Fb 19 marzo – IV di Quaresima
Gv 9,1-41
L’albeggiare di Dio in noi (p.Ermes Ronchi)
Lungo i suoi tre anni sulla strada Gesù incontra molta gente, ma oggi, per la via, incrocia l’ultimo degli ultimi: un cieco, innocente e innocuo. Gli si avvicina, lo tocca. Lo riconosciamo! Solo lui passa oltre le colpe che sembrano interessare tutti, ma non Gesù.
La muta speranza del cieco non chiede, non gli chiede, il perché della sua condanna: cerca solo a tentoni mani che lo tocchino, e che sugli occhi spenti gli infondano un po’ di vita. Alla sua impurità cerca partecipazione, non spiegazione.
Invece i farisei su questo hanno eretto una serie di parole e sofismi per non ascoltare la vita. È il mondo ad essere cieco! Infatti sulla bocca dei farisei il termine più ricorrente è “peccato”, innalzato a teoria per spiegare il mondo e la sua realtà.
Una religione immiserita a questioni di peccato che Gesù capovolge all’istante: l’uomo non coincide con il suo errore, mai. Esso non spiega Dio, che è compassione, futuro, approccio ardente, amore che fa ripartire a cuor leggero.
Gesù non parlerà di peccato se non per dire che è perdonato; che Dio non si spreca in castighi, che non indugia sul moralismo. Che l’essenza etica del suo Vangelo è il valore assoluto di ogni persona, che la nostra vita è un quotidiano e continuo albeggiare. Che Dio albeggia in noi.
Gesù si fa culla per le nostre albe, e seguirlo è rinascere.
Con poco fango, con la creta di poca polvere impastata a saliva, ecco un minimo nuovo creato, che Gesù stende su quelle palpebre innocenti e giudicate, bozzolo chiuso nel buio. E come con la bambina di Giairo, lo congeda con “Kum!”: “Alzati!”. Risorgi e vai dove tutti ti possano vedere con occhi nuovi. E fallo anche tu, illumina la tua vita.
In questa piccola liturgia di mani e saliva, celebrata con fragile argilla impastata d’amore, Gesù è Dio che si contamina con l’uomo, è l’uomo contagiato di cielo.
“Vai alla piscina di Siloe!”. Il mendicante cieco si aggrappa al bastone e ad una carezza sugli occhi. Si fida di un miracolo che ancora non c’è, di un salto nel buio.
Andò, e tornò che ci vedeva.
Non siederà più a terra a invocare pietà, ma starà ritto in piedi con la faccia nel sole, finalmente libero. Finalmente uomo.
Di fronte alla gioia di un uomo che per la prima volta vede gli occhi di sua madre, anche gli alberi applaudono, anche i fiumi battono le mani, come dice il salmo.
Ma l’uomo nato cieco passa da miracolato a imputato. Ai farisei delle certezze e della teologia morale non interessano quegli occhi tornati a splendere, ma la “sana” dottrina. E sul guarito di sabato avviano un processo per eresia.
Ma la strada maestra della Chiesa è l’uomo. Sempre.
Una carezza di luce sul cieco: Gesù lo illumina e tutti ne siamo sanati. Ci dice che se una esperienza regala vita, allora è buona e benedetta. Perché legge suprema di Dio è che l’uomo viva.
Avvenire IV di Quaresima Gv 9,1-41
UN UOMO NATO CIECO
Un uomo nato cieco, così povero che possiede soltanto se stesso. E Gesù si ferma proprio per lui. Arriva la prima domanda: perché cieco? Chi ha peccato? Lui o i suoi genitori? Gesù ci allontana immediatamente dall’idea che il peccato sia la spiegazione del male, la chiave di volta della religione. La bibbia non da risposte al perché del male innocente, le cerchi invano. Neppure Gesù lo spiega. Fa altro: lui libera dal male, si commuove, si avvicina, tocca, abbraccia, fa rialzare. Il dolore più che spiegazione vuole condivisione.
Gesù spalma un petalo di fango sulle palpebre del cieco, lo manda alla piscina di Siloe, torna che ci vede: uomo finalmente dato alla luce. Nella nostra lingua partorire si dice anche “dare alla luce”. Gesù dà alla luce, partorisce vita piena.
Il filo rosso del racconto è una seconda domanda, incalzante, ripetuta sette volte: come ti si sono aperti gli occhi? Tutti vogliono sapere “come” si fa, “come” ci si impadronisce del segreto di occhi nuovi e migliori, tutti sentono di avere occhi incompiuti. Lo sappiamo: basta una lacrima e non vedi più. Quanti occhi acutissimi ho visto spegnersi: dicevano di vederci bene ed è bastata una lacrima, l’unghiata di un dolore, e si sono annebbiati, gli orizzonti e le strade scomparsi.
Di fronte alla gioia dell’uomo “dato alla luce”, che vede per la prima volta il sole, il blu del cielo e gli occhi di sua madre, anche gli alberi, se potessero, danzerebbero; anche i fiumi batterebbero le mani, dice il salmo. I farisei, no. Non vedono il cieco illuminato ma solo un articolo violato: Niente miracoli di sabato. Non si salvano vite, oggi. C’è il riposo santo. Avete sei giorni per farvi guarire, non di sabato. Di sabato Dio vi vuole ciechi! Ma che religione è mai quella che non guarda al bene dell’uomo, ma che parla solo di se stessa, a se stessa? Una fede che non si interessi dell’umano non merita che ad essa ci dedichiamo (Bonhoeffer)
C’è un’infinita tristezza nella pagina. I farisei mettono Dio contro l’uomo, ed è il peggior dramma che possa capitare alla nostra fede, a tutte le fedi: mostrano che è possibile essere credenti, senza essere buoni; credenti e duri di cuore. È facile ed è mortale.
E invece no, gloria di Dio non è il sabato osservato, ma un mendicante che si alza, che torna a vita piena, “uomo finalmente promosso a uomo” (P. Mazzolari). E il suo sguardo che illumina il mondo dà gioia a Dio più di tutti i comandamenti osservati
Come lui, torniamo ad avere occhi di bambini, di figli amati: occhi aperti, occhi meravigliabili, occhi grati e fiduciosi, occhi speranzosi, occhi che ridono o piangono con chi sta loro davanti; occhi, insomma, contagiati di cielo.
Signore metti luce nei miei pensieri, luce nelle mie parole, luce nel mio cuore.
Testo di Salvatore Valenti
Il cieco grida a Gesù di aiutarlo, gli dicono di fare silenzio, ma il cieco grida più forte a Gesù di aiutarlo e Gesù lo aiuta e gli dona la vista.
Gesù è la via, la verità e la vita e dona la vista ai ciechi e ci libera da ogni male.
Anche oggi ci dicono di fare silenzio, ma noi non dobbiamo arrenderci, non dobbiamo fare silenzio, ma dobbiamo gridare forte che siamo cristiani, dobbiamo gridare forte che vogliamo che vengano difesi i valori cristiani in occidente, e dobbiamo gridare e pregare nostro Signore Gesù di aiutarci e di liberarci da ogni male.
Gesù ci ama e ci ascolta come ha ascoltato il cieco e ci libera da ogni male e ci dona la pace, dobbiamo pregarlo e saremo liberati da ogni male.
San Michele Arcangelo a Petralia disse:”Pregate il Cristo che è misericordioso e vi perdonerà”
Preghiamo a voce alta, senza vergogna, preghiamo Gesù e saremo guariti e liberati da ogni male e da coloro che vogliono indurci al peccato.
Testo di Salvatore Valenti
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IV quaresima Mendicanti di luce, Giovanni 9,1-41 (di p. Ermes Ronchi)
Saluto: Gesù oggi illumina gli occhi spenti del cieco, come lui siamo tutti mendicanti di luce. Figli della luce, dice Paolo. Figli: infatti nascere si dice anche venire alla luce, o dare alla luce.
La nostra vita è come un albeggiare continuo, nasciamo a metà e tutta la vita ci serve per nascere del tutto. Per questo siamo qui. Per avere occhi nuovi sulle cose.
Grazie e perdono: Grazie Signore per la luce del sole che sorge dal grembo della notte; grazie per la luce che splende nello sguardo di coloro che ci vogliono bene; grazie per il dono di poter godere ancora la carezza della madre luce; grazie per quel poco o tanto che abbiamo capito di noi e della vita.
E poi ti chiediamo liberazione da ciò che ci oscura, forza di rinascita per ciò che in noi stenta a vivere, e sguardo ad altezza di cuore.
Discenda Cristo in noi, come luce tra le ombre, come acqua feconda su terra arida, abbia misericordia di noi che cadiamo facilmente, venga come guarigione di ciò che fa soffrire, come creazione di occhi nuovi, ripulisca il cuore dalle ombre che lo rendono triste, ci faccia vedere la goccia di luce nascosta nel cuore vivo di tutte le cose. Ci illumini, ci perdoni, ci conduca alla pienezza della vita. Amen.
Omelia
Il vangelo di oggi con l’immagine del cieco racconta la vicenda umana come un progressivo un venire alla luce.
Mai avuta la sensazione di essere nella notte? Quella notte brutta che è sofferenza, perdutezza dentro cose che non capiamo? Forse perché avevamo vissuto un lutto, un fallimento, un abbandono, un errore?
Gesù vide un uomo cieco dalla nascita…
Gesù esce dal tempio e vede chi nel tempio non può entrare. Vede lo scarto della città, l’ultimo della fila, un mendicante cieco. L’invisibile. E se gli altri tirano dritto, Gesù no, si ferma. Senza essere chiamato, senza essere pregato.
Gesù non passa oltre, per lui ogni incontro è una meta. Sei seduto e ti incontra, sei a terra e si ferma, ti incontra così come sei. Perché Dio non guarda le apparenze, Dio vede il cuore (prima lettura).
I discepoli amici, i farisei nemici, tutti davanti al male si perdono a cercare le colpe (chi ha peccato, lui o i suoi genitori?), tutti insieme a sbagliarsi su Dio pensando: “in questa malattia c’è la mano di Dio, la sua volontà”.
Gesù non ci sta, fugge da quella logica, via immediatamente da un Dio esperto in castighi: né lui né i suoi genitori hanno peccato. Il male non viene da Dio. In un Dio che manda il cancro, io non credo.
Quell’uomo però è nato e cresciuto nel senso di colpa… Gli facevano capire: tu sei un maledetto da Dio, sei cieco a causa di un peccato. E spesso sono gli uomini di chiesa che pensano di suscitare senso di colpa, come fosse una cosa positiva, e sono ciechi padri di ciechi (il senso di colpa è davvero un’arma di distruzione di massa…)
Di chi è la colpa, perché il male? Una domanda alla quale la bibbia non dà risposte. Gesù stesso non da risposte, lui risuscita, ricrea, restituisce umanità. Non vede in quell’uomo cieco un punto di arrivo, ma un punto di partenza, di nascita.
E senza che il cieco gli chieda niente, fa del fango con la saliva, stende un petalo di fango su quelle palpebre che coprono il nulla. La saliva si pensava che contenesse il respiro, lo spirito, la Ruah che crea Adamo.
Ecco il mio Gesù: è Dio che si sporca le mani con l’uomo, ed è al tempo stesso un uomo che viene contaminato di cielo, contagiato di luce.
Ogni uomo, ogni donna, ogni bambino che viene al mondo, che “viene alla luce”, è un contagio di terra e di cielo, una lucerna di argilla che custodisce un soffio di luce.
Vai a lavarti alla piscina di Siloe… Il mendicante cieco si affida al suo bastone e alla parola di uno sconosciuto. Si affida quando il miracolo non c’è ancora, quando c’è solo buio intorno.
Andò alla piscina e tornò che ci vedeva. Non si appoggia più al suo bastone; non siederà più a terra a invocare pietà, ma ritto in piedi cammina con la faccia nel sole, finalmente libero. Finalmente uomo. “Figlio della luce e del giorno” (1 Ts 5,5), ridato alla luce, ri-partorito a una esistenza di coraggio, dignità e meraviglia.
Nuovo. Infatti la gente che conosceva quell’uomo, ora non lo riconosce più. È lui, dicono alcuni; no, non è lui, sostengono altri.
E accade davvero: uno incontra il Signore e cambia dentro: ha un’altra visione, uno sguardo nuovo sulla vita, e diventa perfino più bello e luminoso. Si sono aperte finestre di luce. Ha una libertà e una dignità nuove.
Per la seconda volta Gesù guarisce di sabato. E invece del canto di gioia entra nel vangelo un’infinita tristezza. Perfino i genitori sembrano vili.
Ai farisei non interessa la vita ritornata a splendere in quegli occhi ma la ‘sana’ dottrina. E avviano un processo per eresia. Per difendere la dottrina negano l’evidenza.
Ma che religione è questa che non guarda al bene dell’uomo ma solo a se stessa e alle sue regole?
Invece a Dio per prima cosa interessa un uomo liberato dai sensi di colpa, veggente, incamminato; un rapporto che produca libertà e che faccia fiorire l’umano!
I farisei vorrebbero che il cieco tornasse cieco, per avere ragione loro.
Ma il cieco è diventato libero, è diventato forte, tiene testa ai sapienti: io non so di teologia, io sto con la vita e coi fatti: io ci vedo!
Il dramma che si consuma nella sala del processo, e in tante nostre comunità, è questo: da un lato la dottrina, dall’altro la vita, separati, un muro tra loro.
Gesù ricuce lo strappo, unisce il Dio della vita e il Dio della dottrina, e lo fa mettendo al centro l’uomo. La gloria di Dio è un uomo con la luce negli occhi e nel cuore.
I farisei dicono Gesù, “non viene da Dio, perché non osserva il sabato”. Per loro venire o no da Dio, dipende dall’osservanza o meno della legge. Per Gesù venire o no da Dio, dipenderà dall’atteggiamento che si ha nei confronti dell’uomo. L’atteggiamento di Dio, che ti prende là dove sei, rotto come sei, e si fa mano viva che aggiusta, che tocca il cuore e lo apre, che tocca gli occhi e li illumina. Amore che fa ripartire la vita.
Gesù non è venuto a portare il perdono dei peccati, non occorrevano l’incarnazione e la croce per questo: anche un uomo sa perdonare, e Dio molto meglio. Gesù è venuto a portare non il perdono dei peccati, ma molto di più, a portare se stesso: io sono la luce del mondo. Sole che guarisce, sguardo che consola, forza che fa ripartire, scintilla di Dio in ciascuno.
I farisei dicono: Gloria di Dio è il precetto osservato, il peccato espiato!
E invece no,
gloria di Dio è un mendicante che si alza da terra,
un pover’uomo con occhi che si riempiono di luce.
E ogni cosa ne è illuminata.
Gloria di Dio è l’uomo finalmente promosso a uomo.
Lui dà lode a Dio più di tutti i comandamenti del cielo e della terra!
Preghiera
Signore Gesù, luce del mondo,
luce eterna, principio di ogni cosa
Tu sei l’intima luce di ognuno di noi,
luce amante, luce discreta,
luce necessaria, dimenticata, amabile.
Luce che sei carezza di gioia e di libertà,
che splendi negli occhi buoni,
donami occhi in sete di luce.
Tu, luce del mio notturno deserto interiore,
tu, bastone cui appoggio la mia fatica,
stella accesa sulla valle oscura,
Tu che illimpidisci il cuore, guariscimi,
brucia le ombre che mi invecchiano
consuma le mie paure
donami occhi profondi come i tuoi.
Metti luce nei miei pensieri,
luce nelle mie parole,
luce nel mio cuore.
Amen.
p. Ermes Ronchi
IV Domenica di Quaresima – Anno A – 2017
Vangelo. Il racconto del cieco guarito ci è proposto come un “segno” per la nostra fede:
si tratta di un incontro con Cristo che è luce e che fa uscire dalla tenebra.
Siamo invitati a rileggere la storia narrata a un livello più profondo rispetto al semplice riacquisto della vista fisica:
l’identità più vera di Gesù è qui quella del rivelatore di Dio per tutti coloro che lo accolgono.
Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi
Affidarsi a Dio, come mendicanti persi nel buio
Giovanni 9,1-41
In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita; sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». (…)
Gesù vide un uomo cieco dalla nascita… Gesù vede. Vede lo scarto della città, l’ultimo della fila, un mendicante cieco. L’invisibile. E se gli altri tirano dritto, Gesù no, si ferma. Senza essere chiamato, senza essere pregato. Gesù non passa oltre, per lui ogni incontro è una meta. Vale anche per noi, ci incontra così come siamo, rotti come siamo: «Nel Vangelo il primo sguardo di Gesù non si posa mai sul peccato, ma sempre sulla sofferenza della persona» (Johannes Baptist Metz).
I discepoli che da anni camminano con lui, i farisei che hanno già raccolto le pietre per lapidarlo, tutti per prima cosa cercano le colpe (chi ha peccato, lui o i suoi genitori?), cercano peccati per giustificare quella cecità. Gesù non giudica, si avvicina. E senza che il cieco gli chieda niente, fa del fango con la saliva, stende un petalo di fango su quelle palpebre che coprono il nulla.
Gesù è Dio che si contamina con l’uomo, ed è anche l’uomo che si contagia di cielo. Ogni uomo, ogni donna, ogni bambino che viene al mondo, che viene alla luce, è una mescolanza di terra e di cielo, una lucerna di argilla che custodisce un soffio di luce.
Vai a lavarti alla piscina di Siloe… Il mendicante cieco si affida al suo bastone e alla parola di uno sconosciuto. Si affida quando il miracolo non c’è ancora, quando c’è solo buio intorno. Andò alla piscina e tornò che ci vedeva. Non si appoggia più al suo bastone; non siederà più a terra a invocare pietà, ma ritto in piedi cammina con la faccia nel sole, finalmente libero. Finalmente uomo. «Figlio della luce e del giorno» (1Ts 5,5), ridato alla luce, ri-partorito a una esistenza di coraggio e meraviglia.
Per la seconda volta Gesù guarisce di sabato. E invece del canto di gioia entra nel Vangelo un’infinita tristezza. Ai farisei non interessa la persona, ma il caso da manuale; non interessa la vita ritornata a splendere in quegli occhi ma la “sana” dottrina. E avviano un processo per eresia: l’uomo passa da miracolato a imputato.
Ma Gesù continua il suo annuncio del volto d’amore del Padre: a Dio per prima cosa interessa un uomo liberato, veggente, incamminato; un rapporto che generi gioia e speranza, che porti libertà e che faccia fiorire l’umano! Gesù sovverte la vecchia religione divisa e ferita, ricuce lo strappo, unisce il Dio della vita e il Dio della dottrina, e lo fa mettendo al centro l’uomo. La gloria di Dio è un uomo con la luce negli occhi e nel cuore.
Gli uomini della vecchia religione dicono: Gloria di Dio è il precetto osservato e il peccato espiato! E invece no, gloria di Dio è un mendicante che si alza, un uomo con occhi che si riempiono di luce. E ogni cosa ne è illuminata.
(Letture: 1 Samuele 16,1.4.6-7.10-13; Salmo 22; Efesini 5,8-14; Giovanni 9,1-41)
https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/affidarsi-a-dio-come-mendicanti-persi-nel-buio
10° capitolo
Gesù sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse:”Va’ a lavarti nella piscina di Siloe…” Questi andò, si lavò e tornò che ci vedeva.(Gv.1,41)
E’ Lui che ci fa vedere. Usa i mezzi più umili ed intimi. Sputare per terra e fare del fango per poi spalmarlo sugli occhi è un gesto che immediatamente ci ripugna. Come spesso ci ripugna la realtà che osserviamo fuori e dentro di noi. Per capire il gesto di Gesù bisogna considerare che nulla di quello che fa è casuale. Ogni più piccolo gesto ha un senso.
La saliva è prodotta dal corpo stesso. Il suo compito è quello di sciogliere le sostanze alimentari solubili , rendere viscidi gli alimenti masticati per favorirne la deglutizione ed iniziare i processi digestivi degli idrati di carbonio mediante la ptialina. La terra rappresenta il nostro emergere dalla molteplicità, l’umiltà della nostra condizione di creature fatte di fango, polvere. Solo Lui può elevarci da questa misera condizione: la nostra superficialità e dispersività non ci consente di assimilare le cose terrene e quotidiane.
La sua saliva rende la terra “fango”, il quale, rispetto alla polvere ha un’unità intrinseca ed è per questo più plasmabile. Posto sugli occhi il fango rappresenta la visione delle cose nella loro unità, nella loro essenza. Solo lo Spirito può condurre ai livelli evolutivi più alti: il fango deve essere asportato attraverso l’acqua della piscina di Siloe, simbolo dell’azione salvifica dello Spirito. Gesù, Figlio di Dio, ci conduce dalla cecità iniziale legata alla visione frammentaria della realtà molteplice, alla visione unitaria dello Spirito. E lo fa gradualmente, con infinita pazienza, attraverso i numerosissimi attimi della nostra vita quotidiana.
Attimi terreni di polvere, di fango e di acqua.
L’uomo così purificato ha la possibilità di vedere Dio…una visione così diversa da quella che si immagina che è impossibile trovare paragone, similitudine, analogia o metafora più adatta. Ma si comincia a vederlo già da questa vita terrena.
Noi pensiamo sempre che Dio opera prodigi e miracoli. Ed è vero.
Ma applicando una certa logica legata alla reciprocità ( siamo destinati a diventare simili a Lui), anche Dio si stupisce dei nostri prodigi. Quali sono? Sono le scoperte che facciamo della sua “gratuità” e della sua benevolenza fino a decidere per Lui. E’ una decisione a volte miracolosa perché vince la nostra forza di gravità e ci inoltriamo nel Regno dell’Amore puro diventando altri dèi. Egli assiste al miracolo di vederci diventare simili a Lui per godere della sua infinita beatitudine. Un Dio che ama deve per forza agire così: gioire e godere per la creatura che progredisce nell’amore!
L’amore richiede pazienza. Il cieco nato avrebbe potuto ottenere la vista dal Signore immediatamente, senza quello strano rituale del fango. Invece Gesù si serve dell’azione (spalmare il fango insalivato sugli occhi) per farci capire che richiede anche la nostra collaborazione.
“Sono infinitamente povero anche quando sto operando bene; non conoscere la radice delle nostre intenzioni è uguale a essere ciechi e usare esplosivo inconsciamente” (Albino p.148)
Lo Spirito ci aiuta a capire molte intenzioni nascoste dalla nostra cecità. Intenzioni che nascondiamo soprattutto a noi stessi per paura di vederci così come siamo, con le nostre grettezze e i nostri miserabili tornaconti. Non riusciamo a sopportarci così come siamo : meno male che l’amore di Dio è infinito!
Allora vennero i farisei…chiedendogli un segno dal cielo…Ma egli, traendo un profondo sospiro, disse: Perché questa generazione chiede un segno? (Lc.8,11)
Molti si pongono la questione dell’esistenza di Dio.Stupisce la loro incredulità ed la scarsa informazione religiosa . Si prova un misto di tenerezza e di compassione. Le menti vengono spesso traviate e manipolate da convinzioni molto pregiudiziali. Forse uno dei traviamenti più comuni consiste nell’associare l’idea di Dio all’idea distorta di “miracolo”. Per molti il miracolo è qualcosa di sensazionale, emotivamente travolgente. E si dimentica il grande miracolo della Creazione.
Proviamo ad alzare un dito della mano : in questo momento è avvenuta una cosa incredibile, perché la nostra stessa volontà, legata alla coscienza, ha causato un’operazione molto semplice ma anche terribilmente complessa. Miliardi di atomi, quelli che compongono le cellule del dito, hanno subito un enorme spostamento rispetto alla loro dimensione…Tanti sono convinti che non è un prodigio, ma una cosa normale!
Cosa vuole dire normale? Un atto che viene ripetuto migliaia di volte da milioni di persone è normale?
Forse dobbiamo rivedere il concetto di “normalità”. Una coscienza “superficiale” dichiara “normale” tutto ciò che appare ai suoi occhi. Se riflette un po’ più in profondità intuisce che il concetto “normale” ha per lui il valore semantico di “banale”.
Troppe “banalità” sono state sottovalutate. Per ogni coscienza attenta, nulla invece è banale. Nulla. Tutto è intriso di straordinarietà. Ogni esistenza è straordinaria ed eccezionale perché nulla nel mondo fenomenico è replicabile in identica quantità e qualità. L’identità è tale solo nel pensiero. Un’identità ontologica sarebbe una vera rarità. Il fenomeno più straordinario di tutti. Com’è straordinario il sole che sorge e tramonta puntualmente ogni giorno dell’anno.
E la luna con le sue fasi. E gli astri con le loro complesse leggi gravitazionali. Il macrocosmo così spaventosamente immenso e il microcosmo così misteriosamente complesso sono straordinari. Il nostro corpo è il più straordinario di tutti perché non è solo un agglomerato di cellule e tessuti, ma contiene la psiche e l’anima. Non è forse straordinario che noi possiamo compiere infiniti atti di volontà tramite un sistema biologico e psicologico così unici e complessi? Perché non intravediamo la straordinarietà del nostro mondo interiore ed esteriore? Non è fantastica la possibilità di diventare virtualmente interpreti di situazioni così inverosimili all’infinito quali quelle che troviamo nella nostra immaginazione e nei sogni?
Per leggere l’11° capitolo cliccare:
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I 10 SEGRETI DI MEDJUGORJE (di Padre Livio Fanzaga):
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LE APPARIZIONI DELLA MADONNA A PORZUS – Nuova versione
6 luglio 2005
IL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA IN AUDIO
Catechesi e omelie di padre Lino Pedron