Omelia VII DOMENICA Matteo 5,38-48
p.Ermes Ronchi
Da tre domeniche camminiamo sui crinali da vertigine del discorso della montagna. Vangeli davanti ai quali non sappiamo bene come metterci: o cerchiamo di edulcorarlo, di ammorbidirlo, oppure siamo tentati di relegarlo nel repertorio delle follie. Magari divine, ma follie.
Vi confesso la fatica, le parole che si sottraggono, ogni volta che ritento di balbettare qualcosa, il batticuore che mi prende in quei pochi passi tra l’altare e l’ambone, prima di cominciare una povera predica.
Allora cerco una parola cui aggrapparmi, un punto d’appoggio. E lo trovo in questo elenco di situazioni molto concrete che Gesù mette in fila: schiaffo, tunica, miglio, denaro in prestito. E nelle soluzioni che propone in perfetta sintonia: l’altra guancia, il mantello, due miglia. È molto semplice, diresti. “Gesù parla della vita con le parole proprie della vita” (Christian Bobin). Niente che un bambino non possa capire, nessuna teoria astratta e complicata, solo gesti quotidiani, la santità di ogni giorno, che sa di abiti, di strade, di gesti, di polvere.
Ma che poi ti stordisce, che poi apre feritoie da vertigine: amate i vostri nemici; che propone il paradosso dei paradossi: “siate perfetti come è perfetto il Padre”. Impossibile, lo sappiamo.
Fu detto occhio per occhio. Ma io vi dico: Se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra. Ma come si fa?
Per capire andiamo alla vita di Gesù. Sono i suoi gesti che interpretano e incarnano le sue parole. L’unica volta che riceve uno schiaffo, Gesù non porge l’altra guancia, ma reagisce, chiedendo ragione alla guardia: se ho parlato male dimostramelo. Non è passivo né remissivo, lo vediamo indignarsi, e quante volte, per un’ingiustizia, per un bambino scacciato, per il tempio fatto mercato, per le maschere e il cuore di pietra dei pii e dei devoti. E collocarsi così dentro la tradizione profetica dell’ira sacra.
Quello che Gesù propone non è la sottomissione degli schiavi, ma una presa di posizione coraggiosa: “tu porgi”, fai tu il primo passo, tu cerca spiegazioni, tu disarma la vendetta, tu ricomincia la relazione, rammendando tenacemente il tessuto continuamente lacerato dalla violenza.
Il vangelo non è la religione dei perdenti, dei battuti, dei sottomessi. Non ci chiede di essere lo zerbino della storia, ma di disinnescare la miccia della violenza, di disinnescare la spirale della vendetta, di inventarsi qualcosa – un gesto, una parola – che possa disarmare e disarmarci. Come nel testamento dei monaci martiri di Thibirine quando pregano: Signore, disarmali, e disarmaci!
Proviamo a cambiare prospettiva, a metterci dall’altra parte, dalla parte di colui che do là schiaffo, di chi ha colpito l’occhio di un altro. E a quel punto domandiamoci: con chi vorresti vivere? Chi vuoi vicino a te? Uno da “occhio per occhio”, o uno che perdoni, vada oltre la violenza, vada più lontano dello sbaglio? E disarmarci insieme?
Tutti desiderano accanto a sè uno che li ami così, uno che ti accompagni nella notte per molte miglia, che sappia darti tutto ciò che ha.
Il vangelo coincide con quello che il nostro cuore desidera.
Allora non è così lontano il sogno di un mondo nuovo, di un uomo nuovo, ce l’abbiamo dentro, fa parte del desiderio del cuore.
E poi arriva quella frase che è come un macigno: amate i vostri nemici. Impossibile amare i nemici, sosteneva Freud.
Ma quello che Gesù vuole non sono moine o sorrisini nei confronti di chi ti vuole male, lui intende eliminare il concetto stesso di nemico. ‘Amatevi, altrimenti vi distruggerete. E’ tutto qui il vangelo’ (Turoldo). Altrimenti la ragione sarà sempre del più forte, del più armato, del più crudele, del più ricco.
Violenza produce violenza, in una catena infinita. Io scelgo, liberamente, o Cristo degli uomini liberi!, di spezzarla. Di non replicare su altri ciò che ho subito, di non far proliferare il male. Ed è così che inizio a liberare me stesso dentro questa storia di legami spesso ostili.
Ma di nuovo, come faccio a essere così bravo, forte, tenace?
Io non ci riesco. Ma nessuno ce la fa, noi amiamo fino ad un certo punto, accogliamo fino ad un certo punto…
Ma queste parole non parlano di ciò che gli uomini realizzano, supportati dalla loro buona volontà. È ciò che Dio fa. L’amore al nemico è proprio di Cristo, e lo mostrerà sulla croce.
“Siate figli del Padre che fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni”.
Fare ciò che Dio fa, essere come il Padre, qui è tutta l’etica biblica. E che cosa fa il Padre? Fa sorgere il sole. Mi piace questo Dio solare, luminoso, splendente di vita, il Dio che presiede alla nascita di ogni nostro mattino.
Essere come lui? Ma io non farò mai sorgere o tramontare il sole, non sarò mai figlio del Padre. Eppure un grammo di luce, un minimo sole, illuminare il passo di qualcuno, una scintilla di bontà posso metterli in circuito in queste nostre albe così ricche di tenebra.
Fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni. Addirittura Gesù inizia dai cattivi, forse perché i loro occhi sono più in debito di luce, più in ansia.
Ma di nuovo proviamo a cambiare prospettiva: i cattivi illuminati non sono gli altri, siamo noi.
Qui c’è da contemplare. Contemplare questo Dio, la sua tenerezza. Perché Vedete noi ci muoviamo sulla terra, ci misuriamo con la visione di Dio che abbiamo in cuore. Se hai l’immagine di un Dio estraneo, freddo, lontano così sarai anche tu.
Se hai la visione di un padre buono, che ama senza clausole e senza perché, ama perché ama, allora puoi fare la tua corsa nel mondo misurandoti sulla bellezza e sulla tenerezza di Dio.
Matteo conclude il brano di oggi spiegando la ragione di tutto questo: perché io devo correre il rischio di essere calpestato? Perché devo prestare il mio denaro in perdita? Perché…?
La ragione è molto semplice: altrimenti cosa fai di straordinario? se dai a chi ti da, se fai quello che fanno tutti, se saluti chi ti saluta, che cosa fai di straordinario? Che cosa aggiungi alla vita? Che cosa cambia?
Tutto come prima. Tutto come sempre.
Cosa fate di straordinario? Prestiamo attenzione. Gesù sta dicendo che a tutti è possibile fare qualcosa di più dell’ordinario, di più del semplice dovere.
Anzi, a ben guardare, le case, le famiglie, le persone sono piene di cose straordinarie, di gesti meravigliosi. Mi incantano certe madri e certi padri con i loro figli, ed è comprensibile, ma anche con i figli degli altri. Mi incanto davanti all’amore di certe badanti per la persona fragile che hanno in cura… davvero fanno sorgere il sole su di lei… e la storia tutta fa un piccolo passo avanti. La santità è “compiere le cose ordinarie con un amore straordinario” (papa Francesco).
Allora siate perfetti come il Padre…
non ‘quanto il Padre’, una misura impossibile che ci schiaccerebbe;
ma ‘come’ il Padre, con il suo stile fatto di tenerezza, ma combattiva. Possibile a tutti.
Allora lo straordinario penetra dentro l’ordinario.
E capisci che l’infinito è nella vita
e che la vita è infinita.
Lui parla solo della vita
Con parole a lei proprie:
coglie dei pezzi di terra
li raduna nella sua parola e il cielo appare,
un cielo con alberi che volano
il sole che sorge
agnelli che danzano e pesci che ardono
un cielo impraticabile
popolato di prostitute, di folli di festaioli
di bambini che scoppiano in risate
e di donne che non tornano più a casa:
tutto un mondo dimenticato dal mondo
e festeggiato là, subito, adesso,
sulla terra come in cielo
Christian Bobin, L’uomo che cammina, p.15