Fb 4 aprile – Pasqua del Signore
Di p. Ermes Ronchi
Gv 20,1-9
La carne indossa l’eternità
Quel sabato che precedette la Pasqua fu diverso da tutti gli altri. Le donne di Galilea attendevano. In silenzio, come la Madre.
È il sabato del silenzio di Dio. Così per noi, seduti in faccia al sepolcro. Notte di naufragio, di terribile calma, di buio ostile su un pugno di uomini e donne sgomenti e disorientati. Notte della Risurrezione in cui la carne indossa l’eternità. Le cose più grandi avvengono di notte.
Maria di Magdala esce di casa nel buio più profondo. Non porta olii profumati o nardo come le altre donne, ha solo la sua vita, risorta da uno strascico di sette demoni scacciati da Gesù. Lei ha sentito che: «Il buon profumo di Cristo è odore di vita per la vita» (2 Cor 2,16).
La pietra è rotolata via, e Maria corre da Simone e Giovanni: non abbiamo più neanche un corpo su cui piangere! Gli amati sono senza l’amato.
Tutti corrono in quell’alba incerta. Non si corre così per un lutto, ma perché nasce qualcosa di immenso, urge il parto di una cosa enorme, confusa e grandiosa. Non è ancora fede, ma un’antica speranza, un’ansia illogica di qualcosa di impossibile.
Giovanni, che Gesù amava, vide e credette: coglie per primo il senso pieno della risurrezione. Il lasciarsi amare da Dio, l’amore passivo, è gravido delle rivelazioni più alte.
Entrano nel sepolcro, ed ecco un altro piccolo segno cui aggrapparsi: i teli posati, il sudario avvolto. Se qualcuno avesse portato via il corpo, non l’avrebbe liberato dai teli con la cura dell’amore. È stato un Altro a sciogliere con tenerezza la carne di Gesù dal velo nero della morte.
Verrà anche per me il terzo giorno: sarà una mattina, una sera o meglio ancora una notte. Sarà ad una svolta della strada o nel silenzio della mia stanza. E come loro lo riconoscerò grazie a due segni rivelatori: un timore sacro e una gioia trepidante che dilaga dentro, umile e forte.
E correrò con loro, a dirlo con la vita. Cristo è vivo! A me non basta sapere che Cristo è morto, io devo sapere, come Maria, se è risorto.
“Non mi toccare!” le dirà Gesù. Si tocca per possedere, per stringere, come non ci fosse altro. Non mi trattenere, devo andare, perché non finisce qui il duello: questo chiarore, questo giardino è solo l’avvio. Non mi trattenere, sono in viaggio oltre le parole, oltre le idee, oltre le forme e i riti, oltre le chiese. Oltre la morte! Perché la festa del grande raccolto sarà molto dopo, quando Dio asciugherà ogni lacrima e non ci sarà più né morte, né lutto, né lamento, perché le cose di prima sono passate, e lui sarà tutto in tutti.
“Non è qui!” dirà un giovane angelo alle altre donne. Che bella questa parola: ‘non è qui’, lui c’è, vive, ma non qui. Lui è il vivente, un Dio da sorprendere nella vita. C’è, ma va cercato fuori dal territorio delle tombe, in giro per le strade, per le case, dovunque, eccetto che fra le cose morte:
da “Avvenire” Pasqua 2021
Mc 16,1-8
Tre donne, di buon mattino, quasi clandestinamente, in quell’ora in cui si passa dal buio alla luce, vanno a prendersi cura del corpo di Gesù, come sanno, con il poco che hanno. Lo amano anche da morto, il loro maestro, e scoprono che il tempo dell’amore è più lungo del tempo della vita, mentre passano di sorpresa in sorpresa: “guardando videro che il grande masso era già stato spostato”. Pasqua è la festa dei macigni rotolati via, delle pietre rovesciate dall’imboccatura del cuore, dall’ingresso dell’anima.
Stupore, disorientamento, paura, eppure entrano, fragili e indomite, incontro a una sorpresa più grande: un messaggero giovane (il mondo intero è nuovo, fresco, giovane, in quel mattino) con un annuncio che sembra essere la bella notizia tanto attesa: “Gesù che avete visto crocifisso è risorto”. Avrebbero dovuto gioire, invece ammutoliscono.
Il giovane le incalza “Non è qui”. Che bella questa parola: ‘non è qui’, lui c’è, vive, ma non qui. Lui è il vivente, un Dio da sorprendere nella vita. C’è, ma va cercato fuori dal territorio delle tombe, in giro per le strade, per le case, dovunque, eccetto che fra le cose morte: ‘lui è in ogni scelta per un più grande amore, è nella fame di pace, negli abbracci degli amanti, nel grido vittorioso del bambino che nasce, nell’ultimo respiro del morente’ (G. Vannucci).
E poi ancora una sorpresa: la fiducia immensa del Signore che affida proprio a loro così disorientate, il grande annuncio: “Andate e dite”, con i due imperativi propri della missione. Da discepole senza parole, a missionarie dei discepoli senza coraggio.
“Vi precede in Galilea”. E appare un Dio migratore, che ama gli spazi aperti, che apre cammini, attraversa muri e spalanca porte: un seme di fuoco che si apre la strada nella storia.
Vi precede: avanza alla testa della lunga carovana dell’umanità incamminata verso la vita; cammina davanti, ad aprire l’immensa migrazione verso la terra promessa. Davanti, a ricevere in faccia il vento, la morte, e poi il sole del primo mattino, senza arretrare di un passo mai.
Il Vangelo di Pasqua ci racconta che nella vita è nascosto un segreto che Cristo è venuto a sussurrarci amorosamente all’orecchio. Il segreto è questo: c’è un movimento d’amore dentro la vita che non le permette mai di restare ferma, che la rimette in moto dopo ogni morte, che la rilancia dopo ogni scacco, che per ogni uomo che uccide cento ce ne sono che curano le ferite, e mille ciliegi che continuano ostinatamente a fiorire.
Un movimento d’amore che non ha mai fine, che nessuna violenza umana potrà mai arrestare, un flusso vitale dentro al quale è presa ogni cosa che vive, e che rivela il nome ultimo di Dio: Risurrezione.