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Fb 22 gennaio 2023
Mt 4,12-23
Gente della strada (di p.Ermes Ronchi)

Il Battista è appena stato arrestato. Un fatto che, anziché rendere prudente Gesù, lo fa uscire allo scoperto, per dare il cambio a Giovanni. Lascia così famiglia, casa, lavoro, Nazaret per Cafarnao. Non porta niente con sé, solo un annuncio che riparte da là dove Giovanni si era fermato: convertitevi, il regno è vicino.
Convertitevi. Non è un «pentitevi», è l’invito a rovesciare la vita: cambiate logica, spostatevi, non vedete dove vi porta questa strada? Venite dove il cielo è più blu, il sole più caldo, le persone più sane, la vita più vera! Cambiate visione delle cose, cambiate direzione, la strada che vi hanno fatto imboccare porta tristezza e buio.
La conversione non è la causa ma l’effetto della mia «notte toccata dall’allegria della luce» (Maria Zambrano). Immaginavo la conversione come il luogo dove trovare Dio a ricompensa del mio impegno. Ma che buona notizia sarebbe un Dio che dà secondo le prestazioni? Il movimento è esattamente l’inverso: è lui che mi raggiunge, è lui che mi abita. Gratuitamente. Prima che io faccia qualsiasi cosa. Allora io cambio vita, e il modo di intendere le cose.
Gesù cammina lungo il mare di Galilea e guarda. Vede solo due coppie di fratelli, due barche, un lavoro? No, vede molto di più: in Simone bar Jona vede Kefa’, Pietro, la roccia; in Giovanni colui che ci folgorerà definendo Dio “amore”; Giacomo sarà il «figlio del tuono», abitato dalle sue vibrazioni e la sua potenza. Un giorno nell’adultera risveglierà la sposa, amante e fedele; e nel pauroso Nicodemo l’impavido che reclamerà da Pilato il corpo del giustiziato.
Lo sguardo di Gesù è profezia. Mi guarda, e vede in me un tesoro sepolto, nel mio inverno vede grano che matura e strade nel sole. Nei suoi occhi vedo per me la luce di orizzonti più grandi, una melodia che non udivo, fame di nascere. E mi dice: seguimi!
I quattro pescatori scoprono d’avere dentro non le rotte del lago o la strada di casa, ma la mappa del cielo, del mondo, del cuore dell’uomo. E’ la conversione. E seguono Gesù senza sapere dove, e neppure se lo chiedono: hanno scoperto le strade del mondo nel cuore di Dio, e tanto basta.
Gesù camminava per la Galilea, passava libero e regale fra le cose, e guariva la vita. Mostrando che “la nostra tristezza infinita si cura soltanto con un infinito amore” (Evangelii gaudium).
Allora ti seguirò, Gesù, perché ti lasci dietro nient’altro che luce. Come i tuoi quattro amici, lascio le barche e le piccole reti per qualcosa di più grande. Mi prenderò cura di chi cerca e soffre ed è solo; e poi più di ogni cosa custodirò il mio cuore, anche le sue parti fragili e malate, perché “da esso scaturisce la vita” (Pro 4,23).

 

Avvenire III domenica A

Tace la voce potente del deserto, ma si alza una voce libera sul lago di Galilea. Esce allo scoperto, senza paura, un imprudente giovane rabbi, e va ad affrontare, solo, problemi di frontiera, di vita e di morte, nella meticcia Galilea, crogiolo delle genti. A Cafarnao, sulla via del mare: una delle strade più battute da mercanti ed eserciti, zona di contagio, di contaminazioni culturali e religiose, e Gesù la sceglie. Non è il monte Sion degli eletti, ma Cafarnao che accoglie tutti. C’è confusione sulla Via Maris, e insieme ombra, dice il profeta, come la nostra esistenza spesso confusa, come il cuore che ha spesso un’ombra…, e Gesù li sceglie.
Cominciò a predicare e a dire: convertitevi perché il regno dei cieli è vicino. Sono le parole sorgive, il messaggio generativo del vangelo: Dio è venuto, è all’opera, qui tra le colline e il lago, per le strade di Cafarnao, di Magdala, di Betsaida. E fa fiorire la vita in tutte le sue forme. Lo guardi, e ti sorprendi a credere che la felicità è possibile, è vicina.
Gesù non darà una definizione del Regno, dirà invece che questo mondo porta un altro mondo nel grembo; questa vita ha Dio dentro, una luce dentro, una forza che penetra la trama segreta della storia, che circola nelle cose, che le spinge verso l’alto, come seme, come lievito.
Allora: convertitevi! Cioè: celebriamo il bello che ci muove, che ci muove dal di dentro. Giratevi verso la luce, perché la luce è già qui. Non una ingiunzione, ma una offerta: sulla via che vi mostro il cielo è più azzurro, il sole più bello, la strada più leggera e più libera, e cammineremo insieme di volto in volto. La conversione è appunto l’effetto della mia «notte toccata dall’allegria della luce» (Maria Zambrano).
Gesù cammina, ma non da solo. Ama le strade e il gruppo, e subito chiama ad andare con lui. Che cosa mancava ai quattro pescatori per convincerli a mollare barche e reti e a rischiare di perdere il cuore dietro a quel giovane rabbi? Avevano il lavoro, anzi una piccola azienda di pesca, una casa, la famiglia, la sinagoga, la salute, la fede, tutto il necessario per vivere, eppure mancava qualcosa. E non era un codice morale migliore, dottrine più profonde o pensieri più acuti. A loro mancava un sogno. Gesù è venuto per la manutenzione dei sogni dell’umanità, per sintonizzarli con la salute del vivere.
I pescatori sapevano a memoria le migrazioni dei pesci, le rotte del lago. Gesù offre la mappa del mondo e del cuore, cento fratelli, il cromosoma divino nel nostro DNA, una vita indistruttibile e felice. Gli ribalta il mondo: “sapete che c’è? non c’è più da pescare pesci, c’è da toccare il cuore della gente”. C’è da aggiungere vita.

 

Gesù rilancia l’Isaia della prima lettura, riprende l’esultanza del suo verbo centrale: hai moltiplicato la vita. Gesù è, nella vita dei quattro, donatore di vita.

Che cosa si fa subito? Ciò che piace, ciò che è bello, ciò che attrae, ciò che prende.
Gesù sta proponendo una cosa bella. Non una rinuncia, ma una fioritura di vita, una addizione di vita.
Lasciano subito le reti, non le riprendono nemmeno, le lasciano in acqua; come gli altri due che lasciano la piccola azienda, il padre, i garzoni, le barche, una vita sicura. Perché lo seguono?
Perché Cristo ha cose belle da dire.
La Parola ci mette in movimento perché ci dice qualcosa di bello, non perché ci fustiga, non perché ci da i voti come una maestra, ma perché ci tira fuori dalle nostre piccole prospettive, fuori dal laghetto, dal cortile di casa, per portarci a un’opera bella, grande, luminosa, che abbraccia il mondo.

 

III domenica dell’anno, d’ora in poi: Domenica della Parola.
La comunità ha deciso di celebrarla mettendo le bibbie a disposizione di tutti, sui banchi.
La Parola di Dio ci è posta fra le mani. Perché familiarizziamo con questo libro, che è la nostra sorgente. Più si ritorna alle fonti, più si è nuovi, creativi, liberi, perfino rivoluzionari.
Mi viene in mente lo scrittore biblico Neemia, quando racconta del ritorno dall’esilio, terribile momento, senza casa, senza il campo da coltivare per sfamarsi, senza il tempio per essere popolo ancora…da dove ripartire?
Tutto il popolo è radunato, come fosse un sol uomo, in piazza, un giorno di intero di preghiera e di ascolto della Parola ritrovata, fino a scoppiare in lacrime di commozione. Ecco il punto di partenza. Mettersi n ascolto.
Vorrei dirlo con una battuta, riprendendo il titolo di una trasmissione TV: C’è posta per te. Apri quel libro, sfoglia, leggi: dentro c’è posta per te.
Qualcuno si rivolge proprio a te.
Oggi nelle letture è perfetto il passaggio tra A.T. e N.T. , a indicare quasi visivamente l’unità dei 73 libri della bibbia, un arcobaleno storico, un arco voltaico che congiunge la profezia di Isaia e Gesù, compimento del sogno di Dio.

La bella notizia non è “convertitevi”, cioè “cambiate direzione”; la parola nuova e potente sta in quel piccolo vocabolo “è vicino”: il regno è vicino, e non lontano; il cielo è vicino e non perduto in lontananze siderali; Dio è vicino e non smarrito nell’alto dei suoi cieli.
La traduzione esatta sarebbe: il regno è venuto vicino, è quel sogno che viene incontro, che adesso cammina sulla via del mare che pullula di vita. C’è polline divino nel vento del mondo, là dove c’è umanità, tanta umanità, come a Cafarnao.
Dio viene, forza di vicinanza dei cuori, “forza di coesione degli atomi, forza di attrazione delle costellazioni” (Turoldo). Cos’è questa passione di vicinanza che corre nel mondo? Che brucia lontananze? Amore, in tutta la potenza e varietà del suo fuoco.
“L’amore è passione di unirsi all’amato” (Tommaso d’Aquino), passione di comunione, di Dio con l’umanità lungo la Via del Mare, di Adamo con Eva sulla via dei corpi, il luogo dove è detto il cuore; le vie della madre con il figlio, dell’amico con l’amico, delle stelle con altre stelle.
.

Ma tutto questo può restare un discorso astratto, e allora il vangelo racconta una storia concreta, la chiamata dei primi discepoli.
Dove si racconta di qualcuno che fa un salto fuori dall’ombra, esce da una vita in ombra: da una vita che è lavorare, mangiare, dormire, e poi ancora lavorare mangiare, dormire… e un giorno morire. Tutto qua? Tutto questo il futuro?
Riascoltiamo il vangelo: mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli che gettavano le reti in mare. Gesù li vede mentre iniziano il loro lavoro, li chiama, e gli cambia la prospettiva, li chiama ad osare, ad essere un po’ folli, come lui.
Sapete che facciamo, che non c’è più da pescare pesci, c’è da toccare il cuore della gente. C’è da salvare e illuminare vite. Volete farlo con me?
E loro lo fanno subito. Notate: subito!
Perché lo fanno? Perché sono degli eroi? Uomini pieni di coraggio e insieme di incoscienza? Io allora non ce la farò mai, non ha questi slanci eroici.
Domandiamoci: che cosa si fa subito?
Immaginate: state facendo un lavoro, chiedete l’aiuto di un figliolo che sta nella sua stanza, di un marito davanti alla tv, e gli dite: dai, vieni c’è questo e quest’altro da fare. E in risposta sentite: E aspetta, dai, ancora un momento…
Se invece gli dici: c’è qui un tuo amico, è già lì.
Non possiamo pensare di consegnare agli uomini una parola che è un richiamo morale. Per pescare gli uomini dobbiamo consegnare non una Parola che suona come un richiamo morale, ma la bellezza che conosciamo, la libertà che conosciamo, la luce bella che conosciamo, il regno…
Il vangelo non è una morale ma una sconvolgente liberazione.
Celebriamo il bello che ci muove, che ci muove dal di dentro.
Ci conceda il Signore di godere oggi e di celebrare la sua Parola,
che illumina, libera, sorride,
che mette tanta voglia di vivere e tanta voglia di bellezza.
Questo è ciò che ci vuole dare il Regno:
voglia di vivere, voglia di bellezza.
Passa per tutta la Galilea uno che è il guaritore dell’uomo.
Passa uno che sa reincantare la vita.
E dietro gli vanno uomini e donne senza doti particolari,
e dietro oggi gli andiamo anche noi,
affascinati da qualcosa che lui solo ha
e nessun altro sa dare.

Pescatore di uomini, di Helder Camara.

Per amore di Dio rispondetemi:
Dove sono i bambini
per raccontarmi i loro giochi,
i poeti
per raccontarmi i loro sogni
i pazzi
per raccontarmi i loro deliri,
i malati
per raccontarmi le loro sofferenze,
e i felici e gli infelici
i santi e peccatori
i bambini e i vecchi
i morti e i vivi
i credenti e gli increduli
gli uomini e gli angeli
gli animali e le piante
le creature tutte
di tutti i mondi?
Povero me
se salissi da solo
all’altare di Dio!…

Dom Helder Camara, da “Mille ragioni per vivere”

Abbiamo un debito di memoria e di gratitudine verso fra Germano,
lo ricordiamo, oggi, insieme a voi, a sette giorni dalla morte.

A te, Germano,
ultimo di quella splendida razza evangelica
Dei cercatori, dei mendicanti per amore
Dalle tue mani ho ricevuto pane.
Grazie.
Dai tuoi occhi ho ricevuto luce.
Grazie.
Noi preghiamo per te Germano, fratello caro,
cuore libero e occhi di luce,
ma tu prega per noi, perché conquistiamo
il tuo cuore bambino e grande
il tuo sguardo gioioso sulla vita,
la tua carità instancabile.
Perché le cose che per te furono vere e grandi
Siano vere e grandi anche per noi,
che continuiamo più poveri e più soli il nostro cammino.
Arrivederci, fratello amato, amico della vita,
sulle vie del cielo.
Mandi.

 

 

 

Fb 4 dicembre – II di Avvento
Mt 3,1-12

Nella casa del fuoco (di p. Ermes Ronchi)

Due voci nel deserto di Giuda: Giovanni e la fede a caro prezzo, Isaia e la poesia di un mondo incantato; Giovanni e l’impegno necessario, Isaia e il dono immeritato. Come i due profeti, ogni cristiano vive di grazia e di impegno, di realtà e di poesia.
Con le sue immagini irruenti Giovanni non vuole lanciare minacce sulla nostra fatica di credere, né seminare paure. Il profeta sa bene che la paura non libera dal male, lo capirà bene, rinchiuso a Macheronte; sa che non sarà la paura a fare del leone un mangiatore di erba, a edificare la casa comune per il lupo e per l’agnello. È altra la forza che cambia il cuore, mai la paura.
Il vangelo tratta di tre annunci in uno e, tra tutte, la parola più calda di speranza è l’aggettivo «vicino». Dio è vicino, è qui; la prima buona notizia è che il Pellegrino eterno ha camminato, ha consumato il suo Esodo e ora è vicinissimo a te.
Dio è accanto, si stringe a tutto ciò che vive, rete che raccoglie insieme il lupo e l’agnello, il leone e il bue, il bambino e il serpente (parola di Isaia); ucraino e russo, arabo ed ebreo, musulmano e cristiano, per una nuova architettura dei rapporti umani. Il regno dei cieli è la terra come Dio la sogna. Non si è ancora realizzata? Non importa, il sogno di Dio è più vero della realtà, la contesta e la attraversa, forza che fa partire.
Convertitevi, ossia osate la vita, mettetela in cammino, e non per eseguire un comando, ma per una bellezza, per una seduzione. Ciò che converte il freddo in calore non è un ordine, ma la vicinanza del fuoco: stare vicino a me è stare vicino al fuoco (Vangelo apocrifo di Tommaso). Ciò che toglie le ombre dal cuore non è un divieto, ma una lampada che si accende, un raggio, una stella, uno sguardo. Convertitevi: giratevi verso la luce, perché la luce è già qui.
E noi, noi che proclamiamo la pace, in realtà la cerchiamo per amore della pace o per paura della guerra?
Solo là dove sono le mie radici, dov’è il mio fuoco, là dove io decido, dove la vita è più vita, viene il Signore. Egli non è solo l’ultima risorsa quando non ho più risorse. Viene nella bellezza, nella passione d’amore, nella fedeltà al dovere, nel coraggio di sperare, quando accetto la sproporzione tra ciò che mi è promesso (il lupo e l’agnello che dimorano insieme) e ciò che tengo tra le mani.
Convertitevi, dice l’ultimo profeta, Giovanni. E fa appello non alla forza di volontà, ma alla nostra capacità di ascoltare l’altro profeta, il seminatore di sogni, Isaia. Ma soprattutto fa appello al venire di Cristo. Non si torna indenni dall’incontro con il Signore, che è vento, luce, falce nei prati, radice, spirito, fuoco, grazia a caro prezzo, conversione. Davvero impossibile amarlo impunemente (Turoldo), senza pagarne il prezzo in moneta di vita. Non si torna indenni dall’incontro col fuoco.

 

Avvenire II di Avvento A

Nel deserto della Giudea e sulle rive attorno al lago di Galilea, per Giovanni e per Gesù le parole generative sono le stesse : “convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino” (Mt 3,2).
Tre annunci in uno:
• esiste un regno, cieli nuovi e terra nuova, un mondo nuovo che preme per venire alla luce..
• Un regno incamminato. I due profeti non dicono cos’è il Regno, ma dove è. Lo fanno con una parola calda di speranza “vicino”. Dio è vicino, è qui. Seconda buona notizia: il Pellegrino eterno ha camminato molto, il suo esodo approda qui, alla radice del vivere, non ai margini della vita, si fa intimo come un pane nella bocca, una parola detta sul cuore portata dal respiro: infatti “vi battezzerà nello Spirito Santo”, vi immergerà dentro il soffio e il mare di Dio, sarete avvolti, intrisi, impregnati della vita stessa di Dio, in ogni vostra fibra.
c) Convertitevi, ossia mettetela in cammino la vostra vita, non per una imposizione da fuori ma per una seduzione. La vita non cambia per decreto-legge, ma per una bellezza almeno intravista: sulla strada che io percorro, il cielo è più vicino e più azzurro, la terra più dolce di frutti, ci sono più sorrisi e occhi con luce.
Convertitevi: giratevi verso la luce, perché la luce è già qui. Infatti Viene uno che è più grande di me. I due profeti usano lo stesso verbo e sempre al tempo presente: «Dio viene». Non: verrà, un giorno; oppure sta per venire, sarà qui tra poco. E ci sarebbe bastato. Semplice, diretto, sicuro: viene. Come un seme che diventa albero, come la linea mattinale della luce, che sembra minoritaria ma è vincente, piccola breccia, piccolo buco bianco che ingoia il nero della notte.
Giorno per giorno, continuamente, Dio viene. Anche se non lo vedi, viene; anche se non ti accorgi di lui, è in cammino su tutte le strade. È bello questo mondo immaginato colmo di orme di Dio.
Isaia, il sognatore, annuncia che Dio non sta non solo nell’intimo, in un’esperienza soggettiva, ma si è insediato al centro della vita, come un re sul trono, al centro delle relazioni e delle connessioni tra i viventi, rete che raccoglie insieme, in armonia, il lupo e l’agnello, il leone e il bue, il bambino e il serpente, uomo e donna, arabo ed ebreo, mussulmano e cristiano, bianco e nero, russo e ucraino, per il fiorire della vita in tutte le sue forme.
Dio viene. Io credo nella buona notizia di Isaia, Giovanni, Gesù. Lo credo non per un facile ottimismo. Il cristiano non è ottimista, ha speranza. L’ottimista tra due ipotesi sceglie quella più positiva o probabile. Io scelgo il Regno per un atto di fede: perché Dio si è impegnato con noi, in questa storia, ha le mani impigliate nel folto di questa vita, con un intreccio così scandaloso con la nostra carne da arrivare fino al legno di una mangiatoia e di una croce.

 

 

 

III di Avvento B

Gv 1,6-8/19-28

AL DI LA’ DEL CONFINE

(di p. Ermes Ronchi)

Tu, chi sei? Chiedono a Giovanni. “Io sono voce”, trasparenza di qualcosa che viene da oltre, eco di parole che vengono da prima, che andranno dopo di me. La mia voce grida, ma la parola non è mia.

Giovanni ha trovato la sua identità, ma in un Altro.

Che cosa dici di te stesso? E ogni maschera crolla: io non sono ciò che gli altri credono di me, io non sono il mio ruolo, e nemmeno i miei errori. Non sono ciò che appaio, il mio segreto è addirittura oltre me.

Giovanni ci fa strada nell’Avvento perché ci rivela chi siamo, ci rivela che vale più accendere una lampada che maledire mille volte la notte, e che c’è ovunque un avvio di luce.

Come lui anch’io sono grido, bisogno, fame. Ma quando un sacerdote parla, passiamo oltre le sue parole, lui è solo una eco. Dire “io sono voce”, equivale a dire “sono persona”, sono l’uomo dalle albe così dense di tenebra che però guarda alla luce del Dio di Isaia, che copre col suo manto, che scalda i cuori affranti, che va in cerca dei prigionieri per rimetterli su strade dritte, nel sole.

Io sono profeta per il fatto stesso che vivo, lo è ogni vivente. Con tutte le realtà che sbaglio e non capisco, con tutto il mio bagaglio umano, nonostante me, io e te possiamo testimoniare che esiste un presagio di bene e bellezza, da sempre più antico, più profondo, più originale di ogni male. Il mondo non è nato su di un moralismo, giudicante e sterile, ma sulla primogenitura del bene; nella Bibbia in principio Dio grida: “sia la luce!”

Giovanni, il figlio del sacerdote, lascia tempio e ruolo e torna alla frontiera del Giordano e al deserto, là dove tutto ha avuto inizio. Da quel confine, alle tre domande, egli annulla se stesso, e per tre volte risponde: io non sono.

Per dire chi siamo, per definirci, noi siamo soliti elencare informazioni, titoli di studio, ruoli e realizzazioni. Giovanni il Battista sceglie di fare esattamente il contrario, con risposte sapienti, infinite, straordinarie; risposte che sconfinano al di là delle convenzioni, che scavalcano comodi schemi e lo definiscono solo per sottrazione: io non sono il Cristo, nemmeno i suoi sandali riesco a toccare, non sono Elia, non sono…

Egli lascia cadere ad una ad una identità prestigiose ma fittizie, per tornare al nucleo ardente della propria vita. Ciò che qualifica ogni persona è quella parte di divino che sfronda apparenze e illusioni, sfida maschere e paure della propria vecchia identità.

Poco importa ciò che ho accumulato, conta quello che ho lasciato per tornare all’essenziale, uno con Dio, lungo la sua strada dritta.

Io desidero una voce che mi dica, nel deserto dei rumori, chi sono veramente.

Guardo Giovanni e capisco che solo Dio ha la risposta, ed è stupenda: Voi siete luce! Luce del mondo. Dopo il profeta del Giordano  è più bello per tutti, essere uomini. Uomini in piedi.

 

Avvenire III AVVENTO 2020

Venne Giovanni mandato da Dio, venne come testimone, per rendere testimonianza alla luce. A una cosa sola: alla luce, all’amica luce che per ore e ore accarezza le cose, e non si stanca. Non quella infinita, lontana luce che abita nei cieli dei cieli, ma quella ordinaria, luce di terra, che illumina ogni uomo e ogni storia.

Giovanni è il “martire” della luce, testimone che l’avvicinarsi di Dio trasfigura, è come una manciata di luce gettata in faccia al mondo, non per abbagliare, ma per risvegliare le forme, i colori  e la bellezza delle cose, per allargare l’orizzonte.

Testimone che la pietra angolare su cui poggia la storia non è il peccato ma la grazia, non il fango ma un raggio di sole, che non cede mai.

Ad ogni credente è affidata la stessa profezia del Battista: annunciare non il degrado, lo sfascio, il marcio che ci minaccia, ma occhi che vedono Dio camminare in mezzo a noi, sandali da pellegrino e cuore di luce: in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete.

Sacerdoti e leviti sono scesi da Gerusalemme al Giordano, una commissione d’inchiesta istituzionale, venuta non per capire ma per  coglierlo in fallo: Tu chi credi di essere? Elia? Il profeta che tutti aspettano? Chi sei? Perché battezzi? Sei domande sempre più incalzanti. Ad esse Giovanni risponde “no”, per tre volte, lo fa con risposte sempre più brevi: anziché replicare “io sono” preferisce dire “io non sono”. Si toglie di dosso immagini gratificanti, prestigiose, che forse sono perfino pronti a riconoscergli.

Locuste, miele selvatico, una pelle di cammello, quell’uomo roccioso e selvatico, di poche parole, non vanta nessun merito, è l’esatto contrario di un pallone gonfiato, come capita così di frequente sulle nostre scene. Risponde non per addizione di meriti, titoli, competenze, ma per sottrazione: e ci indica così il cammino verso l’essenziale. Non si è profeti per accumulo, ma per spoliazione.

Io sono voce, parlo parole non mie, che vengono da prima di me, che vanno oltre me. Testimone di un altro sole. La mia identità sta dalle parti di Dio, dalle parti delle mie sorgenti. Se Dio non è, io non sono, vivo di ogni parola che esce dalla sua bocca.

La voce rigorosa del profeta ci denuda: Io non sono il mio ruolo o la mia immagine. Non sono ciò che gli altri dicono di me. Ciò che mi fa umano è il divino in me; lo specifico dell’umanità è la divinità. La vita viene da un Altro, scorre nella persona, come acqua nel letto di un ruscello. Io non sono quell’acqua, ma senza di essa io non sono più.

«Chi sei tu?» Io cerco l’elemosina di una voce che mi dica chi sono veramente. Un giorno Gesù darà la risposta, e sarà la più bella: Voi siete luce! Luce del mondo.

 

 

 

II DOMENICA – Anno A Gv 1,29-34

 

(p. Ermes Ronchi)

 

Vieni, Signore, come una carezza di luce sugli occhi

affinché penetrino l’orizzonte scuro e ti vedano venire.

Vieni Signore

– e liberaci dal male

Vieni, Signore, come un bacio sulla fronte

che scuota i miei pensieri, dal profondo.

Vieni Signore

– e liberaci dal male

Vieni Signore, come abbraccio lungo e caldo

che consumi il freddo e la solitudine.

Vieni Signore,

– e liberaci dal male

 

 

OMELIA

Ecco l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo!

Ecco l’agnellino… avete mai preso in braccio un agnellino? Che trema, appena nato? Esperienza bellissima. È commovente come si affida a te, così piccolo che ha ancora bisogno della madre e del pastore.

Ecco un Dio che non viene come il Leone o l’Aquila, ma come agnello; che non si impone, chiede di essere preso in braccio; che non può, non vuole far paura a nessuno.

Se hai paura, non è Dio.

Ecco l’agnello, uno dei piccoli del gregge, che riempivano di belati e di sangue il cortile del tempio.

Tanto sangue, e il sacerdote, coltello in mano, ne spruzzava qualche goccia su chi aveva portato l’animale, dicendo: per il perdono dei tuoi peccati.

L’agnello era il perno del sistema dei sacrifici di cui viveva, e bene, la casta sacerdotale al potere.

Chi è il mandante dell’uccisione dell’agnello di Dio, di Gesù? Chi è il mandante dell’omicidio?

Forse il Dio che sta nei cieli? Che ha deciso di non perdonare i peccati, ma di farli pagare e scontare fino all’ultimo centesimo?

Tristissima idea di Dio! Brutta immagine, immorale!

Come posso pensare che il rapporto con Dio sia baratto o mercato? L’uomo ha un debito con il Padrone del mondo, non ce la fa a pagarlo, e allora il Grande Contabile del cosmo se lo fa pagare in moneta di sangue, addirittura dal Figlio.

Per non uccidere tutti i figli, ne fa uccidere uno, come a una decimazione, di triste memoria…

Ma questo sarebbe fare strame della misericordia di Dio, fare mercimonio del suo amore.

Amore mercenario, che si paga, che si compra è negazione d’amore.

Il sommo sacerdote Caifa l’aveva detto ai suo: è meglio che uno solo muoia invece di tutto il popolo (Gv 18,14), come se fossimo in guerra, con un nemico più forte di te, poco importa che sia l’impero di Roma o il Dio del cielo. Dipingono un Dio nemico dell’uomo, da placare con sacrifici che non bastano mai. Che succhia energie preghiere riti paure, come una sorta di insaziabile sanguisuga celeste.

Tutto questo non è vangelo.

 

Gesù non è venuto a portare il perdono dei peccati, troppo poco (anche un uomo sa perdonare, non occorreva che Dio si incarnasse a Natale, non occorreva la croce per questo…);

è venuto a portare molto di più: è venuto a portare se stesso, la sua vita dentro la vita dell’uomo, il cuore dentro il cuore, respiro dentro il respiro, per sempre.

Dio ha guardato l’umanità e l’ha trovata smarrita, malata, sperduta: eravamo come agnellini in mezzo ai lupi.

E non l’ha più sopportato. E allora è venuto a cambiare la storia; invece di portare un giudizio di disgrazia, ha portato grazia e liberazione: uno che toglie il peccato: il santo tra i peccatori,

il puro tra gli impuri, il medico tra i malati, l’agnello fra i lupi,

il primo fra gli ultimi della fila, il cielo mescolato alla terra.

Nella disgrazia è possibile trovare grazia.

Ecco l’agnello, ecco l’amore di Dio mescolato a me, la grazia mischiata qui con noi, per togliere via il peccato del mondo.

Il peccato, al singolare, non i mille gesti sbagliati con cui continuamente laceriamo il tessuto di comunione del mondo, sfilacciamo la bellezza delle persone. Ma il peccato profondo,

la radice malata che inquina tutto.

In una parola: il disamore.

Che è indifferenza, violenza, menzogna, rifiuti, fratture, vite spente, amori criminali…

Gesù viene come il guaritore del disamore (cfr W. Fasser).

E lo fa non con minacce e castighi,

non da leone o da aquila, ma da agnello,

con quella che papa Francesco chiama “la rivoluzione della tenerezza”.

Ecco l’agnello, inerme e più forte di tutti gli Erodi della terra.

Una sfida a viso aperto alla violenza e alla sua logica,

guerra al disamore, che è la globalizzazione dell’indifferenza.

quando l’altro non conta, non mi interessa, non c’è, non me ne importa niente

Questa è la matrice, il grembo che partorisce tutto il male del mondo.

E Gesù a portare a seminare e curare e custodire la globalizzazione dell’attenzione, della cura verso ogni più piccolo figlio della terra.

Il mondo ci prova, ma non riesce,

la terra ha tentato, ma non ce la fa a fiorire secondo il sogno di Dio,

gli uomini non ce la fanno a vivere una vita buona e bella.

Allora Gesù viene come agnello:

porta la rivoluzione della tenerezza.

E lo fa mettendosi contro una terribile, terribilmente sbagliata idea di Dio. Sulla quale prosperava l’istituzione religiosa al potere. Gesù tocca le radici del potere, le taglia, le strappa, le capovolge, capovolge quell’asse che metteva in cima a tutto un Dio dal potere assoluto, compreso quello di volere la tua morte; e sotto di lui uomini di potere, che applicavano a loro volta questo potere ritenuto divino su altri uomini, più deboli, in una scala infinita, giù fino all’ultimo gradino.

L’agnello è un ‘no!’ gridato al ‘così stanno le cose’;

un ‘no!’ gridato forte in faccia al nostro ‘ così va il mondo‘,

dove ha ragione sempre il più forte…

Gesù è il racconto della tenerezza di Dio, porta la rivoluzione della tenerezza, a partire dagli ultimi, dai poveri, dai bambini, dalle donne, dai miti, dai costruttori di pace, da quelli che hanno il cuore puro.

E allora il potere, il disamore diventato potere, non l’ha più sopportato. E ha tolto di mezzo la voce pura, il sogno di Dio.

 

Ecco l’agnello che toglie il disamore.

Giovanni usa il verbo al tempo presente: che toglie il peccato,

non un verbo al futuro, nell’attesa che un giorno accada;

non un verbo al passato, come per una impresa finita,

ma al presente: Ecco Colui che instancabilmente, infallibilmente, infaticabilmente, giorno per giorno, continua a togliere via, a raschiare via, a portare via, adesso ancora, il male dell’uomo.

Cristo è all’opera, lavora adesso in me, dentro i miei sbagli, dentro le mie ferite. E in che modo?

Nello stesso modo in cui opera nella creazione.

Per vincere il buio della notte Dio incomincia a soffiare la luce del giorno;

per vincere il gelo accende il suo sole,

per vincere la steppa semina milioni di semi;

per vincere la zizzania del campo si prende cura della spiga;

per demolire la menzogna Lui passa libero, disarmato, amorevole fra le creature. E ci chiede di passare liberi, disarmati, amorevoli fra le persone. Come lui.

Noi siamo inviati al mondo come breccia, fessura, feritoia di una rivoluzione, quella della tenerezza e della bellezza di Dio, più forte della violenza e della morte.

Il nostro compito è provarci. Il resto non ci compete.

Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi…ma non per farvi sbranare. I lupi sono più numerosi, ma non sono più forti. Non vinceranno perché con noi c’è il pastore bello, il pastore grande, che ha vinto il mondo.

 

Vorrei sottrarmi, ma il mio compito è provarci,

con tante cadute e infinite riprese.

Mi basterebbe riuscire a indicare, di tanto in tanto,

una direzione, un pertugio, una fessura

da cui traspaia un barlume della bellezza e della tenerezza di Dio,

le due sole forze cose che salveranno,

che salvano, adesso, il mondo.

 

 

 

 

 

 

 

Battesimo del Signore – Anno C
Il cielo si apre. Siamo tutti figli di Dio nel Figlio
Vangelo – Luca 3, 15-16.21-22
In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco». Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il Battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».

«Viene dopo di me colui che è più forte di me”. In che cosa consiste la forza di Gesù? Lui è il più forte perché parla al cuore. Tutte le altre sono voci che vengono da fuori, la sua è l’unica che suona in mezzo all’anima. E parla parole di vita.
«Lui vi battezzerà…» La sua forza è battezzare, che significa immergere l’uomo nell’oceano dell’Assoluto, e che sia imbevuto di Dio, intriso del suo respiro, e diventi figlio: a quanti l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio (Gv 1,12). La sua è una forza generatrice («sono venuto perché abbiano la vita in pienezza», Gv 10,10), forza liberante e creativa, come un vento che gonfia le vele, un fuoco che dona un calore impensato.
«Vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco». Il respiro vitale e il fuoco di Dio entrano dentro di me, a poco a poco mi modellano, trasformano pensieri, affetti, progetti, speranze, secondo la legge dolce, esigente e rasserenante del vero amore. E poi mi incalzano a passare nel mondo portando a mia volta vento e fuoco, portando libertà e calore, energia e luce. Gesù stava in preghiera ed ecco, il cielo si aprì. La bellezza di questo particolare: il cielo che si apre. La bellezza della speranza! E noi che pensiamo e agiamo come se i cieli si fossero rinchiusi di nuovo sulla nostra terra. Ma i cieli sono aperti, e possiamo comunicare con Dio: alzi gli occhi e puoi ascoltare, parli e sei ascoltato.
E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento». La voce annuncia tre cose, dette per Gesù e per ciascuno di noi: “Figlio” è la prima parola: Dio è forza di generazione, che come ogni seme genera secondo la propria specie. Siamo tutti figli di Dio nel Figlio, frammenti di Dio nel mondo, specie della sua specie, abbiamo Dio nel sangue e nel respiro.
“Amato” è la seconda parola. Prima che tu agisca, prima di ogni merito, che tu lo sappia o no, ogni giorno ad ogni risveglio, il tuo nome per Dio è “amato”. Immeritato amore, incondizionato, unilaterale, asimmetrico. Amore che anticipa e che prescinde da tutto.
“Mio compiacimento” è la terza parola. Che nella sua radice contiene l’idea di una gioia, un piacere che Dio riceve dai suoi figli. Come se dicesse a ognuno: figlio mio, ti guardo e sono felice.
Se ogni mattina potessi immaginare di nuovo questa scena: il cielo che si apre sopra di me come un abbraccio, un soffio di vita e un calore che mi raggiungono, il Padre che mi dice con tenerezza e forza: figlio, amore mio, mia gioia, sarei molto più sereno, sarei sicuro che la mia vita è al sicuro nelle sue mani, mi sentirei davvero figlio prezioso, che vive della stessa vita indistruttibile e generante.

(Letture: Isaia 40,1-5.9-11; Salmo 103; Tito 2,11-14;3,4-7; Luca 3, 15-16.21-22).

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TERZA DOMENICA DI AVVENTO – Anno “C”

Sof 3, 14-18 – Fil 4, 4-7 – Lc 3, 10-18

 

Omelia

Riascoltiamo l’ultimo, straordinario, versetto del piccolo profeta Sofonia, nella prima Lettura, che riporta tre azioni di Dio: esulterà di gioia per te, ti rinnoverà con il suo amore, si rallegrerà per te con grida di gioia come nei giorni di festa. Ecco finalmente un Dio felice!

Ogni tre anni, solamente, ritornano queste parole magnifiche e ogni volta provo la stessa emozione:

Dio esulta per te! Esultare è il verbo del corpo rapito nella danza. Nelle parole del profeta, Dio danza di gioia attorno alle sue creature, come Davide davanti all’Arca, come Giovanni nel grembo di Elisabetta, davanti a Maria. Dio danza attorno a te.

E poi: si rallegrerà per te con grida di gioia!

Sofonia intuisce un Dio commosso per la gioia che l’uomo gli dà, che tu gli dai. Racconta un Dio felice, il cui grido di festa percuote gli abissi del cosmo e le pareti strette del cuore.

Mai Dio aveva gridato nella Bibbia. Aveva parlato, sussurrato, era venuto in visioni e sogni; solo qui, solo per amore, la parola si moltiplica in grido. Non per minaccia, solo per amore Dio grida. Un Dio che non lancia avvertimenti, non si lamenta di noi, non rimprovera, come troppo spesso si è predicato o certe apparizioni…; neppure si accontenta di perdonare, e ci sarebbe bastato, fa molto di più, grida a me: tu mi fai felice! Tu uomo, tu donna, sei la mia gioia, la mia festa.

E la terza espressione grande: Ti rinnoverà con il suo amore. L’amore rinnova la vita, l’amore rende giovane il cuore, fa ripartire la vita da là dove si era fermata. Dio semina risurrezioni, da avvio a processi, inizia percorsi. La vita diventa forte e nuova quando si sente amata.

Nessuno prima del piccolo Sofonia aveva intuito la danza dei cieli, nessuno aveva messo in bocca a Dio parole così audaci: tu sei la mia gioia.

Proprio io? Io che pensavo di essere una palla al piede per il Regno di Dio, un freno tirato. Invece il Signore è un Dio felice che chiede a me di essere felice con lui.

 

Segue un vangelo con i piedi per terra, che ci riporta diritto dentro il quotidiano, dopo i voli sul venire di Dio per monti e burroni.

Giovanni: un profeta duro, respingente quasi, che non te le manda a dire.

Va da lui gente che non va al tempio e gli rivolgono tre domande concrete su cosa fare, su come agire. Domande importanti perché il modo con cui trattiamo gli uomini raggiunge Dio, il modo con cui parliamo a Dio raggiunge gli uomini.

Simone Weil scrive “non è da come uno mi parla di Dio, ma da come mi parla della vita che io capisco se una persona ha soggiornato in Dio”.

Non puoi cantare in chiesa gli inni sacri e poi disinteressarti della sorte dell’uomo. Non puoi pregare e non seminare, sulle macerie della storia, sulle asperità e sulle bellezze del vivere, i germi di un infinito amore.

Giovanni risponde con tre leggi per l’agire umano. Semplici, fattibili.

La prima regola: chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto. Una regola d’oro, che da sola basterebbe a cambiare il mondo. Sulla terra c’è tanto pane che a condividerlo basterebbe per tutti.

Prima legge: prenditi cura di qualcuno.

Una regola che sostituisce l’economia dell’accumulo con l’economia del dono, lo shopping con la condivisione. Una nuova legge di mercato, che si riassume così: ciò che io ho, / e tu non hai, / lo condivido con te.

“La conversione passa per le tasche” (Papa Francesco).

Giovanni è esperto di un’economia liberante: ci aiuta a liberarci dai tranelli del consumismo, a scrollarci di dosso tutti quell’alluvione di messaggi che ci vogliono convincere che la nostra felicità è legata al conto in banca, al nuovo modello di cellulare, di auto, di felpa, a una casa più grande e meglio arredata. Ad andare a fare la fila al Nuovo Tosano…Se non hai cose, non vali!

No, un uomo vale quanto vale il suo cuore, diceva Gandhi.

Ripeterselo tutti i giorni: Io non sono le cose che ho.

Io valgo quanto il cuore, quanto le mie relazioni.

Non sta fra le cose il benessere vero. Esso ha due semplici regole: è legato al dono e non può mai essere solitario.

È assurdo che le nazioni ricche non condividano con le più povere…

È assurdo, è ingiusto…

La seconda regola: Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato.

La proposta di Giovanni è così semplice da sembrare raggiungibile: la seconda legge per vivere insieme è una insurrezione di onestà, la rivolta degli onesti: non rubare.

Invece la cupidigia, la bulimia di denaro, ti porta a calpestare gli altri, a metterti in vendita, e inizia la corruzione. Nella classifica delle nazioni più corrotte del mondo c’è da arrossire per l’Italia.

Allora, con Giovanni, semplicemente l’onestà. Ma a partire da me e dalle piccole cose.

Vengono pubblicani e soldati, uomini forti: “e noi che cosa faremo?”

Non crediate che gli uomini forti siano quelli che gridano di più, duri e spregiudicati nell’azione; quelli sono tutti uomini deboli.

Stalin ha avuto bisogno di polizie sempre più organizzate, di avere intorno uomini interamente condizionati dalla sua personalità e dalle sue idee. Così Hitler, così Mussolini: sempre protetti da una schiera di uomini, perché erano dei deboli.

Un uomo grande come Giovanni Battista non ha paura nella vita,

non ha paura di nessuno, perché sa che Dio si trasmette attraverso un atteggiamento di rispetto e di venerazione verso tutti gli uomini, e si trasmette come energia liberatrice dalle ombre della paura che ci invecchiano il cuore.

La terza regola coinvolge tutti quelli hanno ruoli di autorità e di forza, in tutti i campi: non maltrattate e non estorcete niente a nessuno. Non approfittate della posizione per rubare, per sentirvi grandi e umiliare; non abusate della vostra forza per maltrattare, o per far piangere. Non siate violenti. Sempre lo stesso principio: Per essere felice devi accorgerti dell’altro. Giovanni non chiede niente di straordinario, non dice “lascia tutto”, ma cose fattibili: non tenere tutto per te; non essere ladro; non essere violento.

La conclusione: Viene uno più forte di me e vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. È il più forte Gesù, ma non perché si impone e vince, ma perché è l’unico che parla al cuore. E lo segui.

È il più forte perché è l’unico che “battezza nel fuoco”, cioè ha la forza del fuoco, dell’alta temperatura morale che trasforma la vita.

Ha acceso milioni e milioni di vite, le ha accese e rese felici. Questo fa di lui il più forte. E il più amato.

Che cosa dobbiamo fare per essere felici come questo Dio felice?

La risposta ce l’abbiamo sotto gli occhi.

Un puntino, il possibile, lo posso fare io, poi arriverà l’impossibile che spetta a Dio.

 

 

 

Preghiera

Io credo in te, Signore,

Credo in te perché sei un Dio felice

e io per te sono come una festa.

Credo in te perché i profeti ti odono gridare di gioia per me.

E Giovanni ti vede intento a tessere

il tessuto buono del mondo.

Natale è un Dio che tesse fili.

Da quando sei nato tra noi tessi fili,

metti in comunione storie di uomini,

di poveri, di generosi, di profeti.

Credo in te, Signore, perché altro non fai

che eternamente considerare l’uomo, ogni uomo,

più importante di te stesso.

Signore, io sono quell’uomo

e sono un uomo grato. Amen

 

 

Ci descriviamo peggiori di quello che siamo.

 

 

 

 

 

Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi
I potenti alzano barriere, Dio le supera
II Domenica di Avvento – Anno C

*Vangelo – Luca 3,1-6
1 Nell’anno decimoquinto dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilène, 2 sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. 3 Ed egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, 4 com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia:
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri!
5 Ogni burrone sia riempito,
ogni monte e ogni colle sia abbassato;
i passi tortuosi siano diritti;
i luoghi impervi spianati.
6 Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!

Commento di padre Ermes Ronchi
Una pagina solenne, quasi maestosa dà avvio al racconto dell’attività pubblica di Gesù. Un lungo elenco di re e sacerdoti a tracciare la mappa del potere politico e religioso dell’epoca, e poi, improvvisamente, il dirottamento, la svolta. La Parola di Dio vola via dal tempio e dalle grandi capitali, dal sacerdozio e dalle stanze del potere, e raggiunge un giovane, figlio di sacerdoti e amico del deserto, del vento senza ostacoli, del silenzio vigile, dove ogni sussurro raggiunge il cuore. Giovanni, non ancora trent’anni, ha già imparato che le uniche parole vere sono quelle diventate carne e sangue. Che non si tirano fuori da una tasca, già pronte, ma dalle viscere, quelle che ti hanno fatto patire e gioire.
Ecco, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. Non è l’annunciatore che porta l’annuncio, è l’annuncio che lo porta, lo incalza, lo sospinge: e percorreva tutta la regione del Giordano. La parola di Dio è sempre in volo in cerca di uomini e donne, semplici e veri, per creare inizi e processi nuovi. Raddrizzate, appianate, colmate… Quel giovane profeta un po’ selvatico dipinge un paesaggio aspro e difficile, che ha i tratti duri e violenti della storia: ogni violenza, ogni esclusione e ingiustizia sono un burrone da colmare. Ma è anche la nostra geografia interiore: una mappa di ferite mai guarite, di abbandoni patiti o inflitti, le paure, le solitudini, il disamore… C’è del lavoro da fare, un lavoro enorme: spianare e colmare, per diventare semplici e diritti. E se non sarò mai una superstrada, non importa, sarò un piccolo sentiero nel sole.
Vangelo che conforta: – anche se i potenti del mondo alzano barriere, cortine di bugie, muri ai confini, Dio trova la strada per raggiungere proprio me e posarmi la mano sulla spalla, la parola nel grembo, niente lo ferma; – chi conta davvero nella storia? Chi risiede in una reggia? Erode sarà ricordato solo perché ha tentato di uccidere quel bambino; Pilato perché l’ha condannato. Conta davvero chi si lascia abitare dal sogno di Dio, dalla sua parola.
L’ultima riga del Vangelo è bellissima: ogni uomo vedrà la salvezza. Ogni uomo? Sì, esattamente questo. Dio vuole che tutti siano salvi, e non si fermerà davanti a burroni o montagne, neppure davanti alla tortuosità del mio passato o ai cocci della mia vita. Una delle frasi più impressionanti del Concilio Vaticano Secondo afferma: «Ogni uomo che fa esperienza dell’amore, viene in contatto con il Mistero di Cristo in un modo che noi non conosciamo» (Gaudium et spes 22). Cristo raggiunge ogni uomo, tutti gli uomini, e l’amore è la sua strada. E nulla vi è di genuinamente umano che non raggiunga a sua volta il cuore di Dio.

(Letture: Baruc 5,1-9; Salmo 125; Filippesi 1,4-6.8-11; Luca 3,1-6 )
https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/i-potenti-alzano-barriere-dio-le-supera
http://www.smariadelcengio.it/fra-ermes-ronchi-comunica/26879/commento-al-vangelo-9-dicembre-p-ermes-i-potenti-alzano-barriere-dio-le-supera/

 

NATIVITÀ del BATTISTA Luca 1,57-66.80

Il vangelo racconta due nascite soltanto, quelle di Gesù e Giovanni, che la liturgia ha ripreso ai due solstizi, quello d’estate e quello d’inverno.

Giovanni, nato fra i miracoli, sgozzato nel buio di una galera, nel silenzio terribile di Dio, l’ultimo respiro soffocato dal suo sangue e dalle musiche di un banchetto di cortigiani e ballerine.

Giovanni, il più grande, che danzava nel ventre di sua madre, morto per la danza di una ragazzina perversa e per i giochi malsani di un vecchio re.

Ma il vangelo che oggi incontriamo ruota attorno alla nascita e al nome da dare a quel bambino, figlio dello stupore.

Un gioco di nomi: Zaccaria oppure Giovanni?

Il nome nella bibbia è molto importante, vuol dire chi tu sei dentro e cosa sarai. È un evento e un destino.

I parenti, tutto il clan vogliono prolungare il nome del padre, rafforzare l’identità della famiglia, chiamarlo Zaccaria, che vuol Dio si ricorda, Dio non dimentica.

Elisabetta si oppone: si chiamerà Giovanni, che vuol dire: Dio fa un dono ora, fa grazia adesso!

I parenti sono fieri del loro passato: non dimentichiamo chi siamo!

Elisabetta è fiera del suo presente, di quel bambino venuto come un dono impossibile.

Dice no, donna libera e fiera. Il suo no, per affermare i figli non sono nostri, non appartengono alla famiglia, ma alla loro vocazione, alla profezia che devono annunciare; non vengono dal passato, ma dal futuro.

Zaccaria, Dio si ricorda. La memoria è importante, va curata e sanata anche, ma più importante ancora è orientarci tutti verso il nostro nome nuovo. Dircelo che Dio ha in serbo un nome nuovo per noi. Una vocazione, un compito.

Bisogna dircelo: Il tuo nome è Giovanni, non Zaccaria.

Questo il mio nome profetico: Dio fa dono! Adesso!

Avere occhi profondi che sanno Vedere i doni! La mia vita come un tessuto di doni.

Noi nasciamo a metà e tutta la vita ci serve per nascere del tutto!

Siamo sempre nella preistoria di noi stessi. Stiamo sempre nascendo. La parte migliore della mia vita deve ancora venire: è adesso che Dio sta facendo cose nuove Dio con me e con l’umanità, viene con i suoi doni.

 

Giovanni, dono di Dio, profeta.

 

Zaccaria interviene anche lui, Dopo 9 mesi di silenzio Zaccaria ha partorito un altro se stesso. Rinasce.

E se prima attorno all’altare degli incensi ha dubitato, la sua incredulità non ha fermato il piano di Dio. Dio può avere anche la bocca di un muto! La bocca di Zaccaria. Può adoperare il grembo di una donna anziana e sterile, ma decisa e forte, Elisabetta.

È bello pensare che anche i miei difetti, le mie incertezze, i dubbi non bloccano la storia di Dio. La mia poca fede non ferma la forza di vita che promana da Lui. E questo non è semplice pensiero consolatorio, ma fatto teologico, rivelativo.

Mi piace tanto il Dio che nella Bibbia agisce attraverso le nascite: Samuele, Sansone, Giovanni…

La bibbia sarà anche maschilista, ma è un tripudio di nascite improbabili, un inno alla vita, di grembi che danzano, che lievitano.

La parola, tolta al sacerdozio, volata via dal tempio, si sta intessendo nel ventre di due madri, Elisabetta e Maria. Dio scrive la sua storia dentro il calendario della vita, fuori dai recinti del sacro.

Il sacerdote tace ed è la madre, laica, a prendere la parola. Un rivoluzionario rovesciamento delle parti: Elisabetta ha saputo accogliere e fare spazio alla vita e ora può parlare:

“si chiamerà Giovanni”,

ed è il nome di ogni uomo, dono di Dio!

 

E i vicini si rallegravano con lei.

Il bambino viene alla luce come parola felice di Dio, vertice di tutte le natività del mondo: ogni nascita è profezia, ogni bambino è profeta, portatore di una parola di Dio unica, pronunciata una volta sola, e che non ripeterà mai più.

Che sarà mai questo bambino? Grande domanda da ripetere, con venerazione, davanti al mistero di ogni culla.

Cosa sarà, oltre ad essere vita che viene da altrove, oltre a un amore diventato visibile?

Cosa porterà al mondo questo bambino, sillaba del Verbo, dono unico che Dio ci ha consegnato avvolto di abbracci?

Che sarà mai questo bambino? Bellissima domanda. Ogni bambino è porta del mistero, porta degli dei, entra nel mondo con un passo di danza, in lui ride danzando la vita.

 

Una domanda oggi, ricordando la nascita del più grande tra i profeti.

Cos’è un profeta, a che cosa serve un profeta? Ne nascono ancora?

Perché abbiamo bisogno di profeti, perché non ce la facciamo da soli?

Loro sì sono il dono di Dio! E ce ne sono tanti, ad ogni epoca, anche oggi!

Non dissipiamo i nostri profeti. Sono Persone che Dio utilizza per aiutarci a capire quello che stiamo vivendo. Non a indovinare il futuro ma a leggere il presente.

Il Profeta è bocca dei poveri e bocca di Dio, per la giustizia, non blandisce nessuno ma esige il meglio da tutti;

uno che non si omologa, non si mimetizza, non sta alla finestra a guardare scorrere la vita,

ma ha la misteriosa beatitudine degli oppositori a tutto ciò che fa male alla vita. Percorso, il suo, coraggioso e solitario, controcorrente.

Non sprechiamo i nostri profeti. Non dissipiamo la profezia nella chiesa e nella società. Riconosciamoli, riconosciamo quella voce che dice e ridice le cose essenziali: che una vita umana è al di sopra di qualsiasi calcolo politico;

voce che non tace e osa ripetere oggi: ero forestiero e mi avete accolto.

Anche a costo di prendersi qualche insulto sui social o un risolino di compatimento.

 

Io-hannà: dono di Dio, poterlo dire, imparare a dirlo

Al familiare, al fratello, all’amico, al povero:

tu sei dono di Dio, il dono che Dio mi fa.

Sapessimo benedire così.

Manda ancora profeti, Signore,

uomini certi di Dio

uomini dal cuore in fiamme

e tu a parlare

dai loro roveti!

 

 

 

 

 

Fine: vi auguro occhi e orecchi aperti… e se inciampate in un profeta, non lasciatevelo scappare!

 

 

 

Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi

E la nascita del Battista ci insegna che i figli non sono una nostra proprietà

Natività del Battista – Anno B
(Vangelo – Luca 1,57-66.80)

Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. (…) Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio.
Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui. (…)

Il passaggio tra i due Testamenti è un tempo di silenzio: la parola, tolta al sacerdozio, volata via dal tempio, si sta intessendo nel ventre di due madri, Elisabetta e Maria. Dio scrive la sua storia dentro il calendario della vita, fuori dai recinti del sacro.

Zaccaria ha dubitato. Ha chiuso l’orecchio del cuore alla Parola di Dio, e da quel momento ha perso la parola. Non ha ascoltato, e ora non ha più niente da dire. Eppure i dubbi del vecchio sacerdote (i miei difetti e i miei dubbi) non fermano l’azione di Dio. Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio… e i vicini si rallegravano con la madre.
Il bambino, figlio del miracolo, nasce come lieta trasgressione, viene alla luce come parola felice, vertice di tutte le natività del mondo: ogni nascita è profezia, ogni bambino è profeta, portatore di una parola di Dio unica, pronunciata una volta sola.

Volevano chiamare il bambino con il nome di suo padre, Zaccaria. Ma i figli non sono nostri, non appartengono alla famiglia, bensì alla loro vocazione, alla profezia che devono annunciare, all’umanità; non al passato, ma al futuro.

Il sacerdote tace ed è la madre, laica, a prendere la parola. Un rivoluzionario rovesciamento delle parti. Elisabetta ha saputo ascoltare e ha l’autorevolezza per parlare: «Si chiamerà Giovanni», che significa dono di Dio (nella cultura biblica dire “nome” è come dire l’essenza della persona).
Elisabetta sa bene che l’identità del suo bambino è di essere dono, che la vita che sente fremere, che sentirà danzare, dentro di sé viene da Dio. Che i figli non sono nostri, vengono da Dio: caduti da una stella fra le braccia della madre, portano con sé lo scintillio dell’infinito. E questa è anche l’identità profonda di noi tutti: il nome di ogni bambino è “dono perfetto”.

E domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse… Il padre interviene, lo scrive: dono di Dio è il suo nome, e la parola torna a fiorire nella sua gola. Nel loro vecchio cuore i genitori sentono che il piccolo appartiene ad una storia più grande. Che il segreto di tutti noi è oltre noi.

A Zaccaria si scioglie la lingua e benediceva Dio: la benedizione è un’energia di vita, una forza di crescita e di nascita che scende dall’alto e dilaga. Benedire è vivere la vita come un dono: la vita che mi hai ridato/ ora te la rendo/ nel canto (Turoldo).

Che sarà mai questo bambino? Grande domanda da ripetere, con venerazione, davanti al mistero di ogni culla. Cosa sarà, oltre ad essere vita che viene da altrove, oltre a un amore diventato visibile? Cosa porterà al mondo questo bambino, dono unico che Dio ci ha consegnato e che non si ripeterà mai più?

(Letture: Isaìa 49,1-6; Salmo 138; Atti 13, 22-26; Luca 1,57-66.80)

Omelia al Convento domenica 24 giugno – p.Ermes

https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/e-la-nascita-del-battista-ci-insegna-che-i-figli-non-sono-una-nostra-proprieta

 

 

 

III DI AVVENTO – Anno B

Gv 1,6-8.19-28

p. Erems Ronchi

Omelia

C’era grande attesa in Israele, in quei giorni. E Dio interviene: “venne un uomo mandato da Dio, il suo nome era Giovanni”. Dio interviene per gli uomini non con miracoli: mandando un uomo.

Il miracolo di Dio siamo noi. L’intervento di Dio, oggi, siamo noi. Dio salva attraverso persone scrive Romano Guardini. Attraverso profeti di povere parole, che siamo noi.

Giovanni, il Profeta roccioso e selvatico, deve affrontare due commissioni d’inchiesta, due inquisizioni. Chi sei? E perché battezzi?

Sacerdoti e leviti insieme: i leviti facevano anche funzione di polizia, sono lì pronti per arrestarlo qualora…Sei domande sempre più incalzanti. Tre risposte sempre più brevi: identità per spoliazione, per sottrazione, io non sono.

Io non sono, né l’eroe dei miei sogni né il bambino delle mie paure. Io non sono il personaggio che vorrei essere, né il fallito che temo di essere, io non sono ciò che gli altri credono di me, o ciò che si aspettano, né un santo, né solo peccatore, io non sono il mio ruolo e nemmeno il mio peccato.

Tre no, e un sì finale: io? semplicemente Voce. La parola è un Altro. Lui è il senso di ciò che io dico.

“La parola una volta pronunciata non muore, ma proprio in quell’istante  comincia a vivere e fiorire” (E. Dikinson) per la voce di un uomo.

Io, semplicemente voce, che si alza in grido: che significa appello, bisogno, fame.

La vita dell’uomo inizia con un grido, il grido vittorioso del bambino che nasce, e termina con un grido soffocato, il grido crocifisso di ogni morente (on sort on crie, c’est la vie; on crie on sort c’est la mort”;

Grido di Cristo, quando sulla croce diventa la grande voce del mondo che urla la sua sete e le sue paure agli uomini e al cielo.

Io, semplicemente voce. Che dice parole più antiche e più grandi di me. La mia identità è di essere attraversato dal soffio di Dio, che dice e ridice, si alza e non si stanca.

Io semplicemente come una canna vuota, un flauto che emette la sua voce quando il respiro dello Spirito lo attraversa, e il soffio diventa musica. Così i mistici… Sono strumento e mi lascio adoperare.

Essere voce vuol dire allora che tutti noi abbiamo una struttura di profezia come nostra identità, siamo tutti – profondamente – profeti.

Parla tu Signore che il Tuo servo ascolta, parla le tue parole, noi non sappiamo più cosa dire; parla tu e riempi questa voce di semi di vangelo, che sono semi di vita; riempila di semi di cielo che sono semi di luce e di gioia. Parla, il tuo servo si farà voce, voce che grida nel deserto o che sussurra al cuore. Molti parlano, pochi parlano al cuore, uno solo parla sul cuore, senza distanza alcuna, toccando il cuore…

Noi cerchiamo profeti, uomini e donne dalle parole di fuoco, dal cuore in fiamme, e Dio che parla dai loro roveti. Ma dove sono? Il vangelo risponde così: E venne un uomo mandato da Dio! Un uomo vuol dire ogni uomo, vuol dire ognuno mandato da Dio, con una sillaba di Parola, con una goccia di fuoco, una parola insostituibile della frase del mondo. e se io non pronuncio la mia parola mancherà qualcosa alla compiutezza della frase. Siamo pietre vive della cattedrale che Dio va costruendo…non importa dove sei messo…ma se tu manchi la tua missione ci sarà una disarmonia cosmica, un vuoto, un buco che nessuno potrà colmare..

Per ascoltare devo chinarmi profondamente, come il Battista, cercare dentro. Se trovo Dio in me, allora sarò libero, libero come Giovanni davanti alle due inquisizioni dei potenti del tempo. Per me, come per lui, conteranno solo gli occhi del mio Signore, quel piccolo pezzo di Dio in me, che dice e ridice e non tace mai.

E mi sussurra come a Isaia, che la terra non è orfana di Dio, che qualcosa si muove, un virgulto, un agnello, un bambino: affiniamo lo sguardo! Come Isaia testimone di un Dio invisibile eppure luminoso, sconosciuto e innamorato, che è in mezzo a noi come guaritore delle vite, come germoglio di tronco tagliato.

E io credo nel sogno del lupo e dell’agnello insieme anche se, per ora, non si è realizzato; credo nel sogno della pace, anche se ancora non è venuta! Così come credo nella primavera anche se oggi non splende. E nell’amore, anche se oggi non scalda. Io credo, io do fiducia alla luce, mi fido del bene, in noi più antico del male più antico, più originario del peccato originario.

Molti di voi conosceranno Cuore di tenebra, un famoso romanzo di Joseph Conrad: nel mondo e in noi batte un cuore di tenebra. Eppure una narrazione più alta suggerisce invece che una goccia di luce batte nel cuore vivo di tutte le cose.

È Cristo venuto come luce vera che illumina ogni uomo; notate bene: ogni uomo, ogni uomo, ogni uomo.

E nessuno che sia escluso, e nessuno che sia senza luce. È venuto e ha fatto risplendere la vita: la mia vita, la tua vita, la vita innumerevole, dai mille nomi, dai mille volti.

Di questo anch’io posso essere testimone! Non di ingiunzioni ma di un bene che è dentro di me; non di castighi ma di luce, di un Dio che sorge come un sole, che fascia le piaghe dei cuori spezzati, che è germoglio sui tronchi abbattuti, che è cercatore di prigionieri per rimetterli nel sole.

Noi, a differenza di Isaia e di Giovanni, siamo profeti di povere parole. Eppure voce non inutile: “solo se il messaggero è infinitamente piccolo, il messaggio sarà infinitamente grande” (Vannucci).

In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete. In mezzo a voi e non nel tempio; in mezzo a voi ma non dentro ai vostri schemi. Cristo sconosciuto, io non lo possiedo, neppure la chiesa lo possiede, questa chiesa continuamente in cerca del suo Cristo (Paolo VI).

Egli è qui, nei miei profeti, nelle accensioni improvvise dell’anima e del cuore, è nel nostro amore e nei nostri poveri, è negli occhi testimoni della luce, nella bellezza de mondo e dello splendore del dimesso, nelle parole che consolano davvero, ogni volta che un lupo, che un violento si disarma e si fa guidare da un bambino. Da un cuore bambino.

Ogni volta che la radice mette germogli, Dio è qui e parla parole che sono nido e vela, nido che accoglie e conforta, e vela che fa ripartire la vita, come un germoglio di luce che cresce e si arrampica in noi, come un fiore di luce sbocciato nel nostro deserto.

Preghiera alla comunione

 

Signore, chi sono io veramente?

Vorrei dirmi appena voce, soltanto voce e Tu la parola.

Ma non è così. Ho detto parole solo mie, di cenere e sabbia.

Vorrei però essere voce che grida nei deserti e che sussurra al cuore

che una bontà immensa abita l’universo.

Vorrei essere solo pulviscolo di luce,

frammento minimo di sole, pur con tutto il mio buio.

Vorrei essere con la mia vita piccola profezia di te,

eco di un flauto che suona da altrove.

E così crederanno a te e non a me, Signore,

a te che ripeti a ciascuno con la voce di Isaia:

Il tronco fiorirà, la parola tornerà dal silenzio,

il lupo e l’agnello pascoleranno insieme.

E sia la nostra vita voce che dice

il cuore buono dell’essere,

che dice che Tu, Signore, hai un cuore di luce,

che io, con il mio frammento opaco, posso essere

frammento ospitale del cosmo

riflesso di te, nostalgia di te

venuto come un fiore di luce nel nostro deserto. Amen

 

p. Ermes Ronchi

 

II DI AVVENTO – B

Mc 1, 1-8

 p. Ermes Ronchi

Omelia

 

Inizio del vangelo di Gesù, Cristo. A prima vista sembra un’annotazione pratica, un semplice titolo del racconto. Ma se ci guardiamo dentro con attenzione, vediamo che qui compare, per la prima volta, la parola decisiva per la nostra fede: il termine vangelo. Con il suo significato di bella, lieta, gioiosa notizia.

Inizio di una bella notizia. C’è un nuovo inizio, una nuova genesi, e questa è già una buona notizia.

Dio si propone: “con me vivrai solo inizi! Io porto ciò che fa ricominciare a vivere, a progettare, a stringere i denti quando serve, porto ciò che rimette in moto la vita”. E si tratta sempre di una buona notizia, di una feritoia di speranza.

Iniziare da una notizia buona, e non dalle mille cattive notizie, come è prassi sui media, questo ci fa sembrare fuori dal mondo, dalla realtà. Ed è la via dei profeti.

Inizio della bella notizia che è Gesù, Cristo. Lui, quel falegname che si è preso per un profeta, è vangelo; il vangelo è Gesù, il suo modo unico di vivere, libero come nessuno, materno e appassionato, forte e più grande del nostro cuore. Lui che disegna una nuova architettura del mondo e del cuore.

Come suo discepolo io vorrei, dovrei diventare anch’io inizio di vangelo, io e tu buona notizia, tu e io via di pace dentro la violenza; buona notizia di onestà dentro il malaffare; buona notizia di fiducia dentro la sfiducia…

Solo 2 italiani su dieci, dicono i sondaggi più recenti, hanno fiducia negli altri. Noi diffidiamo del 80% delle altre persone.

Ma è la via sbagliata: la sfiducia genera sospetto, il sospetto genera paura,

la paura diventa aggressività, l’aggressività produce violenza,

la violenza genera morte.

La fiducia invece, la fede invece è tutto ciò che si oppone alla morte. Amatevi, fidatevi altrimenti vi distruggerete. Istinto di vita portato da Gesù: io sono la vita.

Abbiamo pensieri malati e dobbiamo prenderci cura dei nostri pensieri. Perché i pensieri diventano parole. Le parole producono un carattere, e il carattere diventa azione.

Preparate la via del Signore! Una via c’è!

Giovanni dal deserto riempie il tempo dell’Avvento. La sua figura: vestito come gli antichi profeti, di peli di cammello, con la cintura di pelle, come Elia, il più grande dei profeti, mangia cavallette e miele selvatico quel niente che offre il deserto, il cibo normale dei nomadi e dei beduini.

Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri.

Tocca a noi. Il regno di Dio non scenderà dall’alto, per un improvviso intervento divino, ma esige la collaborazione di tutti. Dipende da noi.

Il profeta offre la certezza che una via c’è, che i sentieri sono molti, una rete di sentieri fascia il futuro. Diversi, per ciascuno il suo.

C’è una via di pace. Che noi non abbiamo percorso. Ci siamo tutti cullati nelle nostre comodità; noi non volevamo fare la pace nel mondo, ma solo che ci lasciassero in pace.

Giustizia e pace si baceranno, abbiamo sperato nel salmo.

La pace è opera della giustizia, abbiamo sentito in Isaia; invece noi abbiamo rifiutato di lottare per la giustizia. “Non eravamo affamati, appassionati di giustizia. E allora è normale che la nostra falsa pace finisca per scoppiarci in faccia” (F. Hadjaji).

E ci sentiamo deboli perché è la passione che rende forte la vita. Perché il coraggio non nasce dalla paura, ma dalla fame.

Viene dopo di me, uno più forte. Perché è appassionato, affamato, perciò è l’unico che parla al cuore. Notiamo il verbo centrale: viene, al presente. Giovanni non dice: verrà, un giorno. Non proclama: sta per venire, tra poco, e sarebbe già una cosa grande.

Ma semplice, diretto, sicuro, dice: viene.

Giorno per giorno, continuamente, anche adesso, Dio viene.

Anche se non lo vedi, viene; anche se non ti accorgi di lui, è in cammino su tutte le strade.

È bello un mondo immaginato così, pieno di orme di Dio, un Dio che ti assedia, dolcemente implacabile.

Il vangelo d’avvento ci aiuta a non perdere coraggio, a non appesantire il cuore con la sfiducia. Ci sarà sempre un momento in cui ci sentiremo col cuore pesante. Ho provato anch’io lo scoraggiamento, e non una volta sola, ma non gli permetterò più di mangiare nel mio piatto,

non gli permetterò di sedere sul trono del mio cuore.

Il motivo è questo: fin dentro i muscoli e le ossa io so una cosa, come la sapete voi, che una via c’è, e che nonostante tutte le smentite possibili, la storia che io e te stiamo percorrendo è una storia di salvezza;

e non può esserci disperazione finché ricordo perché sono venuto sulla terra, di chi sono al servizio, chi mi ha mandato qui.

E chi sta venendo: viene il più forte.

Questo mondo contiene Lui! Che viene, che è qui, che cresce dentro; la forza della risurrezione ha penetrato la trama di questa storia e non riposerà fino a che non avrà raggiunto l’ultimo ramo della creazione.

C’è un Liberatore, esperto di nascite, in cammino su tutte le strade. E apre sentieri.

Se colleghiamo insieme la prima frase: inizio del vangelo di Gesù e l’ultima espressione: io vi ho battezzato in acqua, ma egli vi battezzerà con lo Spirito santo, capiamo cos’ è la buona notizia.

Giovanni ha compiuto un rito esterno, l’acqua è qualcosa di esteriore all’uomo,

ma egli vi battezzerà in Spirito santo, l’azione di Gesù è una immersione profonda, intima, interiore, nella stessa vita divina.

Che è pace fuoco luce gioia grande bellezza.

Ecco allora la buona notizia che l’evangelista ha annunciato:

tu sei immerso in Dio, Dio è immerso in te.

Il battesimo era un rito conosciuto, ci si immergeva nell’acqua a simboleggiare la morte del proprio passato e per iniziare una vita nuova.

Un cambiamento di vita, un impegno nuovo: se finora hai vissuto per te, adesso vivi anche per gli altri. Questo è il senso di conversione secondo l’evangelista. Ma adesso vivrai di Dio. L’uomo ha Dio nel sangue nel respiro nel sogno.

Il vangelo ci insegna a leggere la storia come grembo di futuro, a non fermarci a ciò che adesso appare: questo mondo porta un altro mondo nel grembo. Un mondo più buono e più giusto.

Che è già in cammino, il mondo è più vicino a Dio oggi di quanto non lo fosse ieri. Lo attestano mille segni: la coscienza crescente dei diritti dell’uomo, il movimento epocale del femminile, il rispetto e la cura per i disabili, l’amore per madre terra…

La buona notizia è che la storia è gravida di futuro buono per il mondo, gravida di luce, e Dio è sempre più vicino, vicino come il respiro, vicino come il cuore. Tu sei qui, e io accarezzo la vita perché profuma di Te.

 

 

Preghiera alla comunione.

 

Signore, manda ancora profeti,

come stelle a indicare la via,

come miele nel deserto.

Mandaci ancora profeti,

uomini certi di Dio,

donne dal cuore in fiamme

voci che parlino al cuore.

E là dove la vita si era fermata

vieni tu, a farci ripartire,

solo tu, a farci vivere soltanto inizi.

Vieni e resta vicino,

vicino come il respiro

forte come il sangue,

vicino e caldo come una perla di luce seminata

nel cuore vivo di tutte le cose.

Amen.

 

 

 

 

Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi

II Domenica di Avvento – Anno B

Questo mondo ne porta un altro nel grembo

Vangelo – Marco 1,1-8

Inizio del Vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio. Come sta scritto nel profeta Isaìa: «Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via. Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri», vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».

Inizio del Vangelo di Gesù. Sembra quasi un’annotazione pratica, un semplice titolo esterno al racconto. Ma leggiamo meglio: inizio di Vangelo, di una bella, lieta, gioiosa notizia. Ciò che fa cominciare e ricominciare a vivere e a progettare è sempre una buona notizia, un presagio di gioia, una speranza intravista.

Inizio del Vangelo che è Gesù. La bella notizia è una persona, un Dio che fiorisce sulla nostra terra: «Il tuo nome è: Colui-che fiorisce-sotto-il-sole» (D.M. Turoldo). Ma fioriscono lungo i nostri giorni anche altri vangeli, pur se piccoli; altre buone notizie fanno ripartire la vita: la bontà delle creature, chi mi vive accanto, i sogni condivisi, la bellezza seminata nel mondo, «la tenerezza che trova misteri dove gli altri vedono problemi» (L. Candiani). E se qualcosa di cattivo o doloroso è accaduto, buona notizia diventa il perdono, che lava via le ombre dagli angoli oscuri del cuore.

Viene dopo di me uno più forte di me. Gesù è forte, non perché “onnipotente” ma perché “onni-amante”; forte al punto di dare la propria vita; più forte perché è l’unico che parla al cuore. E chiama tutti a essere “più forti”, come lo sono i profeti, a essere voce che grida, essere gente che esprime, con passione, la propria duplice passione per Cristo e per l’uomo, inscindibilmente. La passione rende forte la vita.

Giovanni non dice: verrà un giorno, o sta per venire tra poco, e sarebbe già una cosa grande. Ma semplice, diretto, sicuro dice: viene. Giorno per giorno, continuamente, ancora adesso, Dio viene. Anche se non lo vedi e non ti accorgi di lui, Dio è in cammino. L’infinito è all’angolo di ogni strada. C’è chi sa vedere i cieli riflessi in una goccia di rugiada, Giovanni sa vedere il cammino di Dio, pastore di costellazioni, nella polvere delle nostre strade. E ci scuote, ci apre gli occhi, insinua in noi il sospetto che qualcosa di determinante stia accadendo, qualcosa di vitale, e rischiamo di perderlo: Dio che si incarna, che instancabilmente si fa lievito e sale e luce di questa nostra terra.

Il Vangelo ci insegna a leggere la storia come grembo di futuro, a non fermarci all’oggi: questo mondo porta un altro mondo nel grembo. La presenza del Signore non si è dissolta. Anzi, il mondo è più vicino a Dio oggi di ieri. Lo attestano mille segni: la coscienza crescente dei diritti dell’uomo, il movimento epocale del femminile, il rispetto e la cura per i disabili, l’amore per madre terra…
La buona notizia è che la nostra storia è gravida di futuro buono per il mondo, gravida di luce, e Dio è sempre più vicino, vicino come il respiro, vicino come il cuore. Tu sei qui, e io accarezzo la vita perché profuma di Te.

(Letture: Isaia 40,1-5.9-11; Salmo 84; 2 Pietro 3,8-14; Marco 1,1-8)

https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/questo-mondo-ne-porta-un-altro-nel-grembo

Giovanni proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».

Giovanni non dice: verrà … dice: viene.
Giorno per giorno, continuamente,
ancora adesso, Dio viene.
Anche se non lo vedi e non ti accorgi di lui,
Dio è in cammino.
L’infinito è all’angolo di ogni strada.
C’è chi sa vedere i cieli riflessi in una goccia di rugiada,
Giovanni sa vedere il cammino di Dio,
pastore di costellazioni,
nella polvere delle nostre strade.
E ci scuote, ci apre gli occhi,
insinua in noi il sospetto che
qualcosa di determinante stia accadendo,
qualcosa di vitale,
e rischiamo di perderlo:
Dio che si incarna,
che instancabilmente si fa lievito
e sale e luce di questa nostra terra.

(Ermes Ronchi – II Dom. di Avvento – anno B)

https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/questo-mondo-ne-porta-un-altro-nel-grembo

Il Vangelo – Ermes Ronchi
Un agnello inerme, ma più forte di ogni Erode

II Domenica – Tempo ordinario – Anno A

In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele».
Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».

Giovanni vedendo Gesù venirgli incontro, dice: Ecco l’agnello di Dio. Un’immagine inattesa di Dio, una rivoluzione totale: non più il Dio che chiede sacrifici, ma Colui che sacrifica se stesso.
E sarà così per tutto il Vangelo: ed ecco un agnello invece di un leone; una chioccia (Lc 13,31-34) invece di un’aquila; un bambino come modello del Regno; una piccola gemma di fico, un pizzico di lievito, i due spiccioli di una vedova. Il Dio che a Natale non solo si è fatto come noi, ma piccolo tra noi.

Ecco l’agnello, che ha ancora bisogno della madre e si affida al pastore; ecco un Dio che non si impone, si propone, che non può, non vuole far paura a nessuno.
Eppure toglie il peccato del mondo. Il peccato, al singolare, non i mille gesti sbagliati con cui continuamente laceriamo il tessuto del mondo, ne sfilacciamo la bellezza. Ma il peccato profondo, la radice malata che inquina tutto. In una parola: il disamore. Che è indifferenza, violenza, menzogna, chiusure, fratture, vite spente… Gesù viene come il guaritore del disamore. E lo fa non con minacce e castighi, non da una posizione di forza con ingiunzioni e comandi, ma con quella che Francesco chiama «la rivoluzione della tenerezza». Una sfida a viso aperto alla violenza e alla sua logica.

Agnello che toglie il peccato: con il verbo al tempo presente; non al futuro, come una speranza; non al passato, come un evento finito e concluso, ma adesso: ecco colui che continuamente, instancabilmente, ineluttabilmente toglie via, se solo lo accogli in te, tutte le ombre che invecchiano il cuore e fanno soffrire te e gli altri.

La salvezza è dilatazione della vita, il peccato è, all’opposto, atrofia del vivere, rimpicciolimento dell’esistenza. E non c’è più posto per nessuno nel cuore, né per i fratelli né per Dio, non per i poveri, non per i sogni di cieli nuovi e terra nuova.

Come guarigione, Gesù racconterà la parabola del Buon Samaritano, concludendola con parole di luce: fai questo e avrai la vita. Vuoi vivere davvero, una vita più vera e bella? Produci amore. Immettilo nel mondo, fallo scorrere… E diventerai anche tu guaritore della vita. Lo diventerai seguendo l’agnello (Ap 14,4). Seguirlo vuol dire amare ciò che lui amava, desiderare ciò che lui desiderava, rifiutare ciò che lui rifiutava, e toccare quelli che lui toccava, e come lui li toccava, con la sua delicatezza, concretezza, amorevolezza. Essere solari e fiduciosi nella vita, negli uomini e in Dio. Perché la strada dell’agnello è la strada della felicità.

Ecco vi mando come agnelli… vi mando a togliere, con mitezza, il male: braccia aperte donate da Dio al mondo, braccia di un Dio agnello, inerme eppure più forte di ogni Erode.

(Letture: Isaia 49,3.5-6; Salmo 39; 1 Corinzi 1,1-3; Giovanni 1,29-34)

https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/un-agnello-inerme-ma-piu-forte-di-ogni-erode

https://www.avvenire.it/rubriche/il-vangelo

SECONDA DOMENICA DI AVVENTO – A

Is 11,1-10 – Rom 15, 4-9 – Mt 3, 1-12

di  p. Ermes Ronchi

Due Profeti nel deserto di Giudea: Isaia e Giovanni, un sogno che chiama dal futuro, una decisione che preme oggi.

Vieni a cercarci:

noi siamo sempre più smarriti e dunque vieni sempre Signore.

Vieni, tu che ci ami:

nessuno è in comunione con te se non lo è anche col fratello, e dunque vieni sempre, Signore.

Noi siamo tutti lontani,

non sappiamo chi siamo, cosa fare e come farlo e dunque vieni sempre, Signore.

 

Omelia

Giovanni il Battista predicava nel deserto della Giudea dicendo: convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino (Mt 3,2).

Gesù cominciava sulla riva del lago con l’identico annuncio: convertitevi perché il regno dei cieli è vicino (Mt 4,17).

Tutti i profeti hanno gli occhi fissi nel sogno, che ha nome regno dei cieli, che è un mondo nuovo intessuto di rapporti buoni e felici. Ne percepiscono il respiro vicino: è possibile, è ormai iniziato. Su quel sogno ci chiedono di osare la vita, ed è la conversione.

Si tratta di tre annunci in uno, e tra tutte la parola più calda di speranza è l’aggettivo “vicino”. Dio è vicino, è qui, prima buona notizia: il grande Pellegrino ha camminato, ha consumato distanze, è vicinissimo a te.

Dio è accanto, a fianco, dentro tutto ciò che vive: rete che raccoglie insieme, in armonia, il lupo e l’agnello, il leone e il bue, il bambino e il serpente (parola di Isaia), uomo e donna, arabo ed ebreo, mussulmano e cristiano, bianco e nero, per una nuova architettura del mondo e dei rapporti umani.

Il Regno dei cieli e la terra come Dio la sogna. Non si è ancora realizzata? Non importa, il sogno di Dio è più vicino, anzi è più vero che non la realtà stessa, fatta di lupi e di muri, è il nostro futuro che ci porta, la forza che fa partire.

Convertitevi, ossia osate la vita, mettetela in cammino, e non per eseguire un comando, ma per una bellezza; non per una imposizione da fuori ma per una seduzione. Ciò che converte il freddo in calore non è un ordine dall’alto, ma la vicinanza del fuoco; ciò che toglie le ombre dal cuore non è un obbligo o un divieto, ma una lampada che si accende, un raggio, una stella, uno sguardo. Convertitevi: giratevi verso la luce, perché la luce è già qui: cambiate lo sguardo con cui vedete gli uomini e le cose, cambiate strada, sopra i miei sentieri il cielo è più vicino e più azzurro, il sole più caldo, il suolo più fertile, e ci sono cento fratelli, e alberi fecondi, e miele.

La forza che cambia il cuore non è mai la paura, ma è una forza non umana che cresce dentro, una forza im-mane, cioè il divino in noi, Dio che viene, che va alla radice del vivere, più vicino a me di me stesso.

 

La prima parola di Giovanni e Gesù è vangelo, bella notizia: si è avvicinato il Regno di Dio.

Noi pensiamo che la presenza del Signore si sia rarefatta in questa società di idoli.

Il profeta ripete: il regno è più vicino oggi di ieri, di dieci o vent’anni fa, ma a noi sembra che si sia allontanato.

Se guardo con attenzione, io vedo che il mondo è più vicino al regno di Dio oggi di ieri: è cresciuta la libertà di essere se stessi, l’autenticità nelle relazioni, la consapevolezza che l’uomo è il diritto di avere diritti, è cresciuta la giustizia e la solidarietà verso i deboli, verso i disabili c’è stata una autentica rivoluzione, l’amore per tutte le creature, per la terra, l’aria, le acque. E l’istruzione e la scienza.

Anche altro è cresciuto, è vero, una solitudine, una individualizzazione, una disgregazione dei legami, una idolatria del denaro e dell’apparire, una insofferenza verso gli estranei.

Ma io credo nella buona notizia di Isaia, Giovanni, Gesù.

Lo credo non per un vacuo ottimismo. Il cristiano non è ottimista, ha speranza. L’ottimista tra due ipotesi sceglie quella positiva. Io scelgo il Regno per un atto di speranza: perché Dio si è impegnato con noi, in questa storia, con un intreccio così scandaloso con la nostra carne da arrivare fino alla morte di croce.

Come riuscire a vederlo? A un Maestro un giorno un discepolo chiese: ‘Un tempo c’erano uomini che vedevano Dio faccia a faccia, perché oggi nessuno più vede Dio?’ E il Maestro rispose: ‘Perché oggi nessuno sa più inginocchiarsi così profondamente!’

Per vedere bene qualsiasi cosa ti devi inginocchiare a millimetro di viso, di occhi, di voce.

Chiniamoci con attenzione e lo vedremo. Nell’intimo di ciascuno, nell’umiltà dei giorni e dei segni viene, per questo è necessario avere quello che il profeta chiama l’occhio penetrante. Uno sguardo che non si ferma alla superficie delle cose, alla nebbia delle parole, che va oltre le apparenze.

Gesù è l’incarnazione di un Dio che si fa intimo come un pane nella bocca, una parola detta sul cuore, un respiro: infatti “vi battezzerà nello Spirito Santo”, vi immergerà dentro il mare di Dio, sarete avvolti, intrisi, impregnati della vita stessa di Dio, in ogni vostra fibra.

Perché viene? Perché deve venire, per un suo bisogno, perché prima ancora che un mio problema la salvezza è un desiderio di Dio. Che io sia amato dipende da lui non da me. Il venire di Dio dipende da Lui. Perciò ne sono sicuro…

Con le immagini forti della scure e del fuoco, dagli effetti definitivi, Giovanni dice che ‘Dio viene al centro della vita non ai margini di essa’ (Bonhoeffer), che Dio raggiunge e tocca quella misteriosa radice del vivere che ci mantiene diritti come alberi forti, che ci permette di vedere orizzonti di luce nonostante le macerie, di raccogliere frumento buono nonostante gli inverni.

Dio ha a che fare non solo con la mia vita, ma con il centro della mia vita.

Non è l’ultima risorsa quando non ho più risorse; no, viene come forza della mia forza, terra profonda delle mie radici, sole del mio cielo.

Viene dentro la passione d’amore, dentro la fedeltà al dovere, dentro il coraggio di sperare, nella gioia della libertà raggiunta, quando accetto la sproporzione tra ciò che mi è promesso e ciò che stringo fra le mani, e tuttavia faccio avanzare di un passo, di un millimetro, di un niente, la bontà del mondo.

Io cerco chi sa darmi speranza. La speranza me la dà Dio in me, vicino come il respiro, vicino come il cuore, la sua vita dentro la mia vita.

Con Lui vivrò un battesimo di vento e di fuoco. Vento che gonfia le vele e fa ripartire, e focolare che dà calore e sicurezza e fa vivere accesi.

Con Lui il peccato non è più semplicemente trasgredire delle regole, ma trasgredire il sogno che Dio sogna per noi.

Un sogno grande come quello di Gesù, bello come quello di Isaia, al centro della vita come quello di Giovanni.

 

 

Preghiera alla comunione.

 

Manda il tuo messaggero davanti a noi, Signore,

un angelo, un uomo, una donna, un bambino

che ci insegnino a chinarci profondamente

a inginocchiarci per essere più vicini

al volto degli altri, al cuore del mondo.

Manda il tuo messaggero

manda ancora Profeti,

uomini dal cuore in fiamme:

e tu a parlare dai loro roveti.

Vieni più vicino Signore

Allunga ancora un po’ quella mano

che non hai mai cessato di tendermi

e ti sentirò vivo come acqua nel deserto,

come miele nei giorni dell’amarezza,

come vento e come fuoco

che riaccendono il sogno di un mondo nuovo,

un sogno dolce come quello dei profeti,

al cuore della vita come quello di Gesù,

seminato come una perla di luce

nel cuore vivo di tutte le cose. Amen

 

p. Ermes Ronchi

 

Il Vangelo – Ermes Ronchi

Il nuovo Battesimo è l’immersione nel mare di Dio

II Domenica di Avvento – Anno A – 2016

In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaìa quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!».E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico. Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente?

(…)

Giovanni il Battista predicava nel deserto della Giudea dicendo: convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino (Mt 3,2).

Gesù cominciò a predicare lo stesso annuncio: convertitevi perché il regno dei cieli è vicino (Mt 4,17). Tutti i profeti hanno gli occhi fissi nel sogno, nel regno dei cieli che è un mondo nuovo intessuto di rapporti buoni e felici. Ne percepiscono il respiro vicino: è possibile, è ormai iniziato. Su quel sogno ci chiedono di osare la vita, ed è la conversione.

Si tratta di tre annunci in uno, e tra tutte la parola più calda di speranza è l’aggettivo «vicino».

Dio è vicino, è qui, prima buona notizia: il grande Pellegrino ha camminato, ha consumato distanze, è vicinissimo a te. E se anche tu ti trovassi ai piedi di un muro o sull’orlo del baratro, allora ricorda: o quanti cercate, siate sereni / egli per noi non verrà mai meno / e Lui stesso varcherà l’abisso (David Maria Turoldo).

Dio è accanto, a fianco, si stringe a tutto ciò che vive, rete che raccoglie insieme, in armonia, il lupo e l’agnello, il leone e il bue, il bambino e il serpente (parola di Isaia), uomo e donna, arabo ed ebreo, musulmano e cristiano, bianco e nero, per una nuova architettura del mondo e dei rapporti umani.

Il regno dei cieli e la terra come Dio la sogna. Non si è ancora realizzata? Non importa, il sogno di Dio è più vero della realtà, è il nostro futuro che ci porta, la forza che fa partire.

Gesù è l’incarnazione di un Dio che si fa intimo come un pane nella bocca, una parola detta sul cuore, un respiro: infatti vi battezzerà nello Spirito Santo, vi immergerà dentro il mare di Dio, sarete avvolti, intrisi, impregnati della vita stessa di Dio, in ogni vostra fibra.

Convertitevi, ossia osate la vita, mettetela in cammino, e non per eseguire un comando, ma per una bellezza; non per una imposizione da fuori ma per una seduzione. Ciò che converte il freddo in calore non è un ordine dall’alto, ma la vicinanza del fuoco; ciò che toglie le ombre dal cuore non è un obbligo o un divieto, ma una lampada che si accende, un raggio, una stella, uno sguardo. Convertitevi: giratevi verso la luce, perché la luce è già qui.

Conversione, non comando ma opportunità: cambiate lo sguardo con cui vedete gli uomini e le cose, cambiate strada, sopra i miei sentieri il cielo è più vicino e più azzurro, il sole più caldo, il suolo più fertile, e ci sono cento fratelli, e alberi fecondi, e miele.

Conversione significa anche abbandonare tutto ciò che fa male all’uomo, scegliere sempre l’umano contro il disumano. Come fa Gesù: per lui l’unico peccato è il disamore, non la trasgressione di una o molte regole, ma il trasgredire un sogno, il sogno grande di Dio per noi.

(Letture: Isaia 11,1-10; Salmo 71; Romani 15,4-9; Matteo 3,1-12).

https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/il-nuovo-battesimo-e-l-immersione-nel-mare-di-dio

1 Giugno 2016

Messaggio della Madonna di Medjugorje

 

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I 10 SEGRETI DI MEDJUGORJE (di Padre Livio Fanzaga):

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VIDEO RELATIVI AI MESSAGGI DELLA MADONNA DI MEDJUGORJE

PLAYLIST RELATIVA A MEDJUGORJE (MESSAGGI E COMMENTI IN VIDEO)
https://www.youtube.com/playlist?list=PL_I8V9Z5YmOY_O1E9krjhlTo3O_k-L-6y

LE APPARIZIONI DELLA MADONNA A PORZUS – Nuova versione

6 luglio 2005

Il Catechismo della Chiesa Cattolica in mp3

IL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA IN AUDIO

5 Gennaio 2010

REPORT SUL 21° SECOLO

Attraverso un
fantascientifico viaggio nel tempo, l’autore del libro, Pier Angelo
Piai, desidera sensibilizzare il lettore a prendere coscienza del
nostro comune modo di pensare ed agire, noi del 21° secolo che ci
vantiamo di essere progrediti. In che cosa consiste, allora, la vera
evoluzione della specie umana?
Quando l’uomo potrà diventare davvero integrale?
Report
cerca di dare alcune risposte ai moltissimi interrogativi che emergono
in queste pagine scritte attraverso riflessioni e  considerazioni
sociologiche, antropologiche e filosofiche.

6 Luglio 2005

6 luglio 2005 Il Catechismo della Chiesa Cattolica in mp3

IL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA IN AUDIO
Catechesi e omelie di padre Lino Pedron