Fb 12 dicembre – III di Avvento

L’Amore danzante (p.Ermes Ronchi)

«Esulterà, si rallegrerà, griderà di gioia per te, come nei giorni di festa!»
Sofonia racconta un Dio felice il cui grido di festa attraversa questo tempo d’avvento, Dio che esulta e salta di gioia come un bimbo, Dio che: «Griderà di gioia per te»!
Mai nella Bibbia Dio aveva gridato. Aveva parlato, sussurrato, tuonato, con la potente voce interiore dei sogni. Solo qui, solo per amore, Dio grida, ma per amare di più, non certo per minacciare. Il profeta intona allora il canto dell’amore felice, l’amore danzante che da solo rende nuova la vita.
Lui griderà proprio per me? Io che pensavo di essere una palla al piede per il Regno di Dio, un freno tirato sul suo meccanismo perfetto. Invece il Signore mi lancia l’invito a un intreccio gioioso di passi e di parole, abbracciati sui rami alti dell’albero della vita.
Mentre il profeta intuisce la danza della vita nei cieli, il Battista risponde alla domanda più feriale, che sa di mani e fatica incise nei giorni: «Che cosa dobbiamo fare?» E l’uomo che non possiede nemmeno una veste risponde con la sua vita, con le sue parole: chi ha due vestiti ne dia uno a chi non ce l’ha. Colui che si nutre di quasi nulla, cavallette e miele selvatico, risponde: chi ha da mangiare ne dia a chi non ne ha. E’ la nuova legge di un altro mercato. Invece dell’accumulo, il dono; al posto dello spreco, la sobrietà. Perché tu vali almeno quanto me, anzi, di più, perché senza te io non sono.
Arrivano pubblicani e soldati, con ruoli di autorità e forza, pilastri del potere romano: «e noi cosa faremo?» Giovanni, l’uomo senza cose, si ripete, ma al negativo: non prendete a nessuno, non estorcete nulla, non accumulate e non maltrattate. Non approfittate del ruolo per umiliare; non abusate della vostra forza per far piangere.
Sempre lo stesso principio: prima le persone, prima il rispetto guardando negli occhi l’altro. La bestemmia è mettere le cose prima delle persone.
Viene uno più forte di me e vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. È il più forte, Gesù, perché è l’unico che parla al cuore, che «battezza nel fuoco» con la sua forza che trasforma le cose, che le fa morire per poi risorgerle, nella luce e nel calore.
Gesù ha acceso milioni e milioni di vite, le ha accese e rese felici, come la mia.
E noi cosa dobbiamo fare? Giovanni suggerisce che non conta ciò che fai, ma come lo fai. Puoi essere parlamentare o casalinga, docente o militare, non importa quale lavoro, conta solo la qualità del tuo agire: con quanta giustizia, impegno, umanità, con quanta passione e autenticità svolgi il tuo compito. È la tua profezia. Allora, a cominciare da te, si riprende a tessere il tessuto buono del mondo.
Restiamo profeti, piccoli, e riprendiamo a raccontare di un Dio che danza attorno ad ogni creatura, con la tenerezza di una giovane madre innamorata.

 

Avvenire III Avvento C

Le folle interrogavano Giovanni. Va da lui la gente che non frequenta il tempio, gente qualunque, pubblicani, soldati; vanno da quell’uomo credibile con un’unica domanda, che non tocca teologia o dottrina, ma va diritta al cuore della vita: che cosa dobbiamo fare?
Perché la vita non può essere solo lavorare, mangiare, dormire, e poi di nuovo lavorare… Tutti sentiamo che il nostro segreto è oltre noi, che c’è una vita ulteriore, come appello o inquietudine, come sogno o armonia. Una fame, una voglia di partire: profeta del deserto, tu conosci la strada?
Domandano cose di tutti i giorni, perché il modo con cui trattiamo gli uomini raggiunge Dio, il modo con cui trattiamo con Dio raggiunge gli uomini.
Giovanni risponde elencando tre regole semplici, fattibili, alla portata di tutti, che introducono nel mio mondo l’altro da me. Il profeta sposta lo sguardo: da te alle relazioni attorno a te.
Prima regola: chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto. Regola che da sola basterebbe a cambiare la faccia e il pianto del mondo. Quel profeta moderno che era il Mahatma Gandhi diceva: ciò che hai e non usi è rubato ad un altro.
Giovanni apre la breccia di una terra nuova: è vero che se metto a disposizione la mia tunica e il mio pane, io non cambio il mondo e le sue strutture ingiuste, però ho inoculato l’idea che la fame non è invincibile, che il dolore degli altri ha dei diritti su di me, che io non abbandono chi ha fatto naufragio, che la condivisione è la forma più propria dell’umano.
Vengono ufficiali pubblici, hanno un ruolo, un’autorità: Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato. Una norma così semplice da sembrare perfino realizzabile, perfino praticabile: una insurrezione di onestà, la semplice rivolta degli onesti: almeno non rubate!
Vengono anche dei soldati, la polizia di Erode: hanno la forza dalla loro, estorcono pizzi e regalie; dicono di difendere le legge e la violano: voi non maltrattate e non estorcete niente a nessuno. Non abusate della forza o della posizione per offendere, umiliare, far piangere, ferire, spillare soldi alle persone. Niente di straordinario. Giovanni non dice “lascia tutto e vieni nel deserto”; semplici cose fattibili da chiunque: non accumulare; se hai, condividi; non rubare e non usare violenza.
Il brano si conclude con Giovanni che alza lo sguardo: Viene uno più forte di me e vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. È il più forte non perché si impone e vince, ma perché è l’unico che parla al cuore, l’unico che “battezza nel fuoco”. Ha acceso milioni e milioni di vite, le ha accese e le ha rese felici. Questo fa di lui il più forte. E il più amato.