Anche il libro di Andrea Panont “La penna sospinta da una voce” si trasforma in attività spirituale. Si scrive in tanti modi, per
molte ragioni, si scrivono cose molto diverse. Ma c’è sempre stato e ci sarà sempre chi scrive perché hasentito e raccolto un comando interiore.
Questo lo sanno molto bene i poeti, che scrivono per rispondere a una voce che dice e chiama, e la loro poesia diventa il frutto di un ‘sì’ a un’incarnazione. Ci dicono che la scrittura è seconda, perché prima c’è il dono di una voce, di una parola, di uno spirito.
Ci sono molte parole dette, anche parole grandi e immense, che non diventano parole scritte. Ma non ci sono scritture grandi e immense che non siano prima state dette nell’anima da una parola sussurrata.
È questa dimensione vocazionale e spirituale della parola scritta che fa sì che anche le altre nostreparole scritte senza vocazione possano essere,
misteriosamente, vere o almeno non sempre e non interamente false.
Le poche parole spirituali sono un bene comune per tutti, anche se non lo sappiamo. La verità della parola di chi scrive obbedendo a una voce, dà sostanza alle parole di tutti, ci salva dalla vanitas globale, radicale e assoluta delle chiacchiere, alla quale siamo invece condannati quando perdiamo contatto con la scrittura vocazionale, quando smettiamo di leggere i poeti.
Perché i poeti e gli scrittori per vocazione, sono quel «giusto» trovato nella nostra città di parole, che la salva dalla distruzione. I miei nonni non conoscevano le poesie dei poeti, ma le loro parole dialettali erano vere, perché figlie della verità della natura, della pietà popolare, del dolore; e perché erano impastate di proverbi antichi, di vangelo, di filastrocche, di canzoni, di santi, e di molta preghiera, di moltissime preghiere.
E così quando una figlia o un nipote recitavano una poesia dei poeti imparati a scuola, sapevano intuirla col cuore oltre la semantica e la metrica, e qualche volta si commuovevano veramente, perché sentivano e amavano quelle parole prima di capirle, e amandole
le capivano, almeno un po’.
Oggi abbiamo perso queste altre verità delle parole. Per salvarci dalla vanitas delle chiacchiere ci resterebbero soltanto i poeti, i grandi scrittori, la Bibbia, e poco altro. Ma ci manca quel poco di silenzio interiore necessario per udire una voce diversa.
Luigino Bruni
l.bruni@lumsa.it
Economista accademico, saggista e giornalista italiano, storico del pensiero economico, con interessi in filosofia e teologia, personaggio di rilievo dell’economia di comunione e dell’economia civile.
di p. Andrea Panont
https://it.zenit.org/articles/linseguitore/
Questo me lo confidava uno dei miei migliori amici: Ho sempre pregato di essere santo, perfetto, di buon esempio in famiglia…e ho chiesto mille cose belle per la mia vita e quella degli altri.
Ma mi trovo sempre a terra, sorpreso dalle mie debolezze e umiliato da incoerenze che mai mi sarei aspettato da me…Perché?
Allora, come si fa tra amici che si confidano il profondo, gli ricordo che la vita è una corsa verso la “nostra” santità. Il perfezionismo è però una corsa che, a nostra insaputa, tende a portarci fuori strada.
La buona volontà “nostra” si rivela una corsa ricca di presunzione; si trasforma in una ricerca dell’io che si rivela una fuga da Dio. Ma Lui, per nostra fortuna, ci insegue e non demorde.
Nella fuga spesso percorriamo una strada irta di insidie, ostacoli e trabocchetti seminati da Dio stesso. Finché arriva la provvidenziale caduta. Grazie a quel trabocchetto, ci troviamo fermi, disarmati e feriti nell’orgoglio.
Disarcionati dalla presunzione, costatiamo chi siamo. Si curva su di noi l’Amore-Samaritano che ci dice: “T’aspettavo al varco della tua fragilità”. Poi anche si congratula: “Finalmente ti sei fermato; finalmente ti vedo disarmato; finalmente ti lasci dire ciò che da tempo volevo rivelarti.
E’ vero da sempre che ti voglio bene – Ti amo così come sei – Smettila di voler essere diverso e migliore – Ora, liberato dal tuo io, vinto dal mio amore, correrai con me. Mi lascerai vivere in te e correre con te.”.
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