERA ALLA COMUNIONE

 

Vuoi dare onore al corpo di Cristo?

Dopo averlo onorato in chiesa,

non disprezzarlo quando è coperto di stracci

fuori della porta della chiesa.

 

Colui che ha detto: «Questo è il mio corpo»

ha detto anche: «Questa è la mia fame».

 

Che importa che la mensa del Signore

scintilli di calici d’oro mentre lui muore di fame?

Che senso ha offrirgli porpora e oro

e rifiutargli un bicchiere d’acqua?

 

Rendi bella la casa del Signore

ma non disprezzare il mendicante,

perché il tempio di carne di tuo fratello

è più prezioso del tempio di pietre!

 

(Giovanni Crisostomo)

 

 

 

 

Il Vangelo a cura di Padre Ermes Ronchi

VII Domenica Tempo ordinario – Anno C – 2019

Il Signore elimina il concetto di nemico

Vangelo – Luca 6, 27-38

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli «A voi che ascoltate, io dico amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro (…).

Gesù ha appena proiettato nel cielo della pianura umana il sogno e la rivolta del Vangelo. Ora pronuncia il primo dei suoi “amate”. Amate i vostri nemici . Lo farai subito, senza aspettare; non per rispondere ma per anticipare; non perché così vanno le cose, ma per cambiarle.

La sapienza umana però contesta Gesù: amare i nemici è impossibile.

E Gesù contesta la sapienza umana: amatevi altrimenti vi distruggerete. Perché la notte non si sconfigge con altra tenebra; l’odio non si batte con altro odio sulle bilance della storia. Gesù vuole eliminare il concetto stesso di nemico. Tutti attorno a noi, tutto dentro di noi dice: fuggi da Caino, allontanalo, rendilo innocuo. Poi viene Gesù e ci sorprende: avvicinatevi ai vostri nemici, e capovolge la paura in custodia amorosa, perché la paura non libera dal male.

E indica otto gradini dell’amore, attraverso l’incalzare di verbi concreti: quattro rivolti a tutti: amate, fate, benedite, pregate; e quattro indirizzati al singolo, a me: offri, non rifiutare, da’, non chiedere indietro.

Amore fattivo quello di Gesù, amore di mani, di tuniche, di prestiti, di verbi concreti, perché amore vero non c’è senza un fare.

Offri l’altra guancia, abbassa le difese, sii disarmato, non incutere paura, mostra che non hai nulla da difendere, neppure te stesso, e l’altro capirà l’assurdo di esserti nemico. Offri l’altra guancia altrimenti a vincere sarà sempre il più forte, il più armato, e violento, e crudele. Fallo, non per passività morbosa, ma prendendo tu l’iniziativa, riallacciando la relazione, facendo tu il primo passo, perdonando, ricominciando, creando fiducia.

«A chi ti strappa la veste non rifiutare neanche la tunica», incalza il maestro, rivolgendosi a chi, magari, non possiede altro che quello. Come a dire: da’ tutto quello che hai. La salvezza viene dal basso! Chi si fa povero salverà il mondo con Gesù (R. Virgili). Via altissima. Il maestro non convoca eroi nel suo Regno, né atleti chiamati a imprese impossibili. E infatti ecco il regalo di questo Vangelo: come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro.

Ciò che desiderate per voi fatelo voi agli altri: prodigiosa contrazione della legge, ultima istanza del comandamento è il tuo desiderio. Il mondo che desideri, costruiscilo. «Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo» (Gandhi).

Ciò che desideri per te, ciò che ti tiene in vita e ti fa felice, questo tu darai al tuo compagno di strada, oltre l’eterna illusione del pareggio del dare e dell’avere. È il cammino buono della umana perfezione. Legge che allarga il cuore, misura pigiata, colma e traboccante, che versa gioia nel grembo della vita.

(Letture 1 Samuele 26,2.7-9.12-13.22-23; Salmo 102; 1 Corinzi 15, 45-49; Luca 6, 27-38).

https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/il-signoreeliminail-concettodi-nemico

Commento al vangelo domenica 24 febbraio – p.Ermes – Il Signore elimina il concetto di nemico

 

 

Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi

L’unica misura dell’amore è amare senza misura

XXXI Domenica – Tempo ordinario – Anno B

Vangelo – Mc 12, 28-34
In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi». Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici». Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

Commento di Padre Ermes

Qual è, nella Legge, il più grande comandamento? Lo sapevano tutti in Israele qual era: il terzo, quello che prescrive di santificare il Sabato, perché anche Dio lo aveva osservato (Genesi 2,2).
La risposta di Gesù, come al solito, spiazza e va oltre: non cita nessuna delle dieci parole, ma colloca al cuore del Vangelo la stessa cosa che sta nel cuore della vita: tu amerai. Un verbo al futuro, come per un viaggio mai finito… che è desiderio, attesa, profezia di felicità per ognuno.

Il percorso della fede inizia con un «sei amato» e si conclude con un «amerai». In mezzo germoglia la nostra risposta al corteggiamento di Dio.
Amerai Dio con tutto il tuo cuore e il prossimo tuo come te stesso. Gesù non aggiunge nulla di nuovo: la prima e la seconda parola sono già scritte nel Libro. La novità sta nel fatto che le due parole fanno insieme una sola parola, la prima. L’averle separate è l’origine dei nostri mali, dei fondamentalismi, di tutte le arroganze, del triste individualismo.

Ma amare che cosa? Amare l’Amore stesso. Se amo Dio, amo ciò che lui è: vita, compassione, perdono, bellezza; ogni briciola di pane buono, un atto di coraggio, un abbraccio rassicurante, un’intuizione illuminante, un angolo di armonia. Amerò ciò che Lui più ama: l’uomo, di cui è orgoglioso.

Ma amare come? Mettendosi in gioco interamente. Lasciando risuonare e agire la forza di quell’aggettivo «tutto», ribadito quattro volte. Il tutto di cuore, mente, anima, forza. Noi pensiamo che la santità consista nella moderazione delle passioni. Ma dov’è mai questa moderazione nella Bibbia? L’unica misura dell’amore è amare senza misura.
Amerai con tutto, con tutto, con tutto… Fare così è già guarigione dell’uomo, ritrovare l’unità, la convergenza di tutte le facoltà, la nostra pienezza felice: «Ascolta, Israele. Questi sono i comandi del Signore… perché tu sia felice» (Deuteronomio 6,1-3). Non c’è altra risposta al desiderio profondo di felicità dell’uomo, nessun’altra risposta al male del mondo che questa soltanto: amerai Dio e il prossimo.

Per raccontare l’amore verso il prossimo Gesù regala la parabola del samaritano buono (Luca 10,29-37). Per indicare come amare Dio con tutto il cuore, non sceglie né una parabola, né una immagine, ma una donna, Maria di Betania «che seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola» (Luca 10, 38). Gesù ha trovato che il modo di ascoltare di Maria fosse la «scelta migliore», la più idonea a raccontare come si ami Dio: come un’amica che siede ai suoi piedi, sotto la cupola d’oro dell’amicizia, e lo ascolta, rapita, e non lascerà cadere neppure una delle sue parole. Amare Dio è ascoltarlo, come bambini, come innamorati.

(Letture: Deuteronomio 6,2-6; Salmo 17; Ebrei 7,23-28; Marco 12,28-34)

http://www.smariadelcengio.it/fra-ermes-ronchi-comunica/26808/commento-al-vangelo-4-novembre-2018-p-ermes-lunica-misura-dellamore-e-amare-senza-misura/

https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/l-unica-misura-dell-amore-e-amare-senza-misura

Gesù rispose: “Il primo è: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore;
amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima,
con tutta la tua mente e con tutta la tua forza.
Il secondo è questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. (Mc 12, 29-31)

Ma amare come?
Mettendosi in gioco interamente.
Lasciando risuonare e agire
la forza di quell’aggettivo «tutto»,
ribadito quattro volte.
Il tutto di cuore, mente, anima, forza.

Noi pensiamo che la santità consista
nella moderazione delle passioni.
Ma dov’è mai questa moderazione nella Bibbia?
L’unica misura dell’amore è amare senza misura.

Amerai con tutto, con tutto, con tutto…
Fare così è già guarigione dell’uomo,
ritrovare l’unità, la convergenza di tutte le facoltà,
la nostra pienezza felice:
«Ascolta, Israele. Questi sono i comandi del Signore…
perché tu sia felice» (Deuteronomio 6,1-3).

(Ermes Ronchi – XXXI Dom. – T. O. – Anno B)
https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/l-unica-misura-dell-amore-e-amare-senza-misura

 

La festa del Battesimo del Signore chiude il tempo di Natale e ce ne svela il senso profondo: oggi infatti la Parola ci invita a fissare il nostro sguardo sul Figlio non più bambino, ma ormai alle soglie della sua “vita pubblica”.

Il suo Battesimo in un certo senso apre la “porta” della vita di Gesù e mentre Lui esce per manifestare il motivo della sua venuta nella carne della nostra umanità, la sua missione, noi possiamo entrare nel “mistero” che egli è venuto a rivelare: “il cielo si aprì”, dice il Vangelo di oggi, cioè si inaugura un tempo di comunione nuova fra il cielo e la terra, fra Dio e gli uomini. Il Figlio prediletto è la porta aperta che ponendo in comunicazione cielo e terra, svela al medesimo tempo Dio all’uomo e l’uomo a se stesso.

La festa del Battesimo del Signore ci rivela fino a che punto Dio abbia assunto la nostra umanità e al tempo stesso ci mostra nel Figlio il modello della nostra umanità (la colletta di oggi ci invita a chiedere di “vivere come fedeli imitatori del tuo Figlio prediletto”): Egli è “disceso” abbracciando tutta la nostra umanità perché noi potessimo vivere la sua stessa vita, perché la Sua umanità potesse divenire anche la nostra!

L’incarnazione è un movimento in “discesa” dell’amore di Dio per “innalzare” l’amato, l’uomo, all’altezza della dignità di figlio di Dio. Questo è quello che è avvenuto nel nostro battesimo e che la festa odierna rinnova per ciascuno di noi.

Oggi vediamo che Gesù inizia il suo ministero pubblico con un gesto sconcertante. Il primo gesto del Messia atteso non è un miracolo, non è un discorso solenne, non è una gloriosa rivelazione, ma il battesimo di Giovanni, un gesto di conversione che Gesù condivide con tutti coloro che si recano al Giordano dal Battista. Si tratta di un gesto di condivisione totale della nostra umanità bisognosa di salvezza.

Sì, Gesù inizia il suo ministero in solidarietà piena con un’umanità peccatrice che cerca vie di conversione. E’ un gesto di umiliazione e di assunzione di tutto l’umano: l’evangelista Luca ci presenta Gesù che scende nelle acque del Giordano dopo tutto il popolo (“mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo…”) come l’ultimo dei peccatori, immerso nelle acque cariche dei peccati dell’umanità per assumere l’uomo in tutta la sua debolezza e “peccaminosità”.

Si tratta di un tema molto caro anche alla lettera agli Ebrei dove si sottolinea ampiamente la solidarietà del Figlio con l’umanità: “poiché i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo ne è divenuto partecipe per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere” (cfr. Eb 2,10-18). Gesù è il nostro fratello in umanità (cfr. Eb 2,11).

E’ molto bello che l’evangelista Luca non si soffermi tanto sul momento del battesimo di Gesù, ma su quello che lo segue: “stava in preghiera”. Il Figlio solidale con l’umanità peccatrice si pone in una relazione aperta con il Padre. La sua preghiera è il “cielo aperto” che subito dopo l’evangelista annuncia. E’ la possibilità di una relazione filiale di totale affidamento al Padre buono e misericordioso (cfr. Tt 3,4-7) aperta per ogni uomo peccatore.

E proprio mentre Gesù è in preghiera dopo il suo battesimo, il Padre lo riconosce come Figlio. Non prima, quando risuonavano canti di angeli alla sua nascita, ma proprio ora nel momento in cui il Figlio scende nelle acque di un’umanità ferita dal peccato. Qui il Padre lo “confessa” come il “Figlio amato”, come lo era Isacco per Abramo, il Figlio nel quale è racchiusa tutta la sua gioia, la sua compiacenza. Gesù è il Figlio proprio perché si è fatto un tutt’uno con l’uomo. Ed è il Figlio prediletto, il primogenito di una moltitudine di fratelli che Dio vuole chiamare figli (cfr. Rm 8,29).

Sì il battesimo di Gesù è preludio di un altro battesimo, quello della croce (cfr. Lc 12,50): qui la sua solidarietà si farà totale fino ad abbracciare la morte stessa, l’ultimo limite dell’uomo. E allora lì si aprirà definitivamente l’accesso al Padre per ogni uomo: “il velo del tempio si squarciò a metà” (cfr. Lc 23,46) e ogni uomo (fino all’ultimo malfattore di Lc 23,43) potrà entrare nel Regno, potrà sentire su di sé la voce del Padre che dice: “Tu sei il Figlio mio, l’amato”.

P.Ermes Ronchi

1 Giugno 2016

Messaggio della Madonna di Medjugorje

 

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I 10 SEGRETI DI MEDJUGORJE (di Padre Livio Fanzaga):

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VIDEO RELATIVI AI MESSAGGI DELLA MADONNA DI MEDJUGORJE

PLAYLIST RELATIVA A MEDJUGORJE (MESSAGGI E COMMENTI IN VIDEO)
https://www.youtube.com/playlist?list=PL_I8V9Z5YmOY_O1E9krjhlTo3O_k-L-6y

LE APPARIZIONI DELLA MADONNA A PORZUS – Nuova versione

6 luglio 2005

Il Catechismo della Chiesa Cattolica in mp3

IL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA IN AUDIO

5 Gennaio 2010

REPORT SUL 21° SECOLO

Attraverso un
fantascientifico viaggio nel tempo, l’autore del libro, Pier Angelo
Piai, desidera sensibilizzare il lettore a prendere coscienza del
nostro comune modo di pensare ed agire, noi del 21° secolo che ci
vantiamo di essere progrediti. In che cosa consiste, allora, la vera
evoluzione della specie umana?
Quando l’uomo potrà diventare davvero integrale?
Report
cerca di dare alcune risposte ai moltissimi interrogativi che emergono
in queste pagine scritte attraverso riflessioni e  considerazioni
sociologiche, antropologiche e filosofiche.

6 Luglio 2005

6 luglio 2005 Il Catechismo della Chiesa Cattolica in mp3

IL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA IN AUDIO
Catechesi e omelie di padre Lino Pedron