dal Messaggero Veneto del 17/10/02
Sabato una manifestazione e un incontro per sensibilizzare su un problema dimenticato
Quando manca il diritto d’asilo
Con la nuova legge si respingono anche coloro che fuggono guerra e morte
di GIANPAOLO CARBONETTO
Una “carovana” per il diritto d’asilo e contro tutte le guerre al mattino, dalle 10 alle 14, in piazza San Giacomo a Udine e un incontro pubblico sul tema Diritto d’asilo: dalla situazione nazionale a quella locale, nel pomeriggio, dalle 16, all’auditorium Zanon del capoluogo friulano. Sabato un’intera giornata sarà dedicata alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica e, conseguentemente, dei politici, su un tema drammaticamente trascurato: quello del diritto d’asilo che la legge Bossi-Fini ha praticamente cancellato, equiparando ogni ingresso non turistico di stranieri in Italia, agendo come se tutti venissero a cercare un qualsiasi lavoro.
Così ci si trova di fronte a episodi esilaranti come quello dello scienziato statunitense respinto perché le quote sono già esaurite, ma anche a episodi strazianti, nei quali si vedono poveri diavoli che scappano da Paesi nei quali sono perseguitati e rischiano la vita con il miraggio di arrivare in un Paese civile e progredito e si vedono, invece, respingere, con l’implicito invito di tornarsene a casa e di morire in silenzio per non disturbare né le coscienze, né le tasche nostrane.
Ne parliamo con don Pirluigi Di Piazza, responsabile del Centro Balducci che sabato parlerà di questi temi allo Zanon.
– A circa un mese dall’entrata in vigore della legge Bossi-Fini i problemi legati all’accoglimento degli strranieri in Italia sembrano essere addirittura aumentati a tutti i livelli e, senza cambiamenti, non si intravvedono neppure soluzioni…
«La presenza degli stranieri tra noi è una delle questioni più aperte e urgenti, ma generalmente si vive come se non fosse così, pronti poi ad avere reazioni emotive quando accade qualcosa di particolare. Penso a cosa sarebbe accaduto in questi giorni se nelle tragedie che sono accadute nel nostro Paese e che ci obbligano a guardarci dentro e attorno in modo veritiero, i protagonisti fossero stati degli stranieri. Noi e loro, invece, siamo eguali e, quindi, gli interrogativi riguardano l’essere umano».
– Sabato sarà una giornata di protesta e di riflessione…
«Il Centro Balducci aderisce e partecipa con convinzione, insieme ad altre Associazioni, alla giornata di sensibilizzazione, informazione e progettazione sulla questione del diritto d’asilo che va collocata nella globalità dei diritti umani, dell’accoglienza dell’altro con la sua diversità, della giustizia e della pace».
– Anche nei confronti degli stranieri che entrano nel nostro Paese si applica un rifiuto diffuso, frutto di quella generalizzazione che, oltre a essere indizio di assoluta pigrizia mentale, è anche una delle cause storiche di tutti i tipi di razzismo…
«Personalmente ho l’impressione che nell’opinione pubblica la disinformazione sia notevole quando si parla degli stranieri, di quelli che con un bruttissmi termine, sono definiti gli “extracomunitari”: non si fa, cioè, distinzione tra coloro che sono venuti nel nostro Paese per lavorare (gli immigrati), coloro che sono stati costretti a partire dalla loro patria a causa di una guerra (i profughi), e coloro che sono scappati da violenze e persecuzioni nei confronti delle proprie persone, delle famiglie, dello comunità (quelli che richiedono asilo).
Le motivazioni sono quindi diverse, anche se poi l’esito finale dovrebbe accomunare tutti in un percorso di cittadinanza nel quale lavoro, salute, inserimento nel tessuto sociale, convivenza pacifica, diritti e doveri siano realmente praticabili. Non si può dimenticare, poi, che i cosiddetti “clandestini” sono sempre appartenuti, e appartengono, in larga misura ai profughi e a coloro che richiedono asilo».
– La legislazione italiana appare del tutto sorda nei confronti di questi fuggitivi…
«Considero una gravissima violazione dei diritti umani l’attuale approccio alla questione del diritto d’asilo, e il vuoto legislativo esistente con le poche e disastrose indicazioni per il prossimo futuro».
– Cioè?
«In questo passaggio della storia nel quale impoverimento, terrorismi, violazione dei diritti umani sono purtroppo in aumento, noi, in Italia, di fatto neghiamo a migliaia di persone in fuga il diritto di essere accettati nel nostro Paese. E, così facendo, viene attuata la contemporanea violazione di due articoli della Costituzione che sono in stretto e drammatico rapporto tra loro: il primo è l’articolo 11 che dichiara “l’Italia ripudia la guerra…”, mentre il secondo è l’articolo 10 che recita “Lo straniero al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica”. Insomma, il nostro Parlamento viola la Costituzione inviando soldati in guerra in Paesi da dove vengono le persone che chiedono rifugio e a questo punto si viola nuovamente la Costituzione perché, nonostante le ripetute affermazioni solenni, il diritto di asilo non è mai stato tradotto in una legge compiuta e coerente. Anzi, il nostro &eegrave; l’unico tra gli Stati dell’Unione Europea a non muoversi con una normativa organica in materia».
– Sembra un anacronismo in un tempo in cui si parla di globalizzazione…
«La considerazione di fondo dovrebbe prendere di petto, nell’interdipendenza delle varie parti del mondo, le nostre complicità nel sistema di ingiustizia, di violenza, di guerra. Bisogna tenere che coloro che fuggono drammaticamente sono vittime di quelle situazioni e, quindi, l’impegno dovrebbe dunque essere duplice: contribuire alla liberazione dei Paesi in cui esistono violenze e persecuzioni e accogliere le persone che ne sono vittime».
– La legge Bossi-Fini non sembra preoccuparsi affatto di queste realtà…
«Le indicazioni della legge Bossi-Fini riguardo all’asilo sono disastrose, illogiche e discriminanti. Questa legge prevede di trattenere chi fugge nel nostro Paese in centri di permanenza e di identificazione, retti da un’organizzazione più o meno carceraria, e che, tra l’altro, comporta enormi investimenti per la loro realizzazione. Sarebbe molto più ragionevole, invece, partire dalle esperienze che si sono compiute in questi anni e che sono ancora in atto e potenziare la capacità di accoglienza, di supporto, di sostegno, di accompagnamento delle persone in condizioni umane di fragilità e di precarietà».
– Si è spesso parlato anche di illogicità e contraddizioni palesi contenute in questa legge. Quali sono?
«Per esempio, è previsto che l’eventuale non accettazione deve essere comunque seguita dall’espulsione e che il possibile ricorso debba essere fatto dall’estero. Ora, mi domando e domando agli estensori della legge: se quete persone fuggono da condizioni di violenza, di persecuzione e di pericolo di morte, come si può pensare che possano tornare in quei Paesi per proporre un ricorso?»
– Sembra quasi una crudele presa in giro…
«È vero. E poi non si può ignorare il fatto che comunque non lo potranno fare e che si collocheranno obbligatoriamente nella clandestinità per non rischiare la propria vita»..
– La situazione è molto grave. Cosa si può fare per uiscirne?
«È fondamentale l’informazione, la coscienza, l’incontro con le persone e con le loro storie; è indispensabile continuare ad alimentare una nuova cultura del rapporto con l’altro; è necessario che le istituzioni e la politica si impegnino in modo serio e adeguato, dai Comuni, alle Province, alla Regione, al Parlamento, all’Unione europea, in rapporto con le associazioni che lavorano da anni. E che queste si raccordino e collaborino tra di loro».
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Gli aspetti più scomodi dell’emigrazione italiana
I clandestini eravamo noi
Il grande problema è la memoria. Anzi, per taluni è il grande pericolo. Il ricordo, infatti, può essere qualcosa di assolutamente devastante per chi pretende di possedere l’assoluta verità e che su questo postulato pensa di basare le proprie sorti. Le prove si sprecano.
Si provi a pensare a quante volte, alla ricerca dell’impossibile riabilitazione proiettata nel presente di un credo condannato dalla storia è stata tentata la negazione della Shoah. Oppure, per venire a cose molto meno drammatiche e molto più vicine nel tempo, a come Agostino Saccà, servizievole direttore generale della Rai, abbia bloccato la puntata di Blob interamente dedicata a Berlusconi.
L’operazione praticata dal programma di Ricci, infatti, è considerata altamente eversiva: ripropone integralmente, senza tagli, né commenti, immagini televisive e relativo sonoro di fatti realmente avvenuti. E il risultato, a distanza di mesi, o di anni, è tragicamente esilarante. Qualche esempio? La lettura da parte del futuro presidente del consiglio del famoso “Contratto con gli italiani”, oppure, sempre per fermarsi a Berlusconi, la dichiarazione della “discesa in campo” ricolma di gratitudine per i magistrati di Mani pulite che avevano liberato il Paese da una «classe dirigente corrotta e mediocre». O, ancora, i pensieri di Massimo D’Alema sull’Ulivo datati 1996, o la serie di dichiarazioni e previsioni economiche fatte da Tremonti negli ultimi dodici mesi.
Ma ancora peggio potrebbe andare per la Lega che ama andare a vellicare i fremiti razzisti di una parte di italiani che ora si sentono belli e potenti, ma che meno di cento anni fa era additata al pubblico ludibrio dalla parte di mondo più civile e progredita.
Bugie propagandistiche contro Bossi, Fini e i loro? Assolutamente no. Basta leggere L’orda – Quando gli albanesi eravamo noi, di Gian Antonio Stella (Rizzoli, 283 poagine, 17 euro), per rendersi conto che noi italiani siamo stati clandestini, che sbarcavamo sulle spiagge altrui con barconi fatiscenti, che morivamo tentando di attraversare le Alpi in inverno, che ci facevamo sposare da prostitute di ogni razza e ogni colore per ottenere i permessi di soggiorno, che mendicavamo, che sfruttavamo i bambini, che riempivamo di donne e bambine i bordelli di mezzo mondo, anche di quelli più poveri, che eravamo considerati portatori di ignoranza, di malattie, di malavita, che eravamo veri e propri terroristi, che gli altri popoli ai quali bussavamo cercando un tozzo di pane, ci sbeffeggiavano, ci marchiavano, ci ghettizzavano, talvolta ci uccidevano senza nemmeno doverne subire davvero le conseguenze. Tanto eravamo considerati animali inferiori.
Non è un romanzo e non è nemmeno un libello abborracciato per il gusto della polemica politica. È un saggio serio, scientifico, documentato, realizzato da un grande professionista come Gian Antonio Stella che non ha neppure bisogno di trarre conclusioni, tanto la storia che si dipana davanti ai nostri occhi è evidente nell’affossare il mito della grande razza che dall’impero romano in poi è stata guardata e ammirata da tutti. Stella non può, però, non cominciare con una dedica di grande significato: «A mio nonno Toni “Cajo” che mangiò pane e disprezzo in Prussia e in Ungheria e sarebbe schifato dagli smemorati che sputano oggi su quelli comne lui».
Perché noi eravamo veramente come gli albanesi di oggi. Anzi, molto probabilmente peggio perché dovremmo essere capaci di fare tesoro del nostro passato e, invece, facciamo finta che non sia esistito. E, allora, l’unica strada per farci ritrovare le giuste dimensioni è quella di non nascondere nulla, ma, anzi, di esumare i nostri scheletri più repellenti. E lo scopo non è quello di farci cadere in una sorta di masochismo dei ricordi, ma di farci capire che se noi, dall’abiezione siamo riusciti a risalire la china, anche gli altri non soltanto possono, ma hanno diritto di farlo e che se noi saremo in grado di aiutarli, renderemo migliori loro, noi e il mondo intero.
È un discorso difficile da fare, soprattutto in una terra in cui tutti hanno almeno un parente che è emigrato per lavorare e che si è distinto, si è fatto benvolere, ha saputo cogliere l’opportunità che gli era stata data. È un discorso che non deve offendere perché nessuno intende gettare fango su coloro che si sono consumati per il bene della propia famiglia, ma soltanto ricordare che gli errori di una minoranza non possono e non devono ricadere come colpe su tutti. Altrimenti si generalizza, si perde la prerogativa umana di saper giudicare, si diventa razzisti contro interi popoli, etnie, religioni, gruppi linguistici, dimenticando che l’unica specie a cui si deve fare riferimento è sempre soltanto quella umana.
Gpc