Fb 4 giugno
Festa degli abbracci
Gv 3,16-18
La Trinità: un dogma che può sembrare lontano, ma che invece è rivelazione del segreto del vivere, della sapienza sulla vita, sulla morte, sull’amore, e mi dice: in principio a tutto, ma proprio a tutto, è il legame.
Io che sono lento a credere, come potrò cogliere qualcosa della Trinità? Pensare di capirla attraverso le formule è come voler capire una parola analizzando l’inchiostro con cui è scritta. Ma Dio non è una definizione, è un’esperienza! La Trinità non è un concetto da capire, è una realtà condivisa da accogliere.
In uno dei capolavori di Kieslowski, il bambino protagonista sta giocando. Improvvisamente chiede alla zia: «Com’è Dio?». La zia lo chiama a sé, lo abbraccia, gli bacia i capelli e stringendolo sussurra: «Come ti senti, ora?». Pavel non vuole sciogliersi dall’abbraccio, alza gli occhi e risponde: «Bene, mi sento bene». E la zia: «Ecco, Pavel, Dio è così».
Dio come un abbraccio. Se non c’è amore, non vale nessun magistero. Se non c’è amore, nessuna cattedra sa dire Dio. Questo è il senso pieno della Trinità, specchio del nostro cuore profondo, e del senso ultimo dell’universo. Origine e vertice, fonte e culmine dell’umano e del divino: la comunione.
Sulla prima lettura i nomi di Dio sul monte sono uno più bello dell’altro: il misericordioso e pietoso, il lento all’ira, il ricco di grazia e di fedeltà (Es 34,6). Mosè è salito con fatica, due tavole di pietra in mano, e Dio sconcerta lui e tutti i moralisti, scrivendo su quella rigida pietra parole di tenerezza e di bontà.
Parole che giungono fino a Nicodemo, a quella sera di rinascite. Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio. Siamo al versetto centrale del Vangelo di Giovanni, a uno stupore che rinasce ogni volta davanti a parole tonificanti come una camminata in riva al mare, fra spruzzi d’onde e aria buona respirata a pieni polmoni.
Ha dato suo Figlio per amore: Amare non è un fatto sentimentale, non equivale a emozionarsi o a intenerirsi, ma a dare, verbo fattivo di mani e di gesti.
Dio ha tanto amato il mondo… e la notte di Nicodemo, e le nostre, s’illuminano.
Se mi domandano: tu cristiano a che cosa credi? La risposta spontanea è: credo in Dio Padre, in Gesù risorto, nella Chiesa… Giovanni indica una risposta diversa: il cristiano crede all’amore. Noi abbiamo creduto all’amore: ogni uomo, ogni donna, anche il non credente lo sa, lo conosce come sapienza del vivere. È lo stesso amore interno alla Trinità che da lì si espande, ci abbraccia e poi dilaga.
Davanti alla Trinità, io mi sento piccolo ma abbracciato, come un bambino: abbracciato dentro un vento in cui naviga l’intero creato, che ha nome amore.
Festa della Trinità: annuncio che Dio non è in se stesso solitudine, ma comunione, legame, abbraccio. Che ci ha raggiunto, ci libera e ci dà il suo cuore plurale.
Avvenire
TRINITÀ 2023
Per dire la Trinità, Gesù usa nomi di famiglia, di casa, nomi che abbracciano e stringono legami: Padre, Figlio, Spirito buono, alito che fa respirare la vita. La festa della Trinità è l’annuncio che Dio non è in se stesso solitudine, ma comunione, legame, abbraccio. Che ci raggiunge e ci dà il suo cuore plurale.
Allora capisco perché la solitudine mi pesa così tanto e mi fa paura: perché è contro la mia natura. Allora capisco perché quando sono con chi mi ama, sto così bene: perché realizzo la mia vocazione.
La Trinità è lo specchio del mio senso ultimo, e del senso dell’universo: tutto incamminato verso un Padre fonte di libere vite, verso un Figlio che mi innamora, verso uno Spirito che accende di comunione le nostre solitudini.
Anche l’autopresentazione di Dio sul monte Sinai, davanti al suo grande amico Mosè, ha nomi caldi: misericordioso, pietoso, lento all’ira, ricco di grazia e di fedeltà (Es 34,6). Mosè è salito con fatica, due tavole di pietra in mano, e Dio sconcerta lui e tutti i moralisti, scrivendo su quella rigida pietra parole di tenerezza.
E Mosè capisce e prega: “Che il Signore cammini in mezzo a noi, venga in mezzo alla sua gente. Non resti sul monte, guida alta e lontana, ma scenda e si perda in mezzo al calpestio del popolo”.
Tutta la Scrittura ci assicura che nel calpestio del popolo, nella polvere dei nostri sentieri, lo Spirito accende i suoi roveti e i suoi profeti; il Padre rallenta il passo sul ritmo del nostro; il Figlio è salvezza che ci cammina a fianco: “venuto non per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato” (Gv 3,17). Lui non condanna e neppure giudica: “Io non giudico!”(Gv 8.15). Parola dirompente, da ripetere alla nostra fede paurosa settanta volte sette! Io non giudico, né per sentenze di condanna, né per verdetti di assoluzione. Posso pesare i monti con la stadera e il mare con il cavo della mano (Is 40,12), ma l’uomo non lo peso e non lo misuro: lo amo; non preparo né bilance, né tribunali, perché non giudico, io salvo.
“Dì loro ciò che il vento dice alle rocce,/ ciò che il mare dice alle montagne. / Dì loro che una bontà immensa penetra l’universo,/ dì loro che Dio non è quello che credono, /che è un vino di festa, un banchetto di condivisione / in cui ciascuno dà e riceve./ Dì loro che Dio è Colui che suona il flauto /nella luce piena del giorno, / si avvicina e scompare, e ci chiama alle sorgenti./ Dì loro l’innocenza del suo volto, /i suoi lineamenti, il suo sorriso. /Dì loro che Egli è il tuo spazio e la tua notte,/ la tua ferita e la tua gioia. /Ma dì loro, anche, che Egli non è ciò che tu dici di Lui, che la sua tenda è sempre oltre… (Comm. Franc. Cistercense)
Che giungono fino a Nicodemo, a quella sera di rinascite.
Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio. Siamo al versetto centrale del vangelo di Giovanni, a uno stupore che rinasce ogni volta davanti a parole buone come il miele, tonificanti come una camminata in riva al mare, fra spruzzi d’onde e aria buona respirata a pieni polmoni: Dio ha tanto amato il mondo… e la notte di Nicodemo, e le nostre, s’illuminano.
Gesù sta dicendo al fariseo pauroso: il nome di Dio non è amore, è “tanto amore”, lui è “il molto-amante”. Dio altro non fa che, in eterno, considerare il mondo, ogni carne, più importante di se stesso. Per acquistare me, ha perduto se stesso. Follia della croce. Pazzia di venerdì santo. Ma per noi rinascita: ogni essere nasce e rinasce dal cuore di chi lo ama.
Proviamo a gustare la bellezza di questi verbi al passato: Dio ha amato, il Figlio è dato. Dicono non una speranza (Dio ti amerà, se tu…), ma un fatto sicuro e acquisito: Dio è già qui, ha intriso di sé il mondo, e il mondo ne è imbevuto. Lasciamo che i pensieri assorbano questa verità bellissima: Dio è già venuto, è nel mondo, qui, adesso, con molto amore. E ripeterci queste parole ad ogni risveglio, ad ogni difficoltà, ogni volta che siamo sfiduciati e si fa buio.
Salvezza, parola enorme. Salvare vuol dire portare a maturazione, a pienezza e poi conservare. Dio conserva: questo mondo e me, ogni pensiero buono, ogni generosa fatica, ogni dolorosa pazienza; neppure un capello del vostro capo andrà perduto (Lc 21,18), neanche un filo d’erba, neanche un filo di bellezza scomparirà nel nulla. Il mondo è salvo perché amato. I cristiani non sono quelli che amano Dio, sono quelli che credono che Dio li ama, che ha pronunciato il suo ‘sì’ al mondo, prima che il mondo dica ‘sì’ a lui.
Festa della Trinità: annuncio che Dio non è in se stesso solitudine, ma comunione, legame, abbraccio. Che ci ha raggiunto, e libera e fa alzare in volo una corrente d’amore.
Fb 7 giugno 2020
L’abbracciante
Io che sono lento a credere, che mi ci vorrà forse tutta la vita non per capire, ma solo per assaporare un poco della fede, come potrò cogliere qualcosa della Trinità? La strada non è quella delle formule. Voler capire la Trinità attraverso i concetti, è come tentare di capire una parola analizzando l’inchiostro con cui è scritta.
Dio non è una definizione, è un’esperienza.
. E su tutto regna sovrana la relazione; sul trono di famiglia, il legame.
Dio l’abbracciante. Se non c’è amore, non vale nessun magistero; senza il suo respiro, nessuna cattedra sa dire Dio.
E’ l’abbraccio il senso pieno della Trinità, e l’uomo ha il suo volto.
Quando Dio dice: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza”, l’immagine non è quella del Creatore, non quella dello Spirito, né quella del Verbo eterno, ma le tre realtà fuse insieme.
Ecco perché la solitudine mi pesa tanto e mi fa paura, perché è contro la mia natura. Ecco perché quando amo e trovo amicizia sto così bene, perché è secondo la mia, la nostra vocazione.
La relazione come cuore reciproco dell’essenza di Dio nell’uomo.
Ci ha amati così tanto da mandare suo Figlio. E mondo e uomo sono storia della Trinità.
Tutto questo ci sarebbe bastato! Invece l’Ascensione ci porta in pieno nel seno della Trinità: noi siamo quell’uomo pensato e creato non ad immagine del Dio solitario, ma della sua Trinità, dove si è felici solo l’uno nell’altro.
Questo Dio folle che ha amato non solo noi, ma tutto il creato. E che anch’io amo, perché è opera delle sue dita. Coi suoi spazi, le sue nuvole, i suoi figli, la sua dolce e aspra bellezza.
Terra amata e paziente. Grande giardino di Dio, con noi suoi piccoli “giardinieri planetari”.
io mi sento piccolo ma abbracciato dal mistero, come un bambino col naso all’insù.
Resto saldo nel loro vento in cui naviga l’intero creato che mi attende. Mi attende, perché il suo nome è comunione.
Perfino i nomi che Gesù sceglie per raccontare il volto di Dio sono nomi che contengono legami: Padre e Figlio sono
Dì loro ciò che il vento dice alle rocce,/ ciò che il mare dice alle montagne. / Dì loro che una bontà immensa penetra l’universo,/ dì loro che Dio non è quello che credono, /che è un vino di festa, un banchetto di condivisione / in cui ciascuno dà e riceve./ Dì loro che Dio è Colui che suona il flauto /nella luce piena del giorno, / si avvicina e scompare, e ci chiama alle sorgenti./ Dì loro l’innocenza del suo volto, /i suoi lineamenti, il suo sorriso. /Dì loro che Egli è il tuo spazio e la tua notte,/ la tua ferita e la tua gioia. /Ma dì loro, anche, che Egli non è ciò che tu dici di Lui/ e che tu non sai nulla di Lui, /eppure ti fidi e lo preghi e lo cerchi nel nome di ogni creatura.
(Commissione. Francofona. Cistercense)