Fb 4 dicembre – II di Avvento
Mt 3,1-12

Nella casa del fuoco (di p. Ermes Ronchi)

Due voci nel deserto di Giuda: Giovanni e la fede a caro prezzo, Isaia e la poesia di un mondo incantato; Giovanni e l’impegno necessario, Isaia e il dono immeritato. Come i due profeti, ogni cristiano vive di grazia e di impegno, di realtà e di poesia.
Con le sue immagini irruenti Giovanni non vuole lanciare minacce sulla nostra fatica di credere, né seminare paure. Il profeta sa bene che la paura non libera dal male, lo capirà bene, rinchiuso a Macheronte; sa che non sarà la paura a fare del leone un mangiatore di erba, a edificare la casa comune per il lupo e per l’agnello. È altra la forza che cambia il cuore, mai la paura.
Il vangelo tratta di tre annunci in uno e, tra tutte, la parola più calda di speranza è l’aggettivo «vicino». Dio è vicino, è qui; la prima buona notizia è che il Pellegrino eterno ha camminato, ha consumato il suo Esodo e ora è vicinissimo a te.
Dio è accanto, si stringe a tutto ciò che vive, rete che raccoglie insieme il lupo e l’agnello, il leone e il bue, il bambino e il serpente (parola di Isaia); ucraino e russo, arabo ed ebreo, musulmano e cristiano, per una nuova architettura dei rapporti umani. Il regno dei cieli è la terra come Dio la sogna. Non si è ancora realizzata? Non importa, il sogno di Dio è più vero della realtà, la contesta e la attraversa, forza che fa partire.
Convertitevi, ossia osate la vita, mettetela in cammino, e non per eseguire un comando, ma per una bellezza, per una seduzione. Ciò che converte il freddo in calore non è un ordine, ma la vicinanza del fuoco: stare vicino a me è stare vicino al fuoco (Vangelo apocrifo di Tommaso). Ciò che toglie le ombre dal cuore non è un divieto, ma una lampada che si accende, un raggio, una stella, uno sguardo. Convertitevi: giratevi verso la luce, perché la luce è già qui.
E noi, noi che proclamiamo la pace, in realtà la cerchiamo per amore della pace o per paura della guerra?
Solo là dove sono le mie radici, dov’è il mio fuoco, là dove io decido, dove la vita è più vita, viene il Signore. Egli non è solo l’ultima risorsa quando non ho più risorse. Viene nella bellezza, nella passione d’amore, nella fedeltà al dovere, nel coraggio di sperare, quando accetto la sproporzione tra ciò che mi è promesso (il lupo e l’agnello che dimorano insieme) e ciò che tengo tra le mani.
Convertitevi, dice l’ultimo profeta, Giovanni. E fa appello non alla forza di volontà, ma alla nostra capacità di ascoltare l’altro profeta, il seminatore di sogni, Isaia. Ma soprattutto fa appello al venire di Cristo. Non si torna indenni dall’incontro con il Signore, che è vento, luce, falce nei prati, radice, spirito, fuoco, grazia a caro prezzo, conversione. Davvero impossibile amarlo impunemente (Turoldo), senza pagarne il prezzo in moneta di vita. Non si torna indenni dall’incontro col fuoco.

 

Avvenire II di Avvento A

Nel deserto della Giudea e sulle rive attorno al lago di Galilea, per Giovanni e per Gesù le parole generative sono le stesse : “convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino” (Mt 3,2).
Tre annunci in uno:
• esiste un regno, cieli nuovi e terra nuova, un mondo nuovo che preme per venire alla luce..
• Un regno incamminato. I due profeti non dicono cos’è il Regno, ma dove è. Lo fanno con una parola calda di speranza “vicino”. Dio è vicino, è qui. Seconda buona notizia: il Pellegrino eterno ha camminato molto, il suo esodo approda qui, alla radice del vivere, non ai margini della vita, si fa intimo come un pane nella bocca, una parola detta sul cuore portata dal respiro: infatti “vi battezzerà nello Spirito Santo”, vi immergerà dentro il soffio e il mare di Dio, sarete avvolti, intrisi, impregnati della vita stessa di Dio, in ogni vostra fibra.
c) Convertitevi, ossia mettetela in cammino la vostra vita, non per una imposizione da fuori ma per una seduzione. La vita non cambia per decreto-legge, ma per una bellezza almeno intravista: sulla strada che io percorro, il cielo è più vicino e più azzurro, la terra più dolce di frutti, ci sono più sorrisi e occhi con luce.
Convertitevi: giratevi verso la luce, perché la luce è già qui. Infatti Viene uno che è più grande di me. I due profeti usano lo stesso verbo e sempre al tempo presente: «Dio viene». Non: verrà, un giorno; oppure sta per venire, sarà qui tra poco. E ci sarebbe bastato. Semplice, diretto, sicuro: viene. Come un seme che diventa albero, come la linea mattinale della luce, che sembra minoritaria ma è vincente, piccola breccia, piccolo buco bianco che ingoia il nero della notte.
Giorno per giorno, continuamente, Dio viene. Anche se non lo vedi, viene; anche se non ti accorgi di lui, è in cammino su tutte le strade. È bello questo mondo immaginato colmo di orme di Dio.
Isaia, il sognatore, annuncia che Dio non sta non solo nell’intimo, in un’esperienza soggettiva, ma si è insediato al centro della vita, come un re sul trono, al centro delle relazioni e delle connessioni tra i viventi, rete che raccoglie insieme, in armonia, il lupo e l’agnello, il leone e il bue, il bambino e il serpente, uomo e donna, arabo ed ebreo, mussulmano e cristiano, bianco e nero, russo e ucraino, per il fiorire della vita in tutte le sue forme.
Dio viene. Io credo nella buona notizia di Isaia, Giovanni, Gesù. Lo credo non per un facile ottimismo. Il cristiano non è ottimista, ha speranza. L’ottimista tra due ipotesi sceglie quella più positiva o probabile. Io scelgo il Regno per un atto di fede: perché Dio si è impegnato con noi, in questa storia, ha le mani impigliate nel folto di questa vita, con un intreccio così scandaloso con la nostra carne da arrivare fino al legno di una mangiatoia e di una croce.