dal Messaggero Veneto del 24/06/2002
IL SUCCESSO DEI “SANTONI”
di ALCIDE PAOLINI
Afferma una statistica che dieci milioni di italiani ricorrono alla cosiddetta medicina alternativa, vale a dire a quella non ufficialmente riconosciuta. Non so se tale statistica risponda al vero, ma è evidente che se anche fossero solo cinque milioni un interrogativo si porrebbe: perché? Perché esiste questa sfiducia nella medicina ufficiale? Le ragioni sono le più varie. Ne esemplificherò una, autobiografica.
Fin da bambino ho sofferto di un mal di testa feroce, che per anni è stato diagnosticato come nevralgia del trigemino e curato (inutilmente) in tal modo. Finché a un certo punto la diagnosi si è trasformata in emicrania essenziale, vale a dire senza una causa accertata. Essendo un dolore invalidante oltre che intollerabile, ho consultato i maggiori specialisti italiani e stranieri e ho sperimentato innumerevoli cure, senza grandi risultati.
A quel punto (di malavoglia) ho accettato prima l’intervento di un agopuntore coreano, poi quello di una pranoterapista, suggeritami da un amico, il cui cugino, chirurgo, era stato guarito (me lo aveva confermato egli stesso) da una grave forma mialgica alla mano, che gli impediva di operare. Ma per me è stato tutto inutile. In seguito non ho disdegnato altre pratiche “alternative”, purtroppo sempre vanamente, così che alla fine sono tornato ai farmaci ufficiali, con i quali tuttora convivo decentemente.
Che cosa voglio dire? Voglio dire che dove la medicina ufficiale fallisce, è comprensibile che ci si rivolga a quella non ufficiale, soprattutto poi quando si tratta di malattie dolorose o senza soluzione: ’assamai, diceva lo spiritoso Pietrino Bianchi a proposito della fede. Ma tutto ciò riguarda solo coloro che a questa medicina alternativa si rivolgono quando non hanno più, appunto, altre possibilità. Il fatto è, però, che c’è gente che disdegna in partenza la medicina ufficiale, proprio non ne vuol sapere, preferendole quell’altra (l’ayurvedica, l’omeopatica, l’antropofisica, l’ostepatica, la motossicologica, la pranoterapica e diverse altre). Quella medicina, cioè, che la Federazione dell’Ordine dei medici si è decisa a un tratto a considerare seriamente, ma a patto che il suo esercizio sia delegato esclusivamente alla classe medica. Il che, anche volendo sorvolare sulla tentazione di considerare la richiesta “interessata”, pone alcuni problemi che vanno assolutamente chiariti.
A cominciare il chiarimento è stata una folta schiera di scienziati di fama internazionale, con in testa due premi Nobel come Montalcini e Dulbecco, firmatari di una dichiarazione nettamente contraria alla richiesta, perché convinti che si tratti di pratiche non testate scientificamente secondo rigorosi protocolli. Quei protocolli che la medicina ufficiale richiede affinché l’uso di farmaci e metodi e strumenti sia regolarmente autorizzato e commercializzato. Uno scrupolo assolutamente condivisibile, perché di questi tempi, in questo campo dove c’è di mezzo la paura per la vita, l’equilibrio della persona e il suo rispetto, in un mondo dove tutto si sta trasformando in affare e mercato, è il meno che si possa chiedere.
Resta tuttavia la considerazione iniziale, quella per cui, pur essendo tutto ciò fin troppo ovvio, un’infinità di persone continua a rivolgersi a queste pratiche alternative. Il che, dato il numero dei seguaci, fa sì che non si possa escludere che anch’esse abbiano una loro efficacia. Che forse sarebbe bene fosse sancita dalle necessarie sperimentazioni e documentazioni.
Ma è evidente che una parte di queste pratiche (chiamate anche olistiche, nel senso che danno maggior valore all’organismo rispetto alle sue singole parti) non è sperimentabile se non individualmente, poiché non si limitano ai farmaci, ma contempla una serie ben più ampia di coinvolgimenti della persona, a cominciare dalla psiche, per finire con l’alimentazione e il comportamento: il tutto rappresentato da un sistema. Ed è qui che entra in ballo il fattore meno verificabile sperimentalmente, perché ha a che fare con una sorta di fede, di religione, di credenza.
Perfino, in certi casi, di moda. Si pensi per esempio alla New age, con tutti i suoi riti e farmaci, a partire dal Rescue remedy, in voga presso le giovani generazioni; o a certi metodi di derivazione orientaleggiante, in cui rimedi, cibi, rituali, vestiti, colori, profumi, ginnastiche compongono una sorta di dottrina di vita nella quale occorre prima di tutto credere fino in fondo. Perché la fede fa miracoli, lo sappiamo. E forse anche una bella illusione può ottenere dei buoni risultati.
L’interrogativo, a questo punto, diventa: se ne devono occupare proprio i medici di queste pratiche? Mi sembra ci sia una contraddizione in termini. Quale università è attrezzata per formare questi “santoni”? A meno che non si faccia una precisa distinzione tra pratiche scientificamente sperimentabili e insegnabili, come forse potrebbero essere l’agopuntura o l’omeopatia, e tutto il resto, solitamente di derivazione mistica.
Gli scienziati firmatari del “No” alla medicina alternativa dovrebbero tuttavia, loro per primi, con tutto il peso del prestigio di cui godono, per i risultati stupefacenti di questi anni, farsi promotori di una rivoluzione, giusto sulla scorta di questo fenomeno di sfiducia verso la medicina ufficiale, che sembra perdere sempre di più il contatto con la “persona” del malato, proprio per la mancanza di quello spirito olistico che è stato abbandonato del tutto e che tanto successo, invece, ottiene presso quei “santoni” che lo mettono in primo piano.
Alcide Paolini
————————————————————————
dal Messaggero Veneto del 1/07/2002
La storia della mia vita
Leggendo l’articolo pubblicato a pagina 1 e 2 del Messaggero Veneto in data 24-6-02 e intitolato “Il successo dei santoni” mi è sembrato di leggere la storia della mia vita.
Fin da piccola ho sofferto di un mal di testa feroce con vomito, che allora era diagnosticato cefalea vasomotoria e da dieci anni è diagnosticata come cefalea a grappolo, cioè si presenta ogni giorno alla stessa ora. Dopo aver provato diverse cure, anche a Trieste a pagamento e senza grossi risultati, cinque anni fa mi sono rivolta a uno specialista neurologo dell’ospedale di Udine, facendo una visita all’anno, senza molte speranze, giusto per tenermi aggiornata sull’uscita di farmaci nuovi e forse più efficaci.
Da un anno e mezzo invece dei soliti 10-12 giorni mensili di cefalea, il dolore è diventato più assiduo scatenandosi quasi ogni pomeriggio. La mia vita è diventata quasi da invalida, visto che i pomeriggi li passo quasi sempre a letto, al buio, sotto sedativi e senza mangiare. Una sera del passato mese di maggio, mio marito e i miei figli si sono molto spaventati, per le condizioni penose in cui versavo (dolori, vomito e svenimenti), e hanno chiamato il 118.
Al pronto soccorso mi hanno avviata subito in neurologia dove un dottore mi ha visitata e, visto che il forte dolore mi impediva di essere attenta alle sue domande, ha pensato bene di riempirmi le braccia di pizzicotti per avere la mia attenzione. I giorni seguenti avevo le braccia piene di lividi.
Rimandata al pronto soccorso, dopo una Tac risultata negativa, mi hanno ricoverata in osservazione per una notte. Al mattino, nonostante due fleboclisi, il dolore non era passato e il gentile dottore del reparto di Medicina d’urgenza mi ha rimandata in neurologia per scrupolo, prima di dimettermi. Visto che le gambe non mi reggevano mi ci hanno portata in carrozzella.
In ambulatorio c’era il neurologo che mi aveva in cura che, con espressione molto seccata, mi ha detto: «Lei signora stanca i medici.
Quelli come lei non devono venire in ospedale, ma andare in cliniche a pagamento. Il reparto accoglie solo i malati di tumore e di ictus non lei, visto che, tra l’altro, il collega che l’ha visitata ieri sera ha avuto l’impressione che simulasse. Per il suo caso non è previsto il ricovero».
Io, sempre con il mio mal di testa e un groppo alla gola, sono uscita e sono stata subito dismessa. Era la prima volta che mi rivolgevo all’ospedale in 55 anni di vita. Ora ho detto ai miei cari: «Qualsiasi cosa mi succeda non chiamate il 118 a costo di essere perseguiti per omissione di soccorso».
Spero di aver dato anche il mio contributo per spiegare il motivo del “Successo dei santoni”.
G.N.
Udine