XX domenica c Luca 12,49-59

 

Inizio

Che ognuno continui (o cominci) a guardarsi attorno con occhi vivi e a profondi e a stupirsi, con infinita gratitudine, di quanto esiste.

E a fare memoria, con tenerezza, di volti e terre: epifanie sui nostri sentieri dell’invisibile, che non smette di sedurci sommessamente.

 

Omelia

Sono venuto a gettare fuoco sulla terra.

Vangelo estremamente impegnativo, e bellissimo.

Quale fuoco? Guardiamoci attorno, guardiamo i nostri giorni: io non mi capacito di questa escalation di violenza verbale e aggressività; non mi rassegno a questa rabbiosità di tutti contro tutti, al montare della volgarità contro avversari o semplici disgraziati. Fuoco questo? È forse questo ciò che Gesù ha portato?

No, il fuoco è un battesimo, la morte delle cose morte e la loro rinascita nella luce; è il nascere di nuovo, quando la vita di prima si consuma; è la vita nuova, quella secondo Dio, quella che scalda e illumina.

Ci sentiamo scaldati e illuminati da come va il mondo oggi? Io, no.

E Gesù: ecco vi metto in guerra con questa logica, con questo sistema. Pensate che io sia venuto a portare la pace? No, vi dico, ma la divisione. La pace non è neutralità né mediocrità né equilibrio tra bene e male.

Togliamoci dalla testa di poter entrare nella vita nuova senza entrare in rotta di collisione con tutto ciò che è contrario a questa vita. Come Geremia, come Gesù e i profeti di sempre. “Credere è porsi in conflitto” (Turoldo).

La scelta di chi salva vite, di chi perdona, di chi non si attacca al denaro, di chi non vuole dominare ma servire, di chi non vuole vendicarsi, di chi apre le braccia, diventa precisamente divisione, guerra, urto inevitabile con chi pensa a vendicarsi, salire, dominare, con chi pensa che è vita solo quella di colui che vince. Leonardo Sciascia si augurava: “Io mi aspetto che i cristiani qualche volta accarezzino il mondo in contropelo”. Ritti, controcorrente, senza accodarsi ai potenti di turno o al pensiero dominante. Che riscoprano e vivano la “beatitudine degli oppositori”, di chi si oppone a tutto ciò che fa male alla storia e ai figli di Dio.

 

Fuoco e divisione ha portato. Testi scritti sotto il fuoco della prima violentissima persecuzione contro i cristiani, quando i discepoli di Gesù si trovano di colpo scomunicati dall’istituzione giudaica. Un colpo terribile per le prime comunità di Palestina, dove erano tutti ebrei, dove le famiglie si spaccavano su questo (rompere non con la famiglia, ma con gli infantilismi nostri…)

 

Ma sono testi già anticipati dalla sorte di Geremia. Sorte dei profeti. Il profeta è un mistico in azione. Un mistico con fuoco.

Applichiamo all’oggi la storia di Geremia affondato nella cisterna. Dice il re: “Prendi con te degli uomini (dei volontari su una nave…), tiralo su dalla cisterna (recuperateli dal mar Mediterraneo e tirateli su), perché non muoia (non lasciateli morire in mare…)

Non ci sono oggi re come quello. Romano Guardini suggeriva: la tua obbedienza vada alla verità e non alla istituzione! La tua libertà è la verità, non l’omologazione alla logica delle istituzioni.

 

Vangelo duro e pensoso.

Noi cristiani non siamo dei pelouche, dei soprammobili da salotto, ma segni di contraddizione, perché siano svelati i pensieri di molti cuori, rovina e risurrezione di molte cose.

 

Ricordo Turoldo, in uno dei suoi versi che trovo sovversivo e generatore, magico: Cristo mia dolce rovina, impossibile amarti impunemente.

Cristo che rovini ogni mediocrità.

Impossibile amarti senza pagarne il prezzo in moneta di vita, di impegno, di contrasti. Gesù per primo è stato con tutta la sua vita segno di contraddizione.

Il suo Vangelo è venuto come una sconvolgente liberazione: per le donne, schiacciate dal maschilismo; per i bambini, proprietà dei genitori; per gli schiavi in balia dei padroni; per i lebbrosi, i ciechi, i poveri.

Si è messo dalla loro parte, fa di un bambino il modello di tutti e dei poveri i principi del suo regno, scegliendo sempre l’umano contro il disumano. La sua predicazione non metteva in pace la coscienza, ma la risvegliava dalle false paci! Paci apparenti, rotte da un modo più vero di intendere la vita. Non siamo chiamati a venerare la cenere, ma a custodire il fuoco.

 

È stato detto che la religione era l’oppio dei popoli, ottundimento e illusione. Nell’intenzione di Gesù il vangelo porta invece “il morso del più” (L. Ciotti), più visione, più coraggio, più creatività, più fuoco.

Porta divisione. Nel senso che Dio non è neutrale e neppure la sua pace: vittime o carnefici non sono la stessa cosa davanti a lui, tra ricchi e poveri ha delle preferenze e si schiera. Il Dio biblico non porta la falsa pace della neutralità o dell’inerzia, ma “ascolta il gemito” e prende posizione in favore dei piccoli e contro i faraoni di sempre.

La divisione che il Maestro porta evoca il coraggio di esporsi e lottare contro il male. “Perché si uccide anche stando alla finestra” (L. Ciotti), muti davanti al grido dei poveri e di madre terra, mentre soffiano i veleni degli odi, si chiudono approdi, si alzano muri, avanza la corruzione.

Noi non siamo abbastanza cattivi da uccidere qualcuno con le nostre mani, ma siamo abbastanza cattivi da lasciar morire molti con l’indifferenza.

Non si può restarsene inerti a contemplare lo spettacolo della vita che ci scorre a fianco, senza alzarsi a lottare contro la morte, ogni forma di morte. Altrimenti il male si fa sempre più arrogante e legittimato.

Pensiamo che il fuoco, la vita nuova, entrino in noi come una iniezione indolore, come fossero scatti di anzianità automatici? No, perché in me il peccato, il male non muore di morte naturale, ma di morte violenta, faticosa, per combattimento spirituale.

 

Perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto? Un invito pieno di energia, rivolto alla folla cioè a tutti: non seguite il pensiero dominante, non accodatevi alla maggioranza o ai sondaggi d’opinione. Giudicate da voi stessi, intelligenti e liberi, svegli e sognatori, andando oltre la buccia delle cose: “la differenza decisiva non è tra chi crede e chi non crede, ma tra chi pensa e chi non pensa” (Card. Martini). Tra chi si domanda che cosa c’è di buono o di sbagliato in ciò che accade, e chi non si domanda più niente.

Giudicate da voi… Siate profeti – invito forte e quanto dimenticato! – siate profeti anche scomodi, dice il Signore Gesù, facendo divampare quella goccia di fuoco che lo Spirito ha seminato in ogni vivente, quella goccia di luce nascosta nel cuore vivo di tutte le cose.

 

Fine.

Andate e incendiate il mondo (Ignazio di Loyola). Anche noi andiamo e incendiamo, d’amore però, quell’angolino che ci è dato in sorte.

 

BEATITUDINI PER UNA NOTTE DI SOLIDARIETA’

 

Beati i poveri in spirito, sono loro i re di domani

Beati quelli che scelgono di stare con i piccoli e gli ultimi della fila

 

Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia

Beati quelli che hanno fame e sete di dignità e di diritti per tutti

 

Beati quelli che scelgono sempre l’umano contro il disumano

Beati quelli che salvano vite, dalla morte, da ogni forma di morte

 

Beati quelli che costruiscono ponti e non muri

Beati quelli che: avevo fame e mi avete dato da mangiare

ero straniero e mi avete accolto

ero senza terra e mi avete dato un paese buono

 

Beati quelli che hanno il cuore dolce, perché saranno i signori di domani

Beati quelli che sanno ancora piangere,

che provano dolore per il dolore di un bimbo, una donna, un figlio della terra…

 

Beati quelli che sanno provare stupore e rabbia di fronte agli orrori del mondo

Beati quelli che si prendono cura di una esistenza con la loro esistenza

 

Beati quelli che sentono il morso del più: più passione, più umanità, più diritti

Beati i coraggiosi: quelli che “meglio trasgressivi che complici”

 

Beati quelli che non sono muti e inerti

Beati gli oppositori, che si oppongono alla legge

quando la legge si oppone all’umanità

 

Beati quelli che sono in minoranza, controcorrente,

che non si accodano al pensiero dei più

 

Beati quelli che la vita non la vedono in funzione del loro io,

ma il loro io in funzione della vita.

Loro hanno in dono la vita indistruttibile.