dal Messaggero Veneto del 12/07/2002
di FERDINANDO CAMON
Nel Decreto di programmazione economica e finanziaria messo in Internet dal governo si affaccia la reintroduzione delle mutue sanitarie. Le parole sono queste: le prestazioni socio-sanitarie «saranno arricchite con l’introduzione, in via sperimentale, di strumenti assimilabili alle mutue che, nella storia del nostro paese, hanno prodotto effetti straordinari di efficienza e sicurezza».
Brutte parole. Esprimono una forte nostalgia per il tempo delle mutue assistenziali e dunque una forte avversione per il sistema sanitario unico e uguale per tutti, introdotto nel 1978. Ma davvero il sistema delle mutue era tanto migliore del sistema sanitario nazionale? Chi lo ha sperimentato lo ricorda come un sistema di forte sperequazione tra mutue “che davano molto” e mutue “che davano poco”. C’erano mutuati trattati da signori e mutuati trattati da poveracci. Dipendeva dalla categoria lavorativa a cui appartenevano. La diversità di trattamento riguardava tutti i campi, anche i ricoveri.
C’erano ricoverati di serie A, di serie B e di serie Z. Ogni mutua aveva le sue particolari convenzioni con gli ospedali e le cliniche. Può darsi, anzi lo dò per scontato, che il ritorno alle mutue, e quindi ai versamenti di contributi per categorie di lavoro, serva a mettere a posto i conti della Sanità. Che altrimenti andranno sempre peggiorando, perché nei decenni che ci stanno davanti invecchieranno quelli che furono i figli del baby-boom, e invecchiando avranno bisogno di assistenza.
Ma questo miglioramento dei conti avverrà, se avverrà, attraverso un peggioramento dell’equità dei ricoveri e dei trattamenti, ci saranno servizi dignitosi e altri indignitosi, malati che quando li vai a trovare si presenteranno con orgoglio e altri che si vergogneranno. Il testo governativo prevede che per i primi anni questa rivoluzione sanitaria sia attuata in via sperimentale e che lo sperimento riguardi solo alcune categorie di bisognosi, e cioè gli anziani, i non autosufficienti, i malati cronici, i disabili: i quali potranno pagare una retta per trovare posto nelle case di riposo, per la degenza in clinica, per l’assistenza di un infermiere a domicilio. Sono i bisogni acuti. Quelli che adesso straziano le famiglie, le gettano nel dramma.
Dove c’è un vecchio non autosufficiente, per il quale lo Stato non fa niente, la famiglia si blocca: qualcuno deve assisterlo, rinunciando al lavoro o allo studio. Con la reintroduzione delle mutue, ogni famiglia potrà “salvarsi da sé”, pagando. Qualcosa è. Un barlume di soluzione. Ma avremmo preferito che proprio qui lo Stato indirizzasse il suo intervento, sui bisogni acuti, e non li abbandonasse alla battaglia spietata del mercato. Avrei preferito che lo Stato si addossasse i grandi costi, i macro-interventi, le lungodegenze, lasciando magari scoperti i malanni affrontabili privatamente. Invece fa il contrario. Temo che nascerà un nuovo problema: ci saranno vecchiaie di serie A, vecchiaie di serie B e vecchiaie di serie Z.
Ripiegando verso questa soluzione si ammette che il servizio sanitario nazionale, unico per tutti, ha fallito, non regge più. Aveva certamente dei difetti, e li abbiamo sperimentai tutti. Era diventato semi-statale. In realtà, se avevi bisogno di radiografie o test urgenti, dovevi farteli privatamente, pagando. Anche i test per scoprire un tumore. O aspettavi un anno, o ti arrangiavi. Questa non era più sanità nazionale, era una giungla. Il ministro della sanità dice che non c’è altra soluzione perché la Sanità può spendere solo 13 mila miliardi di vecchie lire, e il bisogno è di 30 mila miliardi.
Se parte questa riforma, i 17 mila miliardi di differenza salteranno fuori dalle contribuzioni private. È una soluzione “di destra”, cioè economica, amministrativa, finanziaria, di censo; ma non è umana, non solidale, non cristiana. Forse i conti andranno a posto o comunque miglioreranno. Ma non miglioreranno i malati cronici e i vecchi. Ciò che li fa star male è la vergogna di gravare sulla famiglia. Con le mutue private, sentendo di gravare di più, staranno ancora peggio.
Ferdinando Camon
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