28 Febbraio 2003

Colf in friuli

dal Messaggero Veneto del 28/02/03

In totale per le prossime settimane sono state chiamate allo sportello polifunzionale 500 persone per concludere le pratiche

In regola solo 200 colf su 3.300

In Prefettura a rilento le procedure dell’attuazione della Bossi-Fini per badanti e lavoratori stranieri Centinaia di immigrati in attesa di essere convocati per ottenere il permesso


A fronte di un totale di oltre 3.300 richiedenti che avevano consegnato il kit compilato agli uffici postali, sono 479 le convocazioni notificate con appuntamenti già fissati allo sportello polifunzionale della prefettura fino al 17 marzo, al ritmo di circa 20 al giorno.Il resto dell’imponente mole di pratiche è atteso da Roma, dove si controllano le domande inoltrate con caricamento dei dati nel sistema informatico centrale, prima della verifica e concessione del nulla osta da parte delle questure.

Sindacati e associazioni umanitarie lamentano la lentezza delle procedure, anche se l’andamento delle regolarizzazioni già portate a termine a Udine (gli incontri con datore di lavoro e lavoratore per la ratifica del contratto erano cominciati a partire dall’8 gennaio) è ben più incoraggiante di quello di altre realtà. Secondo l’ufficio di gabinetto della prefettura udinese, lo smistamento negli uffici della capitale procede secondo i ritmi che erano stati previsti, tenuto conto soprattutto che le domande presentate in tutta Italia erano state di gran lunga superiori a quanto di lavoro «sommerso» era stato stimato. E questo in particolare per quanto riguarda le badanti che si prendono cura di anziani, disabili e malati sollevando non poco le famiglie ed evitando loro gli esborsi pesanti richiesti dalle strutture di degenza pubbliche e private.

Un colpo d’acceleratore è già avvenuto, come informano in prefettura, dopo che è stata disposta la riduzione dei giorni di convocazione da 20 a 12: è questo, infatti, il lasso di tempo ora previsto dal momento del nulla osta della questura dopo il ritorno della pratica da Roma al giorno dell’appuntamento con i rappresentanti degli uffici che definiscono la messa in regola: oltre a prefettura e questura, ufficio provinciale del lavoro, Inps e ufficio entrate. Questo sicuramente consentirà di sveltire le procedure, evitando i giorni di «buco», quando non c’era alcuna pratica da definire, che già ci sono stati. Pare tuttavia difficile che ciò sia sufficiente per centrare l’obiettivo auspicato di concludere tutta la mole di procedure entro l’anno.

La messa in regola è attesa da 1.792 lavoratrici domestiche e 1.515 lavoratori subordinati. Nel frattempo, chi è entrato illegalmente in Italia, ma attende la messa in regola avendo il suo datore di lavoro fatto richiesta, privo di permesso di soggiorno non può attraversare le frontiere, nè cercare un nuovo impiego. E qui si apre un nuovo punto dolente: quello di chi, in attesa della convocazione, viene licenziato oppure perde il lavoro di badante per decesso della persona cui accudiva. Sette di questi casi sono arrivati al capitolo finale e agli stranieri è stato rilasciato un permesso di soggiorno provvisorio, ma decine di loro non sono stati ancora convocati e si trovano di colpo senza casa, senza lavoro, senza alcun diritto. (li.p.)
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Quasi 200 immigrati nella nostra provincia hanno messo la sospirata firma sul loro primo regolare contratto di lavoro. In prefettura, infatti, gli iter per l’emersione del lavoro nero, così come previsto dalla legge Bossi Fini, si sono conclusi, a tutt’oggi, per 171 tra colf e badanti e 24 lavoratori subordinati.
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I sindacati chiedono al prefetto
di trovare soluzioni più veloci


Sono decine i lavoratori subordinati e le badanti che, in attesa della chiamata in prefettura per firmare il contratto e ritirare il permesso di soggiorno, perdono di colpo l’occupazione per licenziamento oppure perchè nel frattempo muore o si aggrava al punto da non poter più essere seguìto in casa il vecchietto di cui si prendevano cura. Il problema è stato sollevato dai sindacati, dalle Acli e dalla Caritas, ai cui sportelli aumentano le richieste di aiuto da parte di chi si trova all’improvviso nella disperazione.

I segretari provinciali e i responsabili degli uffici immigrati di Cgil, Cisl e Uil hanno avuto la scorsa settimana un incontro con il prefetto Rosario Salanitri, in cui hanno fatto presente questo problema invitandolo a cercare una soluzione. «Alcune prefetture tra cui Bergamo e Bologna – spiega Anna Rita De Nardo, responsabile dell’ufficio emergenze della Caritas – hanno deciso di dare la possibilit&agravagrave; a chi sta per regolarizzarsi, ma perde nel frattempo il lavoro, di passare a un altro datore. E’ questo a stipulare il nuovo contratto, in accordo con l’Inps per il pagamento dei contributi. Si ammetterebbe cioè il subentro di un nuovo datore di lavoro».

E il rischio che si cada nuovamente nel lavoro nero è prospettata da Abdou Faye, della Cgil. «Non accettando il passaggio dall’uno all’altro datore di lavoro, di fatto si costringe l’immigrato a lavorare irregolarmente».C’è poi un altro allarme lanciato da Faye. «Stiamo constatando l’insorgere di un atteggiamento ricattatorio in particolare da parte di alcuni industriali che chiedono al lavoratore immigrato da mettere in regola di pagare i contributi. C’è qualcuno che non riceve lo stipendio da novembre. Purtroppo, più lenta è la procedura di messa in regola, più rischiano di aumentare situazioni di questo tipo».
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IMMIGRATI
La Questura consegna il permesso di soggiorno


E’ lo sportello polifunzionale di via Piave 19 della prefettura a ricevere il lavoratore immigrato e il suo datore di lavoro per la messa in regola del dipendente. Le due parti vengono convocate con 12 giorni di anticipo dopo che si è conclusa l’istruttoria della pratica a Roma e dopo la concessione del nulla osta da parte della questura che accerta non ci siano reati pendenti.

Le parti convenute si recheranno per prima cosa dal funzionario dell’Agenzia delle entrate per l’attribuzione del codice fiscale, quindi la prefettura esaminerà in via definitiva la documentazione presentata, prima che il rappresentante del Servizio lavoro e collocamento della Provincia stipuli il contratto. A quel punto la questura consegna il permesso di soggiorno, quindi spetta al rappresentante dell’Inps definire la pratica sotto il profilo previdenziale. E’ presente anche un rappresentante delle Poste.
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La storia di Irina, che accudisce un anziano in città, e ha lasciato bambini e marito in Ucraina
«Non vedo i miei figli da 2 anni»
«Vorrei tornare al mio paese per riabbracciare la famiglia»


Irina viene dall’Ucraina e ha trentasei anni. Da due e mezzo non vede i tre figli, che ha lasciato con il marito da quando è arrivata in Italia. Lavora come badante per un anziano malato e spera di rientrare presto nel suo paese. «Vorrei riuscire a tornare quest’estate – spiega Irina -; mio figlio di quindici anni finisce la scuola, c’è la cerimonia, per lui è importante».

Fino a oggi non ha riabbracciato la famiglia in Ucraina perché era «clandestina». Con l’avvento della legge Bossi-Fini, Irina è andata però a far parte delle 1.792 colf e badanti della provincia in attesa di regolarizzazione. L’iter della sua pratica ora sta per concludersi: la prefettura l’ha convocata per la metà di marzo e potrà avere così tutti i documenti necessari per ottenere il visto quando, dopo un breve periodo fra i suoi cari, deciderà di rientrare in Italia.

La donna ha una lunga storia alle spalle. Nel novembre del 2000 decide, con un visto per turismo, di lasciare il suo paese, dove lavora come assistente tecnico in una scuola, dopo aver perso il posto in una fabbrica di tappeti, chiusa per fallimento. «La paga però non arrivava più. A Natale – specifica – lo stipendio era stato un chilo di burro e una bottiglia di vodka. A Pasqua, invece, mi avevano dato quattro salami e siccome avevo tre figli una paga di circa circa 325 euro».

Non ci sono altri impieghi disponibili, la crisi economica ucraina dilaga, la situazione è tanto precaria da costringere Irina a venire in Italia. La sua prima meta è Milano. Per un po’ di tempo dorme in condizioni di fortuna, trovando rifugio nella sala d’aspetto della stazione dei treni, cercando – invano – qualcuno che l’assuma. «Non riuscivo a trovare lavoro perché non sapevo neanche una parola d’italiano – ci spiega con un accento ancora stentato – ero disperata, ma poi mi hanno aiutato». Infatti, grazie alla Caritas milanese, riceve sostegno e un alloggio temporaneo. Arriva anche il lavoro. Dopo qualche mese si trasferisce a Belluno, dove opera come badante in due diverse famiglie per più di un anno. Le cose tuttavia non vanno bene e trova un altro posto, sempre come badante, qui a Udine.

Ora assiste con pazienza un anziano malato di 86 anni, ha una sua stanza e quando le chiediamo come si trova qui in Italia. «Bene, ma sento i miei figli solo per telefono. Hanno 15, 11 e 10 anni, fanno ancora tutti la scuola. Il più grande – confida la donna – vuole fare il maestro. Adesso sono con mio marito, al mio paese, ma lui non ce la fa da solo. Lì riesce a trovare solamente qualche lavoretto d’estate». Irina non può perdere il suo impiego in Italia, i figli non ce la farebbero senza il suo aiuto. Adesso però potrà vedere il frutto delle sue fatiche e sogna, per quest’estate, di avere «una settimana per stare con loro, farmi raccontare tutto e vedere quanto sono cresciuti». (f.t.)
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«Le situazioni più gravi: coop e collaborazioni»


«Le controversie sul lavoro? Purtroppo la situazione è nettamente peggiorata negli ultimi tre, quattro anni. I lavoratori incontrano sempre maggiori problemi e i conflitti si moltiplicano». A tratteggiare questo quadro poco incoraggiante è Iris Morassi (nella foto), della segreteria provinciale della Cisl, per anni segretario della Fisascat, la Federazione italiana sindacati addetti servizi commerciali affini e turismo, categoria che segue 48 contratti nei settori più interessati dal fenomeno delle cause di lavoro: interinali, telelavoro, soci-lavoratori di cooperative, lavoratori atipici, guardie giurate, turismo, aziende alberghiere, pubblici esercizi, stabilimenti balneari, imprese viaggi a turismo.

«Molto spesso – racconta Iris Morassi – vengono qui al sindacato persone disperate, che si sono decise a fare causa ai datori di lavoro solo perchè giunte allo stremo. Fino a quel momento avevano resistito perchè non volevano perdere il lavoro. Tra coloro che si decidono a denunciare vediamo sopratutto giovani. Sono tra quelli che manifestano la maggior delusione per la realtà che incontrano sul lavoro, anche perchè si erano avvicinati a questa nuova esperienza con tanto entusiasmo».

«Tra le situazioni più gravi ci sono quelle dei soci-lavoratori delle cooperative – prosegue la Morassi – , che vengono pagati poco, male e con ritardo e che di fronte a un cumulo di situazioni insopportabili non trovano risposte dai vertici delle coop. L’unica soluzione è quella di passare alla vertenza».
«Dal punto di vista numerico – conclude – la conflittualità più alta si registra nel settore del turismo e in particolare nei centri balneari, dove la stagionalità rende i lavoratori molto deboli. Gravissima anche la situazione dei cosiddetti nuovi lavoratori, in tutti i settori. Soprattutto il ricorso massiccio alla collaborazione coordinata e continuativa sta provocando una serie di violazioni normative da parte dei datori di lavoro». (a.lau.)
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Maria, cameriera e lavapiatti
La storia di una udinese che si è ribellata allo sfruttamento e le disavventure di un anziano impiegato e d’un pizzaiolo


Maria viene assunta come cameriera in un noto albergo udinese, ma dopo pochi giorni scopre che fare il suo dovere non basta. Non basta rifare tutte le camere, pulirle da cima a fondo ed eseguire tutto ciò che le viene indicato come suo compito. Il datore di lavoro pretende che la ragazza, al termine dell’orario normale, si trasferisca in cucina, dove le pentole e i piatti da lavare sono così tanti che vengono ammucchiati persino in corridoio. Maria non crede ai suoi occhi, anche perchè a quell’ora deve fare tutto da sola e per giunta lavando le stoviglie a mano.

Questa situazione allucinante si è realmente verificata e la cameriera, in preda alla disperazione, dopo aver subìto questo trattamento massacrante per alcuni giorni, si è rivolta al sindacato per chiedere un consiglio. «Non ce la faccio più, ma devo lavorare, non posso perdere questo posto» ha confessato la cameriera tuttofare. Più di qualche consiglio i sindacalisti non le hanno potuto dare: «Fai finta di svenire, ma soprattutto fatti accompagnare sempre da qualcuno che ti è amico e che un giorno potrebbe testimoniare contro il datore di lavoro». I termini per aprire una controversia c’erano tutti, poichè la ragazza aveva svolto mansioni diverse rispetto alle sue (a una cameriera non tocca lavare i piatti, per di più al di fuori dell’orario di lavoro).

La denuncia, però, non è partita subito perchè la ragazza non poteva permettersi di perdere quel posto. Alla fine la giovane è crollata e il titolare dell’albergo è stato denunciato.
Un altro caso emblematico approdato davanti alla Commissione di conciliazione riguarda Pietro, un udinese che dopo aver lavorato per 32 anni come impiegato amministrativo in una azienda con meno di 15 dipendenti si è trovato ad avere a che fare con un nuovo management. Con il vecchio titolare tutto era andato per il meglio, ma poi le cose sono cambiate. I nuovi titolari hanno dotato l’azienda di un modernissimo sistema per la gestione della contabilità, con computer e software che Pietro non conosceva.

A quel punto è iniziato l’inferno. Per la sua ditta era diventato un esubero: da un giorno all’altro è stato spedito in magazzino senza alcun corso di riqualificazione. Da quel momento è stato bersagliato da una serie di richiami e di rimproveri, poi gli sono state indirizzate alcune lettere nelle quali si faceva cenno a violazioni disciplinari e si affermava che era inadeguato anche al software del magazzino. Alla fine è scattato il licenziamento e così Pietro, a tre anni dalla pensione, si è ritrovato in mezzo alla strada. Anch’egli si è deciso a fare causa: il demansionamento (proprio quello che ha subìto Pietro finendo in magazzino) è infatti sanzionato. Ma le norme per le aziende sotto i 15 dipendenti prevedono, al massimo, un risarcimento e non la riassunzione.

E così l’anziano lavoratore si è dovuto accontentare di una somma pari a qualche mensilità.
Una terza vicenda pure approdata in una denuncia “fotografa” un’altra situazione tipica: quella del lavoratore stagionale a Lignano. Si tratta di un caso ancora più difficile perchè riguarda un extracomunitario. Lo straniero, assunto in una pizzeria, non solo doveva lavorare diciotto ore al giorno con brevi pause, ma a fine stagione si è dovuto accontentare di una paga corrispondente al minimo sindacale per un orario di lavoro senza straordinari. Anche in questo caso la soluzione è stata una causa risolta davanti alla commissione di conciliazione. (a.l.)

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