Nei vangeli si legge che la barca dei discepoli pescatori in balia delle onde turbolente era piena di acqua e Gesù dormiva a poppa sul cuscino…Gesù dormiva durante la terribile tempesta! Dormiva profondamente! Era così fiducioso del Padre che nulla potevano su di Lui gli eventi avversi della natura che poi ha dimostrato di dominare…
Che insegnamento possiamo trarre? La nostra vita è spesso nella tempesta: tentazioni di ogni tipo, preoccupazioni economiche ed affettive, inimicizie e violenze di ogni tipo ecc. Eppure dobbiamo come Gesù fidarci completamente del Padre: questo lo glorifica. Fidarsi completamente significa non preoccuparci, consapevoli che Egli ci è sempre accanto, che conosce le nostre necessità e che sa benissimo di che cosa abbiamo bisogno.
Sei investito da tentazioni troppo forti? Lascia che passino: il Signore ha il potere di dissolverle.
Sei molto preoccupato per la situazione economica? Egli è Provvidenza e quando hai fatto tutto che dovevi fare, Lui non ti abbandonerà.
Sei colpito da una forte depressione? Pensa all’Onnipotenza divina: Egli ha il potere di riportare in te ordine e serenità interiore. Nulla è impossibile a Dio.
Sei perseguitato da gente malvagia? Se confidi nel Signore egli renderà innocui i tuoi nemici.
Non dubitiamo mai dell’Amore Onnipotente di Dio, perché siamo suoi figli e non ci perde mai di vista.
Al momento opportuno Egli ci soccorrerà.
Alimentiamo la nostra fede nella preghiera!
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Udine 26 luglio 2018)
Questo cigno solitario di una roggia di Udine (p.zza Patriarcato) è davvero maestoso perché cattura lo sguardo del passante sensibile alle bellezze della natura.
È aggraziato dai riflessi del sole estivo sulla superficie dell’acqua che scorre lentamente, accompagnato da una musica appropriata.
DA CONTEMPLARE!
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NON LASCIAMOCI PRENDERE MAI DAL PANICO..
Mc 4,35-41
In quel medesimo giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui.
Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?».
Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, càlmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».
E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».
Non so se ci rendiamo conto di una grande lezione che il Signore ci ha dato a tutti noi.. Gesù, durante una temibile tempesta di vento dormiva tranquillamente sulla poppa della barca col cuscino… Umanamente parlando poteva essere spaventato a morte come i suoi discepoli che urlavano mentre le onde continuavano ad entrare riempiendo la barca. Lui, invece, dormiva profondamente, tanto che hanno dovuto svegliarlo. Un grandissimo insegnamento per tutti noi: un esplicito e concreto invito a mantenere la calma interiore durante le tempeste della vita, anche le più pericolose.
Se ci fidiamo di Lui non dobbiamo temere di nulla perché Egli comanda anche alle forze della natura perché è proprio per mezzo di Lui ed in vista di Lui che furono create.
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Fb 9 agosto XIX
PAURA SCIOLTA NELL’ABBRACCIO
Vangelo di paure, vangelo di grida: umanissimo vangelo. Gesù dapprima assente, poi come un fantasma, infine come una mano salda che afferra. Un crescendo di fede.
Gesù fatica a lasciare la gente, non se ne va finché non li ha salutati tutti. Era stato un giorno speciale, quello, il laboratorio di un mondo nuovo: un fervore, un moltiplicarsi di mani e di cure per dare pane a tutti.
La fame dei poveri saziata, il suo sogno realizzato.
Ora, desidera l’abbraccio del Padre. Congedata la folla salì sul monte, in disparte, a condividere con lui la gioia: sì, Padre, si può! Portare il tuo regno sulla terra si può! Un colloquio festoso, un abbraccio che dura fino all’alba, quando risente il desiderio dei suoi.
Di abbraccio in abbraccio: così si muoveva Gesù.
Pietro, coraggioso e insieme scriteriato, domanda due cose, una giusta e una sbagliata: che io venga da te! Richiesta bella e perfetta, andare verso Dio. Ma poi sbaglia chiedendo di andarci camminando sulle acque.
A cosa serve uno sfoggio di potenza fine a se stesso, un intervento divino il cui scopo non è il bene comune? A che serve l’opposto di ciò che si era verificato la sera prima, con i pani e i pesci per tutti? E’ infatti un miracolo che fallisce in fretta, e Simone affonda.
Pietro si rivela uomo di poca fede non quando ha paura delle onde nella notte, ma prima, quando chiede questo genere di segni per il suo cammino di fede. E tutto vacilla.
Dubbio, fede, grido. Mi piace questo rude pescatore, uomo d’acqua e di roccia, oscillante tra fede grande, che sfida la tempesta, e fede piccola, impaurita. Ma è proprio lì che Gesù ci raggiunge, al centro del nostro vuoto, per salvarci dalla paura.
Pietro vive sulla sua pelle come il camminare sul mare non serva affatto a rafforzare la fede. Cammina e già dubita. E io lo ringrazio per questo suo grido estremo: Signore, salvami!
Ora so che ogni dubbio può essere sciolto anche da un solo mio grido nella notte, come il suo. Se guardo con occhi bassi le mie difficoltà e i miei fallimenti, scendo nel buio.
Pietro tu andrai verso il Signore, ma non nel brillare illusorio di acque prodigiose, lo farai scendendo nella polvere della strada da Gerusalemme a Gerico.
Forse a Pietro serviva davvero questa paura d’affogare nell’acqua della disperazione, per trovare il coraggio di affidarsi, gridando a Gesù.
Un giorno lo seguirà non più attratto dai segni, ma dal suo calvario; andrà da chi sa far tacere non tanto il vento e il mare, ma tutto ciò che non è amore.
Pietro, emblema dei credenti, imparerà ad affidarsi non contando su imprevedibili miracoli, ma sull’amore quotidiano che resiste, sulla bellezza di una fede nuda.
E noi, con Pietro, a fissare Gesù che ci viene incontro nel buio della bufera, a sentire le sue consolanti parole: Vieni! Tutto è ancora possibile, con me. Vieni!
Avvenire 19 A
Matteo 14,22-33.
“Subito dopo”, dopo i pani che traboccavano dalle mani e dalle ceste, “costrinse i discepoli”, che vorrebbero star lì a godersi il successo, “a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva”. Li deve costringere, non vogliono andarci sull’altra riva, è terra pagana, c’è il rischio di essere rifiutati, è già successo. Infatti: la barca era sbattuta dalle onde, perché il vento era contrario. Un vento che non soffia da fuori, ma da dentro i Dodici, come resistenza a quel viaggio verso gli stranieri.
“Sul finire della notte egli andò verso di loro, camminando sul mare”. Non ha fretta Gesù: tre giorni ha atteso per Lazzaro, attende quasi una notte intera di tempesta, tre giorni aspetterà per risorgere. Ha sempre fretta invece quando in vista c’è una esaltazione, una ovazione. Fretta di andarsene e di portar via i discepoli. Perché il posto vero dei credenti non è nei successi e nei risultati trionfali, ma in una barca in mare, mare aperto, dove prima o poi, durante la navigazione della vita, verranno acque agitate e vento contrario. Ma non saranno lasciati soli.
«Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». All’invito di Gesù, Pietro, coraggioso fino all’incoscienza, abbandona ogni riparo e cammina nel vento e sulle onde. Sì, ma verso dove? Pietro non vuole tanto andare da Gesù, quanto metterne alla prova la potenza. Andrà davvero verso Gesù, quando lo seguirà, non sedotto dal suo camminare sul mare, bensì dal suo camminare verso lo scandalo e la follia della croce. Andrà dietro a lui, non perché sa far tacere il vento, ma perché fa tacere tutto ciò che in noi non è amore. Andrà verso il Samaritano buono, nella polvere dei sentieri del tempo e non sul luccichio di acque miracolose. Andrà verso il servo, non verso il taumaturgo.
“E venne da Gesù” dice il Vangelo. Pietro, fino a che ha occhi solo per quel volto visibile anche nella notte, cammina sulle acque. Quando volge lo sguardo al vento, alle onde, al buio, inizia ad affondare. Guardo al Signore, lo ascolto, e vado dovunque, faccio miracoli. Guardo a me, a tutte le difficoltà, e sprofondo.
Se guardo a perché sono qui, a chi mi ha mandato su questa terra, non mi ferma nessuno. Se guardo alla mia storia accidentata, il dubbio mi blocca.
Pietro, in pieno miracolo, dubita: “Signore affondo”; in pieno dubitare, crede: “Signore, salvami!”. Dio salva, qui è tutta la fede: Egli non è un dito puntato, ma una mano che ti afferra.
Un grido nel vento. Che se ne fa Pietro del catechismo mentre affonda? Basta un grido per varcare l’abisso tra cielo e terra. Fino a che, in fondo a ogni nostra notte, il grido di paura diventerà abbraccio tra l’uomo e il suo Dio.
Ci sono grandi onde, molto vento… ma c’erano anche prima, all’inizio del miracolo, per tutta la notte. Da dove viene il dubbio?
Dalle tempeste della vita, dalla fatica del cuore, da Dio assente. Da Gesù come un fantasma, e non come una voce e una mano.
Ma è proprio là che il Signore ci raggiunge, al centro della nostra debole fede. Non attende, non pretende che abbiamo una fede grande. Ci raggiunge e non punta il dito per accusarci ma stende la mano per afferrarci.
Dubbio e fede. Indivisibili. A contendersi in vicenda perenne il cuore. Non viene a risolvere i miei problemi, sono io che devo essere risolto.
Dio, con una sola parola avresti potuto salvare migliaia di mondi. Un solo sospiro di Gesù avrebbe soddisfatto la Tua giustizia.
Ma Tu, o Gesù, hai affrontato per noi una Passione tanto tremenda, unicamente per amore.
La giustizia del Padre Tuo sarebbe stata appagata da un Tuo unico sospiro e tutto il Tuo annientamento è opera esclusivamente della Tua Misericordia e di un inconcepibile amore.
Tu, o Signore, mentre partivi da questa terra, hai voluto restare con noi ed hai lasciato Te stesso nel sacramento dell’altare e ci hai spalancato la Tua Misericordia.
Non c’è miseria che Ti possa esaurire. Hai chiamato tutti a questa sorgente d’amore, a questa fonte della divina pietà.
È lì la sede della Tua Misericordia, lì la medicina per le nostre infermità. Verso Te, viva sorgente di Misericordia, tendono tutte le anime: alcune come cervi assetati del Tuo amore, altre per lavare le ferite dei loro peccati, altre ancora per attingere forza per affrontare i disagi della vita.
Quando spirasti sulla croce nello stesso istante ci hai donato la vita eterna. Permettendo che squarciassero il Tuo sacratissimo fianco, ci hai aperto la sorgente inesauribile della Tua Misericordia, ci hai dato quello che avevi di più prezioso, cioè il Sangue e l’Acqua del Tuo Cuore. Ecco l’onnipotenza della Tua Misericordia, dalla quale giunge a noi ogni grazia.
Sii adorato, o Dio, nell’opera della Tua Misericordia, sii benedetto da tutti i cuori fedeli Sui quali si posa il Tuo sguardo E nei quali c’è la Tua vita immortale. O mio Gesù, Misericordia! La Tua santa vita sulla terra è stata dolorosa, e terminasti la Tua opera con un supplizio atroce, sospeso e disteso sull’albero della croce.
E tutto questo per amore delle nostre anime. Per un amore inconcepibile Ti lasciasti squarciare il Sacratissimo fianco e sgorgarono dal Tuo Cuore torrenti di Sangue ed Acqua. Lì c’è la viva sorgente della Tua Misericordia, lì le anime trovano conforto e refrigerio.
Nel Santissimo Sacramento ci lasciasti la Tua Misericordia, il Tuo amore ha provveduto in modo che, affrontando la vita, le sofferenze e le fatiche, non dubitassimo mai della Tua bontà e Misericordia.
Se sulla mia anima gravassero anche tutte le miserie del mondo, non dobbiamo dubitare nemmeno un istante, ma confidare nella potenza della Misericordia poiché Dio accoglie sempre benevolmente un’anima pentita.
O ineffabile Misericordia del Signore, Fonte di pietà e di ogni dolcezza! Sii fiduciosa, sii fiduciosa, o anima, anche se sei macchiata dalla colpa. Poiché se ti avvicini a Dio, non proverai amarezza.
Poiché Egli è la viva fiamma di un grande amore, Quando ci avviciniamo sinceramente a Lui, Scompaiono le nostre miserie, i peccati e le malvagità. Egli pareggia i nostri debiti, se ci affidiamo a Lui.
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Fb 28 giugno 2020
L’acqua migliore che ho
Chi ama la propria famiglia più di me, non è degno di me. Ma allora chi è degno di te, Signore? Con la tua altissima pretesa, che cosa vuoi da me?
Nessuno amerà mai come te, perché il tuo è il vero amore incondizionato, che anticipa, senza clausola alcuna. Padre madre fratello figlia… sono le persone a me più care, indispensabili per vivere davvero. Sono loro che ogni giorno mi spingono ad essere vero, autentico, senza ruoli. Ma la tua non è una competizione di cuori o una gara di emozioni, da cui sai che non usciresti vincitore se non presso pochi eroi, o santi o profeti dal cuore in fiamme.
E tuttavia, l’uomo non coincide con il cerchio della famiglia. Anche già per unirsi a colei che ama, l’uomo lascerà il padre e la madre! Né la buona novella, né la croce, non la vita eterna e neppure una storia di giustizia, pace o solidarietà, si spiegano interessandosi solo alla famiglia. Bisogna saper accogliere altri nel cerchio del proprio sangue, generare diversamente vita e futuro, staccarsi, perdere, spezzare l’eterna ripetizione di ciò che è già stato. Chi avrà perduto, troverà.
Perdere la vita, non significa farsi uccidere: una vita si perde solo come si perde un tesoro, donandola.
Noi possediamo, veramente, solo ciò che abbiamo donato ad altri. Come la donna di Sunem della prima lettura, che d’impulso dona al profeta Eliseo piccole porzioni di vita, piccole cose: un letto, un tavolo, una sedia, una lampada, e riceverà in cambio una vita intera, un figlio vero! Insieme alla capacità di amare molto di più.
Risento l’eco delle parole di Gesù: Chi avrà perduto la sua vita per causa mia la troverà.
Gesù parla di una causa per cui vivere, che vale più della stessa vita. E Lui, che l’ha perduta per la causa dell’uomo, l’ha ritrovata.
Infatti il vero dramma per la persona, e tanti non ne sono consapevoli, è non avere niente e nessuno per cui valga la pena mettere in gioco e spendere la propria vita.
E a noi, spaventati dall’impegno di dare vita e di avere una causa che valga più di noi stessi, Gesù aggiunge una frase dolcissima: chi avrà dato anche solo un bicchiere d’acqua fresca non perderà il premio. Croce e acqua, il dare tutto e il dare quasi niente. I due estremi di uno stesso movimento, un gesto vivo, significato da quell’aggettivo così evangelico: fresca! L’acqua, fresca dev’essere! Vale a dire procurata con cura, l’acqua migliore che hai, acqua affettuosa, bella, con dentro l’eco del cuore.
La vita nell’acqua: stupenda pedagogia di Cristo, secondo cui non c’è nulla di troppo piccolo per chi vuol bene. Dove amare non equivale ad emozionarsi e a tremare per una creatura, ma si traduce con l’altro verbo che è sempre di corsa, molto semplice e concreto. Un verbo fattivo, urgente, di mani limpide e allegre come acqua fresca: il verbo dare.
Avvenire Mt 10,37-42 XIII A
p.Ermes Ronchi
Chi ama padre o madre, figlio o figlia più di me, non è degno di me.
Una pretesa che sembra disumana, a cozzare con la bellezza e la forza degli affetti, che sono la prima felicità di questa vita, la cosa più vicina all’assoluto, quaggiù tra noi.
Gesù non illude mai, vuole risposte meditate, mature e libere. Non insegna né il disamore, né una nuova gerarchia di emozioni. Non sottrae amori al cuore affamato dell’uomo, aggiunge invece un ‘di più’, non limitazione ma potenziamento. Ci nutre di sconfinamenti. Come se dicesse: Tu sai quanto è bello dare e ricevere amore, quanto contano gli affetti dei tuoi cari per poter star bene, ebbene io posso offrirti qualcosa di ancora più bello.
Ci ricorda che per creare la nuova architettura del mondo occorre una passione forte almeno quanto quella della famiglia. È in gioco l’umanità nuova. E così è stato fin dal principio: per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna (Gen 2,24). Abbandono, per la fecondità. Padre e madre ‘amati di meno’, lasciati per un’altra esistenza, è la legge della vita che cresce, si moltiplica e nulla arresta.
Seconda esigenza: chi non prende la propria croce e non mi segue. Prima di tutto non identifichiamo, non confondiamo croce con sofferenza. Gesù non vuole che passiamo la vita a soffrire, non desidera crocifissi al suo seguito: uomini, donne, bambini, anziani, tutti inchiodati alle proprie croci. Vuole che seguiamo le sue orme, andando come lui di casa in casa, di volto in volto, di accoglienza in accoglienza, toccando piaghe e spezzando pane. Gente che sappia voler bene, senza mezze misure, senza contare, fino in fondo.
Chi perde la propria vita, la trova. Gioco verbale tra perdere e trovare, un paradosso vitale che è per sei volte sulla bocca di Gesù. Capiamo: perdere non significa lasciarsi sfuggire la vita o smarrirsi, bensì dare via, attivamente. Come si fa con un dono, con un tesoro speso goccia a goccia.
Alla fine, la nostra vita è ricca solo di ciò che abbiamo donato a qualcuno. Per quanto piccolo: chi avrà dato anche solo un bicchiere d’acqua fresca, non perderà la ricompensa. Quale? Dio non ricompensa con cose. Dio non può dare nulla di meno di se stesso. Ricompensa è Lui.
Un bicchiere d’acqua, un niente che anche il più povero può offrire. Ma c’è un colpo d’ala, proprio di Gesù: acqua fresca deve essere, buona per la grande calura, l’acqua migliore che hai, quasi un’acqua affettuosa, con dentro l’eco del cuore.
Dare la vita, dare un bicchiere d’acqua fresca, riassume la straordinaria pedagogia di Cristo. Il Vangelo è nella Croce, ma tutto il vangelo è anche in un bicchiere d’acqua fresca. Con dentro il cuore.
Nulla è troppo piccolo per il Vangelo, perché ogni gesto compiuto con tutto il cuore ci avvicina all’assoluto di Dio.
Con lui i tuoi amori saranno custoditi più vivi e più luminosi, perché lui possiede l’arte di andare fino in fondo al voler bene. Ed è questo il significato della seconda condizione,.
Amare nel linguaggio di tutta la bibbia non indica un insieme di emozioni o di sentimenti, non riguarda la sfera affettiva, ma come sempre nella Bibbia, la sfera della fede. Gesù assimila il discepolato alla prima alleanza, al popolo che si impegna con Dio, indica l’atteggiamento della fedeltà a Dio. Amare Dio di meno significava seguire altri dei, idolatria.
Altre leggi a dettare la strada. E l’abbiamo visto dalle cronache, molte volte. Segui come dominanti le leggi della famiglia o del clan, e si arriva a ciò che i sociologi chiamano: familismo amorale. Per amore o necessità della famiglia si accetta tutto: immoralità, corruzione, violenza…
La seconda condizione: Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Prendere la croce e prendere un destino da messia: esistere per Dio per guarire la vita.
Terza condizione: Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo . Rinuncia è liberazione da tutto ciò che impedisce il volo.
Davanti alla pretesa ‘irragionevole’ di Cristo di essere amato più di padre, madre e figli, di essere il primo nel cuore, la mia reazione è quella di pensare: ‘perché mi vuole strappare dal cerchio caldo e vitale degli affetti? Ma non è l’intenzione di Gesù, Lui riempie e poi ci nutre di sconfinamenti.
Destino ordinario è incontrare un amore, una seduzione
ma destino straordinario dell’essere umano
è incontrare seduttori non umani,
è incontrare la seduzione di Dio.
“Chi avrà dato la propria vita per causa mia la troverà”. Gesù parla di una causa per cui vivere, per cui morire, qualcosa che valga più della mia sola vita, e chi ama davvero sperimenta che l’amato vale di più della sua vita.
vale a dire non vivere in funzione dei tuoi o del tuo passato. Ebbene, questo stesso movimento è chiesto da Gesù affinché non restiamo piccoli, perché non si arresti la ruota della vita.
Ma poi sono contento di questo, poi sono fiero che la fede resti scandalosa, che rimanga qualcosa che sovverte, che va contro corrente, che non sa omologarsi. Altrimenti non ci sarà più futuro nuovo nelle nostre vite, solo ripetizione, altrimenti non si aprono frecce di luce.
Allora cerco nella Scrittura una spiegazione e il Libro del Deuteronomio me la offre. Dice: “Se la moglie che riposa sul tuo petto o l’amico che ami come te stesso ti dice in segreto: vieni, serviamo altri dei. Tu non ascoltarlo”. Per compiacere tua moglie o tuo figlio o il tuo amico, non abbandonare, non tradire il tuo Dio. Amalo di più!
Risalgo più indietro, e una spiegazione è già nel Primo Libro della Scrittura dove abbandonare il padre e la madre per unirsi a un’altra carne è già la Legge della vita. E’ la scelta necessaria per ogni uomo e per ogni donna, perché ci sia futuro, perché la vita possa crescere, moltiplicarsi, perché ci sia fecondità:
Noi tutti sappiamo bene che il mondo non coincide con il cerchio della famiglia e inserendo in questo cerchio, dolce ma insufficiente, lo spazio di Dio e della Croce, Gesù mi dice: “Prendi su di te una vita ulteriore, altre responsabilità, prendi su di te un destino che assomiglia al mio”.
Ecco, allora, il conflitto: da un lato l’umano e le sue cose, dall’altro un Nazareno e la sua Croce. Prendi la Croce, un comando che qualche volta mi angoscia, ma guardo alla Croce e vedo che essa è il luogo dove l’amore ha scritto il suo racconto più vero.
Prendi la Croce equivale a dire: accetta di amare fino in fondo. Scrive Origene: “Caritas est passio”, l’amore è passione nel doppio luminoso senso di patimento e di appassionarsi. L’amore è Croce e passione.
C’è un destino ordinario nella famiglia e questo ti fa figlio degno della vita, ma c’è un destino ulteriore che ti fa degno di Cristo.
Da un lato la mia vita, la mia gente, le mie cose e il desiderio di ricondurre tutto al frammento, all’attimo, alla dignità di esseri umani, soltanto umani e basta, con tutta la bellezza ma anche la caducità che questo comporta.
E dall’altro lato le cose che non si vedono: eternità, Dio, il dolore del mondo, amore più grande.
E’ un bellissimo conflitto tra il canto del sangue che già basta a illuminare la vita e la voce della trascendenza che abita il cuore inquieto finché non riposa in altri spazi.
Il segreto della nostra vita è oltre noi
ed è quello che Gesù dodicenne dice ai genitori: “Non sapevate che io devo interessarmi delle cose del Padre mio?”
Amare Dio, secondo il Vangelo non è una emozione in gara con altre sensazioni, non è un affetto fra gli altri.
perché sa che da questa gara emotiva non uscirebbe vincitore se non presso pochi eroi o santi, gente dal cuore in fiamme.
E poi attenzione a un egoismo “familiare”. Un amore totalizzante per la tua casa, per i tuoi, per cui nulla esiste al di fuori di essa, può farti smarrire, la bellezza, la ricchezza, la varietà, la polifonia, il gemito e la poesia della vita, tutte le altre dimensioni del cuore, della mente, dell’anima, del dolore del mondo.
Non smarrire la polifonia dell’esistenza, altrimenti sei una casa bella dentro ma con le porte e le finestre sbarrate e davanti al tuo cancello chiuso sfila la vita, passano poveri e profeti e non li vedi.
Passano angeli e bambini, passano le stagioni e le invenzioni e non li vedi.
Passa la vita e nessuno che si affacci a dare o ad accogliere.
Il verbo più usato oggi da Gesù è accogliere, l’accoglienza fa fiorire la vita. Anche accogliere la causa di Cristo moltiplica la vita:
“Chi avrà perduto la propria vita per causa mia la troverà!”
Perdere la vita non significa qui il martirio del sangue. Una vita si perde come si spende un tesoro: donandola goccia a goccia.
Noi possediamo veramente solo ciò che abbiamo donato ad altri, come la donna di Sunem, di cui parla la Prima Lettura, che dona al profeta Eliseo piccole porzioni di vita, piccole cose: un letto, un tavolo, una sedia, una lampada e riceverà in cambio una vita intera, un figlio. E la capacità di amare di più.
Lo può dire ogni madre, lo dice Dio stesso che ha amato il mondo fino a dare suo Figlio.
E imparo che anche per l’uomo il vero dramma non è la Croce o il martirio, il vero dramma è non avere niente, non avere nessuno per cui valga la pena dare la vita.
Amare nel Vangelo non equivale ad emozionarsi, a sentire, a tremare o trepidare per una creatura, ma si traduce sempre con un altro verbo molto semplice, molto concreto, un verbo fattivo, di mani, il verbo “dare”. “Dio ha tanto amato il mondo da dare suo Figlio. Non c’è amore più grande che dare la vita!”
Preghiera alla comunione
“Se uno ama il padre o la madre,
il figlio, la figlia più di me non è degno di me”.
Sei un Dio esigente, Signore, chi può dirsi degno di te?
Sei un Dio esigente, Dio della Croce,
segnale sommo lanciato al mondo,
punto ultimo in cui tutto si incrocia:
le vie del cielo, le vie del cuore, le vie della terra.
Ma so anche che sei il Dio del granello di senape,
del lucignolo fumigante,
che ha cura di due passeri,
che ci consola oggi con un bicchiere di acqua fresca,
il Dio che guarda il cuore.
Donaci, allora, Signore, di amare padre e madre,
moglie e marito e figli e amici per quello che sono:
benedizione e dono che viene da te,
salvezza che tu mi hai posto al fianco,
frammento del tuo volto.
E poi donaci di perdere la vita
come perde un tesoro: donandolo.
Amen
Chi è degno del Signore? Per tre volte oggi rimbalzerà questa domanda esigente del Vangelo, e tutti confesseremo prima della Comunione: “Signore non sono degno, nessuno lo è ma basterà una tua parola”.
E siamo qui per questo: il Signore non si merita, si accoglie
Una delle pagine più dure ed esigenti del Vangelo, una pagina illogica e quasi contro natura. Esagerato.
Gesù, sempre spiazzante, vedendo che una folla numerosa lo seguiva, anziché sentirsi gratificato per il numero dei seguaci, si volta e li mette in guardia, chiarendo bene che cosa comporti andare dietro a lui.
Gesù non illude mai, non strumentalizza entusiasmi o debolezze, vuole invece risposte meditate, mature e libere. Perché alla quantità di discepoli preferisce la qualità. E indica tre condizioni per seguirlo. Radicali.
La prima: Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Gesù non instaura una competizione di sentimenti nel cuore perché sa che da questa gara emotiva non uscirebbe vincitore se non presso pochi eroi o santi, gente dal cuore in fiamme.
Ma ci ricorda che per creare un mondo nuovo quale lui sogna ci vuole una passione così forte almeno quanto quella degli amori familiari.
È in gioco un nuovo modo di concepire le relazioni umane.
Gesù scommette, punta tutto sull’amore. Ma con parole che sembrano eccessive, sembrano cozzare contro la bellezza e la forza dei nostri affetti che sono la prima felicità di questa vita.
Ma facciamo attenzione al verbo centrale su cui poggia l’architettura della frase: amare di più, e Luca: se uno non mi ama di più di suo padre, e capiamo che non di una sottrazione si tratta, ma di una addizione:
Gesù non sottrae amori, aggiunge un ‘di più’. Il discepolo è colui che sulla luce dei suoi amori stende una luce più grande. E il risultato che ottiene non è una limitazione ma un potenziamento:
Dice Gesù: Tu sai quanto è bello dare e ricevere amore, quanto contano gli affetti della famiglia, io posso offrirti qualcosa di ancora più bello.
Mettere Gesù al primo posto vuol dire prenderlo come garanzia che
se stai con Lui, se lo tieni con te,
i tuoi amori saranno custoditi più vivi e più luminosi,
perché Lui possiede la chiave dell’arte di amare,
di andare fino in fondo al voler bene.
La seconda condizione che Gesù pone: Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Che cosa intende per ‘la propria croce’?
Non banalizziamo la croce, non immiseriamola a semplice immagine delle inevitabili difficoltà di ogni giorno, dei problemi della famiglia, della fatica o malattia da sopportare con pace.
Nel vangelo la parola ‘croce’ contiene il vertice e il riassunto della vicenda di Gesù. Croce è: amore senza misura e senza rimpianti, disarmato amore, coraggioso amore, che non si arrende, che non inganna e non tradisce. Che va fino alla fine.
Allora le due prime condizioni che Gesù pone a chi vuole seguirlo, Amare di più e portare la croce si illuminano a vicenda; portare la croce significa portare l’amore fino in fondo. Fino alla Pasqua, la vittoria.
Con le tre condizioni Gesù convoca tutta la nostra vita: raccoglie affetti, gioia e fatica, e le cose. E non per impossessarsi dell’uomo, ma per liberarlo, per regalare un’ala che lo sollevi verso più amore, più libertà, più consapevolezza. Allora nominare Cristo, parlare di vangelo equivale a confortare la vita.
Voglio ringraziarti Signore per il dono della vita,
ho letto da qualche parte
che gli uomini sono angeli con un’ala soltanto:
possono volare solo rimanendo abbracciati.
A volte nei momenti di confidenza
oso pensare che anche tu , Signore,
hai un’ala soltanto,
l’altra la tieni nascosta
forse per farmi capire
che tu non vuoi volare senza di me
Per questo mi hai dato la vita:
Perché io fossi tuo compagno di volo (Tonino Bello)
Il verbo più usato oggi da Gesù è accogliere, l’accoglienza fa fiorire la vita. Anche accogliere la causa di Cristo moltiplica la vita: “Chi avrà perduto la propria vita per causa mia la troverà!”
Perdere la vita non significa qui il martirio del sangue. Una vita si perde come si spende un tesoro: donandola goccia a goccia.
Noi possediamo veramente solo ciò che abbiamo donato ad altri,
“Chi avrà dato la propria vita per causa mia la troverà”. Gesù parla di una causa per cui vivere, per cui morire, qualcosa che valga più della mia sola vita, e chi ama davvero sperimenta che l’amato vale di più della sua vita.
il vero dramma non è morire, il vero dramma è non avere niente, non avere nessuno per cui valga la pena dare la vita.
Amare nel Vangelo non equivale ad emozionarsi, a sentire, a tremare o trepidare per una creatura, ma si traduce sempre con un altro verbo molto semplice, molto concreto, un verbo fattivo, di mani, il verbo “dare”. “Dio ha tanto amato il mondo da dare suo Figlio. Non c’è amore più grande che dare la vita!”
A noi, forse spaventati dalle esigenze di Cristo, dall’impegno di dare la vita, di avere una causa che valga più di noi stessi, Gesù aggiunge una frase dolcissima: “Chi avrà dato anche solo un bicchiere d’acqua fresca, non perderà il premio”.
La Croce e il bicchiere: il dare tutta la vita e il dare quasi niente, sono i due estremi dello stesso movimento, dare qualcosa, un po’, tutto,. Dare, perché nel Vangelo il verbo amare si traduce sempre con il verbo dare.
Un bicchiere d’acqua, dice Gesù, un gesto così piccolo che anche l’ultimo di noi, anche il più povero può compiere. E tuttavia un gesto non banale, un gesto vivo, significato da quell’aggettivo che Gesù aggiunge, così evangelico: acqua fresca.
Acqua fresca deve essere e vale a dire l’acqua buona per la grande calura, l’acqua attenta alla sete dell’altro, procurata con cura, l’acqua migliore che hai, quasi un’acqua affettuosa con dentro l’eco del cuore.
“Dare la vita, dare un bicchiere d’acqua fresca” ecco la stupenda pedagogia di Cristo. Un bicchiere d’acqua fresca se dato con tutto il cuore ha dentro la Croce. Tutto il Vangelo è nella Croce, tutto il vangelo in un bicchiere d’acqua.
Nulla è troppo piccolo per il Vangelo, perché ogni gesto compiuto con tutto il cuore ci avvicina all’assoluto di Dio.
Preghiera alla comunione
“Se uno ama il padre o la madre,
il figlio, la figlia più di me non è degno di me”.
Sei un Dio esigente, Signore, chi può dirsi degno di te?
Sei un Dio esigente, Dio della Croce,
segnale sommo lanciato al mondo,
punto ultimo in cui tutto si incrocia:
le vie del cielo, le vie del cuore, le vie della terra.
Ma so anche che sei il Dio del granello di senape,
del lucignolo fumigante,
che ha cura di due passeri,
che ci consola oggi con un bicchiere di acqua fresca,
il Dio che guarda il cuore.
Donaci, allora, Signore, di amare padre e madre,
(moglie e marito e figli) e amici per quello che sono:
benedizione e dono che viene da te,
salvezza che tu mi hai posto al fianco,
frammento del tuo volto.
E poi donaci di perdere la vita
Come si perde un tesoro: donandolo.
Amen
Ogni atomo del nostro corpo ha una sua specifica storia. Se la potessimo conoscere tutta ed in profondità ne rimarremmo sconvolti.
Scopriremmo, ad esempio, che, un atomo di idrogeno determinato appartenente al nostro corpo, dopo essere stato forgiato nel grande crogiolo primordiale cosmico, sostò nella materia inerte di cui faceva parte per un certo periodo, poi appartenne ad una molecola di acqua, ad una nube, ad un terreno della Mongolia, ad un filo d’erba, ad un animale preistorico dell’America Meridionale.
Ritornò molte volte in suoli diversi del pianeta, nei mari, in molte nubi, in qualche pianta o filo d’erba, in più animali, in più uomini per poi riprendere cicli diversi fino ad oggi.
E così per ogni atomo dei circa 7.000.000.000.000.000.000.000.000.000 che possiede il nostro corpo: ognuno una storia complicatissima diversa che si perde nella notte dei tempi.
Basterebbe riflettere su questo, per stupirci della nostra incredibile esistenza terrena.
Ombra di quella futura, nell’altra dimensione…
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Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi
II Dom. T. O. anno C – 2019
Cana, i nostri cuori come anfore da riempire
Dio si è fatto trovare a tavola.
Giovanni 2,1-11
In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». […]
Commento di p. Ermes
C’è una festa grande, in una casa di Cana di Galilea: le porte sono aperte, come si usa, il cortile è pieno di gente, gli invitati sembrano non bastare mai alla voglia della giovane coppia di condividere la festa, in quella notte di fiaccole accese, di canti e di balli. C’è accoglienza cordiale perfino per tutta la variopinta carovana che si era messa a seguire Gesù, salendo dai villaggi del lago. Il Vangelo di Cana coglie Gesù nelle trame festose di un pranzo nuziale, in mezzo alla gente, mentre canta, ride, balla, mangia e beve, lontano dai nostri falsi ascetismi. Non nel deserto, non nel Sinai, non sul monte Sion, Dio si è fatto trovare a tavola.La bella notizia è che Dio si allea con la gioia delle sue creature, con il vitale e semplice piacere di esistere e di amare: Cana è il suo atto di fede nell’amore umano. Lui crede nell’amore, lo benedice, lo sostiene. Ci crede al punto di farne il caposaldo, il luogo originario e privilegiato della sua evangelizzazione. Gesù inizia a raccontare la fede come si racconterebbe una storia d’amore, una storia che ha sempre fame di eternità e di assoluto. Il cuore, secondo un detto antico, è la porta degli dei. Anche Maria partecipa alla festa, conversa, mangia, ride, gusta il vino, danza, ma insieme osserva ciò che accade attorno a lei. Il suo osservare attento e discreto le permette di vedere ciò che nessuno vede e cioè che il vino è terminato, punto di svolta del racconto: (le feste di nozze nell’Antico Testamento duravano in media sette giorni, cfr. Tb 11,20, ma anche di più). Non è il pane che viene a mancare, non il necessario alla vita, ma il vino, che non è indispensabile, un di più inutile a tutto, eccetto che alla festa o alla qualità della vita. Ma il vino è, in tutta la Bibbia, il simbolo dell’amore felice tra uomo e donna, tra uomo e Dio. Felice e sempre minacciato. Non hanno più vino, esperienza che tutti abbiamo fatto, quando ci assalgono mille dubbi, e gli amori sono senza gioia, le case senza festa, la fede senza slancio. Maria indica la strada: qualunque cosa vi dica, fatela. Fate ciò che dice, fate il suo Vangelo, rendetelo gesto e corpo, sangue e carne. E si riempiranno le anfore vuote del cuore. E si trasformerà la vita, da vuota a piena, da spenta a felice. Più Vangelo è uguale a più vita. Più Dio equivale a più io. Il Dio in cui credo è il Dio delle nozze di Cana, il Dio della festa, del gioioso amore danzante; un Dio felice che sta dalla parte del vino migliore, del profumo di nardo prezioso, che sta dalla parte della gioia, che soccorre i poveri di pane e i poveri di amore. Un Dio felice, che si prende cura dell’umile e potente piacere di vivere. Anche credere in Dio è una festa, anche l’incontro con Dio genera vita, porta fioriture di coraggio, una primavera ripetuta.
(Letture: Isaia 62,1-5; Salmo 95; 1 Corinzi 12,4-11; Giovanni 2,1-11)
Commento al Vangelo domenica 20 gennaio – p.Ermes – Cana. I nostri cuori come anfore da riempire
https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/cana-i-nostri-cuori-come-anfore-dariempire
La bella notizia è che Dio si allea
con la gioia delle sue creature,
con il vitale e semplice piacere di esistere e di amare:
Cana è il suo atto di fede nell’amore umano.
Lui crede nell’amore, lo benedice, lo sostiene.
Ci crede al punto di farne il caposaldo,
il luogo originario e privilegiato della sua evangelizzazione.
Gesù inizia a raccontare la fede come si racconterebbe una storia d’amore,
una storia che ha sempre fame di eternità e di assoluto.
Il cuore, secondo un detto antico, è la porta degli dei.
Non è il pane che viene a mancare, non il necessario alla vita,
ma il vino, che non è indispensabile,
un di più inutile a tutto,
eccetto che alla festa o alla qualità della vita.
Ma il vino è, in tutta la Bibbia, il simbolo dell’amore felice
tra uomo e donna,
tra uomo e Dio. Felice e sempre minacciato.
(Ermes Ronchi – Giovanni 2,1-11)
Signore Gesù, che hai trasformato l’acqua in vino, lava la mia anima affinché diventi degna dimora dello Spirito Santo.
Gesù, tu che hai guarito i ciechi, donami la vista per discernere le cose dello Spirito.
Gesù, che hai restituito l’udito ai sordi, fa’ che ascolti con gioia la tua parola per metterla in pratica.
Gesù, che hai guarito i lebbrosi, guariscimi dal peccato che mi rende immondo.
Gesù, che hai fatto camminare i paralitici, fa’ in modo che la mia anima progredisca nella purezza dello Spirito.
Gesù, che hai risuscitato i morti, ridona la vita alla mia anima peccatrice.
ALCUNI LIBRI DI PIER ANGELO PIAI
GUARIRE LA MENTE PER GUARIRE IL CORPO: http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
LA SPIRALE DELLA VITA (riedizione) : http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
L’ANIMA ESISTE ED È IMMORTALE ed. Segno http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
“LA FORZA DELLA FRAGILITÀ” ed.Segno (In questo mio libro troverete preghiere per molti stati d’animo e situazioni personali) http://www.edizionisegno.it/libro.asp….
VERSO L’ETERNITÀ (commenti su 4 anni di messaggi della Regina della Pace) http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
LA STIMMATIZZATA DI UDINE (Storia autentica di Raffaella Lionetti, dotata di speciali carismi) http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
FIAMMA D’AMORE DEL CUORE IMMACOLATO DI MARIA http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
CONCETTA BERTOLI – La donna che vide la terza guerra mondiale http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
IL RESPIRO DELL’ANIMA INNAMORATA http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
MARCELLO TOMADINI il pittore fotografo dei lager https://www.edizionisegno.it/libro.as…
DIARIO DI UN PELLEGRINO CARNICO https://www.edizionisegno.it/libro.as…
GESÙ CHIEDE TOTALE FIDUCIA IN LUI (nel “Colloquio interiore” di suor Maria della Trinità) https://www.edizionisegno.it/libro.as…
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Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi
Se tutto il Vangelo sta in un bicchiere d’acqua
XXVI Dom. – T. O. – Anno B
Vangelo – Marco 9,38-43.45.47-48
In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demoni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi. Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa. Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile». […]
Maestro, quell’uomo guariva e liberava, ma non era dei nostri, non era in regola, e noi glielo abbiamo impedito. Come se dicessero: i malati non sono un problema nostro, si arrangino, prima le regole. I miracoli, la salute, la libertà, il dolore dell’uomo possono attendere.
Non era, non sono dei nostri. Tutti lo ripetono: gli apostoli di allora, i partiti, le chiese, le nazioni, i sovranisti. Separano. Invece noi vogliamo seguire Gesù, l’uomo senza barriere, il cui progetto si riassume in una sola parola “comunione con tutto ciò che vive”: non glielo impedite, perché chi non è contro di noi è per noi. Chiunque aiuta il mondo a fiorire è dei nostri. Chiunque trasmette libertà è mio discepolo. Si può essere uomini che incarnano sogni di Vangelo senza essere cristiani, perché il regno di Dio è più vasto e più profondo di tutte le nostre istituzioni messe insieme.
È bello vedere che per Gesù la prova ultima della bontà della fede sta nella sua capacità di trasmettere e custodire umanità, gioia, pienezza di vita. Questo ci pone tutti, serenamente e gioiosamente, accanto a tanti uomini e donne, diversamente credenti o non credenti, che però hanno a cuore la vita e si appassionano per essa, e sono capaci di fare miracoli per far nascere un sorriso sul volto di qualcuno. Stare accanto a loro, sognando la vita insieme (Evangelii gaudium).
Gesù invita i suoi a passare dalla contrapposizione ideologica alla proposta gioiosa, disarmata, fidente del Vangelo. A imparare a godere del bene del mondo, da chiunque sia fatto; a gustare le buone notizie, bellezza e giustizia, da dovunque vengano. A sentire come dato a noi il sorso di vita regalato a qualcuno: chiunque vi darà un bicchiere d’acqua non perderà la sua ricompensa. Chiunque, e non ci sono clausole, appartenenze, condizioni. La vera distinzione non è tra chi va in chiesa e chi non ci va, ma tra chi si ferma accanto all’uomo bastonato dai briganti, si china, versa olio e vino, e chi invece tira dritto.
Un bicchiere d’acqua, il quasi niente, una cosa così povera che tutti hanno in casa.
Gesù semplifica la vita: tutto il Vangelo in un bicchiere d’acqua. Di fronte all’invasività del male, Gesù conforta: al male contrapponi il tuo bicchiere d’acqua; e poi fidati: il peggio non prevarrà.
Se il tuo occhio, se la tua mano ti scandalizzano, tagliali… metafore incisive per dire la serietà con cui si deve aver cura di non sbagliare la vita e per riproporre il sogno di un mondo dove le mani sanno solo donare e i piedi andare incontro al fratello, un mondo dove fioriscono occhi più luminosi del giorno, dove tutti sono dei nostri, tutti amici della vita, e, proprio per questo, tutti secondo il cuore di Dio.
(Letture: Numeri 11,25-29; Salmo 18; Giacomo 5,1-6; Marco 9,38-43.45.47-48)
https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/se-tutto-il-vangelo-sta-in-un-bicchiere-d-acqua
Testo della scrittrice Marisa Haltiner.
Il falso dio, che ha creato il denaro, ha trasformato il mondo in un grande mercato…. L’umanità viene trattata come un Pinocchio incosciente, a cui stanno crescendo le orecchie d’asino. Chi si rifiuta di vivere il sonno incosciente del consumismo coatto e delle sue droghe, chi apre gli occhi e vede ciò che sta succedendo… appena rifiuta il Sistema Mercantile al Potere e cerca di cambiare le cose, deve fare i conti con i mercanti e i loro interessi, che essi difendono fino all’ultimo sangue!
I mercanti della guerra, che impediscono la pace! I mercanti delle energie non rinnovabili che impediscono la proliferazione delle energie ecologiche e rinnovabili.
I mercanti dei pezzi di cadaveri di animali che impediscono la VERA alimentazione sana e naturale di frutta, verdura e cereali.
I mercanti della malattia, che servono gli interessi delle case famaceutiche e di chi vive delle malattie, anziché sostenere onestamente la salute.
I mercanti della politica che curano i propri interessi anziché quelli del popolo.
I mercanti della finanza che hanno creato un sistema che serve a se stesso e c’impone le proprie regole.
Tutti questi mercanti si sono organizzati in potenti Lobby e ci dettano le loro leggi. È stata costruita una grande prigione attorno a noi…. Ma possiamo ancora liberarci, possiamo rifiutarci di lasciarci manovrare come dei burattini…possiamo rifiutare questa farsa consumistica che sta saccheggiando la terra, possiamo aprire gli occhi e rifiutare tutto questo! Possiamo diventare “Obiettori di Coscienza di questo Sistema”. Ritorniamo alla semplicità, alla naturalezza.
Non accettiamo il vizio, ma cerchiamo la virtù: Impariamo a godere del poco e della semplicità, riduciamo i nostri bisogni…I mercanti ci hanno riempiti di “bisogni artificiali” per vendere i loro prodotti… Allora basta con la moda, che ci costringe a gettare delle cose ancora nuove per competere con gli altri.
Basta con i prodotti di marca, che saccheggiano e sfruttano anche il terzo mondo.
Basta con l’alcol, le bevande gassate, le sigarette, beviamo l’acqua, respiriamo l’aria pura.
Basta con i cadaveri di animali, torturati, seviziati e poi venduti come cibo…..ma siamo matti?
! Svegliamoci da questo incubo e ritorniamo ad una vita semplice e naturale. Noi siamo parte della natura e per vivere “sani” dobbiamo vivere in equilibrio con la natura, non come dei tremendi parassiti…
Seguiamo l’esempio di Gesù: gettiamo fuori i Mercanti dal Vero tempio di Dio, riprendiamoci il nostro corpo, la nostra mente, la nostra vita, il nostro pianeta. Smettiamola di fare il loro gioco….
(© Marisa Haltiner)
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XIX domenica A Mt 14, 22-32
di p. Ermes Ronchi
Gesù dapprima assente, poi come un fantasma sul mare,
poi come voce che incoraggia, infine mano salda che ti afferra.
Un crescendo nell’esperienza di Dio, dentro una liturgia cosmica di onde, di vento, di buio, storia delle nostre tempeste e paure, dei miracoli invocati, ricevuti e subito dimenticati, perché i miracoli non bastano mai.
Siamo sul lago di Galilea. Il paesaggio che Gesù più amava.
Un paesaggio d’acque è il primo di tutti i paesaggi, la Bibbia comincia con una immagine d’acqua. Una danza dello Spirito sull’acqua è il primo movimento della Bibbia.
Se portiamo questa immagine nel campo della nostra vita personale essa diventa il simbolo dei nostri oceani interiori che ci minacciano e al tempo stesso ci generano.
Il contesto. Gesù ha appena moltiplicato i cinque pani e i due pesci. È stata una festa, tutti insieme in quella cucina, anzi in quella cattedrale con l’erba per pavimento e il cielo per soffitto, e dietro il lago come abside.
Ma ad un certo punto Gesù, dice Matteo, costrinse i suoi a salire sulla barca. Costrinse, notiamo il verbo inusuale, aspro. Ma lui, Maestro del cuore, ha fretta, è brusco quando c’è aria di trionfi, di successi, di ovazioni, non è quella la scuola di formazione che vuole per i suoi, e allora li costringe ad andare via. Invece non ha mai fretta quando c’è da curare, da sfamare, da ascoltare.
Il nostro posto non è nei successi e nei grandi risultati, ma in una barca in mare, mare aperto, dove prima o poi durante la navigazione della vita verranno acque agitate e vento contrario.
Una grande nave ormeggiata nel porto è indubbiamente al sicuro. Ma non è per questo che le grandi navi sono state costruite.
Lui rimane a terra per congedare la folla, bellissimo, per salutarli bene, a uno a uno, occhi negli occhi, i cinquemila uomini appena sfamati e lui certamente aggiunge anche le donne e i bambini (invento lo so, ma è lo stile di Gesù) bambini e donne che gli evangelisti non hanno neanche considerato.
È commovente questo Gesù che passa di incontro in incontro; saluta tutti e poi profumato di abbracci e di gioia, si reca sul monte, in disparte, a pregare, desidera l’abbraccio del Padre, e sarà lungo una notte intera.
Poi, verso l’alba, sente il desiderio di tornare dai suoi. Di abbraccio in abbraccio: così si muoveva Gesù.
A questo punto il vangelo racconta una storia di burrasca, di paure e di miracoli che falliscono.
Sul finire della notte venne verso i suoi.
E a noi pare, invece, di essere abbandonati, soli con le nostre sole forze, dentro le burrasche della vita. Eppure dire: da solo con le mie sole forze, è una affermazione cristianamente insensata, perché intrecciata alla mia forza c’è sempre la sua forza.
Gesù non è mai assente, è già con i discepoli, da subito. Lui è la sorgente della forza dei rematori che non si arrendono al vento contrario, lui è nella presa robusta del timoniere, lui è nel coraggio condiviso, è negli occhi di tutti fissi a Oriente a scrutare quanto manca della notte.
E la barca, simbolo di me e della mia vita fragile, di me e della mia fede corta, della mia comunità e dei suoi problemi, intanto resiste e avanza.
E non per il morire del vento, non perché finiscono i problemi, ma per il miracolo umile dei rematori che non mollano i remi, che sostengono ciascuno la speranza del compagno.
Primo prodigio: Dio non agisce al posto nostro, non ci toglie dalle tempeste ma ci sostiene dentro le tempeste: non abbiate paura!
Non salva dalla sofferenza ma nella sofferenza,
non protegge dal dolore ma nel dolore.
L’espressione è di Bonhoeffer: Dio non salva dalla croce, ma nella croce.
Un semplice cambiamento di preposizione e tutto acquista un’altra luce. Dio non porta la soluzione dei nostri problemi, porta se stesso dentro i problemi.
E poi entra in scena Pietro, con la sua tipica irruenza: se sei figlio di Dio, comandami di venire verso di te camminando sulle acque.
Venire verso di te, bellissima richiesta. Camminando sulle acque, richiesta infantile, che vuole un prodigio fine a se stesso, una esibizione come quella chiesta dal diavolo sul pinnacolo del tempio: se sei figlio di Dio buttati giù e verranno gli angeli, uno spettacolo che non ha di mira il bene di nessuno.
Pietro, che ha grande coraggio e grandi paure, come noi, scende dalla barca e comincia a camminare sulle acque.
Ma in quel preciso momento, proprio mentre vede sente tocca il miracolo, comincia a dubitare e ad affondare. Uomo di poca fede perché hai dubitato? Pietro è uomo di poca fede non perché dubita del miracolo, ma proprio perché lo cerca. I miracoli, segni, visioni, apparizioni, non servono alla fede.
È il lamento di Gesù su quelli di Cafarnao: se a Tiro e Sidone avessi fatto un decimo…I miracoli si impongono, stupiscono, ma non convertono.
Lo mostra Pietro stesso: fa passi di miracolo sulle onde e nel vento, eppure proprio nel momento in cui sperimenta la vertigine del prodigio sotto i suoi piedi, in quel preciso momento la sua fede va in crisi: “Signore affondo!”.
Quando Pietro guarda al Signore e alla sua parola: “Vieni!” può camminare sul mare.
Quando invece guarda al vento che è forte, alle difficoltà, alle onde, alle crisi, si blocca nel dubbio. Così accade sempre.
Se noi guardiamo al Signore e alla sua Parola, se abbiamo occhi che puntano in alto, se mettiamo il cuore in progetti che sono buoni, noi avanziamo.
Se guardiamo alle difficoltà, se teniamo gli occhi bassi, fissi sulle macerie, ai nostri complessi, ai fallimenti di ieri, sulle depressioni, iniziamo la discesa nel buio.
Mentre la paura dà ordini che mortificano la vita, i progetti danno ordini al nostro futuro.
Pietro, dentro il miracolo, dubita e ha paura: “Signore affondo”; dentro il suo dubbio, crede: “Signore, salvami!”. Ringrazio Pietro per questo suo intrecciare fede e dubbio; per questo suo oscillare fra miracoli e abissi. Dubbio e fede. Indivisibili. A contendersi in vicenda perenne il cuore umano.
Ma è proprio là che il Signore ci raggiunge, al centro della nostra debole fede. Non attende, non pretende che abbiamo una fede grande.
Ci raggiunge e non punta il dito per accusarci, ma stende la sua mano salda per afferrarci. Verrà: dentro la nostra poca fede, a salvarci da tutti i nostri naufragi se appena tendiamo la mano.
E la piccola barca di canne, il cuore,
avanzerà verso la fine della notte,
dove la paura diventa carezza,
dove il grido diventa abbraccio.
Abbraccio tra l’uomo e il suo Dio.
Signore, oggi è tempo di paure, non di fede.
Siamo tutti sommersi in un mare di dubbi:
Ma tu avvicina ancora un po’ quella mano
che non hai mai cessato di tenderci,
Signore, non ti chiedo miracoli,
non ti chiedo di camminare sulle acque,
ma di attraversare le valli della paura con te,
col tuo bastone che mi dà sicurezza.
Non ti chiedo di camminare sul mare,
ma il calore della tua mano che conforta,
della tua parola che incoraggia.
Tu sei con noi, Signore,
fino alla fine della notte,
fino alla fine del tempo.
Vieni dentro la mia poca fede
a salvarmi da tutti i naufragi.
E la piccola barca di canne che è il nostro cuore
avanzerà verso la fine della notte,
ove il nostro grido di paura diventerà
un abbraccio tra l’uomo e il suo Dio.
Amen.
p: Ermes Ronchi
Ermes Ronchi – 19 Marzo 2017
III Domenica di Quaresima – Anno A
In quel tempo, Gesù giunse a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». (…)
Vuoi riannodare i fili di un amore? Gesù, maestro del cuore, ci mostra il metodo di Dio, in uno dei racconti più ricchi e generativi del Vangelo.
Gesù siede stanco al pozzo di Sicar; giunge una donna senza nome e dalla vita fragile. È l’umanità, la sposa che se n’è andata dietro ad altri amori, e che Dio, lo sposo, vuole riconquistare. Perché il suo amore non è stanco, e non gli importano gli errori ma quanta sete abbiamo nel cuore, quanto desiderio.
Questo rapporto sponsale, la trama nuziale tra Dio e l’umanità è la chiave di volta della Bibbia, dal primo all’ultimo dei suoi 73 libri: dal momento che ti mette in vita, Dio ti invita alle nozze con lui. Ognuno a suo modo sposo.
Dammi da bere. Lo sposo ha sete, ma non di acqua, ha sete di essere amato.
Gesù inizia il suo corteggiamento (la fede è la risposta al corteggiamento di Dio) non rimproverando ma offrendo: se tu sapessi il dono…
Il dono è il tornante di questa storia d’amore, la parola portante della storia sacra. Dio non chiede, dona; non pretende, offre: Ti darò un’acqua che diventa sorgente. Una sorgente intera in cambio di un sorso d’acqua. Un simbolo bellissimo: la fonte è molto più di ciò che serve alla tua sete; è senza misura, senza fine, senza calcolo. Esuberante ed eccessiva. Immagine di Dio: il dono di Dio è Dio stesso che si dona. Con una finalità precisa: che torniamo tutti ad amarlo da innamorati, non da servi; da innamorati, non da sottomessi.
Vai a chiamare colui che ami. Gesù quando parla con le donne va diritto al centro, al pozzo del cuore; il suo è il loro stesso linguaggio, quello dei sentimenti, del desiderio, della ricerca di ragioni forti per vivere. Solo fra le donne Gesù non ha avuto nemici.
Il suo sguardo creatore cerca il positivo di quella donna, lo trova e lo mette in luce per due volte: hai detto bene; e alla fine della frase: in questo hai detto il vero. Trova verità e bene, il buono e il vero anche in quella vita accidentata. Vede la sincerità di un cuore vivo ed è su questo frammento d’oro che si appoggia il resto del dialogo.
Non ci sono rimproveri, non giudizi, non consigli, Gesù invece fa di quella donna un tempio. Mi domandi dove adorare Dio, su quale monte? Ma sei tu, in spirito e verità, il monte; tu il tempio in cui Dio viene.
E la donna lasciata la sua anfora, corre in città: c’è uno che mi ha detto tutto di me… La sua debolezza diventa la sua forza, le ferite di ieri feritoie di futuro. Sopra di esse costruisce la sua testimonianza di Dio.
Un racconto che vale per ciascuno di noi: non temere le tue debolezze, ma costruiscici sopra. Possono diventare la pietra d’angolo della tua casa, del tempio santo che è il tuo cuore.
(Letture: Esodo 17,3-7; Salmo 94; Romani 5,1-2.5-8; Giovanni 4,5-42).
p. Ermes Ronchi https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/una-sorgente-intera-in-cambio-di-un-sorso-d-acqua
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I 10 SEGRETI DI MEDJUGORJE (di Padre Livio Fanzaga):
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VIDEO RELATIVI AI MESSAGGI DELLA MADONNA DI MEDJUGORJE
PLAYLIST RELATIVA A MEDJUGORJE (MESSAGGI E COMMENTI IN VIDEO)
https://www.youtube.com/playlist?list=PL_I8V9Z5YmOY_O1E9krjhlTo3O_k-L-6y
LE APPARIZIONI DELLA MADONNA A PORZUS – Nuova versione
6 luglio 2005
IL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA IN AUDIO
Catechesi e omelie di padre Lino Pedron