Fb 8 gennFb 8 gennaio 2023
Mt 3,13-17

La danza sulle acque  (p.Ermes Ronchi)

Gesù si mette in fila con i peccatori. In fila, come l’ultimo di tutti, ed entra nel mondo dal punto più basso perché nessuno sia solo. E lì in mezzo ci appare fuori posto, come se fosse saltato l’ordine normale delle cose.

Giovanni non capisce e si ritrae, ma Gesù gli risponde che questo è l’ordine giusto, perché la nuova giustizia consiste nel ribaltamento che annulla la distanza tra il Puro e gli impuri, tra Dio e l’uomo.

Il Battesimo è fatto di acqua, di voce, di Spirito. L’acqua del fiume è come un solco di vita arato dentro il deserto, perenne frontiera alla terra promessa. Gesù si immerge nel fiume per me, non per sé; entra nell’acqua, dove l’uomo nasce ma non può vivere, dove Giovanni fa rinascere con la conversione, promessa di vita nuova: «con me vivrai solo inizi, entrerai nella buona terra».

Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono i cieli e lo Spirito di Dio discese su di lui come una colomba. Lo Spirito e l’acqua sono le più antiche presenze della Bibbia, presenti già dal secondo versetto della Genesi, dove «lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque».

Il primo movimento della vita nella Bibbia è una danza dello Spirito sulle acque, e il Battesimo di Gesù pone al centro l’aprirsi del cielo come si apre una finestra sul mare, una porta al sole, come si aprono le braccia agli amici, all’amato, ai figli, ai poveri. Il cielo si apre perché vita esca, perché vita entri.

E venne dal cielo una voce che diceva: questi è il figlio mio, l’amato, in lui ho posto il mio compiacimento. Tre affermazioni dentro le quali sento pulsare il cuore vivo del cristianesimo, e il mio vero nome.

Figlio è la prima parola. Dio genera figli, secondo la sua specie.
Amato è la seconda parola. Prima della tua risposta, ad ogni tuo risveglio, il tuo nome per Dio è “amato”. Di un amore immeritato, che ti anticipa, che ti avvolge da subito, a prescindere.

La terza parola: mio compiacimento. La Voce grida dall’alto del cielo, grida sul mondo e in mezzo al cuore, la gioia di Dio: è bello stare con te. E quanta gioia sai darmi!
E mi domando quale gioia posso regalare al Padre, io che l’ho ascoltato e non mi sono mosso, io che qualche volta l’ho perfino tradito. Solo un amore immotivato lo spiega, perché avere un motivo per amare non è mai amore vero.

Al nostro Battesimo, una voce ha ripetuto: figlio, io ti amo, tu mi dai gioia. Hai dentro il respiro del cielo che ti avvolge e ti modella trasformando i tuoi dubbi in speranze, facendoti simile a me. Riserva di coraggio che ogni mattino apre le ali e ti avvolge, e ti aiuta a spingere verso l’alto qualsiasi cielo oscuro tu incontri.

Come si è aperto sul cielo di Cristo, lo stesso cielo si apre su noi con l’urgenza dell’amore di Dio, e nessuno lo richiuderà più.
aio 2023
Mt 3,13-17

 

Avvenire BATTESIMO A
Mt 3,13-17

Tramonto a Patmos, l’isola dell’Apocalisse. Stavamo seduti davanti al fondale magico delle isole dell’Egeo, in contemplazione silenziosa del sole che calava nel mare, un monaco sapiente e io. Il monaco ruppe il silenzio e mi disse: lo sai che i padri antichi chiamavano questo mare “il battistero del sole”? Ogni sera il sole scende, si immerge nel grande bacile del mare come in un rito battesimale; poi il mattino riemerge dalle stesse acque, come un bambino che nasce, come un battezzato che esce.
Indimenticabile per me quella parabola che dipingeva il significato del verbo battezzare: immergere, sommergere. Io sommerso in Dio e Dio immerso in me; io nella sua vita, Lui nella mia vita. Siamo intrisi di Dio, dentro Dio come dentro l’aria che respiriamo, dentro la luce che bacia gli occhi; immersi in una sorgente che non verrà mai meno, avvolti da una forza di genesi che è Dio. E questo è accaduto non solo nel rito di quel giorno lontano, con le poche gocce d’acqua, ma accade ogni giorno nel nostro battesimo esistenziale, perenne, in-finito: “siamo immersi in un oceano d’amore e non ce ne rendiamo conto” (G. Vannucci).
La scena del battesimo di Gesù al Giordano ha come centro ciò che accade subito dopo: il cielo si apre, si fessura, si strappa sotto l’urgenza di Dio e l’impazienza di Adamo. Quel cielo che non è vuoto né muto. Ne escono parole supreme, tra le più alte che potrai mai ascoltare su di te: tu sei mio figlio, l’amato, in te ho posto il mio compiacimento. Parole che ardono e bruciano: figlio, amore, gioia. Che spiegano tutto il vangelo. Figlio, forse la parola più potente del vocabolario umano, che fa compiere miracoli al cuore. Amato, senza merito, senza se e senza ma. E leggermi nella tenerezza dei suoi occhi, nella eccedenza delle sue parole. Gioia, e puoi intuire l’esultanza dei cieli, un Dio esperto in feste per ogni figlio che vive, che cerca, che parte, che torna.
Nella prima lettura Isaia offre una delle pagine più consolanti di tutta la bibbia: non griderà, non spezzerà il bastone incrinato, non spegnerà lo stoppino dalla fiamma smorta. Non griderà, perché se la voce di Dio suona aspra o impositiva o stridula, non è la sua voce. Alla verità basta un sussurro. Non spezzerà: non finirà di rompere ciò che è sul punto di spezzarsi; la sua mania è prendersi cura, fasciando ogni ferita con bende di luce. Non spegnerà lo stoppino fumigante, a lui basta un po’ di fumo, lo circonda di attenzioni, lo lavora, fino a che ne fa sgorgare di nuovo la fiamma. “La vita xe fiama” (B. Marin) e Dio non la castiga quando è smorta, ma la custodisce e la protegge fra le sue mani di artista della luce e del fuoco.