dal Messaggero Veneto del 5/10/02

Da diversi anni, ormai, cammino con le Acli della Provincia di Udine, favorendo i momenti di riflessione sulla Parola profetica del Vangelo, nei percorsi di una spiritualità incarnata nella storia, nelle vicende personali, nelle relazioni dentro alle grandi questioni che ci interpellano. In questo percorso esprimo ora qualche frammento di riflessione a sostegno della petizione popolare per la flessibilità sostenibile promossa dalle Acli: l’obiettivo è quello di raccogliere entro la metà di ottobre 100.000 firme in tutta Italia da consegnare al presidente della Camera per chiedere al Parlamento l’adozione di un nuovo codice dei diritti del lavoro “che ponga al centro di ogni scelta sociale ed economica la persona, intesa come fine ultimo e non come merce.

Pur essendo la flessibilità un dato ormai acquisito nel moderno mercato del lavoro, crediamo infatti che essa non debba essere illimitata ma sostenibile, in modo da rappresentare un’opportunità in più per affermarsi, non già precarietà e frammentazione dei percorsi lavorativi».
Il lavoro è una delle dimensioni fondamentali della vita delle persone: essere disoccupati o impegnati, lavorare in un determinato ambiente o in un altro, essere licenziati, cambiare lavoro sono situazioni che influiscono sulla persona, nelle relazioni, sulla salute intesa nel senso più ampio di benessere fisico, psicologico, sociale, relazionale, ambientale.

Una concezione distorta, disumana della realtà considera le persone come forza lavoro, sminuendo o svuotando del tutto la loro soggettività personale; ne abbiamo attualmente una grave conferma nella legge sull’immigrazione che lega strettamente il permesso di soggiorno al lavoro senza, fra l’altro, prendere in considerazione le motivazioni della possibile cessazione delle attività lavorative e le conseguenze.

Nell’attuale situazione del mercato del lavoro accelerata dai processi tecnologici e informativi la flessibilità non è solo un nuovo termine, ma un’ormai diffusa realtà: è la condizione di tante persone chiamate a cambiare lavoro con tutte le esigenze e le ricadute che questo comporta. Sorge un interrogativo: la flessibilità rischia di diventare un modo per piegare la persona umana e le sue esigenze più profonde alle esigenze dell’economia e della produzione?

Cioè, parafrasando il Vangelo: è l’uomo per il lavoro o il lavoro per l’uomo?
La flessibilità come possibilità di cambiamento dell’attività lavorativa o della sua modalità non deve rientrare nella logica della massimizzazione dei profitti e, dunque, diventare illimitata, sacrificando dimensioni della vita personale, familiare, sociale, culturale, ricreativa.

Si concretizzerebbe in questo modo una nuova forma di alienazione: non più o non solo perché anche queste e altre continuano, la catena di montaggio, la fonderia, altre situazioni ossessivamente ripetitive e dure, ma appunto cambiamenti e aumento dell’attività lavorativa che rendono l’uomo dipendente, mortificato nelle sue possibilità, frenato nella cura di altre dimensioni fondamentali della vita, soprattutto quelle della cultura, delle relazioni, della partecipazione alla vita della comunità, della possibilità di dedicarsi volontariamente a qualche progetto e iniziativa.

Questa nuova situazione chiede attenzione e impegno per la formazione delle persone; per l’acquisizione di nuove competenze; per una conciliabilità fra la mobilità possibile e la vicenda personale e familiare; chiede una premura e un sostegno alle persone e famiglie più deboli; l’attuazione e il supporto di servizi sociali adeguati.

Nella società e nel mondo in cui viviamo avvertiamo con sempre maggior evidenza l’interdipendenza dei diversi aspetti, delle differenti situazioni e condizioni; niente e nessuno è a sé stante.
Per questo l’adozione di un nuovo codice dei diritti del lavoro che preveda un sistema di provvedimenti legislativi orientati alla centralità della persona umana, non come uno dei tanti parametri in gioco, ma come criterio chiave di ogni scelta sociale, economica e politica in materia di lavoro, &egraveegrave; una questione culturale, antropologica, di concezione dell’uomo e della vita.

Per persone, gruppi, comunità, movimenti che, come nel caso le Acli, ispirano la loro presenza e la loro azione al Vangelo, senza confusione di piani, senza etichette e sovrapposizioni, l’insegnamento riguardo al valore della persona come criterio primo e ultimo costituisce quell’orizzonte a cui riferirsi, da cui attingere luce per poi, la ragione, nella laicità della storia operare le scelte più adeguate.

Responsabile del Centro Balducci
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